Sua Eccellenza, Primo Ministro Shinzo Abe
Vostre Eccellenze Capi di Stato e di governo Delegati illustri Signore e signori, In questa occasione propizia del 7° vertice del TICAD, consentitemi di trasmettere la mia sincera gratitudine, a nome del governo dell'Eritrea, al governo del Giappone per il suo interesse serio e incessante nel promuovere una solida collaborazione con l'Africa. I profondi cambiamenti che si sono verificati a livello globale - soprattutto nelle Americhe, in Europa e in Asia - negli ultimi decenni dal lancio del TICAD sono stati davvero colossali. Tutti gli sforzi compiuti per costruire e cristallizzare - contrariamente alla logica della storia - un ordine mondiale unipolare non hanno avuto successo. Allo stesso tempo, il progresso economico e di sviluppo di varie potenze egemoniche è cresciuto a ritmi diversi con conseguenti cambiamenti fondamentali nella gerarchia. D'altra parte, gli sconvolgimenti che vediamo oggi in diverse parti del nostro mondo sono le inevitabili conseguenze e manifestazioni del cambiamento in atto nell'equilibrio del potere globale. Questo fenomeno richiederà sobrie analisi e attenzioni. Dov'è il posto dell'Africa in questo contesto di cambiamenti globali? Secondo quanto riferito, l'Africa possiede il 60% delle risorse globali. Nonostante queste massicce dotazioni, l'Africa rimane, sotto tutti gli aspetti, un continente arretrato ed emarginato rispetto ad altri. Il continente rimane un simbolo di etichette peggiorative: crisi, fame, aiuti, esodi, malattie, sofferenza ... ecc. All'indomani del colonialismo, i Padri fondatori che hanno guidato la lotta per la liberazione e l'indipendenza dei popoli dell'Africa avevano tracciato un percorso stimolante. Ma le loro alte aspirazioni e speranze non sono state realizzate. Le forze del dominio e dello sfruttamento hanno impiegato tutti i possibili sotterfugi per emarginare l'Africa e usurpare le sue risorse negli ultimi sessant'anni. Tuttavia, la colpa principale spetta, prima di tutto, a noi africani. Gli africani devono risolvere da soli i propri problemi. L'assistenza esterna e la filantropia, o la convenzione e la partecipazione a vari forum internazionali non saranno una panacea per i problemi dell'Africa; esacerberanno e comporteranno ulteriori costi. Il popolo giapponese è letteralmente risorto dalle ceneri per essere oggi orgogliosamente all'avanguardia nello sviluppo, nonostante una popolazione relativamente piccola che è inferiore a 150 milioni e risorse naturali trascurabili. Possiamo trarre molte lezioni dalla traiettoria del Giappone e dalla storia dello sviluppo. Anche l'opportunità di favorire un'autentica collaborazione tra Giappone e Africa è enorme. La costruzione di un partenariato di successo e sostenibile si basa tuttavia sull'esistenza di un ambiente congeniale. Nonostante la buona volontà del Giappone, TICAD non possiede prospettive promettenti per continuare e fornire risultati significativi nella sua attuale configurazione. In questo caso, sarà di vitale importanza tracciare, in questa congiuntura, una nuova tabella di marcia per un partenariato autentico ed efficace, valutando a fondo gli sviluppi globali che si sono sviluppati nell'ultimo quarto di secolo e le tendenze future. Chiedo umilmente che questo problema cardinale sia affrontato nell'attuale Vertice Vi ringrazio Yokohama 28 agosto 2019
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Vittorio Sgarbi
da Asmara Un giovane funzionario governativo, l'ingegner Medhaie, ci riceve nel suo ufficio di coordinatore del progetto Unesco per Asmara. Mentre si compiace della nostra attenzione, sottolinea, tra l'amarezza e la perfidia, che l'importante risultato di Asmara patrimonio dell'umanità non si deve alle linee guida e agli studi di un italiano, ma al lavoro attento e minuzioso di un inglese, Edward Denison. Ne vedo il risultato, grazie all'amicizia dell'ambasciatore eritreo in Italia, Zamede Tekele, ora Commissario per la cultura del governo, in un libro perfetto (Asmara: Africa's secret modernist city) in cui si dà conto della sostanza di questo patrimonio tutto novecentesco. Ed ecco le ragioni dello stupore di Medhaie: Asmara è, nel suo sviluppo architettonico, una città italiana. E, nell'indifferenza dei nostri governi, è quindi il 55° sito italiano del patrimonio mondiale dell'Unesco. Vedo nell'ufficio del coordinatore programmi e atti di convegni con studiosi italiani, ma non è in virtù di questi il formidabile risultato raggiunto per l'Eritrea e l'Italia. Dopo le mie ripetute visite in Libia e in Etiopia, non mi sarei aspettato che la dominazione italiana, in Eritrea, cessata nel 1941, avesse lasciato tracce così profonde e resistenti. Ai poco più dei cinquecento italiani ancora residenti, ma che erano, senza conflitto, sessantamila fino al 1974, epoca delle nazionalizzazioni, vanno aggiunti gli eritrei emigrati in Italia, pendolari in estate, e che conoscono la nostra televisione e i campioni del calcio. Gli uni e gli altri esprimono un intrinseco e reciproco affetto: gli italiani non sono percepiti come un popolo oppressore che ha colonizzato l'Eritrea, ma come un popolo amico. Ne incarnano l'identità i cosiddetti Ascari, eritrei nati in patria quando Asmara era italiana (come ancora integralmente appare), ma anche nei decenni successivi, quando la sconfitta politica non significa fine di civiltà e di costumi condivisi (esiste ancora un liceo italiano, il Guglielmo Marconi, che produce pubblicazioni utili e preziose, come Viaggio a Massawa di Giampaolo Montesanto, Giuseppe De Marchi, Guido Traverso; e anche la guida Eritrea di Marco Cavallarin, professore ad Asmara, è bella, minuziosa, originale). Un ascaro, più italiano di noi, Ghilè, ci accompagna. Condivide la nostra commozione per i luoghi dove l'Italia appare più rispettata, con onore e decoro: l'ordinato e fiorito cimitero militare di Asmara, e il monumento di Dogali, in ricordo di una sconfitta e di 500 morti. La colonna che li celebra è opera di uno scultore di Pietrasanta, Eumene Tomagnini. Con quella umiliazione, all'inizio della presenza italiana, nel 1887 cade il presidente del Consiglio, Agostino Depretis, e il re nomina Francesco Crispi. Devo dire che questi nomi che a noi, in balìa di governi insensati e inconcludenti, dicono oggi poco o nulla, sono ancora ricordati: sul ponte che va verso Massaua, e anche nella memoria grata degli eritrei che sentono molto più vicini gli italiani, che hanno costruito città e strade, a partire dal Governatore e grande scrittore, Ferdinando Martini, degli etiopi, che li hanno distrutti, come si vede nello scempio di Massaua, città delicata e frantumata durante la guerra di Liberazione. Il coordinatore dell'Unesco ci accompagna, con orgoglio, all'albergo Italia (ancora proprietà, come il Dahlak di Massaua, di un italiano astuto e soddisfatto: Giovanni Primo); e poi, con Ghilè, insiste per portarci fuori percorso, al bar Tre Stelle, per un altro «monumento» italiano: il caffè macchiato, servito in tazzina di vetro, già zuccherato. Scrive Cavallarin che «al bar Tre Stelle, se ci vai in macchina, e suoni il clacson, te lo portano sullo sportellino, appositamente aperto, del cruscotto che diventa occasionale tavolino». Per esperienza, non demerita, sul macchiato, anche il bar Vittoria, caro ai diplomatici e agli ufficiali italiani. In questo mondo d'Italia perduta che s'identifica, per me e per Guccini, nel «deflettore» sparito dalle automobili, e sepolto nell'oblio, c'è un'altra consuetudine, credo obsoleta anche nella più remota provincia italiana, che è il gioco del biliardo, non con la sopravvissuta stecca (di cui vi è memoria imperitura nel film Amici miei), ma con il più virtuoso e manuale uso delle boccette, che fu letteralmente la palestra della mia infanzia e adolescenza. Su più tavoli, con una folla di pubblico, giocano giovani che, con la loro precisione, chiamano l'applauso. Un'emozione vintage dell'Italia degli anni '50 e '60 (e ovviamente anche prima), e qui assolutamente attuale. Non si può dire lo stesso dei bellissimi cinematografi: Roma, Impero, Capitol, Odeon, abbandonati o desolati, con nostalgiche locandine della programmazione della commedia italiana dagli anni '50 ai '70: Fellini, Mastroianni, Sophia Loren, Alberto Sordi, e con il ricordo vivo delle presenze teatrali di Totò, Walter Chiari e Carosone. Dopo la chiusura della fabbrica di birra Melotti, oggi governativa, con il marchio azzeccato Dolce vita (nei caratteri della Vespa), che evoca anni ben lontani dalla dominazione italiana, ha ripreso la riproduzione di abbigliamento sofisticato un intelligente imprenditore italiano, Pietro Zambaiti, ascaro a rovescio, che ha trovato più Italia ad Asmara che a Bergamo. Ho voluto restituire un po' di colore locale e di stupore per alcuni felici incontri. Ma torniamo ad Asmara. Dal 2017, anno della iscrizione nella lista dell'Unesco, non ci sono stati restauri, ma presa di coscienza. E più eritrea che italiana. Fortificando l'istinto di gratitudine che ho cercato di descrivere. Potrà stupire, ma non ho visto un solo turista italiano, né un viaggiatore curioso, né uno studente di architettura, con un manuale di esempi così importanti, a partire da quello che si può ritenere il marchio dell'impresa, il distributore di benzina Tagliero con il simbolo della Fiat, liberato da insegne successive e posticce, come quelle della Shell, per restituirlo, per pura eleganza e decoro, alle sue linee originali. È un'invenzione futurista, del 1938, del giovane architetto italiano Giuseppe Pettazzi, come un aereo che plana sulla piazza da cui parte viale De Bono, poi Roma, con altri monumenti insigni come l'omonimo cinema e il bar Zilli. Poco lontano, in forme neoromaniche, la chiesa e il convento di San Francesco, disegnati da Paolo Reviglio. Il cinema Impero, originale invenzione di Mario Messina, ha l'interno logoro, ma un'interessante decorazione parietale di stucchi di ispirazione africana, con palme, antilopi, scene di danza in stile déco, con tende ondulate di stucco, e protomi leonine di ceramica a delimitare l'area del palcoscenico. In prossimità della Cattedrale, dal cui campanile si vede tutto lo sviluppo di Asmara, ci sono il comparto di appartamenti di Palazzo Falletta, tetragona struttura di Carlo Marchi, tra 1937 e 1938, e la Casa del fascio, compiuta da Bruno Sclafani nel 1940, tutti edifici in rispettoso abbandono. Troppo tardi l'Unesco è arrivata per salvare il razionalista Selam hotel, già Albergo Ciaao (Compagnia immobiliare alberghi Africa occidentale), che stanno restaurando, iniziando a devastare il pavimento di graniglia, nel progetto originale di Rinaldo Borgnino del 1937. Ho detto al presidente che il restauro degli edifici italiani deve essere affrontato con rigore, altrimenti è meglio non toccarli. Meglio la consunzione che la trasformazione. Meglio i fantasmi del passato che i mostri del presente. Se l'Unesco, con una scelta felice, senza temere le ombre del fascismo, indica all'Eritrea il prodigio architettonico e urbanistico di Asmara, l'Italia non può fingere di non vedere, o girare le spalle, davanti a un suo patrimonio così cospicuo e significativo. Il sigillo di questa convergenza di destini è nelle bellissime parole del generale Amedeo Guillet, in una lapide nel cimitero degli eroi di Keren: «Gli eritrei furono splendidi. Tutto quello che potremo fare per l'Eritrea non sarà mai quanto l'Eritrea ha fatto per noi». A fianco, le sepolture di centinaia di ascari ignoti. da Il Giornale.it Il generale Sebhat Efrem è tornato a casa ad Asmara #Eritrea dopo un trattamento medico di recupero all'estero, perfettamente riuscito.
credit Ghideon Musa Aron da Lorenzo Tondo
3 Ago 2019 Le autorità italiane hanno concesso lo status di rifugiato a un uomo eritreo che è stato vittima di uno dei casi più imbarazzanti di identità errata del paese. Il mese scorso un giudice a Palermo ha assolto Medhanie Tesfamariam Berhe dall'essere un perno della tratta di esseri umani, confermando di essere stato vittima di un'identità errata quando è stato arrestato più di tre anni fa in un'operazione congiunta da parte delle autorità italiane e britanniche. Dopo il verdetto fu trasferito in un centro di espulsione a Caltanissetta, in Sicilia, in attesa di essere espulso dal Paese. Ma venerdì una giuria della commissione per i rifugiati di Siracusa ha accettato la richiesta di asilo di Berhe, il che significa che è libero di rimanere in Italia. "Non posso descrivere quanto sono felice", ha detto Berhe, 32 anni, al Guardian fuori dal centro di espulsione. “È stato un incubo. Un incubo che è durato troppo a lungo. " Berhe è stato arrestato a Karthoum, in Sudan, il 24 maggio 2016. Le autorità italiane e britanniche lo hanno presentato alla stampa come un colpo di stato, scambiandolo per uno dei trafficanti di esseri umani più ricercati al mondo, Medhanie Yehdego Mered, AKA detto il generale. A poche ore dall'arresto di Berhe, centinaia di vittime di Mered affermarono che era stato arrestato l'uomo sbagliato. Secondo la famiglia del sospettato, lungi dall'essere un noto trafficante, era un rifugiato eritreo che si guadagnava da vivere in un caseificio e lavorava occasionalmente come carpentiere. Un'indagine triennale del Guardian ha rivelato testimoni e documenti che la difesa ha successivamente prodotto in tribunale per aiutare a dimostrare la sua innocenza. Un documentario realizzato dall'emittente svedese SVT in collaborazione con il Guardian ha rivelato che il vero Mered viveva nella capitale dell'Uganda, Kampala, spendendo i suoi sostanziali guadagni in discoteche mentre Berhe ha dovuto affrontare fino a 15 anni di prigione. Oltre a due test del DNA e una serie di testimoni, forse la prova più cruciale dell'innocenza di Berhe è stata un'analisi vocale di lui e Mered, che erano stati catturati in una intercettazione nel 2014. Il risultato ha concluso inequivocabilmente che l'uomo in prigione non era il trafficante. Ma i pubblici ministeri hanno continuato a insistere sul fatto che l'uomo catturato a Khartum fosse il vero contrabbandiere e abbia iniziato a condurre un'offensiva contro attivisti e giornalisti, intercettando conversazioni telefoniche tra giornalisti, esponendo fonti. Il procuratore nel processo, Calogero Ferrara, non ha chiamato un solo testimone per testimoniare contro Berhe, ma alla fine delle sue cinque ore di osservazioni conclusive il 17 giugno ha respinto i suggerimenti che avevano l'uomo sbagliato e ha chiesto una pena detentiva di 14 anni . Il giudice, Alfredo Montalto, del tribunale penale di Palermo, ha respinto le accuse del procuratore. "È stato un caso di identità errata", ha detto Montalto il 12 luglio. "L'uomo in prigione è stato erroneamente arrestato." Berhe è stato dichiarato colpevole invece di un'accusa molto minore di aiutare l'immigrazione clandestina per aver aiutato suo cugino a raggiungere la Libia. Poiché aveva già scontato tre anni di carcere, il giudice ha ordinato il suo rilascio immediato. Il laico di Berhe, Michele Calantropo, disse al Guardian: "Dopo il verdetto mi sono precipitato in prigione insieme alla sorella di Berhe solo per scoprire che lo avevano trasferito in un centro di espulsione per i migranti. Avevamo presentato una richiesta ufficiale di asilo. Non è stato giusto trasferirlo lì. " "La persecuzione giudiziaria di Medhanie si è finalmente conclusa nel miglior modo possibile: con lo status di rifugiato a cui ha pieno diritto", ha dichiarato Riccardo Noury, portavoce italiano di Amnesty International. "Rabbrividisco nel pensare a dove si troverebbe ora se l'errore giudiziario contro di lui non fosse stato esposto." I parenti hanno chiesto che Berhe riceva un risarcimento per la sua detenzione illegale e hanno chiesto l'apertura di un'indagine sul perché i principali pubblici ministeri della Sicilia abbiano seguito il caso. "Berhe è libero ma questa storia non sarà finita fino a quando non avranno chiarito il suo nome", ha detto Calantropo. da The Guardian |
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Settembre 2024
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