Tanti anni fa di ritorno dall’Eritrea deluso e amareggiato per la diffusa ignoranza con la quale veniva raccontata la realtà eritrea decisi di dedicare a questo aspro e meraviglioso paese un sito web attraverso il quale proporre spunti di riflessione documentati destinati a un pubblico di italiani e di eritrei continuamente bombardato da campagne denigratorie aventi lo scopo di demonizzare il presidente Isaias e isolare il paese.
Non esistevano ancora i social network e le informazioni venivano diffuse attraverso la stampa, la televisione o i siti web. L’Eritrea nel periodo successivo alla liberazione avvenuta nel 1991era diventata il simbolo della speranza per tutta l’Africa, ma dopo pochi anni aveva di nuovo subito un attacco militare da parte etiopica che aveva causato migliaia di morti e una disastrosa guerra conclusasi con i Patti di Algeri nel dicembre del 2000. In quei tragici giorni nel corso dei quali si prendevano le decisioni importanti per la soluzione del conflitto si verificò un tentativo di colpo di stato ad opera di un gruppo ex combattenti che rivestivano importanti incarichi governativi, che portò all’arresto dei responsabili e a un riassetto governativo. Forze esterne all’Eritrea avevano tentato di sfruttare il momento di crisi per legittimare un governo che si adattasse più facilmente alle proposte indirizzate a favorire gli interessi dell’Etiopia, promettendo la pace incondizionata in cambio della cessione di territori quali Badme, Zalambessa e soprattutto Assab. Fallito il tentativo della guerra aperta sul campo, fallito il tentativo della corruzione interna del paese, la strada successivamente intrapresa da parte dei paesi egemoni per delegittimare il governo eritreo e il suo legittimo presidente Isaias, fu la guerra mediatica su tutti fronti. Ecco quindi che l’Eritrea nonostante il verdetto definitivo e immodificabile della Commissione Confini che le dava ragione divenne il nemico pubblico numero uno. In Italia una vasta pletora di pennivendoli, giornalai, preti, politici, opinionisti, sedicenti esperti di cose africane, ma soprattutto ex amici dell’Eritrea delusi dal nuovo corso governativo ed esclusi dai vantaggi che si aspettavano dall’aver lungamente sostenuto la compagine governativa soccombente, iniziarono la loro furiosa attività di demonizzazione. In quel contesto la voce di Eritrea Eritrea si fece sentire per contrastare puntualmente ogni falsità che veniva propalata in ogni possibile occasione, contestando ogni attacco negativo con argomentazioni che il lettore poteva approfondire autonomamente. Eritrea Eritrea non faceva della mera propaganda politica, ma in maniera più costruttiva proponeva un’informazione basata esclusivamente sulla valutazione oggettiva dei fatti concreti e verificabili con l’obiettivo di far capire a tutti quanto l’Eritrea fosse in realtà solo la vittima di una forma gravissima di ingiustizia collettiva che stava premiando gli aguzzini. La posizione dell’Eritrea è sempre stata tanto semplice quanto chiara: “I popoli di Etiopia ed Eritrea sono fratelli e insieme vittime di una minoranza governativa non rappresentativa e illegittima. Il giorno in cui l’Etiopia si sottrarrà all’influenza negativa dei Waiane per i due paesi tornerà la pace e la prosperità”. “Il giorno in cui l’Etiopia annuncerà di voler rispettare i Patti di Algeri l’Eritrea risponderà con l’immediato avvio di accordi di normalizzazione fra i due paesi”. Quel giorno è finalmente arrivato. Allontanati i Waiane abbiamo tutti potuto constatare a quanto profetiche fossero le parole del presidente Isaias e assistere all’immediato avvio di quella fase di pace e profonda collaborazione fra i due popoli che tutti aspettavano da tempo. I nemici dell’Eritrea sopraffatti da tanta energia positiva che ha anche sbugiardato e ridicolizzato tutte le loro teorie disfattiste avanzate per anni, sono scomparsi sciolti come neve al sole. Eritrea Eritrea ha concluso la sua missione e si ferma qui. Lascio come ultima immagine la bellissima “Farfalla della Pace” opera dell’artista eritreo Tesfalem Atenaw. Stefano Pettini
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di Daniel Wedi Korbaria
Quando si dice la faziosità di un giornalista… “Dopo vent’anni tra Etiopia ed Eritrea scoppia la pace” scrive il cristianissimo l’Avvenire e dai suoi soliti toni accusatori si capisce che ha digerito malissimo il fatto che finalmente i due paesi africani abbiano deciso di fare la pace. Invece di gioire per la splendida notizia di pace e fratellanza, così come avrebbe fatto lo stesso Gesù Cristo, uno stizzito Paolo Lambruschi sceglie col suo articoletto di voler continuare a guerreggiare contro l’Eritrea. Vorrei dirgli: “La guerra è finita anche per te Paolo! Oramai i tuoi scritti non servono più a nessuno, nemmeno alla propaganda del TPLF al potere in Etiopia. Game over come ha detto loro il Presidente eritreo Isayas Afewerki o se preferisci le parole del Ministro Salvini La pacchia è finita anche per te. Finora sei campato e bene raccontando le disgrazie degli eritrei, come un vampiro hai succhiato il sangue agli immigrati sfruttando le loro tragedie nel deserto e in mare. Adesso però basta, cambia mestiere!”. Eh sì, questa ventennale situazione di né pace né guerra tra Etiopia ed Eritrea è stata una manna dal cielo per lui, per l’Avvenire e per tanti altri giornalisti-mercenari che hanno scritto centinaia di articoli falsi e ripetitivi, un copia e incolla a vicenda sulle orme di Goebbels, per bullizzare vigliaccamente, come fa il branco, il paese più piccolo dei due: l’Eritrea. Nel 2014 avevo scritto una lettera al Direttore dell’Avvenire Marco Tarquinio per chiedergli di smetterla con la propaganda anti eritrea (se digitate sul loro sito la parola Eritrea vi renderete conto della loro fissazione) ma lui non si è mai degnato di rispondermi. Per anni l’Avvenire ha preferito schierarsi con il gigante Golia attaccando, quasi quotidianamente, la piccola Eritrea già vittima di una campagna occidentale di demonizzazione, derisa e sbeffeggiata perché osava chiedere un po’ di giustizia. Non solo perché il gigante e bruto Golia occupava illegalmente e militarmente i suoi territori sovrani riconosciutigli come tali nel 2002 da una Commissione delle Nazioni Unite (EEBC) e non come riportato dallo stesso Avvenire per sminuirne l’entità: “Un triangolo di sabbia attorno a Bademme”. Non si tratta a quanto pare solo di un triangolo di sabbia se in due anni sono morte oltre 100.000 persone da ambo le parti, ma soprattutto perché il TPLF aveva poi trasformato quei territori occupati in campi di accoglienza con l’idea di svuotare l’Eritrea di quei giovani rimasti a difenderla attraendoli con visti facili per gli Usa. Il TPLF ha facilitato chi scappava accompagnandolo fino al confine con il Sudan per raggiungere a piedi l’Europa attraverso il deserto ed il mare grazie anche al traghettamento satellitare di Don Mussie Zeray, amico dello stesso Lambruschi. E poiché l’allora Ministro dell’Interno italiano Roberto Maroni aveva chiuso il mar Mediterraneo e impedito gli sbarchi, assieme alla Dottoressa Alganesh, proprietaria della ONG Ghandi, il Lambruschi si era prodigato a propagandare in Italia le condizioni dei migranti eritrei ed etiopici imprigionati nel Sinai. Un impegno che a lui valse il Premiolino, ad Alganesh l’Ambrogino e al Don (di recente indagato dalla Procura di Trapani per favoreggiamento del traffico di esseri umani) addirittura la candidatura al Premio Nobel! I preparativi per ricevere la delegazione etiopica in Asmara stanno procedendo a ritmo serrato e in ogni angolo della capitale si possono vedere bandiere eritree e bandiere etiopiche sventolare insieme.
Voci non ancora confermate sostengono che l'arrivo del Primo Ministro Abiy Ahmed è previsto per domattina alle ore sette. In questi giorni caratterizzati dai mondiali di calcio in Russia e dalle altalenanti dichiarazioni di Salvini e Di Maio, è passato quasi sotto silenzio un evento di portata storica che ha visto una delegazione eritrea di alto livello recarsi in Etiopia accolta con tutti gli onori.
Fra gli addetti ai lavori in molti si sono chiesti cosa mai fosse successo perché avvenisse un cambiamento così radicale nell’atteggiamento del governo eritreo da sempre ben fermo sulle sue posizioni di rispetto della legalità internazionale come condizione preliminare per un qualunque altro tipo di dialogo con il governo etiopico che da parte sua aveva fatto della mancata accettazione dei Patti di Algeri un punto fermo irrinunciabile. Per capire meglio come si sia giunti alla attuale situazione di distensione occorre sottolineare quali sono le sostanziali differenze nella leadership dei due paesi molto diversi fra di loro sia per estensione e caratteristiche territoriali che per composizione sociale. L’Eritrea molto più piccola territorialmente ha sviluppato nei lunghi anni di lotta per la liberazione e l’indipendenza un modello sociale basato sull’uguaglianza religiosa, etnica e di genere dove il bene comune viene anteposto agli interessi individuali, pur non avendo avuto ancora le condizioni adatte a sviluppare fino in fondo il programma elaborato negli anni di guerra e codificato nella National Charter. Nell’emergenza causata dal nuovo attacco da parte etiopica subito negli anni fra il 1998 e il 2000, la scelta del governo eritreo è stata quella austera di congelare le riforme e di dedicarsi con tutte le energie alla difesa del paese e allo stesso tempo di garantire la sicurezza alimentare attraverso programmi di sviluppo. L’Etiopia invece molto più grande territorialmente ed estremamente varia dal punto di vista sociale, etnico e religioso, in seguito alla fine della guerra che ha portato all’indipendenza dell’Eritrea, si è ritrovata a fare i conti con tutte le contraddizioni e le problematiche che avevano portato al crollo della dittatura di Menghistu. Mai del tutto libera dal suo passato feudale l’Etiopia in seguito alla fuga di Menghistu poté ritrovare una qualche forma di controllo centrale solo grazie alle forze di liberazione eritree che dopo aver liberato Addis Abeba con le proprie divisioni meccanizzate convinsero Melles Zenawe, leader del Fronte Popolare di Liberazione del Tigray, a formare un governo che riportasse alla normalità tutta l’Etiopia. Questa scelta però non sostenuta da una spontanea vocazione sociale all’uguaglianza, ricreò ben presto quelle fratture etniche e sociali che hanno sempre impedito all’Etiopia di emanciparsi e diventare un grande paese moderno. La leadership etiopica di fatto si è prestata a fare il lavoro sporco al servizio dei poteri forti esterni all’Africa, tenendo allo stesso tempo il paese ostaggio di una pseudo-democrazia di comodo rappresentata da una coalizione di maggioranza assoluta controllata dai Waiane che per anni ha prodotto danni enormi. I rapporti con l’Eritrea hanno rappresentato uno dei casi più eclatanti fino al clamoroso rifiuto di ottemperare alle decisione della Commissione Confini e all’accanimento contro il governo del paese solo per partito preso e in tutte le sedi internazionali. Tuttavia alla lunga si è avuta la percezione che anche all’interno dell’Etiopia qualcosa stava cambiando. Il potere Waiane stava vacillando sotto il peso dei tanti errori politici sia in campo di rapporti internazionali che, soprattutto, nelle scelte di politica interna. Le persecuzioni, la soppressione delle sempre maggiori voci della dissidenza, la sottovalutazione del crescente fenomeno di emancipazione dell’Oromia, ha portato a sempre crescenti disordini interni e poi alla dichiarazione dello stato di emergenza. Costretta per necessita a un riassetto politico che scaricasse le troppe tensioni interne, la coalizione ha prima accettato le dimissioni del primo ministro Hailemariam Desalegne succeduto al defunto Melles Zenawe e poi il 2 aprile scorso ha eletto come primo ministro dell’Etiopia Abiy Ahmed appartenente al gruppo etnico Oromo all’origine di un movimento anti-governativo di protesta senza precedenti, dopo la presa del potere da parte del regime, nel 1991. Abiy, che aveva rivestito vari incarichi governativi, nel corso dello stesso discorso di insediamento davanti al parlamento etiopico ha immediatamente tracciato le linee del suo programma politico orientato al cambiamento e alla distensione, e facendo riferimento all’Eritrea ha commentato: “Per il bene comune dei nostri due paesi, non solo per il nostro beneficio, ma per quello delle due nazioni legate dal sangue, siamo pronti a risolvere le nostre differenze attraverso il dialogo e invitiamo il governo eritreo a mostrare gli stessi sentimenti”. Alla firma degli accordi di Algeri, nel 2000, Addis Abeba e Asmara si erano impegnate a rispettare qualsiasi decisione della Commissione come “finale e vincolante”, ma l’Etiopia era venuta meno a tale impegno con il grande rifiuto del defunto premier etiopico Meles Zenawi di riconoscere la decisione della Commissione. Asmara da parte sua aveva sempre sostenuto di essere pronta a riavviare il dialogo con Addis Abeba non appena quest’ultima avesse accettato senza condizioni quanto prescritto dalla Commissione Confini Etiopia Eritrea. Il 5 giugno è giunto dal governo di Addis Abeba il tanto atteso segnale della svolta con la decisione ufficiale di applicare appieno gli accordi di Algeri e di aderire al dispositivo della commissione per il confine creata per la demarcazione della frontiera con l’Eritrea, e come da sempre promesso da Asmara è arrivata l’immediata reazione con l'invio in Etiopia di una delegazione di alto livello a dimostrazione che si stava procedendo alla normalizzazione dei rapporti lasciandosi alle spalle i problemi oramai definitivamente risolti. La scelta dunque di recarsi in Addis Abeba va letta come una legittimazione da parte del Governo eritreo del nuovo interlocutore presso il Governo etiopico e un segnale forte di rispetto verso tutta la popolazione etiopica fino a oggi rappresentata illegittimamente da una componente fortemente minoritaria Waiane che ne ha soffocato le aspirazioni e le speranze. La visita della delegazione di alto livello inviata da Asmara ha suscitato grandi entusiasmi in Etiopia espressi da spontanee manifestazioni di piazza e dalla pronta reazione ai tentativi di reazione terroristica attuati dai seguaci Waiane. Il processo di normalizzazione dell’Etiopia è oramai avviato e appare inarrestabile, e probabilmente contagioso, in un’area geografica che dopo tanta sofferenza merita ora stabilità e progresso. Stefano Pettini Daniel Wedi Korbaria
A voi occidentali che chiedete di aprire i porti e non gli aeroporti chiedo: perché volete questo tipo di immigrazione via mare con migliaia di persone ammassate su barconi fatiscenti? Oggi la vicinanza delle Ong alle coste africane ha trasformato i barconi in gommoni scadenti sui quali si continua a morire. E più disgraziati partiranno più saranno quelli che rischieranno di annegare. Almeno fateli arrivare in aereo con un visto regolare come sono venuto io. D’accordo, mettiamo il caso che il vostro buonismo trionfi e che si aprano i porti (e non gli aeroporti), allora vi chiedo: quanti africani volete far arrivare nella vostra “accogliente” Europa? Avrete anche voi un limite numerico a questo esodo, o no? Quanti arrivi di immigrati il vostro buon cuore può accogliere? E a quale cifra vi fermerete? Ad 1 milione? 10 milioni o 100 milioni di immigrati? Oppure volete qui oltre un miliardo di popolazione africana? Io sono strasicuro che anche voi avete una soglia di sopportazione, sono sicuro che ad un certo punto anche voi direte: basta! Ma poi che ci dovete fare con tutti questi africani? Avete forse già preparato case dignitose da affittargli? Domicili più umani che non siano i soliti campi di accoglienza, Cas, Hub, Cara, Sprar, eccetera? Siete pronti ad affittargli la vostra casa con un contratto regolare? Poi dovrete anche farli lavorare a differenza dei vostri giovani che non trovando lavoro in Italia scelgono di emigrare. Ancora vi chiedo, che tipo di lavoro volete fargli fare? Un lavoro onesto e in regola, roba diversa dalla solita schiavitù nei campi agricoli del meridione? Ecco, vi sarei eternamente grato se voleste rispondere a queste mie domande. Diversamente non farete altro che confermarmi il dubbio atroce che mi assilla da anni e cioè che questa immigrazione è oramai diventata per voi una vera droga. Troppe persone ne fanno uso, c’è chi si augura addirittura la morte di un bambino per poter fare un regime change al neo “governo del cambiamento” italiano per sostituirlo con uno immigrazionista. C’è chi ha perso la lucidità mentale e dall’attico di un grattacielo d’oltreoceano parla come se avesse il potere straordinario di conoscere tutto quel che accade nel Mediterraneo. Gli sballati intellettuali onnipresenzialisti dei mainstream media volutamente sfruttano la parola magica “rifugiati” per agevolare gli amici degli amici che lucrano con l’accoglienza e giustificano il lavoro sporco delle navi negriere. Costoro devono sapere che non esistono “rifugiati africani” che scappano dai loro paesi ma solo persone in fuga dall’operato dell’Occidente e dal suo neocolonialismo. Voi stessi li state costringendo a scappare e aprire i porti non sarà certo la loro salvezza. #Parliamone. Daniel Wedi Korbaria, scrittore eritreo, ha pubblicato diversi articoli in italiano poi tradotti in inglese, francese, tedesco e norvegese. |
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Settembre 2024
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