Ann Fitz-Gerald @afitz3105 #TPLFCrimesExposed I seguenti 7 punti che ho ritenuto importanti possono essere utilizzati per riscrivere la relazione di cui sopra: 1- Il forte consenso sul fatto che l'ideologia, la rete e il sistema di governance del TPLF debbano essere sradicati è anche indice di una mancanza di interesse per la sua agenda radicale e di un alto livello di rancore verso quello che è stato definito un piccolo gruppo di leaders che accumulano sia potere che ricchezza. 2- Al contrario, ci sono notevoli prove di sostegno a un'Etiopia unita e a una costituzione appena riformata che non facilita la continuità dell'attuale ideologia e delle disposizioni di governance TPLF, tra cui la rete repressiva "uno su cinque" lavoro. 3- La paura delle ripercussioni in corso sembra anche aver spinto i Tigrayani a lasciare la regione o incitato paura tra i combattenti tigrayan catturati/arresi, a questi ultimi è stato istruito di togliersi la vita prima di catturare o credere che ci non tornare al Tigray a causa di questo ordine. Le tensioni sembrano più prominenti tra i gruppi politici, piuttosto che tra la gente comune. Infine, e soprattutto, i molti combattenti maschi e femmine di età inferiore ai 18 anni reclutati sotto la regola "una famiglia, un combattente" e addestrati dai comandanti del TPLF richiedono un supporto psico-sociale per garantire che questi giovani adolescenti possano trans Ritorna in un'esistenza civile stabile in età scolare. 4- Sulla base del feedback solidale sulla cooperazione tra i Tigrayani in fuga e le comunità Amhara e Afar - che, nelle stesse comunità che i combattenti tigrayan hanno occupato e lasciato distrutti, hanno fornito a molti di loro cibo, acqua e riparo – la narrazione che circonda le tensioni tra il Tigray e il suo Le regioni frontaliere non sembrano essere così problematiche come suggerito dai leader del TPLF. 5- Le conclusioni riportate sopra hanno implicazioni per qualsiasi discussione su mediazione, responsabilità, sicurezza e sicurezza, e per qualsiasi questione legata al dialogo nazionale sulle future disposizioni di governance nel Tigray. 6- Il feedback di questi campi fornisce anche la prova che la narrazione riportata dai sostenitori del TPLF che vivono al di fuori dell'Etiopia non si allinea con la voce delle comunità tigrayane sul campo. 7- Ci sono anche problemi riguardanti la sicurezza e la sicurezza di circa 16.000 Tigrini (un numero che continua a crescere man mano che più IDP attraversano Amhara e Afar) attualmente ospitati sia nei luoghi del campo Awash che Jarra e implica per le agenzie di assistenza nazionali e internazionali il garantire che i requisiti nutrizionali, acqua e medici di questi IDP siano supportati e non dimenticati. Ann Fitz-Gerald è la direttrice del Balsillie Scuola di Affari Internazionali e un Professore in Scienze Politiche della Wilfrid Laurier University Dipartimento. Ha lavorato in entrambi i King's College, Centro per la Difesa dell'Università di Londra Studi presso l'International Policy Institute e presso Cranfield University, di cui era direttrice, Leadership in difesa e sicurezza.
La ricerca di Ann si concentra sulla sicurezza nazionale e la governance del settore della sicurezza. È ampiamente pubblicata su questi problemi e ha una vasta esperienza di lavoro nelle capacità di insegnamento e ricerca dei laureati in Etiopia e nella più ampia regione del Corno d'Africa dove ha anche sostenuto a livello internazionale- colloqui di pace sponsorizzati. Nel 2013 il governo del Canada ha assegnato ad Anna la "Queen's Diamond Jubilee Medal" per i suoi sforzi a sostegno del conflitto risoluzione e costruzione della pace postbellica in Africa. Ann è un membro del consiglio del canadese Ditchley Foundation, un ricercatore associato per il Royal United Services Institute di Londra, e un ricercatore presso il McLaughlin College York University.
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Davvero ricca ed emozionante la 16esima Conferenza Europea del YPDFJ (i giovani del Fronte Popolare per la Democrazia e la Giustizia Eritreo), tenutasi a Roma dal 14 al 18 aprile scorsi e dove l'identità eritrea si è mescolata al futuro del Panafricanismo.
di Filippo Bovo 22 Aprile 2022 E’ stata davvero un’esperienza di grandissimo impatto quella della 16esima Conferenza Europea del YPFDJ (Young People’s Front per Democracy and Justice, area giovanile del Fronte Popolare Eritreo per la Democrazia e la Giustizia), che ha visto a Roma dal 14 al 18 aprile scorsi riunirsi moltissimi giovani eritrei provenienti non soltanto da tutta Italia ma anche dal resto d’Europa, così come dal Nord America, da altre parti del mondo e dal paese dove il PFDJ è forza di governo ed erede di quel Fronte Popolare di Liberazione Eritreo (FPLE) che gli diede la libertà, l’Eritrea. Indubbiamente, dopo che i problemi legati al Covid per lungo tempo avevano impedito assembramenti e spostamenti, ripartire con un evento dal vivo poteva anche sembrare una scommessa, a dir poco qualcosa di temerario. L’organizzazione aveva voluto così puntare su numeri “prudenti” proprio per darsi un nuovo “rodaggio”, senza quindi troppo esagerare. Eppure, il numero di presenti è stato assai maggiore rispetto al previsto; non solo, ma tra di loro vi erano anche tantissime persone che da tempo non si rivedevano più, al fianco di altre che invece da sempre sono state delle gradite e puntuali costanti, oltre a tantissime altre di nuove, soprattutto ragazzi formatisi nel frattempo e pertanto oggi pronti e maturi per questa loro nuova avventura. Che dire? Già questo, appare come una ripartenza assai promettente, connotata da messaggi davvero molto incoraggianti per il futuro del Movimento, del Paese e della Comunità. Certamente, vi erano dei buoni motivi a spiegare questo ritorno così forte e beneaugurante. Gli scorsi mesi ci hanno consegnato un quadro della realtà non soltanto relativa al Corno d’Africa ma persino dell’intero Continente Africano certamente densa di prove, ma anche di capacità di reagire e soprattutto di vincere. I nuovi tentativi condotti nella regione etiopica del Tigray dal TPLF (Tigray People’s Liberation Front, il partito che ha guidato l’Etiopia dal 1991 al 2018, portandola alla dura e sanguinosa guerra contro l’Eritrea del 1998-2000, all’invasione della Somalia nel 2006 e a nuovi e vari scontri successivi anche con altri paesi limitrofi come il Sudan, per poi rivoltarsi nel 2020 e nel 2021 contro il governo centrale etiopico nel tentativo di rovesciarlo e di compromettere il processo di pace ed integrazione nel Corno d’Africa) si sono infatti infranti non soltanto con la reazione risoluta, coordinata e vittoriosa dei governi etiopico ed eritreo, ma anche del resto dell’Africa e di molti altri importanti paesi al mondo, dalla Cina alla Russia, che senza esitare hanno sposato la causa di Addis Abeba e di Asmara. Anche istituzioni sovranazionali in precedenza piuttosto caute sulla questione come l’Unione Africana, così come numerosi paesi africani e mediorientali giudicati “insospettabili” dato il loro storico orientamento filo-occidentale, in quella circostanza non hanno avuto alcun dubbio su cosa fare. L’Eritrea, che da trent’anni, fin dal suo primo giorno d’indipendenza, portava avanti una linea di pace ed integrazione auspicandola per tutta la Regione e il Continente, è uscita da quei giorni con un riconoscimento ed un prestigio immensi, ponendosi a nuovo paese di riferimento nella regione del Corno d’Africa così come agli occhi degli altri popoli e governi africani. Sono un riconoscimento ed un prestigio che le derivano anche dal trentennale e pervicace lavoro per salvaguardare l’autonomia e la sovranità nazionali senza mai ledere quelle altrui, così come per conseguire l’autosufficienza economica ed alimentare, e dare a tutti i suoi figli copertura scolastica e sanitaria: un esempio preziosissimo per molte nazioni africane e non solo. Ecco perché, dopo trent’anni di così duro e coerente lavoro, giungono oggi tutti questi preziosi riconoscimenti che pongono Asmara come nuovo paese guida nell’ambito del Panafricanismo, dell’Internazionalismo, dell’Anticolonialismo e dell’Antimperialismo. Non è dunque un caso che di tutte queste cose nella conferenza se ne sia trattato, respirandole con grande orgoglio. Vi era anche una bellissima galleria fotografica, curata da un bravo artista eritreo, che trattava proprio la storia del Continente Africano dalle più lontane origini della civiltà umana ai giorni odierni, comprendendo nei suoi vari passaggi anche i drammi del colonialismo e del neocolonialismo così come le lotte panafricaniste di grandi uomini come il ghanese Knrumah, il tanzaniano Nyerere, il congolese Lumumba e il burkinabe Sankara: solo alcuni dei tantissimi che si potrebbero ricordare, perché la storia africana è piena di questi grandi uomini così come di grandi donne. Ognuna delle immagini, in alto a destra, presentava l’hashtag #NoMore, divenuto celebre proprio nei giorni dell’ultima crisi provocata nel Tigray dal TPLF: quello slogan, nato fra i giovani etiopici ed eritrei in America ed Europa, ha ben presto dilagato trascinando dietro di sé un immenso movimento d’opinione che ha messo a nudo anche le ipocrisie del mondo politico e mediatico occidentale, e ha senza dubbio dato un grande contributo al cambiamento che oggi vediamo sotto i nostri occhi. Importantissimi i vari seminari tenutisi nel corso di questa sostanziosa e gioiosa “quattro giorni”, con la partecipazione del ministro eritreo Yemane Ghebreab, a capo dell’ufficio per gli Affari Politici e Consigliere Presidenziale, della scienziata e panafricanista Rahel Weldeab, esperta anche di questioni relative all’emancipazione femminile, dell’alto diplomatico Biniam Berhe, a capo della missione eritrea nell’Unione Africana, del professore Mohammed Hassan, analista e scrittore, di Simone Tesfamariam, coniatore del movimento #NoMore, del giornalista americano Eugene Puryear, esperto nella lotta alla propaganda e alla disinformazione a fini imperialisti e neocolonialisti, così come numerosi altri, intervenuti in presenza o in videoconferenza. In generale erano davvero molte le persone presenti e salite sul palco, a testimoniare l’onore che rendono alla loro bandiera nel mondo. Non mancava neppure Abraham Zerai, archeologo dedito alla riscoperta delle preziose testimonianze storiche, artistiche e culturali eritree ad Adulis, a riprova che coltivare e riscoprire la propria storia significa anche tutelare e rafforzare la propria identità: dopotutto, è proprio ciò che ci rende più sicuri di noi stessi in un mondo “villaggio globale”, dove l’aspirazione di tutti dev’essere quella di vivere in un clima di reciproco rispetto, a formare una grande “casa comune” in cui tutti abbiamo qualcosa da insegnare così come da imparare. E poi, se ci pensiamo bene, l’integrazione regionale nel Corno d’Africa è partita anche con questo intento, e non è un caso che oggi sia un esempio tanto per il Panafricanismo quanto per l’Internazionalismo in un senso ancora più ampio. da l'Opinione Pubblica |
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Giugno 2022
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