Prof. Asmarom Legesse
Per conto dei Cittadini per la Pace in Eritrea Asmara, Eritrea, 11 gennaio 1999 Antefatto Una crisi dei diritti umani si profila in modo preoccupante all’orizzonte nel Corno d’Africa, a seguito dell’effetto del conflitto di confine fra l’Etiopia e l’Eritrea: dallo scoppio delle ostilità nel maggio 1998, cittadini etiopici di origine eritrea ed Eritrei residenti in Etiopia sono stati e sono tuttora deportati in Eritrea in ragione di circa 7000 persone al mese. Lo scopo di questo studio è di esaminare se e che tipo di violazioni di diritti umani sono state commesse nel corso di quelle deportazioni. La causa immediata della guerra è stata una disputa di confine in cui entrambi i paesi hanno rivendicato territori lungo una linea di frontiera internazionale, stabilita nella prima parte di questo secolo da una serie di trattati fra i governi di Etiopia ed Italia – la potenza coloniale che allora aveva il controllo dell’Eritrea. Intensi negoziati sono ora in corso all’interno dell’Organizzazione dell’Unità Africana che sta conducendo tentativi di mediazione per portare entrambe le parti a concordare sui termini in base a cui il confine internazionale può essere demarcato sul terreno. Deportazioni di massa illegali dall’Etiopia. Il trattamento dei civili in situazioni di guerra è regolato da patti e convenzioni delle Nazioni Unite. Le deportazioni di massa dall’Etiopia sono il frutto di una politica deliberata e dichiarata che fu chiaramente enunciata dal Primo Ministro Melles Zenawi come diritto incontestabile del suo governo . Comunque, i nostri dati rivelano che la deportazione degli Eritrei e il modo in cui viene condotta viola la Carta delle Nazioni Unite sui Diritti Umani, la Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici (ICCPR), la Convenzione sui Diritti del Bambino e le Convenzioni di Ginevra. In contrasto con le deportazioni di massa da parte dell’Etiopia, l’Eritrea segue una politica dichiarata di non vessazione ed espulsione della numerosa popolazione etiopica che vive sul suo territorio. Quando l’Etiopia ha imposto un embargo ai porti eritrei nel maggio del 1998 - porti che rappresentavano, fino ad allora, i principali sbocchi al mare dell’Etiopia - la numerosissima popolazione etiopica che viveva nel porto di Assab si trovò ad essere disoccupata e cominciò a ritornare in Etiopia. Poiché alcuni di questi rientrati nel loro paese dichiaravano, mentendo, che erano stati vessati, derubati, violentati ed espulsi con la forza dall’Eritrea, il paese chiese al Comitato Internazionale della Croce Rossa (ICRC) di indagare sull’ intera procedura in base a cui gli Etiopici si allontanano volontariamente dall’Eritrea. Tale procedura è in atto da parecchi mesi, dall’agosto 1998. L’ Etiopia successivamente ha dichiarato che una simile procedura veniva attuata da parte etiopica ma l’ICRC, in un messaggio rivolto all’ambasciatore eritreo ad Addis Abbeba, affermò che non c’era nessuna procedura del genere che era stato consentito loro d’indagare. L’Eritrea ha aderito al suo rigoroso codice di condotta durante tutta l’attuale “crisi di confine”. Ha invitato o consentito ad osservatori indipendenti come l’ICRC, Amnesty International, Africa Watch, gli organismi delle Nazioni Unite in Eritrea, la rappresentanza dell’Unione Europea in Eritrea e la Commissione delle Nazioni Unite per i Diritti Umani di verificare la situazione degli Etiopici in Eritrea e di stabilire se sono oggetto di vessazioni e deportazioni forzate oppure no. L’ EPLF, cioè il fronte che ha liberato l’Eritrea e ha instaurato lo stato indipendente, ha aderito al suo consolidato codice di condotta per quanto attiene agli standard etici da mantenersi in tempo di guerra. Oggi il governo dell’Eritrea mantiene tali standard non perché vincolato dalla pressione internazionale o a causa delle convenzioni internazionali a cui partecipa, ma perché le antiche e al contempo rivoluzionarie tradizioni della norma di legge lo spingono verso questo tipo di condotta.
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Settembre 2024
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