Londra, 27 aprile 2024
(Risposta a Lord David Alton) Lord Alton sfoggia nuovamente il suo solito ed irresponsabile vetriolo contro l'Eritrea. Questa volta, usa un video clip fabbricato che accusa falsamente l'Eritrea di imporre una "falsa identità sull'identità indigena Irob" per lubrificare la sua implacabile caccia alle streghe contro l'Eritrea per far avanzare l'agenda e ammorbidire la sua cricca principale cliente. Quando il regime etiope guidato dal TPLF dichiarò guerra all'Eritrea nel maggio 1998 sulla base di una presunta disputa sui confini, la risposta dell'Eritrea fu misurata e inequivocabile. In un discorso alla nazione nel Giorno dell'Indipendenza di quel mese (24 maggio 1998), la breve ma categorica dichiarazione del presidente Isaias Afwerki diceva: "Non rinunciamo a ciò che è nostro; né desideriamo ciò che appartiene agli altri". Questo è sempre stato, e in effetti rimane, il mantra immutabile dell'Eritrea su questioni fondamentali sovranità e integrità territoriale. Come si ricorderà, l’Eritrea e l’Etiopia hanno attraversato un lungo processo arbitrale presso la Corte permanente di arbitrato dell’Aia sulla base dell’accordo di pace di Algeri, mediato e garantito dagli Stati Uniti, dall’UE e dalle Nazioni Unite. La Commissione per i Confini Eritrea-Etiopia (EEBC), istituita in conformità con le disposizioni esplicite dell'Accordo di Algeri, ha reso la sua decisione "finale e vincolante" il 13 aprile 2002. Anche la decisione sulla demarcazione è stata resa nel 2007; copie delle quali sono state consegnate ad entrambi i governi e depositato anche presso l'Unità Cartografica delle Nazioni Unite. L’Eritrea aveva diligentemente e istantaneamente accettato le decisioni di delimitazione e demarcazione. Ma il regime del TPLF è venuto meno agli obblighi derivanti dal trattato e ha continuato a esercitare un’occupazione sovrana dei Territori eritrei per più di due decenni impunemente. Questo è lo sfondo delle false accuse contro l’Eritrea che continuano ad essere lanciate a intermittenza da vari partiti sinistri. Ciò che è ancora più ingiustificabile è quando queste false accuse vengono ripetute a pappagallo da lobbisti assoldati e altri agenti Lord Alton e altri - per avanzare ulteriori ordini del giorno. Ambasciata dello Stato di Eritrea nel Regno Unito e in Irlanda credit Ghideon Musa Aron
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Il presidente Isaias ha osservato che finora i progressi nella risoluzione del conflitto in Sudan sono diventati sfuggenti anche a causa della proliferazione di iniziative e piattaforme.
Il presidente Isaias ha espresso il sostegno dell'Eritrea all'iniziativa del Segretario delle Nazioni Unite come meccanismo praticabile per unificare tutti gli altri sforzi. il Presidente Isaias ha inoltre affermato che l'Eritrea aveva presentato al Consiglio sovrano del Sudan nel 2022 una proposta ancorata alla creazione di istituzioni transitorie. L'inviato del Segretario Generale delle Nazioni Unite per il Sudan, Lamamra, da parte sua, ha elaborato le misure che l'ONU e le sue istituzioni hanno intrapreso per promuovere una pace duratura in Sudan, nonché per fornire sostegno al popolo sudanese costretto allo sfollamento interno e esilio a causa del conflitto. MOI Eritrea credit Ghideon Musa Aron Il ritrovamento di un albero pietrificato ad Adi-Kinzinab potrebbe rivoluzionare la nostra comprensione delle migrazioni di grandi mammiferi avvenute 27 milioni di anni fa, prima della formazione del Mar Rosso. . Un albero pietrificato è un tipo di fossile formato dall'albero che, nel corso di milioni di anni, è stato completamente trasformato in pietra. Durante questo processo, i materiali organici dell'albero vengono gradualmente sostituiti da minerali. Questi minerali si infiltrano nella struttura cellulare del legno, mantenendo la forma originale dell'albero ma sostituendo la sostanza organica con silice, calcare, pirite, o altri minerali inorganici. Il risultato è una replica pietrificata dell'albero originale, con dettagli tanto minuziosi da includere perfino le strutture cellulari interne del legno . Teklit Gebrezgiabier, responsabile della Cultura e dello Sport nella regione meridionale, ha sottolineato l'importanza di proteggere questo sito che potrebbe nascondere altri tesori storici. In parallelo, i lavori per una nuova diga a Egri-Mekel hanno portato alla luce ceramiche antiche, ornamenti metallici e resti umani, sottolineando la ricchezza archeologica dell'area. Situata a 8 chilometri a est di Adi-Quala, Adi-Kinzinab continua a svelare i segreti di un passato remoto che contribuisce profondamente alla storia geologica e umana dell'Eritrea. Fonte: https://shabait.com/.../petrified-tree-discovered-in-adi.../ Sona Berhane
22 aprile 2024 L'ospite di oggi è Nasser Abdelwasie, scultore ceramista, insegnante di ceramica, pittore e allenatore di calcio di base che, con il suo stile tipicamente sobrio, si è ora unito alle fila degli artisti eritrei emergenti. Quasi tutte le sue sculture in ceramica, dai vasi più grandi ai portacandele più piccoli, rappresentano una qualche forma di vaso. I loro intricati disegni, tuttavia, mostrano che sono stati rifiniti utilizzando una serie di tecniche. Energico e allegro, Nasser parla della sua arte e condivide con noi i punti salienti e le sfide del suo avventuroso percorso artistico, Eri interessato alla ceramica fin dalla giovane età? No, anche se ho sempre avuto una disposizione artistica: ho disegnato e dipinto durante tutti i miei anni a scuola. Ma non ricordo di aver avuto alcun interesse per la ceramica a quell’età. Ero soprattutto un dilettante e un armeggiatore. Si potrebbe dire che mi piaceva tenere le mani occupate e attive. Una volta, da bambino, guardavo un tecnico riparare la nostra TV e la volta successiva che si rompeva, la riparavo io stesso. Per quanto posso ricordare, ero pazzo per il calcio. Sono ancora. Ma a causa di un infortunio non ho potuto continuare a giocare a livello professionistico. Tuttavia, non ho reciso i legami con lo sport perché subito dopo sono stato coinvolto in un programma di base di coaching per bambini con bisogni speciali, e continuo a farlo fino ad oggi. È una sfida? Solo finché i ragazzi non si sentiranno a loro agio con te. Avevo seguito un breve corso sull'addestramento di bambini con disabilità o bisogni speciali, quindi ero in grado di cavarmela bene. La maggior parte delle volte, almeno nella mia esperienza, la chiave è tenere a mente i loro bisogni ma trattarli altrimenti come bambini normali. Ho scoperto che questo ha favorito in loro un senso di responsabilità e fiducia. Qualche anno fa mi sono offerto volontario per mostrare loro le basi della ceramica. Giocare con l'argilla aiuta a calmare i bambini oltre che a impegnare e rafforzare i muscoli delle loro mani. La ceramica è un'arte molto tattile e, se praticata regolarmente, può essere estremamente terapeutica. Sei anche un insegnante di ceramica. Come ti senti rispetto all'insegnamento? Prende tempo dalla tua arte? No, per niente. Mi diverto immensamente. È così strano che la mia vita sia andata così perché ero un assoluto fanatico del calcio. Volevo essere un giocatore di football. Ero sicuro che non sarei stato nient'altro. Ma oltre a permettermi di trasmettere il mio amore e la mia conoscenza di questo mestiere ai giovani artisti, insegnare è anche un ottimo modo per affinare la mia tecnica. Quante mostre hai allestito finora? A parte la mostra congiunta che ho avuto con Asmait Tekie la scorsa estate, non ho mai tenuto una mostra del mio lavoro, né in collaborazione né personale. Ho partecipato regolarmente a festival, bazar, carnevali e sfilate del Giorno dell'Indipendenza, ma non ho ancora realizzato una mostra vera e propria. Perché no? Non sono sicuro. Di solito incoraggio i miei studenti a collaborare e lavorare per esporre la loro arte. Penso che il mio problema sia che se a qualcuno piacesse davvero il mio pezzo, sono sicura che sarei tentata di regalarglielo. [Ride] Ma esporre il proprio lavoro è senza dubbio importante. Ti mette in contatto con persone che la pensano allo stesso modo, crea una situazione in cui sei esposto ai gusti, alle tendenze e agli stili del pubblico e di altri artisti, ed è qui che volano le scintille della creatività. Per un artista, questo ha un valore inestimabile. Allora hai intenzione di mostrare il tuo lavoro in futuro? SÌ! Ho una mostra in programma per l’estate del 2024. Qual è l’aspetto più impegnativo nel realizzare sculture in ceramica? Asciugare i pezzi alla giusta temperatura e esattamente per il giusto periodo di tempo perché se una delle quantità supera il limite preciso, il vaso o la scultura diventeranno troppo fragili e inizieranno a rompersi. Da qualche tempo mi sto sfidando a realizzare pezzi sempre più grandi, ma il peso aggiunto richiede più tempo per asciugarsi e la scultura inizia a collassare lentamente. Questo è stato un problema persistente con i miei progetti. Hai detto che inizialmente non eri interessato a produrre ceramiche. Cosa ti ha spinto a farlo? C'è stato un curioso incidente a Sawa che mi ha indirizzato in quella direzione. È stato durante l'addestramento tattico. Stavamo imparando qualcosa al campo e mi è capitato di guardare in basso e vedere un pezzo di legno corto e spesso steso lì. Non ricordo perché l’ho fatto, ma l’ho preso in mano e ho iniziato a scolpirlo con una roccia a spigolo vivo. Usando la mia mano come modello, l'ho scolpito in una mano. Ho scoperto allora che mi piaceva davvero ritagliare dei pezzi. Anche adesso non imprimo la maggior parte delle impressioni sulle mie sculture. Li scolpisco. Non è facile e sei sempre alla ricerca di strumenti più raffinati per ottenere una forma o una silhouette precisa. Ma è rinvigorente. Fin dall'inizio, gli aspetti creativi e innovativi dell'arte mi hanno sempre interessato. Voglio saperne di più e approfondire la mia conoscenza di questo mestiere, ma cerco anche di limitare le influenze esterne per poter mantenere le mie originalità. Di tutte le arti, perché ti piace la ceramica? Ebbene, spesso le persone dimenticano che la ceramica è un'arte antica. Sono particolarmente affascinato dal suo posto storico e culturale nella nostra società. La terracotta continua a essere presente nella nostra vita quotidiana. La ceramica è uno dei mestieri più antichi e, quindi, più tradizionali dell'Eritrea. Ma adoro anche la forma d'arte. Usare le mani nude per modellare un pezzo di argilla in una forma delicata e bella è semplicemente magico. E infine, qual è il motivo dietro il tuo stile particolare? Spesso mi viene chiesto perché lascio le mie sculture non dipinte. Conosci l'aspetto invecchiato dei vasi e dei cocci rinvenuti nei siti archeologici? Mi piace quello sguardo. Il colore terroso e sbiadito della terracotta è incantevole. È così che i nostri antichi artigiani producevano la ceramica. Comprendendo questo prendo coscienza delle tradizioni di questo mestiere che mi vengono tramandate e sono attento a preservarle. Ecco perché progetto le mie ceramiche in modo tale da mantenere il loro colore naturale. La notizia di un interesse italiano a stringere un accordo di cooperazione con Asmara era stato confermato a marzo anche dal ministro della Difesa, Guido Crosetto da Nova News L’Italia aspira a diventare “il primo Paese occidentale a siglare un accordo di cooperazione con l’Eritrea”. Lo ha detto il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli ad “Agenzia Nova”. “Il mio sogno nel cassetto”, ha detto Cirielli, è fare in modo che l’Italia sia “il primo Paese occidentale a concludere un accordo almeno biennale di cooperazione con l’Eritrea, un Paese che vive una fase di isolamento internazionale”. “C’è stato un incontro fra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il presidente dell’Eritrea Isaias Afwerki lo scorso gennaio nel quadro della sua visita a Roma per il Summit Italia-Africa”, ha ricordato Cirielli. “Stiamo lavorando a quest’accordo che avrebbe una grossa novità e un risultato molto importante”, ha concluso il viceministro. Nel quadro del vertice tenuto a Roma lo scorso 29 gennaio, il presidente eritreo Afwerki e la sua delegazione hanno incontrato e tenuto colloqui con diversi alti funzionari del governo italiano, inclusa la premier Meloni, soffermandosi sui legami bilaterali e sulla cooperazione reciproca, soprattutto nei settori delle infrastrutture stradali, ferroviarie e portuali, dell’agricoltura, dell’innovazione, della pesca, dell’estrazione mineraria e dell’energia. Come testimoniato sui social dal governo eritreo, dopo il vertice Afwerki si è trattenuto in Italia per 12 giorni, visitando insieme alla sua delegazione – di cui facevano parte il ministro degli Affari esteri, Osman Saleh, e il commissario alla Cultura e allo Sport, Zemede Tekle – impianti di produzione e centri di ricerca in diverse regioni, impegnandosi in discussioni con i rappresentanti di queste istituzioni per rafforzare gli investimenti e la cooperazione. Il 4 e 5 febbraio, Afwerki e la sua delegazione sono stati in città dell’Umbria e a Norcia, nel perugino, dove hanno visitato i siti del gruppo lattiero-caseario Grifo e de L’Artigiano dei Salumi Salvatori, specializzato nella lavorazione di carne suina. La delegazione eritrea si è quindi interessata alle tecniche di produzione agroindustriali italiane ed ai sistemi di conservazione e ha visitato il Parco tecnologico agroalimentare dell’Umbria, dove colloqui si sono svolti fra il presidente, i delegati ed esperti dell’istituzione su un’eventuale cooperazione. Infine, la delegazione si è interessata all’industria della ceramica, di cui ha visitato un sito produttivo, prima di effettuare una visita alla Basilica di Assisi. La notizia di un interesse italiano a stringere un accordo di cooperazione con Asmara era stato confermato a marzo anche dal ministro della Difesa, Guido Crosetto, durante l’audizione alla Camera delle commissioni riunite di Esteri e Difesa sull’esame della Relazione analitica sulle missioni internazionali in corso e sullo stato degli interventi di cooperazione allo sviluppo a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione. L’Italia “guarda con interesse” all’Eritrea, con la quale sta valutando una proposta di cooperazione del presidente Isaias Afwerki, ha detto Crosetto, osservando che Afwerki “ha dato segno di aperture interessanti ad una cooperazione strutturata”. Credit Nova News Programmi di conservazione dell'acqua e del suolo per una migliore produzione agricola in Eritrea14/4/2024 Di Simon Weldemichael
Lo scopo dei programmi di conservazione del suolo e dell’acqua è fondamentalmente quello di preservare l’umidità del suolo in modo sostenibile ed evitare l’erosione del suolo e l’esaurimento delle sostanze nutritive del suolo. Quando gli agricoltori non sono impegnati a coltivare cibo durante la stagione delle piogge, spesso si impegnano in pratiche di conservazione del suolo e dell’acqua per migliorarne la fertilità e aumentare i raccolti in modo sostenibile. In un evento recentemente organizzato per valutare le attività svolte nel campo della conservazione del suolo e dell'acqua, il Ministero dell'Agricoltura (MoA) ha riferito che tali attività sono aumentate del 61% nel 2023. Dawit Mebrahtu, responsabile della conservazione del suolo e dell'acqua presso il MoA, ha affermato che solo nel 2023 sono stati intrapresi programmi di conservazione del suolo e dell’acqua su 26mila ettari di terreno. Le pratiche di conservazione del suolo e dell’acqua da parte della comunità locale e delle unità delle forze di difesa hanno svolto un ruolo importante nel mantenimento o nel miglioramento della capacità produttiva del territorio. Negli altopiani e nelle pianure dell’Eritrea, l’erosione del suolo è una delle sfide più persistenti che influiscono sulla produzione agricola e sulla stabilità ambientale. Migliaia di chilometri di terrazze e molti altri bacini idrografici furono costruiti in tutto il paese. Per migliorare la capacità di ritenzione idrica del suolo, rallentare il deflusso delle acque e intrappolare i sedimenti, sono stati costruiti 113mila metri cubi di bacini idrografici presso le montagne drenanti e i corsi d'acqua superiori. Inoltre, nel 2023 sono state costruite 16 dighe di medie dimensioni in diverse parti del Paese, mentre altre 42 dighe sono in costruzione. Dawit ha elogiato il ruolo delle persone e delle forze di difesa nell'attuazione dei programmi di conservazione del suolo e dell'acqua. In Eritrea ci sono 810 dighe di grande, media e piccola scala, tutte costruite da eritrei. La costruzione di queste dighe è una delle storie di successo dell’Eritrea nel periodo post-indipendenza. Nel complesso le dighe possono contenere più di 500 milioni di metri cubi d’acqua che possono essere utilizzati per l’agricoltura e come acqua potabile. La costruzione di dighe deve continuare a trasformare l’agricoltura eritrea da acqua piovana a moderne fattorie irrigue. La disponibilità di acqua e la diffusione dell’agricoltura basata sull’irrigazione stanno determinando un modesto progresso nella coltivazione di frutta e verdura. In passato, frutta e verdura crescevano stagionalmente. Oggi vengono coltivati in diverse stagioni e sono disponibili sul mercato tutto l'anno a prezzi relativamente equi e stabili. Inoltre, vengono coltivate piante un tempo non comuni come caffè, datteri e avocado. La maggior parte della popolazione eritrea vive in aree rurali e qualsiasi sforzo volto a trasformare i mezzi di sussistenza delle persone deve iniziare considerando le comunità rurali. Pertanto, al fine di migliorare il sostentamento delle comunità rurali, vi è una grande necessità di migliorare le pratiche agricole tra i piccoli agricoltori. Lo sviluppo agricolo affronterebbe il problema della sicurezza alimentare e nutrizionale, ridurrebbe la povertà e la disuguaglianza e migliorerebbe la vita degli agricoltori. Il significativo potenziale agricolo dell’Eritrea richiede ancora un intervento critico per svolgere il giusto ruolo nello sviluppo nazionale. L’Eritrea ha un grande potenziale e un vantaggio nel settore agricolo. I programmi di conservazione del suolo e dell’acqua sono una delle strategie del governo per sfruttare appieno il potenziale agricolo del Paese Il Ministero dell'Agricoltura dell'Eritrea pone grande enfasi sul mantenimento dello sviluppo agricolo senza danneggiare l'ambiente. Vengono organizzati programmi intensivi di estensione per incoraggiare gli agricoltori a seguire le migliori alternative per evitare gli effetti negativi dell’agricoltura chimica. Invece di usare prodotti chimici, gli agricoltori eritrei vengono formati all’uso di metodi e sostanze che potrebbero preservare l’integrità dell’ambiente. Molti piccoli agricoltori evitano l’uso di sostanze chimiche nelle loro pratiche agricole e hanno adottato sistemi agricoli alternativi rispettosi dell’ambiente. I fertilizzanti industriali distruggono la fertilità del suolo uccidendo gli organismi del suolo e, a lungo termine, contribuiscono all’erosione e al degrado del suolo. Per contrastare queste sfide, i programmi di imboschimento e rimboschimento vengono intrapresi vigorosamente come parte delle iniziative adottate per conservare il suolo e l’acqua. Milioni di alberi vengono piantati ogni anno dalle comunità locali, dagli studenti e dalle forze di difesa. Durante la stagione delle piogge gli altopiani dell’Eritrea e le pianure occidentali godono di molta pioggia. I terrazzi, i bacini idrografici, le dighe di controllo e altri contribuiscono a ridurre l’erosione del suolo indotta dall’acqua che danneggia lo sviluppo agricolo. Inoltre impediscono la sedimentazione delle dighe. Le tecniche di conservazione del suolo e dell'acqua favoriscono inoltre l'infiltrazione dell'acqua nel terreno trattenendo il deflusso in superficie. L’impegno per lo sviluppo dell’Eritrea è intimamente connesso al modo in cui tratta il suolo e l’acqua. Per questo motivo è necessaria una politica prudente per garantire che le comunità agricole mantengano il suolo fertile. Il controllo dell’erosione e il mantenimento della fertilità del suolo sono di fondamentale importanza per l’Eritrea, che è geograficamente situata nella regione del Sahil. La conservazione del suolo e delle risorse idriche lo è. Le pratiche di conservazione del suolo e dell’acqua miglioreranno sicuramente le condizioni ambientali che a loro volta si tradurranno in un aumento della produzione agricola, fondamentale per lo sviluppo economico dell’Eritrea. Moi credit Media Comunità Eritrea.it Camera mortuaria della regina Hatshepsut con l'immagine di due babbuini
13 aprile 2024 Il babbuino Hamadryas (Papio hamadryas) è la più grande specie di scimmia trovata in Eritrea. Un maschio adulto può pesare fino a 17 chilogrammi. I babbuini sono comuni in molte parti dell'Eritrea. I viaggiatori tra Asmara e Massaua vedono spesso gruppi di 50 o più individui su ciascun lato dell'autostrada e anche al centro. Questo articolo sulla biodiversità discute il possibile uso antico dei babbuini eritrei come mummie nelle tombe egiziane più di 3000 anni fa. Il prossimo numero sulla biodiversità tratterà dell'ecologia dei babbuini che vivono in Eritrea. Il babbuino Hamadryas, chiamato anche il babbuino sacro, era venerato dagli antichi egizi come rappresentante del dio della luna e della saggezza e come consigliere del dio del sole Ra. Non c'erano babbuini nativi in Egitto, quindi gli egiziani dovettero importarli da parti dell'Africa a sud dell'Egitto. Ci sono antichi resoconti dall'Egitto risalenti alla XVIII dinastia, oltre 3000 anni fa, su prodotti esotici come oro, incenso, pelli di animali e babbuini vivi portati nell'antica capitale egiziana, Tebe, ora la moderna città di Luxor. L'origine dei prodotti importati, compresi i Sacri Babbuini, era chiamata Punt. I testi geroglifici descrivono le gite in barca e i prodotti, ma questi testi non dicono la posizione di Punt. La camera mortuaria della regina Hatshepsut della XVIII dinastia ha immagini di due babbuini su un muro del tempio. Su un'altra parete ci sono immagini di babbuini sulla vela di una barca egiziana di ritorno da Punt. I turisti possono vedere la camera e le foto nell'antica Tebe. Il commercio tra l’Egitto e Punt diminuì gradualmente dopo il regno di Ramesse III (1164-1196 a.C.). I ricordi di Punt svanirono lentamente finché la città non si trasformò in leggenda e folklore. Nel I secolo aC l'Egitto divenne una provincia di Roma. Il centro commerciale Adulis, situato intorno al golfo di Zula d'Eritrea, era il principale porto commerciale tra l'Egitto e le regioni mediterranee e il Corno d'Africa. Adulis rimase un centro commerciale fino a quando fu abbandonato intorno al IX secolo d.C. Alcuni storici hanno suggerito che Adulis e Punt potrebbero essere stati lo stesso centro commerciale tra la costa dell'Eritrea a sud di Massaua e l'Egitto, ma separati da mille anni di storia. Gli archeologi hanno trovato due frammenti di vasi di vetro negli strati più bassi di Adulis, simili a campioni di vetro della XVIII dinastia egizia. Poiché non esistono resoconti dell'antico Egitto sulla posizione di Punt, anche con molti resoconti e immagini di oggetti commerciali disponibili, le discussioni a favore o contro il fatto che Adulis e Punt si trovino nella posizione esatta non sono state risolte. Recentemente, due articoli scientifici hanno riportato i risultati di studi sulle mummie sacre dei babbuini provenienti da antiche tombe egiziane. Nel 2020 è stato pubblicato uno studio di ricerca che ha utilizzato l'analisi isotopica dei rapporti di ossigeno e stronzio di 155 babbuini provenienti da 77 località in varie regioni africane. Esiste una variazione geografica nel rapporto ossigeno-stronzio immagazzinato nello smalto dei denti. Questi risultati possono essere tracciati sulle mappe come impronte geografiche delle località africane. La mummia utilizzata nello studio fu acquistata in Egitto e donata al British Museum nel 1837. Fu ritrovata nel Tempio di Khonsu a Tebe. Il tempio fu costruito più di tremila anni fa durante la XX dinastia tra il 1186 e il 1155 a.C. Quando il rapporto ossigeno/stronzio della mummia è stato confrontato con i rapporti di stronzio dei babbuini moderni provenienti da 77 località dell'Africa, il babbuino portato da Punt a Tebe più di tremila anni fa corrispondeva ai rapporti di stronzio dei babbuini moderni del Corno d'Africa, compresi quelli d'Eritrea. Questa scoperta non conferma che Adulis sia la fonte della mummia del babbuino, ma mostra che Punt si trovava all'interno di una regione geografica limitata che include Adulis. Nel 2023, uno studio ha riportato uno studio sul DNA. Una mummia di babbuino proveniente da una tomba egiziana è stata confrontata con 14 esemplari museali provenienti da Eritrea, Etiopia, Somalia e Sudan. I risultati collocano il DNA della mummia con il DNA dei babbuini che vivono nel Sudan orientale e in Eritrea. Questa è un'ulteriore prova che Punt e Adulis potrebbero essere geograficamente la stessa cosa. Ci auguriamo che ulteriori ricerche che utilizzino la tecnologia avanzata del DNA possano finalmente risolvere l’antico mistero della Terra di Punt. Rivista online trimestrale del National Public Diplomacy Group, pubblicazione di marzo da Shabait A due anni dalla sua incredibile prima partecipazione e dalla storica vittoria, Bini tornerà al Giro con grandi ambizioni. Leggi di più https://intermarche-wanty.eu/news/girmay-giro/ di Daniel Wedi Korbaria*
Onde evitare che qualcuno si risenta per le mie parole e dica: “E perché non te ne torni a casa tua?” (che poi sarebbe anche un bell’augurio), premetto dicendo che io amo l’Italia, il Paese che mi ha accolto in tutti questi anni, amo la sua gente, la sua cultura, la sua lingua che conosco abbastanza bene, i suoi dialetti, i suoi proverbi e i suoi modi di dire, conosco la sua arte, i monumenti, la letteratura, la musica dei cantautori e quella underground (molto meno quella sanremese), conosco il cinema dei suoi grandi registi e degli attori che non ci sono più, il suo teatro, i suoi musei, le cattedrali, le sagre, le fiere, la sua grande cucina, la sua storia e la sua Costituzione. Ma conosco anche il precariato del mondo del lavoro, la sua malapolitica, la corruzione, le raccomandazioni, i nepotismi, i conflitti d’interesse, l’evasione fiscale, la criminalità organizzata, l’assenza di sovranità, la disinformazione dei suoi media e dei suoi giornalisti “camerieri”, la sua filosofia del “una mano lava l’altra” e del menefreghismo generale. Lo stesso nutro grande rispetto per le sue leggi e per le sue istituzioni, infatti ho la fedina penale immacolata. Mi dispiaccio quando le cose non vanno come dovrebbero andare. Sono solidale. Detto ciò, lungi da me l’intenzione di voler fare la vittima o di sentirmi un perseguitato. Non lo sono. Ma da quando ho iniziato ad occuparmi del “fenomeno” immigrazione, che mi riguarda da vicino in quanto sono un immigrato che vive in Italia con il permesso di soggiorno sempre in tasca, mi sono successe delle cose a dir poco strane in un paese democratico che, spesso e volentieri, si ritrova attraverso i suoi media mainstream a dare lezioni di morale sulla libertà di pensiero, di parola e di stampa ai poveri africani. Sebbene io sia l’unico immigrato ad aver scritto in italiano un libro sull’immigrazione, non sono mai stato chiamato nelle televisioni italiane quando si discute di immigrati e immigrazione. Perché non è mai successo, nemmeno per sbaglio? Semplice, io non racconto mai ciò che loro vogliono sentirsi dire. Fateci caso, gli unici immigrati che si invitano in quelle trasmissioni di solito hanno problemi con la lingua e non possono dire ciò che vogliono oppure si tratta di chi ripete a pappagallo un copione studiato a memoria. Praticamente gente che fa da megafono alla loro narrazione prestandogli la faccia nera. Così che possano dire: “Non lo dico io, lo dice un africano!” Personalmente, non ho mai avuto paura ad esprimere il mio punto di vista alternativo anche perchè ero in possesso di un documento regolare e senza scadenza che mostravo citando un famoso sketch di Verdone: “Con che? Con questo!” e nessuno poteva ricattarmi come normalmente si fa con gli immigrati sbarcati da poco. Ma nel 2023 per la prima volta, dopo 28 anni, al mio rientro in Italia sono stato fermato dalla polizia aeroportuale di Fiumicino che voleva impedirmi l’ingresso dicendo che il mio documento di soggiorno era scaduto. Cosa era successo? Durante il mio breve viaggio in Eritrea il Governo Meloni, quello che minacciava di fare i blocchi navali per risolvere il “fenomeno” immigrazione, per incassare 70 euro da ogni immigrato con una nuova legge ha fatto scadere tutti i vecchi permessi di soggiorno a tempo indeterminato, gettando nella mischia degli irregolari migliaia (o forse milioni) di immigrati regolari. Questa infame legge mi ha ridotto ad essere un ostaggio del sistema e non mi permette più di viaggiare nei paesi Schengen, costringendomi a rinunciare, per esempio, ad andare a trovare mio fratello e i miei nipoti che vivono in Finlandia. Così a giugno 2023, dopo aver pagato il bollettino come da iter burocratico, ho chiesto il rinnovo del mio permesso di soggiorno e mi è stato dato l’appuntamento a giugno 2024. Questa è quell’Italia che non amo affatto! Lo stesso non permetterò a nessuno di ricattarmi. Al contrario degli altri pappagalli neri che per aver prestato voce e volto agli immigrazionisti vincono premi “umanitari”, quello che invece mi capita spesso è di subire la censura su ciò che dico e scrivo. Alcuni mi censurano per una sorta di conflitto d’interesse, ossia perché con il mondo dell’immigrazione ci campano direttamente o indirettamente. Altri si rifiutano di ascoltare il mio punto di vista per una questione ideologica, quelli di sinistra credono che con le mie idee io faccia il favore alle politiche di Salvini o Meloni, quelli di destra rifiutano le mie accuse all’Occidente perché si sentono chiamati direttamente in causa. Ma io, che non piaccio né alla sinistra né alla destra e men che meno al Vaticano, chi sono? Mi sembra opportuno a questo punto aprire una piccola parentesi per raccontarvi brevemente la mia storia sin dal mio arrivo in Italia. Sono arrivato a Roma nel 1995 pieno di speranza, ero giovane e in buona salute, avevo due diplomi di scuola superiore, di cui uno italiano da geometra. Perciò parlavo già un buon italiano e non ho faticato granché ad integrarmi e ambientarmi, tranne che a sopportare il freddo dei mesi invernali. Sin dal mio arrivo ho iniziato a mandare curriculum in giro, volevo continuare a lavorare in cantiere o in un ufficio di progettazione. Ma due diplomi non bastavano, così ho dovuto fare diversi corsi professionali regionali. Lo stesso faticavo a trovare un lavoro decente e i pochi impieghi, in giacca e cravatta, erano stage o con contratti brevi, eppure la voglia di imparare non mi mancava. Alla fine ho capito che i datori di lavoro italiani non volevano sfruttare la mia capacità intellettuale ma solo la mia forza fisica. Così mi sono ritrovato a fare il lavapiatti in un ristorante a San Lorenzo, a fare traslochi in un’azienda sulla Cassia e a fare il badante al Flaminio. Ho anche provato, con scarsi risultati, a vendere elettrodomestici ed enciclopedie porta a porta. Ho poi fatto l’autista e giravo con un furgone per Roma e provincia raccogliendo animali domestici morti da portare per la cremazione multipla a Porta Portese, in orari notturni ho distribuito porta a porta i giornali agli abbonati di alcuni quotidiani del mainstream media in zona San Giovanni e poi sono diventato garagista in via Cavour dove parcheggiavo le auto come in una grande scatola di sardine. Di nuovo altre esperienze e mi sono ritrovato a fare il macchinista per diverse compagnie teatrali, un lavoro faticoso e malpagato dove ho imparato che i registi di teatro, in gran parte “de sinistra”, sono schiavisti più dei caporali nei campi di pomodoro. Ti fanno lavorare gratis e poi scappano letteralmente con gli incassi dello spettacolo. Sono dovuto ricorrere a studi legali per riuscire a farmi pagare. Poi, a causa di un incidente sul lavoro, sono stato operato alla schiena con la raccomandazione dei medici di non dover più fare lavori fisici. Ma trovare un lavoro d’intelletto era pura utopia. Ovviamente tutti questi lavori e lavoretti di cui vi ho raccontato erano al nero, nessun datore di lavoro mi ha mai pagato i contributi, della cinquantina di lavori che ho fatto dal mio arrivo in Italia non avrò maturato più di un anno di contributi, quindi addio pensione. Che bella fregatura, eh!? Oggi ho 53 anni, sono acciaccato dai dolori ciclici alla schiena, disoccupato (in tutti questi anni in Italia non ho mai ricevuto 1 euro di aiuto statale, nemmeno il reddito di cittadinanza) e nullatenente, l’unica cosa che possiedo sono i miei libri, che comunque non vendono. Badate bene, quello che state leggendo non è un pianto greco sulla mia sfortuna, no affatto, devo dire che sono stato piuttosto fortunato ad aver incontrato la mia attuale compagna che mi ha sempre aiutato e mi ha dato una bellissima figlia italo-eritrea. Loro sono tutto il mio mondo, perciò rifarei daccapo ogni cosa. Malgrado i datori di lavoro volessero soltanto la mia forza fisica io non ho mai abdicato alle mie aspirazioni, che sono quelle di scrivere e poter vivere della mia scrittura. Così sin da subito ho mandato a diverse case editrici alcuni manoscritti che mi hanno gentilmente rimandato indietro, dal 2002 ho partecipato a numerosi concorsi letterari, proponendo sceneggiature inedite cinematografiche e teatrali, romanzi e racconti per ragazzi. Soldi buttati, dal momento che per partecipare al concorso bisognava pagare una tassa. Poi la tragedia di Lampedusa del 3 ottobre 2013, in cui sono morti annegati numerosi miei conterranei, mi ha sconvolto in modo terribile scotendomi l’animo dal profondo. I politici e i media puntavano il loro dito accusatorio contro il Governo eritreo, come se li avesse imbarcati lui su quel maledetto barcone, mentre i morti erano sepolti con un numero sulla lapide nei cimiteri siciliani e non restituiti alle famiglie che li reclamavano. Per amore della verità e per ridare giustizia alle vittime ho deciso di indagare. Così sono stato catapultato nell’universo dell’immigrazione e dell’accoglienza dove mi si è aperto un mondo sconosciuto e infernale. Ho un legame forte con l’Eritrea, è il mio Paese e lo conosco molto bene, non solo perché ho lì ancora mia madre. Leggendo quotidianamente le menzogne che i media mainstream italiani spargevano obbedendo ai dettami di Washington, non potevo rimanere in silenzio e perciò ho iniziato a lasciare sotto ad ogni articolo i miei commenti. Non contento ho iniziato io stesso a scrivere articoli, con una narrazione molto diversa sul mio Paese, con la convinzione che nessun italiano possa conoscerlo meglio di me. Io che volevo solo scrivere storie per il cinema e commedie per il teatro sono finito, mio malgrado, a testimoniare e a raccontare di questa immigrazione forzata, di questa deportazione di esseri umani da trasformare in schiavi. Altro che “fuggono dalle persecuzioni e dalle guerre”! Così, per andare negli abissi del “fenomeno” immigrazione mi sono infiltrato nel sistema dell’accoglienza come interprete di italo-tigrigna e di italo-amarico, riuscendo a guadagnare, con mia grande sorpresa, più soldi che in tutti i lavori che avevo svolto fino ad allora. Persino gli immigrati sbarcati da poco e che parlavano un italiano sgrammaticato potevano guadagnare più di un architetto! Capii che l’immigrazione era per i molti addetti ai lavori una sorta di gallina dalle uova d’oro! Io, che non sono mai stato venale, non ho resistito. Lo scopo per cui sono entrato in quel mondo è stato unicamente quello di farlo conoscere all’opinione pubblica. Usando il mio pseudonimo ho pubblicato gratuitamente diversi articoli e saggi. Sin da subito la mia è stata una missione per l’amore della verità, di quelle centinaia di articoli e saggi pubblicati in tutto il mondo e tradotti in diverse lingue non ho mai preso un solo euro. Poi sono stato scoperto. Un giorno, senza alcun preavviso, sono stato cancellato dal gruppo whatsapp degli interpreti del CIES Roma, con il quale avevo collaborato. Indagando un po’ sono riuscito a scoprire che un’associazione Onlus di Bologna con la quale non avevo mai lavorato aveva trovato online un mio articolo pubblicato sull’Antidiplomatico[i] che parlava dei misfatti dei “volontari” di Unhcr e delle Associazioni d’accoglienza che si spartivano gli immigrati appena sbarcati. Da quel momento, a causa del passaparola sono stato tagliato fuori da tutto l’associazionismo laico. Ho continuato per un po’ a lavorare con la Caritas come mediatore culturale fino alla notte, all’aeroporto di Fiumicino, degli sbarchi di pseudo rifugiati provenienti da Addis Abeba. Mentre chiacchieravo amichevolmente con la mia responsabile di Assisi, la capa dei “volontari stipendiati” Caritas la chiamò e improvvisò una riunione formando un cerchio di una decina di persone. Capii immediatamente che discutessero di me infatti quando ritornò era cambiata, fredda e mi rispondeva a monosillabi senza guardarmi. Vidi confabulare con la capa il famoso Don Mussie Zerai, che quella notte aveva usato, per i propri interessi personali, i famosi corridoi umanitari facendo venire dall’Etiopia suo fratello come fosse stato un rifugiato[1]. La Caritas quella notte cambiò drasticamente il suo programma e senza interpellarmi mi mandò a casa. Nessuna di queste organizzazioni e onlus mi ha mai fatto un richiamo verbale o scritto, del resto nessuna di loro mi aveva fatto un vero contratto di lavoro registrato. Così come erano arrivati sparirono in silenzio. Questo era il loro sistema difensivo affinché nulla di quel che succedeva dentro il mondo dell’accoglienza venisse reso pubblico, un mondo che vedeva negli immigrati la esse di dollaro prima dell’esser umano, un mondo paternalistico e razzista nei confronti dei loro ospiti che gli fruttavano 45 euro al giorno ciascuno. Perciò dovevano allontanarmi subito per continuare a spolpare l’osso in santa pace. Altri che sbocconcellano l’osso predicando i “porti aperti” per continuare quotidianamente a rosicchiare sono i giornalisti “immigrazionisti”. A giornali come l’Avvenire e il Manifesto ho scritto diverse lettere per obiettare alle loro affermazioni ma, oltre a non aver mai ricevuto alcuna risposta, ho subito la cancellazione dei miei commenti sotto ai loro articoli. Commenti educati ma rigorosi, che venivano censurati dopo alcune ore dalla loro comparsa. Protestai con il Manifesto richiedendo indietro le mie cinquantamila lire pagate il 19 agosto del '97 per impedire che il “Quotidiano Comunista” fallisse. Dalla Redazione mi hanno risposto che quel Manifesto era fallito nel 2002. E imperterriti hanno continuato a cancellare i miei commenti. Negli anni, mi sono capitate diverse censure e tentativi di silenziare la mia voce. Un giorno mi hanno chiamato dalla Rai invitandomi a partecipare ad una trasmissione mattutina che trattava il tema dell’immigrazione ma poiché l’ospite di riguardo era Laura Boldrini, famosa per aver sempre negato un confronto ai membri della Comunità Eritrea, mi richiamarono e scusandosi mi dissero che mi avevano sostituito con un immigrato del Bangladesh. Per chi volesse approfondire i motivi per cui la Boldrini non volesse alcun eritreo in trasmissione vi rimando alla lettura del mio libro: Inferno Immigrazione. Il 4 dicembre 2015 sono stato invitato a Radio Radicale dal Movimento degli Africani per partecipare alla trasmissione radiofonica “Voci africane” alle quali il buon Marco Pannella aveva concesso mezz’ora a settimana per raccontarsi liberamente. Ma appena saputo che ero della Comunità eritrea il giornalista Andrea Billau, seguendo il diktat della “Carta di Roma”, non mi volle più in trasmissione. Il Presidente del Movimento, Gaoussou Ouattarà, dovette insistere parecchio per fargli ingoiare il rospo. Lo stesso, durante la trasmissione, dei 30 minuti riservati alle “Voci africane” il giornalista se ne prese più della metà lasciando a me appena un paio di minuti, senza alcun diritto di replica al suo tono paternalistico e antipatico che voleva insegnarmi i fatti del mio Paese. Ma la mia più grande colpa è stata quella di etichettare pubblicamente le Ong dei salvataggi in mare come “moderne navi negriere”. Dalla loro comparsa nel Mediterraneo nel 2015 e con l’aumentare della loro presenza si contano finora oltre 26.000 morti in mare a causa del fattore attrazione o effetto pull factor da loro creato. “J’accuse di un eritreo: le Ong alimentano la nuova schiavitù” scrisse la Sicilia il 31 ottobre 2019 pubblicando la mia foto a pagina 8. La Sicilia è il quotidiano più diffuso sull’isola dove loro sono di casa e, ovviamente, non potevano farmela passare liscia. L’occasione gli si è presentata a Napoli il 25 novembre 2022, al Festival dei Diritti Umani, dove il regista Michelangelo Severgnini era stato invitato a proiettare il suo docu-film: l’Urlo, un documentario che per la prima volta dava voce ai migranti bloccati in Libia e al quale avevo dato un piccolo contributo con una partecipazione che, inizialmente, doveva essere di alcuni minuti ma che il produttore aveva voluto tagliare dicendo: “Io questo non lo voglio”. Fu l’insistenza del regista a salvare pochi secondi, che furono sufficienti a far traboccare il vaso perché, fatalità, in sala erano presenti alcuni esponenti delle Ong dei salvataggi più attive nel Mediterraneo. Intorno al ventesimo minuto, quando sono apparso sullo schermo e appena ho iniziato a dire: “Occupandomi di immigrazione dal Corno d’Africa mi sono imbattuto qui in Italia nella Open Society Foundation…” un esponente di una Ong “è saltato su e non ci ha visto più e ha cominciato a dare dell’antisemita a chiunque”, come mi è stato raccontato dallo stesso regista[i], che poi verrà insultato anche pesantemente da altri. Nonostante fossero tutti ospiti riuscirono a fermare la proiezione allungando le mani sul mixer del tecnico e impossessandosi del microfono. Al regista non è stato concesso nemmeno il diritto al contradittorio, costretto a subire le loro prevaricazioni e bullismo in silenzio, è stato tradito persino dall’organizzatore del Festival. Giuseppe Caccia di Mediterranea Saving Humans ha detto “Propaganda che sentiamo da Casa Pound” aggiungendo: “tesi complottiste e antisemite”. A sinistra c’è ancora qualcuno che appena sente il nome di George Soros, anche quando non viene menzionato, grida al complottismo e all’antisemitismo. In sala c’era anche Padre Alex Zanotelli che si disse dispiaciuto di vedere una “roba del genere”. Anche a lui, tempo prima, avevo indirizzato[ii] un saggio che lo riguardava. L’ultimo atto censorio mi è capitato qualche settimana fa, il 18 marzo, quando assieme a Michelangelo Severgnini, siamo stati invitati da un’associazione catanese, l’Osservatorio Euromediterraneo, per un’incontro-dibattito “Africa e Occidente” che doveva svolgersi nella sala conferenze della CGIL di Catania. L’Associazione aveva prenotato in anticipo la sala conferenze “B. Russo” il 31 gennaio. L’edificio di via Dei Crociferi n°40 è di proprietà del Comune di Catania e la CGIL lo gestisce da anni affittandolo gratuitamente a tutte le associazioni e comunità che ne fanno richiesta informalmente senza entrare nel merito, come da prassi, dell’utilizzo che ne viene fatto, sia esso culturale, sociale o ricreativo. Così l’Associazione dopo aver trascorso un mese ad organizzarsi con locandine e volantini, il 1° marzo crea l’evento su Facebook invitando chiunque a partecipare. Il 18 marzo a metà mattina anch’io pubblico sul mio profilo la bellissima locandina scrivendo: “Venerdi 22 marzo sarò a Catania…” e proprio quello stesso giorno, verso le 18:30 un’impiegata della Cgil telefona all’Associazione per comunicare che, a causa del crollo del tetto, e quindi per motivi di sicurezza strutturale, la sala conferenze sarebbe stata inagibile e che non sarebbe stato possibile usufruire nemmeno degli spazi esterni, cancellando di fatto l’evento a pochi giorni dall’appuntamento. Da un sopralluogo fatto nella sede della CGIL mezz’ora dopo è stato però constatato che non vi fosse stato nessun crollo del tetto. La mattina seguente dalla segreteria dissero all’Associazione che, poiché la CGIL era stata condannata a pagare per i danni fisici subiti da una persona caduta nel cortile, il segretario generale Carmelo De Caudo aveva deciso di chiudere la sala conferenze. Di seguito in extremis l’Associazione ha spostato l’evento in un locale in periferia stampando nuove locandine che sono state affisse esternamente alla sala conferenze della CGIL per avvisare le persone che si sarebbero recate sul posto sulla variazione d’indirizzo. Tali locandine sono state strappate. «Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova» diceva Agatha Christie, e in questa occasione di prove non ne sono certo mancate. Già ai primi di aprile, la CGIL ha programmato una nuova iniziativa nella stessa sala conferenze, con la presenza dello stesso Segretario generale Carmelo De Caudo intitolata: “No all’Autonomia differenziata”.[i] Nel suo “Principi fondamentali – Articolo 2” la CGIL afferma “il valore della solidarietà in una società senza privilegi e discriminazioni, in cui sia riconosciuto il diritto al lavoro, alla salute, alla tutela sociale, il benessere sia equamente distribuito, la cultura arricchisca la vita di tutte le persone, rimuovendo gli ostacoli politici, sociali ed economici che impediscono alle donne e agli uomini native/i e immigrate/i di decidere – su basi di pari diritti ed opportunità, riconoscendo le differenze – della propria vita e del proprio lavoro.” Perfetto! Allora perché questi sacrosanti valori non valgono anche per me che sono un immigrato? Perché io dovrei essere discriminato? O devo dedurre che la CGIL accolga gli immigrati solo come schiavi nei campi? Quelli che ancora non parlano l’italiano e che non fanno i relatori ad un evento culturale? Nel mio libro ho definito “indegno” il tweet del 2020 del sindacato Flai-Cgil Sicilia che scrisse: “I nostri campi hanno bisogno di braccia, serve regolarizzare i lavoratori stranieri, subito! #regolarizzateli”. Che se la siano presa per questo? No, non credo che qualcuno di loro abbia letto il mio libro, così come non credo che qualcuno di loro possa conoscermi. Di sicuro la CGIL, al contrario delle mie posizioni, è da anni impegnata a promuovere iniziative politiche a favore delle Ong dei salvataggi per “aprire i porti” raccogliendo persino le firme tra i suoi iscritti.[i] Dunque è plausibile che questo improvviso rifiuto sia da ascrivere ad una deliberata decisione politica, una vera discriminazione o peggio ancora una brutale censura? Per fugare ogni dubbio concludo con una domanda: Se non si tratta di discriminazione, censura o di una decisione ideologica farina del proprio sacco, la CGIL, il più grande sindacato d’Italia, ha forse subito una qualche pressione esterna, che so, magari una telefonata da esponenti delle Ong dei salvataggi, per esempio? Lascio ai lettori l’ardua sentenza! Io aspetto pazientemente una delucidazione che molto probabilmente non avverrà mai. Ad maiora semper. *Scrittore eritreo e panafricanista, è nato ad Asmara nel 1970 e vive e lavora in Italia dal 1995. Con i suoi libri, articoli e saggi pubblicati online e tradotti in inglese, francese, tedesco e norvegese si è battuto per offrire una voce alternativa ai racconti dei media mainstream italiani ed europei sull'immigrazione e il neo colonialismo. Nel 2019 ha pubblicato il suo primo romanzo "Mother Eritrea" e nel 2022 il saggio d'inchiesta "Inferno Immigrazione". Di prossima pubblicazione (2024) il suo romanzo sul colonialismo italiano in Eritrea. [i] Migranti: Cgil a Toninelli, porti aperti a chi salva vite https://www.cgil.it/ci-occupiamo-di/immigrazione/migranti-cgil-a-toninelli-porti-aperti-a-chi-salva-vite-j44u5mzg CD CGIL, ORDINE DEL GIORNO CONTRO LA CHIUSURA DEI PORTI: SOLIDARIETA’, DIRITTI, UMANITA’ https://www.cgilmodena.it/cd-cgil-ordine-del-giorno-la-chiusura-dei-porti-solidarieta-diritti-umanita/ Aquarius: la Cgil si mobilita in tutta Italia. Gli appuntamenti in Lombardia https://www.cgil.lombardia.it/aquarius-la-cgil-si-mobilita-in-tutta-italia-gli-appuntamenti-in-lombardia/ APPELLO: SCUOLE E PORTI APERTI PER UNA SOCIETÀ PROSPERA, CIVILE E SICURA https://www.flc-cgiltorino.it/index.php/it/vecchio-sito/1312-appello-scuole-e-porti-aperti-per-una-societa-prospera-civile-e-sicura [i] “PERCHÉ NO ALL’AUTONOMIA DIFFERENZIATA”. MERCOLEDÌ 10 APRILE NUOVO INCONTRO https://www.cgil.catania.it/2024/04/04/perche-no-allautonomia-differenziata-mercoledi-10-aprile-nuovo-incontro/ [i] "IL MIO FILM CENSURATO DALLE ONG". PARLA MICHELANGELO SEVERGNINI https://www.youtube.com/watch?v=VG0NqqxYOeU [ii] RISPOSTA DI UN AFRICANO ALLA LETTERA DI PADRE ALEX ZANOTELLI SULL’AFRICA https://comedonchisciotte.org/risposta-di-un-africano-alla-lettera-di-padre-alex-zanotelli-sullafrica/ [i] UNHCR e i 'rifugiati' africani https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-unhcr_e_i_rifugiati_africani/82_28230/ Si è tenuta dal 28 marzo al 1 aprile la 18esima YPFDJ Euro Conference: un evento che cementa le nuove e le vecchie generazioni, in un unico grande messaggio d’identità e di progresso.
di Filippo Bovo Anche quest’anno i suggestivi scorci delle Tre Venezie hanno ospitato la Conferenza Europea dello Youth Peoples Front for Democracy and Justice (YPFDJ, organizzazione giovanile del PFDJ, forza di governo dello Stato di Eritrea e diretta erede dell’EPLF, l’Eritrean People’s Liberation Front, che dopo una lunga e complessa Guerra di Liberazione riuscì a sancire l’Indipendenza del Paese nel 1991), in un clima di grande fervore politico e formativo, ma anche d’altrettanta gioia e convivialità, come del resto s’addice ad un importante ed annuale ritrovo di portata internazionale, dove giovani e meno giovani provenienti tanto dall’Eritrea quanto da tutta Europa e dal Nord America hanno l’occasione per condividere insieme dei momenti d’indimenticabile familiarità. Ad un osservatore esterno, magari ad un europeo che vi partecipi per la prima volta, la natura delle Conferenze del YPFDJ potrebbe apparire quantomeno singolare: non è infatti del tutto paragonabile a quella di un congresso dei giovani di un partito nostrano, solitamente piuttosto ingessata e, diciamoci la verità, anche piuttosto noiosa; infatti ad intervallare i seminari politici, che la rendono una scuola di formazione a tutti gli effetti, vi sono pure momenti dedicati alla danza, al canto o alla recitazione di poemi. L’arte e la cultura, quindi, concorrono a comporre l’offerta di queste Conferenze, rendendole qualcosa di più rispetto ai comuni e polverosi eventi di partito nostrani. Per capire il perché di tutta questa ricchezza aggiuntiva, bisogna comprendere la storia e l’identità dell’Eritrea, unico paese dell’Africa a non conoscere le divisioni tribali, in cui nove etnie e tre religioni convivono armoniosamente dando vita ad un unico corpo sociale e ad un unico sentimento nazionale. La natura del pensiero politico elaborato in Eritrea non sarebbe concepibile senza tener conto della storia, della cultura, dell’arte o della tradizione del Paese e del suo Popolo: tutti questi elementi compongono un’identità nazionale che si fa identità politica, e che trova nella bandiera nazionale la sua più alta ed evocativa espressione. Tutti questi elementi e valori, passati attraverso decennali e gravose prove per garantire l’Indipendenza e l’Unità del Paese, hanno fatto sì che l’Eritrea venga oggi sempre più vista come un esempio da seguire e rispettare dal resto dell’Africa, Continente che oggi conosce una rinnovata primavera di decolonizzazione e rinnovamento; come del resto non minori sono la stima e il riguardo con cui viene giudicata nell’ampio consesso delle nazioni non allineate, dalla Russia alla Cina e via dicendo, che ne ammirano la totale sovranità ed autonomia guadagnate con sacrificio e spirito rivoluzionario. Ne emergono così valori di patriottismo come di panafricanismo ed internazionalismo, di socialismo e progressismo come di cura e custodia della propria storia, memoria, tradizione e cultura, elementi cardine dell’identità eritrea. Siamo lungi dall’aver dato una piena descrizione del messaggio politico dell’Eritrea e del PFDJ, che i giovani del YPFDJ raccolgono assumendosi l’impegno di portare avanti con la tenacia e la fierezza dei padri e delle madri; ma certamente per un lettore italiano, che voglia capire di cosa si tratti, può già essere una prima e buona infarinatura. Possiamo dunque ben comprendere, alla luce di quel poco spiegato, l’enorme orgoglio che il Popolo eritreo prova per tutto ciò che ha potuto raggiungere, a partire dalle lotte dei padri e delle madri, e dal sacrificio dei Martiri. Quello tenutosi dal 28 marzo al 1 aprile nel Veneziano, dunque, è stato un evento che ha permesso a quasi 600 giovani eritrei provenienti dall’Italia, dalla Francia, dall’Inghilterra, dall’Olanda, dalla Svizzera, dalla Norvegia, dalla Svezia e dalla Germania, così come dagli Stati Uniti e dall’Eritrea, di poter affrontare insieme temi riguardanti l’attualità e le sfide del proprio Paese, di condividere le proprie passioni e i propri sentimenti nazionali, di rivedersi tra amici o di fare nuove amicizie, d’imparare cose nuove e di scambiare le proprie idee con gli altri, di confrontarsi con gli adulti e soprattutto con figure che per loro rappresentano delle istituzioni eroiche. Eroiche perché dai semplici padri e madri fino ai consoli e figure istituzionali che oggi guidano o rappresentano l’Eritrea nel mondo, tutti hanno fatto parte della generazione dei “combattenti”, i Tegadelti che tra il 1961 e il 1991 combatterono per rendere il Paese indipendente dall’Etiopia, difendendolo e sviluppandolo poi nei trent’anni successivi, fino ad oggi. E’ stato un gravoso percorso che ha visto il Paese spesso isolato, determinato nel perseguire un proprio sviluppo in totale autonomia, senza mai indebitarsi con l’estero, costruendo in trent’anni ben 800 tra dighe e bacini e portando il verde laddove aveva sempre regnato la siccità, garantendo ai propri figli cure mediche ed istruzione scolastica gratuite; nonché unico Paese africano, a sottolineare ancor più la sua totale estraneità dal dettato del Washington consensus, al di fuori del dispositivo NATO-AFRICOM. Tutte queste cose hanno potuto vivere ed imparare i giovani eritrei stando insieme per cinque giorni con la generazione dei Tegadelti, e per quel poco che può valere la mia parola posso garantire a chiunque mi legga quanta emozione e quanto interesse provassero questi ragazzi ad ascoltare le loro parole, ad incontrarli girando per i corridoi o per le sale, o a condividere con loro i pasti, a colazione, pranzo e cena. Basti pensare all’interesse suscitato dalle parole dell’Ambasciatore dello Stato di Eritrea in Italia, Fessahazion Pietros, durante il suo discorso d’apertura, dove ha spiegato ai giovani l’importanza del loro ruolo, perché oggi è il loro momento, e sulle loro spalle ricadrà il compito di portare sempre avanti la causa del proprio Paese e della propria Comunità nel mondo. Durante il suo dettagliato ed apprezzato discorso, l’Ambasciatore ha spiegato le sfide e le priorità politiche del paese, sia nell’ambito interno che internazionale, il perché delle scelte perseguite fin dalla conquista dell’Indipendenza per assicurarne piena autonomia ed autosufficienza, la comune identità col resto del mondo progressista in un’ottica di sempre disinteressato amore per la propria appartenenza di Patria. Sono poi seguiti, nei vari giorni di svolgimento della Conferenza, altri vari importanti seminari politici, tenuti da altre importanti figure, da Suleman Hassen, ad Aura Habtezion, da Natnael Amanuel a Sirak Bahlbi, da Habel Woldemichael a Yohana Tesfamariam, da Ahmed Bening a numerosi altri ancora, compresi ospiti italiani come il Dr. Alvise Tosoni, medico pediatra che da tempo porta avanti il suo apprezzato e prezioso impegno con l’Ospedale Orotta di Asmara. Tutti questi interventi vertevano su temi fondanti per l’identità culturale e politica eritrea, come la storia del Paese e i valori della sua Carta Nazionale, il rapporto tra individualismo e collettivismo, l’importanza dell’organizzazione nazionale e del YPFDJ, la globalizzazione e le sue sfide, il rapporto all’estero tra nativi, adottati e nuovi arrivati, le radici della radicalizzazione e il percorso verso il Panafricanismo, fino alle opportunità e alle priorità della Diaspora. Durante tutti questi lavori, come dicevamo, non sono mancati momenti dedicati allo sport, all’intrattenimento culturale, alla recitazione, alla poesia, fino alle premiazioni dei più meritevoli. Di particolare significato evocativo, ancora, era una mostra dedicata alle immagini create da un bravo e noto artista eritreo come Mussie Abraha. E’ stato dunque un evento di grandissima e memorabile importanza, e certamente anche per il nostro paese rappresenta un onore averlo ospitato: l’Italia, infatti, vede come parte integrante della sua società una delle comunità eritree di più antica data, con cui le sue istituzioni collaborano da sempre con reciproca ed armonica soddisfazione. Diversamente da altri Paesi europei, tolti alcuni fatti avvenuti anni fa e che fortunatamente non hanno poi avuto seguito, in Italia non si sono mai viste le incursioni di certi facinorosi o di altre figure malevole decise a mettere a repentaglio la sicurezza delle famiglie eritree che partecipavano ai loro festival o ai vari eventi di comunità. Al massimo, solo qualche giornalista di piccolo cabotaggio, che veniva a fare qualche insinuazione, ma nulla di che. Anche in occasione della recente visita del Presidente eritreo Isaias Afewerki, rimasto per numerosi giorni a Roma oltre a compiere varie visite in Toscana ed Umbria tra gennaio e febbraio scorsi, mai si sono visti questi gruppetti di violenti o d’intriganti che invece sempre compaiono in Germania, in Olanda, in Scandinavia e in altri Paesi, spesso sostenuti o coperti da molti politici e giornalisti locali, soliti apparire allorché le comunità eritree tengono i loro festeggiamenti. Insomma, pur con tutti i suoi difetti, che certo noi italiani abbiamo ben presente, dobbiamo però allo stesso tempo riconoscere che l’Italia ha anche tanti pregi, da cui molti Paesi nordeuropei possono decisamente trarre anche qualche buon esempio: ce lo ricordano pure gli amici eritrei, nostri amici e fratelli. |
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Settembre 2024
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