Presentato in Asmara il libro di Alemseged Tesfai "Due settimane nelle trincee" tradotto in italiano31/3/2017 Dal minuto 4:21 Foto del professor Alberto Coruzzi
0 Comments
Negli ultimi anni mi sono occupato di rappresentare mediaticamente l’Eritrea, il perno delle mie azioni è sempre stato: “farlo onestamente ma soprattutto indipendentemente”. In questi anni sono riuscito a farlo, a modo mio e senza trovare alcun tipo di ostacoli provenienti dalla comunità.
Quello che oggi mi ha portato ad entrare a far parte ufficialmente della sezione italiana dello YPFDJ con il ruolo di responsabile media & network è l’apertura che ho trovato all’interno dei membri e dei rappresentanti della comunità. Ho riscontrato uno spiccato sistema meritocratico dove non c’è la volontà di modificarti ma, là dove esprimi delle capacità/qualità, queste vengono riconosciute e sostenute e nella mia esperienza non è assolutamente una cosa scontata. Sono cresciuto in una società abbastanza individualista, una società dove la parola servo è principalmente utilizzata come un insulto quindi io stesso, pur essendo eritreo, ho uno spiccato istinto individualista che erroneamente ho sempre associato alla libertà. In realtà sono arrivato alla conclusione che la libertà è implicita nell’essere umano, la nostra mente ha sempre la possibilità di essere libera, intellettualmente libera a prescindere dalle condizioni esterne dipende solo dalla capacità che abbiamo di coltivare la nostra consapevolezza, è difficile da spiegare ma la libertà e l’individualismo non sono due concetti indissolubilmente legati tra loro. Mentre l’essere servo è legato indissolubilmente alla scelta di che cosa servire e quindi alla libertà. Lo YPFDJ è secondo me un’eredità essenziale per noi giovani eritrei della diaspora, perché è una realtà che ci dà la possibilità di conservare e trasmettere i valori della società eritrea, una possibilità molto concreta visto che è un movimento autenticamente legato alle radici della nostra lotta per l’indipendenza. Decido di servire l’Eritrea dentro un sistema eritreo perché sento che fare altrimenti sarebbe un po’ come non accettare un testimone che ho tutta l’intenzione di accettare. Awet N'Hafash di Billion Temesghen
La Q & A di oggi è un esempio di come anche se si vive a miglia di distanza dal luogo di nascita e poi dei primi ricordi, in un modo o nell'altro, si trova sempre un modo per tornare a casa. Il dr. Cesare Manetti e il dr. Michele Cosentino sono italo-eritrei, entrambi nati e cresciuti in Eritrea. Hanno lasciato il paese per proseguire con la loro istruzione, e con il passare degli anni messo su famiglia, ma i loro cuori non ha cessato di conservare i cari ricordi d'infanzia di casa. Il dr. Cesare Manetti e il dr. Michele Cosentino hanno ritrovato la via del ritorno a casa, dopo l'indipendenza, tornando in quella società alla quale sono estremamente affezionati. Entrambi sono medici che gioiscono nell’offrire assistenza alla società attraverso il modo migliore che conoscono, soprattutto con l'aiuto di amici colleghi. Domenica pomeriggio il dr. Cesare Manetti ha avuto un incontro informale con la prof.ssa Daria Minucci dell'Università di Padova e con il dottor Kebreab Mehari ginecologo presso il Referral Hospital Orrotta. Hanno avuto una conversazione amichevole da collega a collega su un nuovo progetto congiunto per quanto riguarda la prevenzione del cancro del collo dell'utero, una causa a cui il dr. Michele Cosentino è stato appassionato di per lungo tempo. Il dr. Cesare Manetti sovrintende otto centri sanitari in tutto il paese; parte del progetto è quello di implementare meccanismi di controllo del cancro cervicale in centri del dr. Manetti, diffondendo allo stesso tempo parità di accesso a tutte le donne eritree soprattutto nelle zone periferiche. ... e io li ho ascoltati; ecco qui di seguito la loro conversazione. Appassionato della gioventù eritrea Dr. Cesare Manetti: La gioventù eritrea potrebbe essere di esempio per il resto dei paesi del terzo mondo. Essi è dedicata, entusiasta e curiosa. Quindi, in realtà insegnando ad alcuni di loro siamo in grado di garantire il futuro di molti di più in quanto sono in grado di esercitare l’auto-apprendimento. Siamo in vantaggio perché abbiamo una cultura di benevolenza spirituale; Dr. Michele Cosentino: E' esattamente quello a cui stiamo mirando. Non ha senso andare avanti e indietro quando abbiamo tanti giovani che sono pronti ad aiutare. Mostriamo loro come vanno fatti i test e possiamo stare tranquilli per decenni. Quando mostriamo ai nostri giovani la strada, loro la percorreranno in velocità. L'Ambasciatore dell'Eritrea in Italia, Mr. Fsehatsion Petros, il 21 marzo ha presentato le credenziali al presidente della repubblica serbo Tomislav Nikolic come Ambasciatore non residente dell'Eritrea.
Nella circostanza, l'Ambasciatore Fsehatsion ha trasmesso al presidente della Serbia un messaggio del presidente Isaias di buona volontà e ha affermato che l'Eritrea vuole stabilire una forte relazione bilaterale e la cooperazione tra i due paesi. L'Ambasciatore Fsehatsion ha spiegato inoltre che è forte convinzione che si dovrebbe lavorare per far avanzare i legami bilaterali ad alto livello con il sostegno di tutte le autorità serbe interessate. Spiegando che la recente visita di lavoro di una delegazione di alto livello eritreo era di fondamentale importanza per comprendere la posizione dell'Eritrea, il presidente Tomislav ha affermato la prontezza del suo paese per stabilire una solida e tutto tondo cooperazione reciproca tra i due paesi. L'Ambasciatore Fsehatsion ha anche avuto colloqui con vari funzionari serbi per quanto riguarda la valorizzazione della partnership di cooperazione reciproca tra i due paesi da Shabait.com . . Non sono poveri e non scappano dalla guerra né dalla fame, ecco perché i profughi vengono in Italia.23/3/2017 Anna Bono, (nella foto) docente di Storia e Istituzioni dell’Africa all’Università di Torino, conoscendo a fondo la materia, ribalta un bel gruzzolo di luoghi comuni.
Al giornalista Marco Dozio in un’intervista molto interessante, spiega che chi sbarca o viene traghettato sulle nostre coste, arrivando prevalentemente dall’Africa subsahariana, per la stragrande maggioranza dei casi non è un profugo. E nemmeno un povero in fuga dalla fame. Ma un giovane maschio, spesso appartenente al ceto medio, che non scappa da guerre o persecuzioni. “La maggior parte di chi lascia l’Africa subsahariana per l’Europa non scappa né dalla guerra né dalla povertà estrema”. Professoressa, ci raccontano che gli immigrati che arrivano in Italia sono profughi. «I dati dicono che dall’inizio dell’anno il numero di persone che hanno fatto domanda di asilo politico, e che hanno ottenuto risposta positiva, si assesta intorno al 4%. Significa che tutti gli altri non rientrano nei parametri previsti dalla convenzione di Ginevra, quindi non sono persone che hanno lasciato il loro Paese sotto la minaccia di perdere la libertà o la vita: non sono persone perseguitate». E ci raccontano che chi non scappa dalla guerra però scappa dalla fame. «I costi elevatissimi dell’emigrazione clandestina contraddicono questa tesi comune. Ormai è risaputo che chi vuole venire in Europa deve mettere insieme 4mila, 5mila o 10mila dollari per potersi appoggiare a un’organizzazione di trafficanti che provveda all’espatrio. Cifre appunto elevatissime soprattutto se rapportate ai redditi medi dei Paesi di provenienza. Chi arriva generalmente appartiene al ceto medio o medio basso, comunque per la gran parte non si tratta di indigenti. C’è chi risparmia, chi si fa prestare il denaro dai parenti, chi paga a rate, chi vende una mandria, però i soldi ci sono, i trafficanti vogliono essere pagati in contanti. È gente che ha una disponibilità economica. Certo c’è la delusione di vivere in Paesi dove avanzano prevalentemente i raccomandati: la spinta può arrivare anche da lì, da delusioni lavorative, come succede per chi parte dall’Italia». di Semir Seid
Seicento in italiano si riferisce essenzialmente al 17° secolo. La parola si riferisce al periodo di storia e cultura sociale italiana caratterizzata da varie guerre, conflitti, invasioni, e il padroneggiare delle arti e dell'architettura. Tuttavia in questo articolo non si vuole discutere la parola Seicento e il suo contesto storico, ma parlare di una macchina nota con quel nome e il suo ruolo nel nostro paese; la Fiat Seicento del 1955. Durante gli anni 60, 70 e 80, l'auto è diventata popolare in molti paesi in tutto il mondo. Quando ero scolaro, non ho mai pensato di guidare una macchina. Tutta la mia attenzione era concentrata nei miei studi. Nel momento in cui ho deciso di andare avanti e guidare la prima vettura, è stata la FIAT Seicento. Era una utilitaria lasciata dagli italiani e nel nostro Paese è ancora utilizzata dalle scuole guida. Questo tipo di vetture sono state usate come utilitarie da parte degli italiani e, ad un certo punto, sono diventate anche vetture da competizione. La FIAT 600 o Seicento era una notevole scelta a suo tempo. E’ stata la prima vettura sulla quale io abbia mai messo piede. È un dato di fatto che nella nostra casa non è mai entrata alcuna auto, ma di recente abbiamo rinnovato il nostro cancello allargandolo nella speranza che presto ne arrivi una. Per il momento questo è un sollievo per le nostre biciclette che possiamo parcheggiare in casa senza alcun disagio. Il desiderio di possedere una patente di guida mi venne in mente dopo che un parente che aveva una macchina mi disse che sarebbe stato bello averne una. Le nostre menti sono inclini a cambiare a seconda degli stili di vita e le persone che seguiamo. Beh, per molti motivi personali, le persone aspirano a un veicolo per soddisfare le loro esigenze o semplicemente per farsi notare. Se qualcuno vuole possedere una macchina, in un qualche dato paese, credo che questo dovrebbe seguire le regole del traffico di quel paese. Ci sono qualifiche necessarie e le credenziali devono essere guadagnate attraverso un esame di guida standardizzato. Comprendendo l'importanza di un'automobile, tutti in città conservano loro paghetta per le lezioni di guida e la frustrazione che ne consegue. Come principiante si devono superare diversi problemi prima del test vero e proprio; la sfida è quella di conoscere il carattere della vettura (nel nostro caso la Seicento) perché diventa difficile per semplici errori (come in questi giorni), la sfida di far fronte agli istruttori, un'altra sfida per passare i primi esami è quella di capitare con un esaminatore misericordioso il giorno dell'esame, i fastidiosi allenamenti fino a quando si viene selezionati per gli esami anche se si è convinti di aver socializzato con il mezzo, la sfida di dover pagare le spese per ogni lezione di guida. Ottenere la patente di guida è un mal di testa di cui tutti parlano. Anche quelli che riescono, se la ricordano come una tortura. Molti sono restii a spendere un sacco di tempo per fare pratica e modificare i loro programmi per acquisire una patente. Purtroppo, raramente va come previsto. di Filippo Bovo -22 marzo 2017 In Eritrea si moltiplicano sempre di più le iniziative volte a migliorare lo stato del sistema scolastico e sanitario, coronate peraltro dal successo. Proprio oggi ad Asmara l’Associazione Medica dell’Eritrea ha tenuto la sua 22esima riunione presso l’Asmara Palace Hotel, alla presenza dei ministri della Salute e dell’Educazione. Il presidente dell’associazione, il Dottor Goitom Hagos, ha espresso tutto il suo ottimismo circa le capacità dell’organizzazione di raggiungere sempre più importanti ed elevati risultati. L’assemblea, durante la quale sono stati eletti i dirigenti dell’associazione per i prossimi due anni, è stata sicuramente una fondamentale occasione per rimarcare anche i grandi progressi sin qui registrati dal sistema socio-sanitario eritreo e per definire i traguardi futuri. Lo scorso 16 marzo, invece, l’Unione Nazionale delle Donne Eritree ha riportato come sia sempre più ampio l’accesso all’istruzione in tutto il paese, con una sempre maggior partecipazione della donna all’educazione di alto livello. La partecipazione delle donne eritree alle scuole secondarie è salita del 43,3% mentre quella presso l’educazione terziaria è arrivata al 37,1%. I documenti emanati in tale occasione dall’Unione Nazionale delle Donne Eritree indicano comunque come tuttora permangono importanti ostacoli alla totale affermazione del sesso femminile nel sistema dell’istruzione eritreo, ma il fatto che queste limitazioni siano state identificate e che siano state individuati al contempo anche i metodi per rimuoverle lascia ben sperare per il futuro. l forti progressi conosciuti dalle donne nell’ambito scolastico ed universitario sono fondamentali per il loro successo anche nel mondo del lavoro, non senza dimenticare proprio il settore sanitario, dove risultano maggioritarie rispetto agli uomini in vari campi, medici e paramedici. La grande importanza conosciuta dalla donna eritrea nel settore civile affonda le proprie radici nello storico pluralismo della società eritrea, ed è stata riaffermata con le armi in pugno negli anni della Guerra d’Indipendenza del 1961-1991, quando le combattenti del FLE prima e del FPLE poi costituivano ben più del 30% dei soldati eritrei in totale. Sono poi numerose anche le iniziative volte ad aumentare nella popolazione, maschile e femminile, la consapevolezza dell’importanza di un sistema sanitario ed educativo moderno, dove la solidarietà rappresenta un pilastro fondamentale. Proprio lo scorso 20 marzo, per esempio, a Ghedi e a Massawa oltre 400 studenti e cittadini hanno donato volontariamente il sangue al centro trasfusionale regionale. L’Associazione di Donatori Volontari del Sangue della regione del Mar Rosso Settentrionale ha riportato con soddisfazione come il numero di donatori in tutta l’area sia fortemente aumentato. Il prossimo obiettivo è di aumentare questa consapevolezza e il numero di donatori anche nelle zone di Afabet e di Nakfa. Per questa associazione, che è stata fondata nel 2015, si tratta dunque di una crescita e di un successo straordinari. da L'Opinione Pubblica Eritrea delenda est
...Difendendo il solco tracciato da Dipartimento di Stato, Cia, Pentagono, FMI e, in subordine, UE, il “manifesto” non perde occasione per picchiare sull’Eritrea, unico Stato africano che rifiuta sia l’FMI, sia la Cia, il Pentagono e il Dipartimento di Stato, negando a questi stupratori di nazioni e popoli basi militari, economiche e Ong. Per gli argomenti, mai di sua diretta conoscenza, al “manifesto” bastano gli input delle solite vivandiere umanitarie dei lanzichenecchi Nato: Amnesty International, Human Rights Watch, USAID, Obama, Laura Boldrini e quello squinternato di Pippo Civati che, forse non sapendo nemmeno dove si trova l’Eritrea, s’è voluto guadagnare un buffetto della Commissione dei diritti umani dell’ONU importunando il parlamento con una sua mozioncella all’acido solforico contro quel paese. Paese al quale, a partire da noi colonizzatori, britannici, statunitensi, e russi e cubani che si schierarono con il suo aggressore e occupante, non avrebbero che da chiedere scusa. L’Etiopia è il gigante del Corno d’Africa. A sud s’è mangiata, su commissione Usa, un bel pezzo di Somalia, contribuendo con la “comunità internazionale” a sfasciare totalmente quel paese (altra nostra colonia, saccheggiata e poi avvelenata a morte con i rifiuti nucleari e tossici di cui Ilaria Alpi). A nord continua a occupare terre eritree. Ora quella “comunità”, tramite sicari africani riuniti nella spedizione “Afrisom” e raid Usa su villaggi, scuole, funerali e matrimoni, insiste a tenere il paese in condizioni di Stato fallito e popolo morente. Resistono, dopo la decimazione di altre resistenze, la formazioni islamiche degli Al Shabaab, presenti con operazioni militari in tutto il paese e contro le centrali estere dell’aggressione. Resistenza opportunamente satanizzata. 13 marzo 2017
Signor Presidente, La mia delegazione non vuole sprecare il tempo di questo augusta istituzione indulgendo in scambi aspri con il relatore speciale. Il pregiudizio selettivo circa le cosiddette testimonianze che brandisce; la mancanza di professionalità nel suo approccio globale; la polarizzazione politica e l’ordine del giorno che hanno guastato i suoi rapporti riciclati, sono ai giorni nostri troppo ben noti e riconosciuti da un numero crescente di governi ed enti neutrali. A questo proposito, non vediamo l’utilità di soffermarsi sulla sua dichiarazione. Solo l'anno scorso, oltre 112.000 eritrei della diaspora hanno visitato la loro terra d'origine come parte integrante delle loro vacanze abituali e anche per celebrare il 25° anniversario dell’ indipendenza del paese. Mentre il relatore speciale ha pubblicato la propria relazione al vetriolo sull’Eritrea sulla base di testimonianze di circa 250, o giù di lì, richiedenti asilo di dubbia credibilità, oltre 42.000 eritrei le hanno scritto per protestare contro le sue campagne di diffamazione infondate e politicamente motivate sul proprio paese. Ma il relatore speciale è avidamente ossessionato dall’idea del "cambio di regime" che è l’agenda di noti collaborazionisti e paesi stranieri. In effetti, non ha tempo per ascoltare la gente dell’Eritrea. In tali circostanze, l'umile richiesta della delegazione dell'Eritrea a questo augusto corpo è quello di porre fine a questa farsa, una volta per tutte. Signor Presidente, Permettetemi di approfittare di questa occasione per evidenziare brevemente due temi che hanno attinenza con l'argomento in questione. Il primo è il rischio di politicizzazione del Consiglio per i diritti umani attraverso il ricorso a strumenti specifici contro un paese che non sono ne produttivi ne costruttivi. Questa pratica è irta di rischi di resuscitare i malesseri e le follie che hanno reso inefficace il predecessore di questo corpo 11 anni fa. Per questo, l'appello dell’Eritrea è perché ci sia chiarezza e universalità negli strumenti metodologici e procedurali che l'UNHRC impiega. Milano 12 marzo 2017- Il pisano, dopo un mese di allenamento in Eritrea, perde una scarpa alla partenza, poi il suo recupero è prodigioso: chiude in 30’23”.
Ha perso la scarpa per un contatto in partenza, si è fermato per infilarsela ed è volato a vincere il titolo italiano di cross. Daniele Meucci ha firmato così il rientro alle gare: mancava dalla maratona delle Olimpiadi di Rio. Tornato in Italia venerdì notte dopo un mese di allenamento in Eritrea, il pisano campione europeo di maratona si è imposto alla Festa del Cross di Gubbio (Perugia), valida come campionato italiano individuale e per team, nello splendido scenario del teatro romano, in una giornata dai contorni già primaverili (quasi 20 gradi). Meucci, sul tracciato di 10 km, ha guidato l’Esercito al successo nella classifica a squadre senior-promesse davanti alle Fiamme Gialle e al Casone Noceto. L’ingegnere, 31 anni, allenato da Massimo Magnani, ha dovuto fare gli straordinari dopo il contrattempo iniziale nella bagarre della partenza e lo stop per recuperare la scarpa: “L’ho persa alla prima curva, me la sono sentita sfilare da dietro - ha raccontato - per fortuna non mi è stato colpito il tendine, poteva andare peggio”. Superato l’imprevisto, si è lanciato alla rincorsa del gruppetto di testa, nel quale avevano già iniziato a far mulinare le gambe il keniano Joash Kipruto Koech e il marocchino Hicham Laqouahi, alla fine primo (30’11”) e secondo (30’18”) della classifica generale. Il titolo italiano (il decimo) è andato però a Meucci in 30’23” (secondo Eyob Ghebrehiwet 30’41”, terzo Marco Salami 30’52’) apparso già buona condizione dopo l’Eritrea: “L’Africa-style mi ha ricaricato, mi sono allenato ogni giorno con atleti più forti di me”, ha spiegato. All’orizzonte c’è soprattutto la maratona dei Mondiali di Londra: “È la mia volontà ma dobbiamo valutare bene i programmi con la Federazione”. Positiva anche la prestazione del vicecampione europeo Yohanes Chiappinelli: suo il titolo italiano Under 23 (tredicesimo assoluto, 31’10”). “Ora pensiamo alle siepi per la stagione estiva e ai 1500 per migliorare la velocità, mi sarà utile per i rettilinei finali”, il suo commento. leggi tutto... |
Archivi
Settembre 2024
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 3.0 Italia. |