28 aprile 2018 - spiegare il perché della tragedia di Lampedusa del 3 ottobre 2013, in cui 360 eritrei morirono nel Mar Mediterraneo, bisogna risalire agli avvenimenti politici del Corno d’Africa nel decennio precedente. di daniel wedikorbaria Premessa: #Rifugiati eritrei
“Recentemente ho rinnovato le sanzioni su alcuni dei paesi più tirannici tra cui (…)l’Eritrea. Stiamo collaborando con i gruppi che aiutano le donne e i bambini a scappare dalle mani dei loro aguzzini, stiamo aiutando altri paesi ad intensificare i loro sforzi e vediamo già dei risultati” disse il Presidente Obama al Clinton Global Initiative nel settembre del 2012, un anno prima della tragedia di Lampedusa del 3 ottobre 2013. Ma cosa voleva dire il presidente americano con questa dichiarazione? Chi erano quei “gruppi che aiutano le donne e i bambini (eritrei) a scappare”? E chi erano gli “altri paesi che stanno intensificando i loro sforzi”? Quest’ultima domanda non è mai stata un rebus per me ed è proprio lì che intendo portarvi con questa mia inchiesta. In Etiopia e in Italia. Cronologia della situazione di “né guerra né pace” Per spiegare il perché della tragedia di Lampedusa del 3 ottobre 2013, in cui 360 eritrei morirono nel Mar Mediterraneo, bisogna risalire agli avvenimenti politici del Corno d’Africa nel decennio precedente. Risale esattamente all’aprile 2002 l’annuncio della decisione definitiva e vincolante dell’EEBC[1], la Commissione delle Nazioni Unite, sull’appartenenza dei territori contesi dall’Etiopia e dall’Eritrea compresa la città di Badme. In quell’assurda guerra di confine tra il 1998 e il 2000 erano morte da entrambe le parti circa 100.000 persone e la Commissione confini era stata decisa a seguito degli accordi di pace di Algeri. Fu l’Etiopia a festeggiare per prima accettando il verdetto della Commissione poiché non si era resa conto che Badme, non menzionata nel rapporto, era stata assegnata all’Eritrea. Quando gli esperti etiopici tracciarono una linea tra “il punto 9 e il punto 6” della mappa per determinare la sua posizione scoprirono che essa si trovava sul lato eritreo a circa 1.7 km dal confine etiopico. Subito dopo l’Etiopia rifiutò di accettare quel verdetto inappellabile. Come dimostrano alcuni documenti su Wikileaks[2] il Rappresentante Speciale del Segretario Generale dell’UNMEE[3] dichiara che “L’Etiopia non può accettare Badme come territorio eritreo perché così facendo la si riconoscerebbe come aggressore quando entrò a Badme durante il conflitto del 1998“. Sempre da Wikileaks[4] veniamo a sapere che l’Ambasciatore USA in Addis Abeba Donald Y. Yamamoto (2006–2009) riferisce al premier etiopico Meles Zenawi: “nulla sarà deciso fino a quando tutto non sarà deciso”. Difatti a luglio del 2008 finisce la Missione UNMEE senza che sia riuscita a portare avanti la demarcazione del confine Etio-eritreo e si teme l’inizio di un nuovo conflitto. Ma in quegli accordi firmati da entrambi i paesi è scritto chiaramente che “qualsiasi parte che non si conforma a uno o a tutti i termini degli accordi sarà sottoposta a misure politiche, diplomatiche, economiche e militari da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (UNSC)”. Perciò l’Etiopia, per il suo rifiuto, dovrebbe essere sanzionata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e costretta ad evacuare il suo esercito da Badme e dai territori assegnati all’Eritrea. Invece ciò non è mai accaduto e i giovani eritrei, stufi di questa situazione di né guerra né pace che li costringeva ad un servizio nazionale prolungato, hanno deciso di sconfinare per tentare di raggiungere l’Europa e migliorare la propria condizione. A dieci mesi dalla tragedia di Lampedusa il Presidente Isaias Afewerki scriveva al Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon per denunciare il traffico di esseri umani dall’Eritrea: “Gli architetti di questo flagello hanno ricorso a ulteriori schemi creando apposite etichette per mascherare il reato e nascondere la loro vera identità. Il governo dell’Eritrea chiede con fermezza alle Nazioni Unite di avviare un’indagine indipendente e trasparente di questa situazione abominevole in modo da portare alla giustizia i colpevoli.” Di nuovo, nel giugno 2017, il Presidente scrive una lettera[5] stavolta indirizzata a numerosi Capi di Stato e di Governo ribadendo: “Campagne di demonizzazione che sono state avviate sotto il falso pretesto di “violazioni dei diritti umani”, periodici attacchi militari lanciati contro il paese; e organizzate reti criminali di traffico di esseri umani create per far precipitare ed incitare migrazione illegale di giovani eritrei sono parte integrante di questi modelli di molestie.” E quando parla di attacchi militari[6] c’è da ricordare l’ultimo in ordine di tempo successo il 12 giugno 2016 sul fronte di Tsorona dove in un raid dei militari etiopici sono morti centinaia di etiopici e 18 eritrei. Così come gli attacchi militari anche le minacce da parte dell’Etiopia sono puntuali quanto le piogge stagionali. Cito come fonte il Senatore PD Gianni Pittella che nel 2016 dice: “Nella nostra visita della settimana scorsa il Presidente dell’Etiopia (Hailemariam Desalegn) ci ha detto che se l’UE continuerà a dare soldi all’Eritrea, considerata dall’Etiopia un regime dittatoriale, Addis Abeba la invaderà e ci sarà un altro milione di profughi in cammino verso l’Italia”.
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da SiciliainTreno.org
Molti tra i nostri lettori conosceranno la storia della Ferrovia Eritrea, una ferrovia a scartamento ridotto costruita durante l’occupazione italiana a partire dal 1887 e poi completata nella sua interezza nel 1928, che collegava il porto della città di Massaua alla capitale Asmara e che proseguiva il suo percorso collegando le città di Cheren e Argodat. La linea eritrea affascina tutti gli appassionati di cultura ferroviaria, per via delle sue caratteristiche che rendono questa ferrovia di montagna un gioiello dell’ingegneria civile. La linea Massaua – Asmara copre infatti un di livello di quasi 2500 metri in 117 km nei quali si susseguono numerosi viadotti e gallerie. Il percorso che si arrampica in un paesaggio mutevole di straordinaria bellezza, è in numerosi scorci straordinariamente simile alle linee secondarie a scartamento ridotto del Sud Italia. La somiglianza poi si fa più forte considerato che i rotabili tutt’ora in circolazione lungo la linea sono, tranne qualche eccezione, tutti italiani e risalenti al periodo coloniale. Di fatto nel parco rotabile eritreo ritroviamo le uniche macchine (ex) FS a scartamento ridotto ancora in circolazione! Con delle vere e proprie chicche (come non citare le littorine in livrea coloniale o le incredibili "Mallet" italiane 440). La storia di questa linea è caratterizzata però da un periodo tormentato che ebbe inizio durante la seconda guerra mondiale e che durò fino al 1991, anno dell’indipendenza dell’Eritrea; decenni caratterizzati da un progressivo ed inserobabile declino che culminò con la dismissione del tracciato, il disarmo della linea, la perdita di molti rotabili ed il definitivo accantonamento di quelli superstiti con la conseguente cessione del servizio ferroviario. Ma, quando tutto sembrava ormai perso, ecco l'eccezionalità del caso: in Eritrea si assiste, contro ogni pronostico, ad un avvincente e tenace impegno finalizzato alla ricostruzione della ferrovia (ricordiamo che il viadotto in uscita da Massawa è addirittura stampato sulle banconote da 10 nakfa,la valuta locale, questo da il metro dell'importanza, per la popolazione, di questa infrastruttura). A seguito infatti dell’indipendenza, nel 1993, il governo eritreo, volendo dimostrare con orgoglio la propria autonomia, scelse di ripristinare con le proprie forze la storica infrastruttura ed intraprese un difficile ed appassionante lavoro di recupero innanzitutto dell’armamento originario, unico disponibile, disperso ed utilizzato come materiale da costruzione (spesso per casematte militari); famosi sono gli scatti in cui si vedono operai eritrei letteralmente cercare bullone per bullone in mezzo ai resti delle trincee della guerra, recuperando tutto il possibile, in questo aiutati anche dall'uso di traverse in ferro, praticamente indistruttibili; Parallelamente alla linea ferrata, ebbe inizio anche la revisione (che ha del miracoloso visti i mezzi) e il ripristino funzionale dei pochi rotabili superstiti e ancora conservati dentro le rimesse. Un lavoro che vide il fondamentale contributo di tanti ex ferrovieri, spesso ottuagenari, gli unici conoscitori delle locomotive italiane e degli impianti e attrezzature lasciate nei depositi dal periodo coloniale (è possibile vedere macchine utensili, attive, degne di un museo); e poi ancora l'aiuto di tanti giovani eritrei volontari e contagiati da questa incredibile sfida, e la partecipazione attenta dei tanti che hanno seguito e sostenuto l’impresa anche da fuori. Questo sforzo collettivo e a costo contenutissimo ha infine portato li dove nessuno avrebbe mai creduto: la riapertura, avvenuta nel 2003, della intera tratta Massaua – Asmara. Da questa data, sono stati tantissimi i tour turistici organizzati per viaggiare, spesso in condizioni a dir poco improbabili, su questa incredibile infrastruttura. La modalità del recupero ora ora descritto ha fatto e continua a far sognare tantissimi appassionati di ferrovia che non fanno fatica ad immedesimarsi in chi ha operato nel ripristino dell’infrastruttura e dei rotabili, fantasticando magari di utilizzare lo stesso modello esecutivo "artigianale" per tante tratte nostrane, ormai dismesse da tempo, e che spesso versano in condizioni decisamente migliori di quelle della ferrovia eritrea. Donald Yamamoto è da ieri ad Asmara Roma, 23 apr. (askanews) – Il vice segretario di Stato Usa per gli Affari africani, Donald Yamamoto, è in missione nell’Africa orientale. Stando a quanto reso noto dal Dipartimento di Stato, Yamamoto è giunto ieri in Eritrea dove rimarrà fino a domani, prima di partire alla volta di Gibuti, da dove raggiungerà, il 26 aprile, l’Etiopia. Ad Asmara, Yamamoto avrà “consultazioni bilaterali con funzionari del governo, incontrerà la comunità diplomatica e visiterà il personale dell’ambasciata”. Quindi “guiderà la delegazone Usa al forum Usa-Gibuti del 24 e 25 aprile a Gibuti, il nostro dialogo annuale su questioni politiche, economiche, di aiuto e di cooperazione sulla sicurezza”, si legge nella nota. Ultima tappa, il 26 aprile, ad Addis Abeba, dove incontrerà funzionari di governo. Lo scorso novembre, Yamamoto disse alla stampa che gli Stati Uniti si stanno adoperando per risolvere la situazione di “nè guerra nè pace” tra Eritrea ed Etiopia, in atto dalla fine del conflitto del 1998-2000. Il diplomatico americano è stato ambasciatore in Etiopia e Gibuti, e incaricato di affari all’ambasciata di Asmara. La Pasqua è una festa mobile celebrata la prima Domenica dopo la luna piena che segue l'equinozio di primavera (21 marzo). Inizialmente era una celebrazione congiunta con gli ebrei, ma lentamente questo è cambiato e i cristiani hanno cominciato a celebrare la Pasqua separatamente dopo il primo Concilio Ecumenico (325 dC), quando è stato deciso che la ricorrenza cadeva la prima Domenica dopo la prima luna piena che segue l'equinozio di primavera.
Se la luna piena coincide con la Domenica, si celebra la Domenica successiva. Con il cambiamento del calendario e l'introduzione di quello Gregoriano in Occidente nel 1582, si è prodotta la diversificazione e tra Oriente e Occidente ci sono stati molti scontri violenti tra le Chiese per la determinazione della data della Pasqua. Succede a volte che si celebri la Pasqua prima del 25 marzo, giorno dell'Annunciazione, come è successo nel 2008, mentre la Pasqua cattolica era il 23 marzo. Nel 2035 il 25 marzo ci sarà l'Annunciazione e la Pasqua, allo stesso tempo! |
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