Nella sua pubblicazione del 21 dicembre (n. 1488), questo mese, l'Indian Ocean Newsletter afferma che "i Presidenti di Etiopia ed Eritrea (sic") hanno indicato al loro omologo somalo ... la loro volontà di subentrare all'AMISOM quando partirà nel 2021 ... L'Eritrea ha in programma di inviare 5.000 soldati in Somalia non appena i primi contingenti AMISOM partiranno a febbraio ".
Questo è palesemente falso. Inoltre, questa non è la prima volta che lo ION elabora "analisi di notizie" false e non comprovate di eventi e tendenze nella nostra regione. In effetti, questo è diventato quasi il suo marchio di fabbrica. La propensione di ION a diffondere informazioni false non ha alcuno scopo e può solo corrodere la sua reputazione. Nel caso, chiediamo allo ION di rispettare i suoi lettori e desistere dal diffondere notizie false. Ministero dell'Informazione Asmara 26 dicembre 2018
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ነውራም ጭፍራ ወያነ - Desperate Lies & Deception of a Dying TPLF Clique Against the Eritrea-Ethiopia Peace22/12/2018 21 dic 2018 - di guido talarico
La stampa internazionale dovrebbe chiedere scusa all’Eritrea. Dovrebbe farlo perché per decenni è stata lo strumento di un’attività propagandistica negativa voluta dagli Stati Uniti (e assecondata dall’Europa) al solo fine di far contento l’alleato etiope. Una propaganda con finalità egemoniche fallita soltanto per le doti di resistenza del popolo eritreo. Con un utilizzo distorto dei mezzi d’informazione negli anni si è infatti arrivati ad isolare l’Eritrea, dipinta come uno stato canaglia, e di conseguenza a farle comminare sanzioni dalla Commissione internazionale per i diritti umani. Un’attività sistematica di denigrazione del paese sommata all’azione militare degli etiopi al confine. Un’aggressione a tenaglia: da un lato vent’anni di guerra di confine combattuta in dispregio di tutti gli accordi internazionali di pace sottoscritti da Asmara e Addis Abeba, dall’altro la propaganda e le conseguenti sanzioni che hanno portato ad un isolamento totale dell’Eritrea e ad un suon progressivo impoverimento. La storia ora ha rimesso le cose al loro posto. L’accordo di pace sottoscritto la scorsa primavera dal giovane e illuminato neopresidente etiope, Ahmed Abiy, e dallo storico Presidente dell’Eritrea, il padre della nazione Isaias Afewerki, ha oggi restituito libertà ed onore all’Eritrea pacificando, cosa di non poco conto, l’intero Corno d’Africa. Si potrebbe concludere che tutto è bene quel che finisce bene, se non fosse appunto che sono mancate le scuse proprio di chi è stato strumento di questo crimine che ha portato sofferenza a milioni di persone. Quando io sono andato per la prima volta ad Asmara, quasi tre anni fa, ho preso tutte le precauzioni tipiche dell’inviato di guerra. E l’ho fatto perché quello che avevo letto sulla stampa internazionale mi induceva alla cautela. Quando sono arrivato ad Asmara invece ho scoperto appunto che era tutta una montatura, una narrazione costruita e sedimentata nel tempo al solo fine di destabilizzare l’Eritrea. Avevo letto di un paese dittatoriale, senza libertà di stampa e oppresso mentre io, al contrario, avevo girato il paese in piena libertà, fermandomi dove avevo voluto e parlando con chiunque avessi desiderato. C’era voluto poco per capire come stavano le cose. Al ritorno in Europa, dopo qualche mese sono andato a Ginevra dove la Commissione dei diritti umani doveva discutere il rinnovo delle sanzioni o meno. Ho anche preso la parola per portare la mia testimonianza, per dire che avevo girato indisturbato per l’Eritrea e che avevo scritto ciò che più avevo voluto. Tutto inutile. La sentenza era già scritta, per ordini ed interessi superiori. Avendo trent’anni di mestiere e qualche viaggio sulle spalle, non mi sono scandalizzato nell’aver constatato di persona l’esistenza di una messa in scena, la costruzione meticolosa di una narrativa denigratoria nei confronti di Asmara. La propaganda è uno strumento bellico in uso dalla notte dei tempi, figuriamoci se gli Stati Uniti, come tutti gli altri grandi player globali, non ne facciano uso nel XXI secolo. Certo mi sono dispiaciuto nel costatare che lo strumento fosse proprio il mio mondo, il giornalismo, l’editoria. Ma so anche bene che oggi sono pochissimi i giornalisti che hanno la forza, la fortuna, il coraggio di poter viaggiare, di andare nei posti e constatare i fatti con i propri occhi senza bersi la storiella preconfezionata dal potente di turno. L’impossibilità di viaggiare del resto è un altro triste derivato della crisi che attanaglia questo settore. Ed è anche la ragione perché questo articolo lo sto scrivendo ora e non due anni fa. In quel momento consideravo un’attenuante il fatto che molti giornali credessero in buona fede alla narrativa ufficiale. Non mi piaceva, anzi era un atteggiamento comunque biasimevole, ma era comprensibile che una parte della stampa internazionale fosse in buona fede e non potendo andare a verificare prendesse per buona la ricostruzione colpevolista. Ma questo era prima della pace. Oggi tutti sanno come sono andate le cose. Riprova evidente è che le sanzioni sono state abrogate e che l’Eritrea è ora lei stessa paese membro della commissione per i diritti umani. E allora oggi è il momento delle scuse, oggi un giornalismo onesto, rispettoso della propria funzione dovrebbe fare ammenda per essere stato lo strumento della propaganda di una parte a danno di un intero popolo. E invece no. Non lo hanno fatto le istituzioni, non lo fanno i giornali. Continuo a leggere ricostruzioni figlie della vecchia narrativa senza che alcuno senta il dovere di fare un distinguo, di dare un contributo per la ricostruzione della verità. Si va avanti con quella tipica ipocrisia neo colonialista che alligna in tutti i grandi paesi occidentali e che porta ancora in queste ore a dire che in Eritrea non c’è democrazia come scusa per non andare avanti, per non ammettere falsità ed errori commessi. Come se ce ne importasse qualcosa a noi occidentali della democrazia. In un mondo dominato dalle regole di mercato a tutti interessa soltanto di fare buoni affari. E se dobbiamo farli con campioni della democrazia riconosciuti come la Cina, la Russia, l’Arabia Saudita o la Turchia non stiamo a guardare il capello dei diritti umani, delle libertà di stampa o della condizione femminile. Mentre se invece di fronte abbiamo l’Eritrea allora tutti a fare i duri e puri. Chiedere scusa significa ammettere il proprio errore e l’esistenza di un grande problema globale che è l’indebolimento del sistema dell’informazione come garante dei diritti dei cittadini. Chiedere scusa significa recuperare un po’ di dignità e dare speranza a chi ritiene che nell’era delle fakenews la risposta possa arrivare soltanto da un giornalismo serio e documentato. da buongiorno news 19 Dic 2018 by Asmait Futsumbrhan
"Il presidente Mohamed Abdullahi Mohamed ha detto: "Gli accordi presi dai tre paesi contribuiranno sicuramente ad avvicinare questi paesi e altri paesi della regione" La scorsa settimana, il 13 dicembre, il presidente eritreo Isaias Afwerki ha fatto una visita storica in Somalia, dove ha incontrato e tenuto colloqui con il presidente somalo Mohamed Abdullahi Mohamed. La visita del presidente Isaias in Somalia è stata la continuazione dei recenti vertici tripartiti consultivi dei capi di stato e di governo dell'Eritrea, dell'Etiopia e della Somalia. All'inizio di quest'anno, a luglio, il presidente Mohamed è venuto qui ad Asmara, dove ha incontrato il presidente Isaias e ha raggiunto un accordo per stabilire relazioni diplomatiche, scambiare ambasciatori e promuovere scambi bilaterali. Sebbene la regione del Corno d'Africa sia stata storicamente afflitta da conflitti e tensioni, il 2018 è stato certamente un anno di straordinari sviluppi verso la pace e la cooperazione. I nemici di prima sono diventati amici intimi e partner. La visita del presidente Isaias in Somalia dovrebbe infine contribuire a rafforzare le relazioni diplomatiche tra i due paesi. In particolare, durante la visita, i due leader hanno tenuto una serie di discussioni sull'espansione della cooperazione in materia di sicurezza e investimenti, nonché su altre questioni di reciproco interesse. Oggi Eritrea Profile è entusiasta di presentare un'intervista esclusiva condotta dal giornalista dell'Eri-Tv Issak Mehari con Mohamed Abdullahi Mohamed, Presidente della Somalia. -Grazie per il suo tempo, Eccellenza, Presidente Mohommed Abdullahi. In questo momento, il popolo della Somalia ha urgenza di un futuro molto più luminoso. Potrebbe condividere i suoi pensieri su questo argomento? Grazie per essere qui. È un grande onore per me dare il benvenuto a mio fratello, Isaias Afwerki, nella sua seconda casa, a Mogadiscio, in Somalia. La Somalia è stata in tumulto e distruzione per quasi 30 anni. Siamo in carica da quasi due anni - 18 mesi per la precisione. Abbiamo compiuto progressi in molti settori, compresa la sicurezza. Come sapete, stiamo combattendo contro l'estremismo - Al-Shabab, che è affiliato ad Al-Qaida. Ciò che abbiamo fatto è riorganizzare il nostro esercito nazionale e il nostro apparato di sicurezza, oltre a fornire un'adeguata formazione e attrezzature per combattere efficacemente contro Al-Shabab. Di conseguenza, negli ultimi 3 mesi, abbiamo rilevato una città chiamata Merka, precedentemente controllata da Al-Shabab. Stiamo anche pianificando di rimuovere tutti i resti di Al-Shabab nel basso Shabele e nel Medio Shabele nei prossimi mesi, Insha'Allah. PENSANDO DI TROVARE UNA POSSIBILE RISPOSTA.... Pensando di trovare da qualcuno una possibile risposta o meglio spiegazioni in merito, scrivo su questo sito per esporre le mie difficoltà che come eritreo incontro nel poter rispondere ad alcune domande che mi pongono amici italiani (e non solo) che hanno a cuore l’Eritrea e il suo popolo. Risposte alle domande che mi sono poste qualche settimana fa’ sull’avvenimento pubblicizzato anche in questo sito, intitolato AFROITALIAN POWER promosso dalla On. Cecile Kyenge del PD a Modena e da qualche giorno domande sull’articolo del giornale AVVENIRE, scritto dal cosiddetto giornalista di nome Sig. Paolo Lambruschi. Tutti che hanno a cuore l’Eritrea sanno che in questi scorsi 5-6 anni, in particolare in Italia non è mai passato un giorno che qualcuno non abbia parlato male dell’Eritrea, chiamandola “ Nord Corea dell’Africa ”, e del nostro carismatico Presidente, chiamandolo “ dittatore ”. Fra queste persone che in modo continuo denigravano l’Eritrea in prima linea c’era e c’è ancora il direttore dell’Avvenire e il giornalista sopra citato sempre dello stesso giornale. Sembra strano, ma il denigrare l’Eritrea e il suo Presidente in questo giornale della chiesa sembrava come se fosse una pubblicità a pagamento da inserire ogni giorno in prima pagina di Avvenire. Penso di non sbagliarmi nel dire che più passa il tempo più vengo a conoscenza varie cose, che mi convincono che era ed è una pubblicità a pagamento. Potrei intuire chi pagava questa pubblicità, ma non ho elementi per giustificare quanto detto. Allo stesso modo molti politici della sinistra e in particolare del PD milanese ( Civati, Quartapelle, Fiano ecc. ) in collaborazione con il falso prete, personaggio cosiddetto della chiesa, ma come si sa’ era uno uscito dalla prigione di Rebibbia di Roma dopo 2 anni di reclusione per spaccio di 2 kg di droga, nonché ultimamente indagato dalla procura di Trapani per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, avevano il compito di sponsorizzare politicamente qualsiasi argomento che aveva come tema la denigrazione dell’Eritrea e del suo carismatico Presidente. Fra questi suddetti politici c’è anche l’Onorevole ex ministra dell’integrazione che essendo anche cittadina straniera, anziché essere la portavoce della vera comunità degli stranieri in Italia e della loro integrazione nel tessuto del paese ospitante cioè l’Italia, risultò essere un personaggio politico di facciata. Per pura informazione, nel caso dell’Eritrea l’Onorevole ex ministra del governo Letta, prima di essere eletta nel parlamento europeo sembrava essere la persona giusta nell’ essere colei che parla sentendo e accertando le varie voci delle comunità degli immigrati in Italia che sono i veri conoscitori sia della situazione dei loro paesi, sia dei nuovi ( e non ) immigrati che provengono dai paesi di origine, sia di coloro che lucrano sulla pelle dei propri compaesani ecc. ecc. Centro di informazione Serawr 19 dicembre 2018
Dopo essere stati travolti dai massicci cambiamenti che seguirono la fine dei ventisette anni del regime TPLF in Etiopia, i sostenitori del "cambio di regime" in Eritrea si sono ritrovati a Bruxelles, in Belgio, per riunirsi e fare pressione sull'Unione Europea "per porre fine al sostegno" al governo eritreo. L'EastAfrican online ha pubblicato un rapporto basato sulla dichiarazione rilasciata dai delegati in seguito alla conferenza tenuta dal 12 al 14 dicembre 2018. Secondo il rapporto "Un importante difensore dei diritti umani e premio Nobel per l'Eritrea, Mussie Zerai, ha chiesto all'UE di smettere di fornire sostegno politico e finanziamenti ai regimi dell'Africa settentrionale e orientale, che erano in collusione con i trafficanti di esseri umani". L'ironia è proprio l'uomo, il signor Mussie Zerai, che sta accusando il governo eritreo di "collusione con i trafficanti di esseri umani" è stato sotto inchiesta dalla procura italiana "per accuse di favoreggiamento dell'immigrazione illegale" secondo il rapporto della BBC pubblicato lo scorso anno. Inoltre, lo scorso settembre un giornale italiano di nome Laverita pubblicò la notizia che prima che Mussie Zerai, diventasse prete della Chiesa cattolica, era stato accusato e condannato a due anni di carcere e condannato a pagare due milioni di lire per aver venduto 2,2 chili di droga nel 1994. Il giornale ha fornito i dettagli del suo fascicolo al numero 6939 del 1994 presso l'ufficio del tribunale investigativo 7307/94. Ritornando alla questione principale, il vento positivo del cambiamento che soffia nel Corno d'Africa, ha reso inutili questi gruppi. Il tempo del raccolto eccezionale di quando questi gruppi hanno ricevuto fondi e sostegno dai governi che perseguivano il cambio di regime in Eritrea, è finito. Le potenze mondiali competono per i propri vantaggi economici e geopolitici nella regione. Le potenze occidentali che non molto tempo fa demonizzarono l'Eritrea come un paese che destabilizzava la regione, ora riconoscono il ruolo chiave che l'Eritrea può svolgere nella stabilizzazione e nello sviluppo economico della regione. Questi gruppi sanno bene che l'Eritrea non cerca carità o sostegno politico dall'UE o da qualsiasi organismo mondiale. Ciò che l'Eritrea cerca è l'associazione e la cooperazione per il beneficio reciproco. L'Eritrea è un paese con una piccola popolazione e una storia unica, che è stata condannata a morte dalle più potenti entità del mondo. Nessun tentativo fu tralasciato per provocare il collasso del paese. In effetti, l'Eritrea sarebbe stata cancellata come paese e sarebbe inevitabilmente collassato da questi gruppi e dai loro sostenitori. Le enormi sfide, incluse le invasioni militari, le sanzioni, le pressioni politiche ed economiche, hanno colpito molto il popolo eritreo. La brutta guerra che è stata condotta sull'Eritrea ha richiesto una regola d'ingaggio adatta alla sfida. L'Eritrea è uscita dai tempi difficili che mettono in discussione la sua stessa esistenza come nazione formidabile e con i suoi principi intatti. Con la pace emergente, l'Eritrea sarà in grado di riorientare i suoi sforzi e le sue risorse per migliorare la posizione di vita della sua popolazione e costruire un sistema politico ed economico solido e vitale. Qui, sia chiaro a questi gruppi il cui tempo non ha superato il riposizionamento o la falsa narrazione che ora portano, o le conferenze che organizzano, potrebbero tornare indietro nel tempo. Tuttavia, per gli amici ben intenzionati, state certi che l'Eritrea costruirà un sistema forte e organizzato che proteggerà i diritti della sua gente, in grado di resistere e adattarsi alle future sfide nazionali, regionali e globali. 19 dic 2018 Serawr Gli eredi del “compromesso storico” continuano a colpire l’Eritrea, ma per loro ormai è “Game Over”19/12/2018 da L'Opinione pubblica - Di fronte al dissolversi del loro "business dell'accoglienza", gli eredi del "compromesso storico" ormai nel panico se le inventano tutte, disperdendosi fra chi continua ad attaccare malgrado tutto e nonostante tutto l'Eritrea ed il processo di pace e d'integrazione nel Corno d'Africa e chi, invece, cerca d'arruffianarsi con Asmara, che solo fino a poche settimane fa attaccava e demonizzava.
di Filippo Bovo 18 Dic 2018 - Gli Anni Settanta videro sorgere, in Italia, il “compromesso storico” fra mondo cattolico e mondo comunista, fra Chiesa e PCI. Si trattava, in fondo, del riconoscimento della fusione tra due realtà già da prima profondamente interconnesse: tutte le famiglie italiane che, in quel momento si definivano comuniste e che per questo motivo erano state persino “scomunicate” da Papa Pacelli, in passato erano sicuramente state cattoliche, e al loro interno i vecchi che continuavano a credere in Dio e ad andare a messa c’erano ancora. Togliatti, consapevole di ciò, già ben prima dell’avvento di Berlinguer, quando nemmeno avrebbe potuto immaginare che questi sarebbe stato un suo erede alla segreteria del PCI, lo riconosceva e sosteneva che assumere posizioni troppo anti-cattoliche avrebbe semplicemente significato attirarsi le antipatie del grosso della popolazione italiana. Fin qui, nulla di male. Anche quando Berlinguer, per cercare d’uscire dall’impasse di un PCI confinato nella “conventio ad excludendum”, ovvero obbligato per le logiche di Jalta a stare esclusivamente all’opposizione, propose il “compromesso storico”, si limitò più che altro ad onorare la storia dell’Italia fatta da più di ottomila comuni, dove la tradizione cattolica e l’ideologia marxista dovevano in qualche modo convivere anche all’interno della stessa cerchia familiare, e a maggior ragione dello stesso paese o della stessa città. Proponendo alla DC una nuova formula di governo o quantomeno di collaborazione, non poteva certo immaginare quali frutti sarebbero nati di lì a poco, quando ancora era in vita e a maggior ragione dopo la sua morte prematura, dagli Anni Ottanta in avanti. I frutti nati poco dopo, e comunemente noti come “cattocomunismo”, li abbiamo oggi ben presenti. Per carità; sappiamo benissimo che quel termine indica un’ideologia ibrida che, non soltanto in Italia, esisteva da ben prima del “berlinguerismo”. Ma oggi tale termine indica proprio la commistione, ampiamente in odor di “consociativismo” (parola, quest’ultima, molto di moda ai tempi della Prima Repubblica ma ai giorni nostri, chissà come mai, passata in desuetudine), fra ambienti non soltanto politici ma soprattutto economici ed affaristici del mondo cattolico ed ecclesiastico da una parte e di quello ex o post-comunista e cooperativistico dall’altra. Da una parte le coop rosse, dall’altra quelle bianche; da una parte l’Arci, dall’altra l’Acli; da una parte il PD e i piccoli partiti “fratelli” come LeU, dall’altra la CEI, la Conferenza Episcopale Italiana, e così via. S’è creata, insomma, una vera e propria joint-venture, per usare una definizione tipicamente aziendale, peraltro anche molto fruttuosa in termini di guadagni. |
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