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ERITREA ETIOPIA

WHO'S WHO NEL CORNO D'AFRICA E IN MEDIORIENTE - Il manifesto e il Fatto Quotidiano fuori dal seminato

15/3/2017

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Eritrea delenda est

​...Difendendo il solco tracciato da Dipartimento di Stato, Cia, Pentagono, FMI e, in subordine, UE, il “manifesto” non perde occasione per picchiare sull’Eritrea, unico Stato africano che rifiuta sia l’FMI, sia la Cia, il Pentagono e il Dipartimento di Stato, negando a questi stupratori di nazioni e popoli basi militari, economiche e Ong.

Per gli argomenti, mai di sua diretta conoscenza,  al “manifesto” bastano gli input delle solite vivandiere umanitarie dei lanzichenecchi Nato: Amnesty International, Human Rights Watch, USAID, Obama, Laura Boldrini e quello squinternato di Pippo Civati che, forse non sapendo nemmeno dove si trova l’Eritrea, s’è voluto guadagnare un buffetto della Commissione dei diritti umani dell’ONU importunando il parlamento con una sua mozioncella all’acido solforico contro quel paese.

Paese al quale, a partire da noi colonizzatori, britannici, statunitensi, e  russi e cubani che si schierarono con il suo aggressore e occupante, non avrebbero che da chiedere scusa.

L’Etiopia è il gigante del Corno d’Africa. A sud s’è mangiata, su commissione Usa, un bel pezzo di Somalia, contribuendo con la “comunità internazionale” a sfasciare totalmente quel paese (altra nostra colonia, saccheggiata e poi avvelenata a morte con i rifiuti nucleari e tossici di cui Ilaria Alpi).

A nord continua a occupare terre eritree. Ora quella “comunità”, tramite sicari africani riuniti nella spedizione “Afrisom” e raid Usa su villaggi, scuole, funerali e matrimoni, insiste a tenere il paese in condizioni di Stato fallito e popolo morente.

​Resistono, dopo la decimazione di altre resistenze, la formazioni islamiche degli Al Shabaab, presenti con operazioni militari in tutto il paese e contro le centrali estere dell’aggressione. Resistenza opportunamente satanizzata.
Quanto a satanizzazioni, l’Eritrea non ha nulla da invidiare alla Somalia. Ma nessuno è ancora risuscito a metterle le mani addosso. E neanche gli scarponi. Segno evidente di una forte coesione e convinzione nazionale. Alle criminalizzazioni e punizioni collettive sfugge invece l’Etiopia.

Lasciata dall’Italia di Mussolini, Badoglio e Graziani in un oceano di sangue, quel popolo, in cui un paio di etnie, Amhara e Tigrini, spadroneggiano da sempre sulle altre, valendosi del sostegno neocolonialista delle potenze, è tanto governato da una successione di despoti sanguinari, da Haile Selassiè a Menghistu a Meles Zenawi all’attuale Dessalegn, quanto è amato, coccolato, armato e incitato al mercenariato contro i paesi vicini, dalla solita “comunità internazionale, Usa, Ue e Israele in testa.


Etiopia pasto nudo

Frequentatori e cicisbei abituali anche i nostri. Di casa sono Mattarella, Renzi, Pittella (quello della Commissione UE), Ong varie. Partecipano  al banchetto offerto dal regime agli amici. Le pietanze, in questo caso, sono le proprie popolazioni e il loro habitat. Quelle escluse, Oromo in testa.

Escluse anche dai territori ancestrali dai rapinatori di terre (indiani, cinesi, sauditi), costruttori di dighe (Impregilo-Salini), coltivatori di monoculture alla Monsanto, forze armate straniere con le loro basi. Il regime etiopico ricompensa tanta grazia, assaltando ogni tanto, su suggerimento Usa, qualche vicino. Dallo sceiccato ai suoi piedi, Gibuti, colonia e presidio militare francese e ora anche Nato, arrivano armi e ordini di servizio.

Dell’Etiopia, però, nessuno parla male. Neanche i missionari comboniani, un po’ perché hanno le mani piene del sabotaggio perenne del Sudan, e un po’ perché gli etiopi, essendo in maggioranza copti, offrono poco ascolto. E, venendo allo strappo operato oggi dal “manifesto”, dell’Etiopia invece parla male, come vorrebbe la ragione sociale che vanta, il “quotidiano comunista”.

Merito della sciagura costruita con grande impegno dalle autorità di Addis Abeba (“Nuovo fiore”) per rimuovere dalla faccia del paese la presenza ingombrante, oltre a quella dei villaggi da bruciare per far posto ai bacini dell’Impregilo, dei morti di fame accalcati in capanne di cartone alla base di Koshe (sporcizia), la più grande discarica del paese, forse dell’Africa.

E’ crollata mentre ci volevano costruire sopra un “perfezionamento” ulteriore dell’ambiente, un inceneritore. Al momento hanno estratto 65 morti di fame. Altri ne usciranno, dalla Koshe.

E “il manifesto”, con Marco Boccitto, questa tragedia, questo crimine, li ha scritti. E non nel solito trafiletto, o nella solita  rubrichetta  vedo e non vedo. E non ha perso l’occasione per aggiungere altre sciagure e altre nefandezze di uno dei regimi più chiavica del continente. Chapeau.

Purché non provi ora a riequilibrare a favore di Renzi, Mattarella, Pittella, Impregilo, Usa e Onu, tornando alla sua maniera sul tema Eritrea. Senza dubbio gli sponsor del giornalino povero diventato ricco e patinato, glielo chiederanno.

​da Fulvio Grimaldi
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