Quello che è successo in Eritrea nel periodo che va fra le fasi finali dell'ultima guerra con l'Etiopia e l'emissione del verdetto della Commissione Confini è stato senza mezzi termini un tentativo di colpo di stato che, seppur condotto in maniera incruenta e mascherato da azione pseudo progressista per una Eritrea più moderna e democratica, in realtà era stato ben orchestrato e appoggiato da forze esterne miranti non al benessere del paese, ma al rovesciamento del governo legittimo ritenuto troppo intransigente.
Il tentativo, che fu portato avanti da una compagine governativa minoritaria eritrea che aveva ceduto alle lusinghe e alle promesse di agenti esterni al paese vicini agli interessi del governo etiopico, si concluse come è noto con l'arresto dei maggiori responsabili del tentativo di sovvertimento delle istituzioni, la soppressione di alcuni dicasteri e un riassetto generale del governo. La crisi, non a caso indotta in un momento estremamente delicato per l’Eritrea, provocò due distinte reazioni: Gli eritrei, pur provati dalla incredibile efferatezza di un gesto così inaspettato e portato avanti da personaggi che godevano di pubblica stima per il loro valore nella guerra di liberazione, per la loro personalità e l’importanza dell’incarico rivestito, trovarono la capacità di reagire anche a quel tradimento, traendone anzi nuova forza e volontà di coesione con i suoi legittimi rappresentanti governativi. Mentre allo stesso tempo alcuni osservatori stranieri, che frequentavano, appoggiavano e stimavano i protagonisti del tentato "golpe bianco", condividendone la amicizia personale, gli interessi, i programmi politici e l’orientamento filo-etiopico, accusarono il colpo e da amici dell’Eritrea si trasformarono in nemici giurati del presidente Isaias e del suo governo il quale, grazie all’appoggio popolare incondizionato, era riuscito a stroncare i loro piani.
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Settembre 2024
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