Di Ternafi Hadelibi | 7 gennaio 2025
Quando parliamo di panafricanismo, spesso evochiamo visioni di sovranità, resilienza e un fronte africano unito contro l'imperialismo. Tuttavia, in questa narrazione persiste un'omissione evidente: l'Eritrea. Nonostante incarni l'essenza degli ideali panafricani (autosufficienza, indipendenza e resistenza incrollabile al dominio straniero), l'Eritrea rimane marginalizzata nel discorso. Perché una nazione così risoluta nel suo impegno per la sovranità africana viene trascurata da coloro che affermano di sostenere la stessa causa? Per comprendere la posizione dell'Eritrea, dobbiamo iniziare dalla sua straordinaria storia. Il Fronte di liberazione popolare eritreo (EPLF), una forza rivoluzionaria senza pari in Africa, ha condotto l'Eritrea all'indipendenza attraverso la pura volontà e la brillantezza strategica. L'EPLF non solo smantellò il regime Derg dell'Etiopia, un'entità militare pesantemente armata dall'Unione Sovietica, ma superò anche le precedenti ambizioni imperiali dell'imperatore Haile Selassie sostenuto dagli Stati Uniti e dal Regno Unito. Dopo l'indipendenza nel 1991, l'Eritrea affrontò il Fronte di liberazione popolare del Tigray (TPLF), che un tempo era stato suo alleato ma che in seguito divenne un regime sostenuto dall'Occidente intenzionato a destabilizzare il Corno d'Africa. Contro questa formidabile opposizione, l'Eritrea prevalse, mantenendo la sua sovranità mentre sopportava sanzioni, demonizzazione e provocazioni militari. Vivere il sogno panafricano L'Eritrea non si limita a predicare il panafricanismo; lo vive. Sotto il governo dell'EPLF, il paese adottò politiche che furono rivoluzionarie per l'Africa. Molto prima che diventasse di moda discutere di uguaglianza di genere nella leadership, l'EPLF aveva donne al servizio in combattimento e nell'amministrazione, rimodellando le norme di genere in una regione profondamente patriarcale. L'istruzione e l'assistenza sanitaria furono considerate prioritarie nelle aree liberate durante la lotta per l'indipendenza e in seguito istituzionalizzate nella politica nazionale. A differenza di molti stati africani postcoloniali che adottarono le lingue dei loro colonizzatori, l'Eritrea scelse una strada diversa, riconoscendo ufficialmente tutte le sue nove lingue etniche. Questa non era solo una politica linguistica; era una dichiarazione di unità nella diversità, una dichiarazione che nessun gruppo avrebbe dominato un altro sotto le mentite spoglie dell'"unità nazionale". Il rifiuto dell'Eritrea agli aiuti esteri, spesso un cavallo di Troia per il controllo neocoloniale, sottolinea ulteriormente il suo impegno per una vera sovranità. Invece di aiuti, l'Eritrea ha investito nell'autosufficienza, promuovendo un ethos che molte nazioni africane devono ancora abbracciare e realizzare pienamente. Demonizzazione da parte dell'Occidente L'indipendenza dell'Eritrea ha avuto un costo elevato, in gran parte perché si è rifiutata di giocare secondo le regole dell'egemonia occidentale. Il rifiuto del paese di accettare aiuti con vincoli, la sua insistenza nel risolvere i problemi africani attraverso soluzioni africane e il suo fermo impegno per una politica non allineata e un approccio indipendente lo hanno reso un bersaglio implacabile di ostilità. La famosa osservazione di Hillary Clinton, che definisce l'Eritrea come un "cattivo esempio di buona governance", riassume perfettamente la paura dell'Occidente di uno stato africano indipendente che traccia la propria rotta. Sono seguite sanzioni, campagne di disinformazione e tentativi di isolare l'Eritrea. La narrazione spinta dai media occidentali ritrae l'Eritrea come uno stato paria autoritario, ignorandone opportunamente i risultati e la resilienza. Questa campagna diffamatoria si è infiltrata nei circoli africani, dove persino alcuni intellettuali e movimenti panafricani hanno adottato l'immagine distorta creata dall'Occidente. Perché il silenzio dei panafricanisti? Il silenzio che circonda l'Eritrea nei circoli panafricani è sia sconcertante che preoccupante. Mentre i recenti movimenti anti-imperialisti nell'Africa occidentale, come quelli in Burkina Faso, Mali e Niger, meritano di essere celebrati, è l'Eritrea che da tempo è la stella polare dell'autodeterminazione africana. Decenni prima che queste nazioni iniziassero le loro lotte contro il neocolonialismo, l'Eritrea stava combattendo - e vincendo - contro probabilità ben maggiori. Eppure l'Eritrea è raramente riconosciuta come un esempio panafricano. Questa svista deriva probabilmente dall'influenza pervasiva delle narrazioni occidentali, che sono riuscite a inquadrare l'Eritrea come uno stato canaglia. È più facile allinearsi alla caricatura dell'Occidente sull'Eritrea che valutare criticamente le sue politiche e riconoscere il suo contributo all'indipendenza africana. Eritrea: un faro per l'Africa L'esperienza dell'Eritrea contiene lezioni inestimabili per l'Africa. La sua posizione incrollabile sulla sovranità ci ricorda che la vera indipendenza richiede sacrifici. Il suo impegno per l'autosufficienza dimostra che rifiutare gli aiuti esteri non è solo possibile, ma essenziale per uno sviluppo sostenibile. Il suo riconoscimento della diversità etnica e culturale sottolinea l'importanza dell'unità senza cancellazione. La dichiarazione del presidente Isaias Afwerki secondo cui "l'Eritrea non è in vendita" cattura l'essenza della filosofia del paese. È una filosofia che le nazioni africane devono abbracciare se vogliono liberarsi da secoli di sfruttamento e dipendenza. La resilienza dell'Eritrea, nonostante l'ostilità senza pari, è la prova che un'Africa autosufficiente non è un sogno irrealizzabile, ma una realtà tangibile. La storia dell'Eritrea è la storia dell'Africa Se il panafricanismo deve avere credibilità, deve riconoscere e celebrare i contributi dell'Eritrea. Ignorare l'Eritrea mentre si lodano nazioni che stanno appena iniziando il loro percorso anti-imperialista è un disservizio agli ideali stessi del panafricanismo. È tempo di affrontare le narrazioni che hanno messo da parte l'Eritrea e di dare a questa nazione il suo legittimo posto in prima linea nel movimento. La storia dell'Eritrea non è solo la sua; è la storia dell'Africa. Una storia di lotta, resilienza e incrollabile ricerca dell'indipendenza. È tempo che la raccontiamo come tale. da The Mesob Journal
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ROMA\ aise\ - “Lietissimo di rappresentare l'Italia in Eritrea, anche alla luce dei profondi legami storici esistenti tra i due Paesi”. Queste le prime parole di Alfonso Di Riso nella sua veste di nuovo ambasciatore d’Italia ad Asmara.
“Il mio mandato sarà indirizzato a promuovere una sincera e proficua collaborazione tra Roma e Asmara in tutti i settori di mutuo interesse”, ha assicurato Di Riso, al quale la Farnesina ha indirizzato le suecongratulazioni con un tweet. Nato nel 1965 a Napoli, dove si laurea in giurisprudenza e in scienze politiche, Alfonso Di Riso entra in carriera diplomatica nel 1997. Il suo primo incarico è al Contenzioso Diplomatico, Trattati e Affari Legislativi. Nel 2000 è secondo segretario commerciale a Kuala Lumpur, dove è confermato con funzioni di primo segretario commerciale. Nel 2003 è primo segretario a Teheran, sino al 2007, anno in cui rientra a Roma alla Direzione Generale Personale. Consigliere ad Algeri nel 2009, è confermato nella stessa sede con funzioni di primo consigliere. Nel 2013 è nominato incaricato d’Affari con Lettere ad Abidjan – e poi ambasciatore -, accreditato, con credenziali di ambasciatore, anche a Niamey (Niger), a Ouagadougou (Burkina Faso), a Monrovia (Liberia) e a Freetown (Sierra Leone). Rientra alla Farnesina nel 2017 ed è nominato capo dell’Unità per le Relazioni sindacali e l’innovazione della Direzione Generale Risorse e Innovazione. Nel 2021 è ambasciatore a Jerevan e ora approda ad Asmara. (aise) Dal giorno 4 al giorno 6 di gennaio 2025 si è tenuta in Asmara una importante conferenza internazionale dal titolo International Conference on Eritrean Studies.
Moltissime le autorità accademiche presenti al convegno caratterizzato da un fitto e articolato programma di conferenze. Per maggiori dettagli fare riferimento alla pagina di Ghideon Musa Aron Di Sabrina Solomon
Il 14 dicembre 2024 Il Sig. Marco Mancini, ambasciatore d'Italia presso lo Stato di Eritrea, ha condiviso le sue intuizioni sulle relazioni bilaterali tra Eritrea e Italia durante una breve intervista con Eritrea Profile. Questa interazione ha segnato la conclusione del suo mandato di quattro anni ad Asmara, Eritrea. Di seguito alcuni estratti dall'intervista: Come valuterebbe lo stato generale delle relazioni bilaterali tra Italia ed Eritrea durante il suo mandato? Quali misure specifiche ha adottato per rafforzare questi legami, in particolare nel commercio, negli investimenti e negli scambi culturali? Sono in Eritrea da quattro anni e tre mesi, un periodo piuttosto significativo. Quando mia moglie e io siamo arrivati per la prima volta ad Asmara, il mondo era alle prese con una grave epidemia di COVID-19. Una volta placata la pandemia, ho iniziato a collaborare con le istituzioni governative locali e la Confederazione dei lavoratori. Il vero e sostanziale lavoro è iniziato dopo la pandemia. Uno dei nostri principali risultati è stata la riapertura di Casa Del Italiani, il centro socio-culturale di Asmara. Ciò è stato ottenuto con la piena collaborazione del governo. Abbiamo organizzato una serie di vivaci eventi culturali, tra cui proiezioni di film, mostre d'arte e altro ancora. Di conseguenza, il centro è diventato un fulcro vitale per lo scambio culturale e la cooperazione tra Italia ed Eritrea. Per quanto riguarda il commercio e gli investimenti, abbiamo avviato ampie discussioni con il governo. Sua Eccellenza, il presidente Isaias Afwerki, ha fatto riferimento, in un'intervista dell'anno scorso, alla stabilità prevalente e alla pace duratura dell'Eritrea. Credo fermamente che questi due elementi siano fondamentali per lo sviluppo sia sociale che politico. L'Eritrea è sull'orlo di importanti riforme, in particolare nello sviluppo delle infrastrutture e in altre opportunità chiave. Questo paese ha un immenso potenziale nella sua economia, industria e materie prime. Per noi investitori occidentali, avere un quadro giuridico chiaro è fondamentale per attrarre investimenti stranieri. Sono consapevole che il Ministero della Giustizia sta conducendo un'analisi approfondita su queste riforme legali. Questo, a mio avviso, è il prossimo passo cruciale. Gli scambi commerciali tra Eritrea e Italia sono in corso da molti anni, ma c'è ancora spazio per miglioramenti. Lo sviluppo industriale ed economico deve iniziare con passi incrementali e positivi. Non stiamo immaginando progetti enormi, ma piuttosto miglioramenti graduali. Inoltre, promuovere la crescita culturale attraverso Casa Del Italiani rimane una priorità fondamentale, poiché riflette la storia condivisa e l'armonia culturale tra le nostre nazioni. La visita del Presidente Isaias Afwerki in Italia nel gennaio 2025 ha segnato una pietra miliare significativa. Quali accordi o intese specifici questa visita ha contribuito ad approfondire le relazioni bilaterali? La visita del Presidente Isaias in Italia ha segnato una pietra miliare fondamentale nelle nostre relazioni bilaterali. Non solo Sua Eccellenza ha partecipato al Summit Italia-Africa nel 2024, ma ha anche trascorso più di 10 giorni in Italia, un evento senza precedenti. Questa visita è stata un'esperienza eccezionale sia per l'Italia che per la comunità internazionale. L'importanza di questa visita si è estesa oltre gli incontri con il Primo Ministro italiano e altri Ministri del governo. Sua Eccellenza ha anche preso l'iniziativa di visitare varie regioni in Italia, osservando diverse società di produzione, un tratto unico del suo stile di leadership. Tale impegno pratico gli ha permesso di tornare in Eritrea con una ricchezza di idee illuminanti. Per l'Italia e l'Eritrea, questa visita ha rappresentato l'inizio di una nuova era di collaborazione basata sul rispetto reciproco e sull'equità. Ha introdotto una nuova piattaforma per la cooperazione, enfatizzando il dialogo e la partnership piuttosto che le direttive unilaterali delle nazioni occidentali. Nel contesto di nazioni africane come l'Eritrea, questo approccio collaborativo si allinea con la loro necessità di progetti mirati e reciprocamente vantaggiosi. Sua Eccellenza il Presidente Isaias Afwerki ha abbracciato con entusiasmo questa nuova filosofia. L'agenda del Summit si sta evolvendo e abbiamo molti progetti in cantiere. Signor Ambasciatore, quali opportunità vede per un'ulteriore cooperazione economica tra i due paesi, in particolare in settori come l'agricoltura, le energie rinnovabili e il turismo? Potrebbe dare la priorità a iniziative o progetti specifici? Dopo la visita di Sua Eccellenza in Italia, il nostro Ministro per le Imprese Made in Italy ha intrapreso la sua prima missione operativa in Eritrea. È arrivato con un livello di responsabilità significativo, in rappresentanza di importanti gruppi italiani impegnati nei settori portuale, navale, ferroviario, agro-tecnologico e sanitario. Durante la sua visita, il Ministro ha tenuto un ampio incontro con il Presidente e altri Ministri, dove hanno discusso un'ampia gamma di questioni e potenziali collaborazioni. Più o meno nello stesso periodo, abbiamo ha accolto la visita della Presidenza della Commissione Affari Esteri e Difesa del Senato, guidata dalla Senatrice Stefania Craxi. Ha inoltre avuto colloqui con Sua Eccellenza il Presidente Isaias Afwerki, che hanno fornito una panoramica completa a 360 gradi delle relazioni bilaterali. A mio parere, questa visita è stata particolarmente significativa, in quanto ha gettato le basi per un'ulteriore cooperazione tra le due nazioni. Sia dal mio punto di vista che da quello dell'Ambasciata, sarebbe stato vantaggioso ospitare ulteriori visite di funzionari italiani. Tuttavia, l'attuale situazione globale è stata tumultuosa, con eventi internazionali come le crisi in Palestina e Ucraina che hanno interrotto gli impegni pianificati. Ad esempio, il Ministro della Difesa italiano aveva pianificato di visitare l'Eritrea, ma ha dovuto annullare la data proposta a causa di questi urgenti sviluppi internazionali. Nonostante queste sfide, rimango molto ottimista. Sono fiducioso che il prossimo anno porterà più opportunità per tali visite, aprendo la strada a una maggiore collaborazione e legami più profondi tra Italia ed Eritrea in settori economici chiave. Come vede l'Italia il ruolo dell'Eritrea nella promozione della pace e della stabilità regionale nel Corno d'Africa? In che modo l'Italia ha sostenuto questi sforzi? Quando gli ambasciatori completano le loro missioni, è consuetudine inviare una lettera di fine missione al Ministro degli Affari Esteri (italiano). Ho già scritto e spedito questa lettera e il suo obiettivo principale è quello di evidenziare l'Eritrea come un paese straordinariamente stabile nella regione. L'Eritrea è libera da conflitti, con confini sicuri e questa stabilità è di fondamentale importanza sia dal punto di vista politico che economico. Da un punto di vista economico, la stabilità è essenziale per attrarre investimenti esteri. È improbabile che gli investitori prendano in considerazione un paese afflitto da tumulti, conflitti o terrorismo. La stabilità dell'Eritrea la posiziona come un attore chiave nella stabilizzazione dell'intero Corno d'Africa. Osservando le attuali sfide in Etiopia, Sudan, Somalia e persino in Kenya, l'Eritrea si distingue come un faro di stabilità. La profonda comprensione del Presidente Isaias delle dinamiche regionali e la sua grande stima tra i leader vicini consolidano ulteriormente il ruolo cruciale dell'Eritrea. Sono in linea con la prospettiva del Presidente secondo cui la stabilità interna è un requisito fondamentale, poiché l'interferenza esterna spesso porta a instabilità e conflitti. La posizione geostrategica dell'Eritrea, con oltre 1.200 chilometri di costa lungo il Mar Rosso e abbondanti risorse naturali, ne accresce l'importanza. Dal punto di vista diplomatico, impegnarsi con l'Eritrea dovrebbe essere una priorità naturale, poiché svolge un ruolo fondamentale nella pace e nella sicurezza regionali. Sebbene vi siano aspetti che potrebbero essere migliorati, credo che da una prospettiva pragmatica e diplomatica, l'Eritrea meriti un maggiore riconoscimento da parte del mondo occidentale. L'Italia, in particolare, può e deve svolgere un ruolo più attivo nel promuovere questo impegno e sostenere i contributi dell'Eritrea alla stabilità regionale. In che modo l'Italia ha collaborato con l'Eritrea nei forum internazionali, in particolare all'interno dell'Unione Europea e delle Nazioni Unite? Quali obiettivi e priorità comuni hanno perseguito i due Paesi? Ricordo una discussione significativa due anni fa all'interno dell'Unione Europea tra gli Stati membri in merito all'imposizione di sanzioni. L'Italia si è distinta come uno dei pochi paesi che si opponeva fermamente alle sanzioni, sostenendo che erano controproducenti e del tutto inefficaci come strumento nelle relazioni internazionali, soprattutto per quanto riguarda paesi come l'Eritrea. Alla fine, le Nazioni Unite hanno revocato le sanzioni. Per noi, le sanzioni sono una misura diplomatica improduttiva. In casi estremi, possono essere ripristinate, ma solo come ultima risorsa. Nei miei rapporti, ho costantemente sottolineato che l'Eritrea è stata sanzionata sulla base di accuse non provate. La comunità internazionale riconosce che parti del confine eritreo con l'Etiopia appartengono all'Eritrea, non all'Etiopia. L'interesse dell'Italia a impegnarsi e collaborare con l'Eritrea rimane forte, anche se altri paesi membri potrebbero non condividere lo stesso entusiasmo. Considero questo un caso di miopia, un fallimento nell'apprezzare la prospettiva e il potenziale dell'Eritrea. Sebbene la stabilità politica sia essenziale, è altrettanto importante esplorare il potenziale delle materie prime dell'Eritrea, in particolare nei settori del petrolio e dell'energia. Ciò solleva una domanda critica: perché non investire qui? Naturalmente, entrambe le parti devono adottare le misure necessarie per rendere possibile questa collaborazione. Gli investitori italiani sono effettivamente interessati, ma hanno bisogno di un quadro giuridico chiaro per garantire che i loro investimenti siano tutelati. Stabilire questo quadro è il prossimo passo fondamentale. Nell'arena internazionale, l'Italia ha costantemente sostenuto l'Eritrea in vari aspetti a causa della natura unica delle nostre relazioni bilaterali. Questo supporto è radicato nel rispetto reciproco e nelle priorità condivise, mirando a rafforzare i legami politici, economici e culturali, promuovendo al contempo lo sviluppo e la collaborazione. Quali esperienze personali ha ve hai avuto con la cultura e la gente dell'Eritrea durante il tuo soggiorno qui? In che modo queste esperienze hanno arricchito la tua comprensione dell'Eritrea e della sua gente? Questa è la domanda più importante per me. In termini diplomatici, questo incarico è considerato un "incarico difficile", il che significa che dopo due anni, si può richiedere di tornare o trasferirsi in un altro paese. Quando siamo arrivati per la prima volta, ero un po' preoccupato per la situazione di mia moglie. Mentre io dovevo concentrarmi sul mio lavoro, lei era rimasta sola. Ma poi è successo qualcosa di straordinario: è sbocciato l'amore. Uso la parola "amore" intenzionalmente perché ci siamo veramente innamorati della gente dell'Eritrea. La vita qui è semplice. Non è priva di sfide, ma ciò che ci ha veramente toccato sono stati i sorrisi sui volti delle persone e i loro cuori allegri, anche in mezzo alle difficoltà. Ora, mentre ci prepariamo a tornare in Italia, ci ritroviamo paradossalmente apprensivi nel riprendere lo stile di vita frenetico e le abitudini stressanti che dominano la vita nel cosiddetto mondo occidentale "civilizzato". Qui in Eritrea, abbiamo ricevuto i preziosi doni del relax, del senso dell'ospitalità e di uno stile di vita più semplice. Ci mancheranno profondamente. Siamo sempre pronti ad accogliere gli amici che abbiamo fatto qui come ospiti onorevoli nel nostro paese ogni volta che ci visiteranno. Speriamo anche di tornare come turisti per assaporare i paesaggi mozzafiato dell'Eritrea, dai mari alle montagne, il suo clima piacevole e l'assenza di malattie gravi. Questo paese è davvero unico. La nostra ammirazione per il popolo eritreo, la sua cultura e le sue tradizioni, che, per molti versi, si armonizzano magnificamente con la cultura italiana, ha lasciato un segno indelebile nei nostri cuori. Signor Ambasciatore, mentre conclude il suo mandato, quali sono le sue speranze per il futuro delle relazioni tra Eritrea e Italia? Quale consiglio darebbe al suo successore per rafforzare ulteriormente questi legami? Sono profondamente ottimista sul futuro delle relazioni bilaterali e mi considero fortunato di aver collaborato con questo Governo. Spero che il mio messaggio sia stato chiaro: spesso è importante piantare un seme nel cuore e i suoi frutti spunteranno col tempo, anche dopo che te ne sarai andato. A mio avviso, il 2025 sarà un anno cruciale per le relazioni tra Eritrea e Italia. Per ora, il futuro è nelle mani del mio successore per il momento, finché non arriverà un nuovo ambasciatore, il signor Paulo Zampella, secondo segretario dell'ambasciata italiana, che è qui da due anni. È un brillante giovane diplomatico che, a mio parere, condivide i miei sentimenti e dimostra un forte impegno nel lavorare con il governo e il popolo eritreo. Credo fermamente che il prossimo anno segnerà una svolta nei nostri rapporti bilaterali. Qualche parola conclusiva, signor ambasciatore? Il mio messaggio più sentito è esprimere la mia gratitudine per i quattro anni di esperienze intense e inestimabili che ho vissuto qui. Mia moglie e io lasciamo l'Eritrea con il cuore pesante, ma portiamo con noi ricordi e amicizie durature. Speriamo di tornare come turisti per riconnetterci con le persone meravigliose che abbiamo incontrato. Grazie mille. da shabait È stato solennemente celebrato il 54° anniversario dei massacri di Ona e Beskedira, perpetrati dalle forze nemiche su centinaia di cittadini innocenti dei villaggi di Ona e Beskedira il 30 novembre 1970. Gli eventi commemorativi hanno avuto luogo nella moschea di Beskedira, dove avvenne il massacro, e nel cimitero di Ona, dove riposano le vittime.
Il 1° dicembre 1970 l'esercito #etiope massacrò più di 800 persone, tra cui donne incinte, bambini e anziani. Le truppe etiopi spararono indiscriminatamente agli abitanti dei villaggi, uccidendo esseri umani e animali. Le famiglie si scioglievano come plastica nelle fiamme nelle loro case. Il massacro fu una rappresaglia all'uccisione del generale etiope, Teshome Ergetu. Gli anziani di Keren, guidati dallo sceicco Abdulahi Said Bekri e molti altri notabili, andarono a incontrare il comandante dell'esercito etiope a Keren. Quando lo incontrarono, lo sceicco Said Abdullahi disse coraggiosamente: “Non ti stringeremo la mano perché la tua mano non è pulita. Il sangue degli innocenti è nelle tue mani. Siamo venuti a chiedere il permesso di seppellire i nostri fratelli e sorelle”. Il comandante concesse loro mezza giornata e mercoledì 2 dicembre 1970 gli abitanti di Keren si recarono a Ona, seppellirono i morti e trasportarono i feriti in ospedale. Testimoni oculari hanno detto che in una fossa furono sepolti 20-50 cadaveri. Il 30 novembre 1970, Besikdra, situata a 20 chilometri a nord-est di #Keren, fu presa di mira dall'esercito etiope per un omicidio di massa. Quel giorno, l'esercito ha aperto il fuoco contro la moschea del villaggio e ha ucciso 120 persone che avevano cercato rifugio in quello che ritenevano fosse il luogo più sicuro. Complessivamente nel villaggio sono stati uccisi 220 eritrei di tutte le età. NON DIMENTICHEREMO MAI! Fonte shabait Sulle implicazioni e ramificazioni dell'elezione del Presidente Donald Trump all'ordine globale il Presidente Isaias ha sottolineato che le previsioni e le analisi politiche devono basarsi sul quadro più ampio delle realtà globali e geopolitiche che si sono sviluppate negli ultimi tre decenni.
In questa prospettiva, la posizione politica distintiva del Presidente Trump, MAGA (Make America Great Again), contiene un riconoscimento implicito che gli Stati Uniti non sono la potenza dominante, in termini di parametri economici, militari, tecnologici e di influenza/soft power chiave, come previsto dagli architetti di un ordine mondiale unipolare il cui segno distintivo era il predominio inattaccabile e prepotente degli Stati Uniti in tutti i parametri determinanti e le manifestazioni di potere. Le politiche di contenimento degli Stati Uniti, principalmente orientate verso la Cina a causa della sua crescente preminenza nei settori economico e tecnologico e della crescente influenza internazionale, nonché contro la Russia, non hanno evidentemente raggiunto i loro obiettivi dichiarati. Ora è dubbio che le politiche protezionistiche previste invertiranno la tendenza. L'aspirazione della stragrande maggioranza dei popoli del mondo è per un nuovo ordine internazionale basato sulla giustizia e che promuova l'equità e il benessere collettivo dell'umanità; non architetture di confronto sotto la rubrica di bipolarità o multipolarità. All'interno di questo ampio quadro, e poiché non si può lanciare i dadi per decifrare, in questa fase iniziale, o mappare tutti i possibili scenari su come la politica dell'amministrazione Trump si svilupperà alla fine, sarebbe inappropriato trarre conclusioni premature. E mentre facciamo i compiti, dobbiamo sforzarci di promuovere un impegno costruttivo con una mente aperta. Sul conflitto in Sudan Il presidente Isaias ha sottolineato lo status regionale fondamentale del Sudan così come i suoi legami storici con l'Eritrea che risalgono al periodo della lotta di liberazione. I programmi religiosi, uniti alle interferenze esterne, hanno precipitato le crisi cicliche nel paese, culminate nella ribellione spontanea del 2019. Mentre la soluzione al conflitto in Sudan naturalmente spetta e rimane prerogativa sovrana del popolo sudanese, questo non può impedirci di dare contributi modesti a causa dei nostri legami storici e della politica generale di promozione di un vicinato stabile e sicuro. In questo spirito, l'Eritrea aveva originariamente presentato la sua proposta non controversa e ampiamente accettata a metà del 2022. Le linee generali della proposta prevedevano essenzialmente di affidare la transizione al Consiglio sovrano, che in effetti si era guadagnato il mandato, anche se solo per impostazione predefinita, e che avrebbe agito come un ponte verso un percorso sicuro per garantire che la situazione non sfuggisse al controllo. Ciò avrebbe anche impedito rivalità potenzialmente pericolose tra partiti e gruppi politici tradizionali frazionati. Il presidente Isaias ha inoltre sottolineato che la guerra, che non aveva alcuna logica in primo luogo e che è stata alimentata da interventi esterni, deve giungere a una fine immediata. Anche gli interventi esterni e la proliferazione di iniziative che essenzialmente esacerbano la tragica situazione devono giungere al termine. Gli sforzi devono essere diretti a coltivare il consenso nella regione. Sul vertice tripartito Eritrea, Egitto e Somalia Il presidente Isaias ha accennato alle intense campagne di distorsione e disinformazione diffuse sui media tradizionali e sui social media sull'evento da potenze/esperti esterni decisi a fomentare il conflitto nella regione. Queste non derivavano da una genuina preoccupazione per l'Etiopia. Lo schema prevedeva di ignorare o sorvolare deliberatamente sulle dimensioni vere e positive del vertice tripartito per coltivare il consenso per una stabilità regionale duratura. Gli interessi principali dell'Eritrea e le politiche costanti che ne conseguono si basano sulla promozione e il perseguimento di un programma di promozione della stabilità, della cooperazione e della complementarietà nel più ampio Corno d'Africa, nel bacino del Nilo e nel vicinato del Mar Rosso. L'Eritrea non ha infatti alcun interesse a destabilizzare l'Etiopia. Le consultazioni reciproche condotte a vari livelli tra i paesi del vicinato più ampio dissiperanno la sfiducia e creeranno un clima favorevole per un'interazione positiva e fruttuosa tra le parti costituenti. Sulla situazione in Etiopia e sulle divisioni all'interno della leadership del TPLF Il presidente Isaias ha sottolineato che concentrarsi su episodi e tendenze attuali isolati al di fuori del quadro politico sottostante non sarà fruttuoso. La causa principale delle tensioni e dei conflitti periodici in Etiopia e con i suoi vicini è la politica istituzionalizzata di polarizzazione etnica sancita dalla costituzione del 1994. Questa è una ricetta per una tensione perpetua e non può certamente promuovere la costruzione della nazione. E se l'Etiopia non è in pace con se stessa, non può contribuire positivamente alla stabilità regionale, alla cooperazione e alla complementarietà. La guerra di confine tra Eritrea ed Etiopia nel 1998 scoppiata su una presunta disputa a Badme ecc. era, in sostanza, un sottoprodotto o una conseguenza di questa politica fuorviante. La sacralità dei confini ereditati in Africa non è in effetti controversa. L'altra dimensione è, ovviamente, l'ingerenza esterna che, nel caso della guerra di confine, ha continuato ad aggravare il problema anche dopo che la questione è stata risolta tramite arbitrato finale e vincolante. La guerra scoppiata dopo l'insediamento di un nuovo governo federale con una politica di riforma pronunciata deve essere vista anche nello stesso contesto. Il TPLF ha respinto l'agenda di riforma e ha optato per la guerra che includeva l'attacco di oltre 70 obiettivi in Eritrea con razzi a lungo raggio. Le nostre suppliche affinché si astenessero dallo scatenare questa guerra sconsiderata non hanno avuto alcun effetto. E anche dopo l'accordo di Pretoria, abbiamo assistito a un nuovo ciclo di conflitti nella regione di Amhara. Senza entrare in dettagli estesi, non abbiamo alcun interesse a divagare in accuse aspre. La nostra preoccupazione principale è sempre stata quella di prevenire ed evitare guerre costose. In questo spirito, non perderemo la speranza e dobbiamo lavorare per promuovere stabilità, cooperazione e complementarietà nella regione. Anche perché questi problemi derivano essenzialmente da e servono programmi esterni. Sui programmi di sviluppo nazionali Il presidente Isaias ha elaborato in modo più dettagliato le priorità di sviluppo del GOE, nonché progetti e piani operativi nei settori critici delle infrastrutture idriche, energia, edilizia abitativa, trasporto su strada e investimenti per il 2025. Nelle infrastrutture idriche, il presidente Isaias ha descritto gli estesi programmi di conservazione dell'acqua a livello nazionale che sono stati implementati negli ultimi anni, che includono grandi dighe con 330 milioni di metri cubi e un'ampia rete di dighe più piccole e bacini idrici. Questi sono stati accompagnati da rigorosi programmi di rimboschimento. I piani operativi per il 2025 e oltre includono l'espansione degli schemi di irrigazione. Nell'energia, l'approccio del GOE si è incentrato sull'installazione di sistemi ibridi termici, solari, eolici e geotermici. Le società di costruzione saranno ristrutturate per una migliore implementazione di nuovi schemi abitativi. Allo stesso modo, il Governo investirà nell'acquisto di autobus che serviranno, in particolare, le aree degradate, a prezzi sovvenzionati. Il Governo raddoppierà anche i suoi sforzi per rivitalizzare il settore manifatturiero orientato al valore aggiunto. Negli investimenti, il GOE incoraggerà gli investimenti privati locali e in particolare quelli della diaspora, che potrebbero avere migliori capacità finanziarie, non solo nel settore dell'ospitalità tradizionale, ma anche in agricoltura, produzione, estrazione mineraria, ecc. Nota dell'editore. Questo articolo è originariamente apparso online su IDLprocycling.com un sito web di proprietà di Valkering Media B.V., una società di media olandese con sede ad Amsterdam, autore di Hendrik Boermans. IDLprocycling.com è una fonte leader per le notizie sul ciclismo, con interviste ai piloti, aggiornamenti delle gare e calendari degli eventi. Questa è stata una stagione da ricordare per Biniam Girmay, che ha vinto tre tappe al Tour de France e si è assicurato la maglia a punti. Dopo essere diventato il primo africano nero a vincere un classico a Gent-Wevelgem (Belgio) nel 2022, quest'anno ha fatto la storia diventando il primo africano nero a vincere una tappa del Tour. Questi traguardi sono monumentali, e mentre riempiono di orgoglio la stella eritrea, lui rimane umile: "So da dove vengo. ” Il pilota Intermarché-Wanty ripercorre un anno fantastico. "Soprattutto una grande estate, un grande Tour de France con tanti successi e grandi ricordi", ha raccontato a Marca in Giappone durante il Criterium di Saitama, dove ha vinto lo sprint da Primoz Roglic "impressionantemente. ” Girmay riflette ulteriormente sul suo Tour: “È difficile da comprendere. Ma non sono sicuro che questo sia il momento più bello della mia vita, perché è stato quando è nata mia figlia. Ma dopo sì, in termini di sport, queste sono le migliori vittorie. ” L'impatto globale del Tour: "Ti dà supporto da tutto il mondo" L'influenza del Tour de France si estende ben oltre l'Europa, raggiungendo anche la patria di Girmay in Eritrea. "Anche a casa, nel mio paese, alcune persone conoscono solo il Tour. Per vincere le tappe del Tour e vincere una maglia verde, hai supporto in tutto il mondo, quindi per me sento che questo è cambiato molto", ha raccontato in un'intervista a Cyclingnews. Durante quella fase, una combinazione di circostanze permise a Girmay di inseguire il suo successo personale. La sua svolta sulla scena mondiale ha avuto un po' di "fortuna". "Il mio piano era quello di essere un po' in testa sui palchi davvero piatti", ma a causa di un incidente, Girmay ha avuto la possibilità di correre da solo durante la terza fase. Il messaggio che è arrivato via radio a Girmay è stato: "Ok, concentrati su te stesso e fai del tuo meglio. ” Ed è esattamente quello che ha fatto l'eritreo. "E all'improvviso, sai, mi trovo nella posizione perfetta, e non so perché. Mi sono sentita super, super bene. Quando ho iniziato a sprint, la mia mente è in un posto che non puoi spiegare ora, perché come ho detto, non è il mio piano: il mio piano è semplicemente dare il piombo e non c'è stress. Perché per me, il mio lavoro è solo fare un buon inizio. Non mi interessa se vinco o perdo, perché quel giorno non è il mio lavoro. Ma sì, quando ho vinto a quella fase, è come se le cose fossero cambiate completamente. ” Il resto è storia. La popolarità di Girmay è immensa: "Questo è difficile quando hai così tanti fan" A 24 anni Girmay ha ottenuto la sua 16a vittoria, ma soprattutto ha fatto la storia con le sue vittorie al Tour. Anche se rimane umile, i suoi successi lo hanno reso un modello per il suo paese. "Non so se sono un modello per i giovani, ma penso che avere qualcuno del tuo paese che vince grandi gare sia bello. Può essere un'ispirazione. ” L'enorme popolarità di Girmay è dimostrata dai fan entusiasti che lo seguono ovunque. "I fan del mio paese sono molto appassionati. Il ciclismo è prevalente in Eritrea. ” Eppure, a volte, è impegnativo per il velocista godersi la sua pace. "Mi piace una vita serena, ma è difficile quando hai così tanti fan", ammette. Ad esempio, a volte ha indossato una maglia diversa per evitare di attirare troppa attenzione durante l'allenamento. "Amo che mi sostengano, ma è anche difficile. Questo sport richiede molto riposo. Devi allenarti, riposare e seguire programmi rigidi. Ma capisco anche che le persone sono così felici e vogliono incontrarmi. ” Girmay tiene entrambi i piedi per terra. In conversazione con Velo, Girmay ha elaborato un po' di più. Perché sebbene sia una grande star, preferisce tenere entrambi i piedi per terra. "Sono un cristiano ortodosso e, sì, siamo davvero religiosi. E mia figlia, la mia famiglia... non riguarda solo te stesso, il successo, ma anche le [persone] dietro di te, ti spingono a raggiungere il tuo obiettivo, o ti aiutano a trovare il tuo obiettivo. Sono fortunato ad avere accanto una bella famiglia e persone Ad essere onesti, mia moglie... Sono sempre lontano da casa... lei [fa] tutto per me al 100%. Allenamento, nutrizione, recupero... Se lavori duro, sicuramente, un giorno ti ripaga. ” Girmay è tenuto in grande considerazione, fondamentalmente da tutto il ciclismo. Niente parolacce, niente razzismo, niente oppressione. "Sono sempre stato trattato bene ovunque mi trovassi, anche se in altri sport abbiamo assistito a incidenti del genere. Nel ciclismo, è proprio il contrario. ” E questo è molto positivo. Per il futuro, Girmay spera in più ciclisti africani di punta nel pelotone. "Non so se accadrà presto, ma continuiamo a sperare. ” Girmay: "Ho già realizzato ciò che non ho mai osato sognare" i suoi obiettivi sono chiari sul suo futuro: "Voglio vincere più tappe nel Tour, ma c'è anche molto da migliorare. Cavalcare diverse gare mi ha aiutato a mettere insieme piccoli dettagli. Quindi, per me, il mio cuore è ancora... Voglio fare qualcosa di meglio. Sanremo, Fiandre e Roubaix. È abbastanza dura ma i classici della primavera voglio davvero migliorare il mio risultato. Quindi ci sto davvero lavorando e spero un giorno di riuscire a raggiungere il mio obiettivo. ” Parlando alle notizie del ciclismo, Girmay ha condiviso le sue idee sull'andare verso il 2025 con un altro tipo di pressione. “So da dove vengo... So cosa devo fare, quindi conosco il mio potenziale ma non voglio aspettarmi, come vincere cinque tappe. A me non importa se vinco due tappe per l'anno prossimo, o una tappa o non vinco verde. Ho già avuto quello che non avevo mai sognato prima. ” di Daniel Wedi Korbaria
Ultimamente mi stanno accadendo cose davvero molto strane che mi suggeriscono l’idea di lasciare definitivamente l’Italia. Dopo il caso del giornalista delatore che mi ha fatto cacciare dal lavoro e la pugnalata alla schiena della giornalista che ritenevo un’amica[1], dopo il boicottaggio della CIGL di Catania che ha fatto saltare un incontro culturale[2] stavolta ho a che fare con la negazione dei miei diritti acquisiti. Premetto dicendo che da trent'anni vivo e lavoro in Italia, ho la fedina penale pulita e non ho mai preso un solo euro di aiuto dallo Stato. Sono un immigrato che non vi “pagherà la pensione”, ma tranquilli non l’avrò nemmeno io, poiché finora il Belpaese mi ha offerto solamente lavori al nero. In tutti questi anni dunque ho vissuto sulla mia pelle le peggiori leggi sull'immigrazione che i vari governi che si sono succeduti, per proprio tornaconto elettorale, hanno promulgato per complicarci l’esistenza. A cominciare da quella inutile e dannosa legge Bossi-Fini che, a suo tempo, ha reso clandestini migliaia di stranieri già presenti sul territorio italiano. Poi c’è stato bisogno di altri immigrati per fare quei lavori che gli italiani non volevano più fare e sono arrivati gli schiavi. Difatti negli ultimi 15 anni, a suon di “Accogliamoli tutti!” e “Porti aperti”, ne sono sbarcati oltre un milione. Buona parte di loro è finita in clandestinità, non si sa nemmeno dove si trovino. Di certo a migliaia hanno fatto la fortuna della Mafia vendendo la sua droga e prostituendosi sulle strade delle grandi città o hanno arricchito i feudatari agricoli e i loro caporali. L'ultima vicenda a pendermi sulla testa come una spada di Damocle, privandomi di tutti miei diritti, è stata quella che ha invalidato il mio permesso di soggiorno in formato cartaceo con scadenza a “tempo indeterminato” avuto nel 1995. Un permesso di soggiorno che non mi era piovuto dal cielo ma che mi spettava di diritto in quanto legalmente sposato ad una cittadina italiana. Mi trovavo in Eritrea in visita alla mia anziana madre quando il 3 agosto 2023 il mio permesso di soggiorno ha cessato la sua validità creandomi non pochi disagi al mio rientro all’aeroporto di Fiumicino dove sono stato fermato e quasi minacciato di non poter ritornare a casa da moglie e figlia italiane. Poi è iniziato un vero e proprio calvario burocratico. Dovevo semplicemente richiedere l’aggiornamento del titolo di soggiorno e mi sono recato presso gli uffici di Poste Italiane allo Sportello Amico per compilare il kit da inviare in Questura. Me ne avrebbero dato uno nuovo in formato elettronico ma, a seguito della legge 238/2021, il permesso UE per soggiornanti di lungo periodo non riporta più la dicitura “durata illimitata” ma ha la durata di dieci anni. “Questa durata è riferita esclusivamente alla validità del documento e non alla regolarità del soggiorno” viene ribadito sul sito della Polizia di Stato.[3] Sul sito si avverte altresì che con il permesso di soggiorno scaduto era “possibile viaggiare direttamente verso il paese d’origine e tornare in Italia, si potrebbero riscontrare alcuni problemi nel caso di viaggio o di scalo in un altro paese dell’area Schengen”. Quindi, dopo la brutta esperienza all’aeroporto di Fiumicino, ho preferito rinunciare a visitare i miei nipoti in Finlandia e in Svizzera augurandomi che nel frattempo non fosse successo nulla a mia madre in Eritrea. Mi sono sentito sotto sequestro! Dopo aver sborsato 70 euro tra costo del bollettino postale, marca da bollo e assicurata, il mio kit viene spedito alla Questura e il 31 agosto 2023 mi arriva un sms con l’appuntamento per il fotosegnalamento alla Questura per giugno 2024, cioè dieci mesi dopo. “Lo Stato, peggio che da noi, solo in Uganda!” cantava Giorgio Gaber nel 1992. Questa frase potrebbe oggi risultare offensiva per l’Uganda poiché è l'Italia post-Covid ad essere tornata indietro di 50 anni. Oggigiorno infatti non si riceve alcun servizio dalle varie amministrazioni senza un appuntamento online e per quello che una volta burocraticamente si sbrigava in un’unica giornata oggi servono almeno tre giorni. Ma alla Questura si esagera proprio! Arrivato il fatidico momento mi ci sono recato e mi hanno preso le impronte digitali non soltanto delle dieci dita ma persino dei palmi delle mani. Credevo di aver completato l’iter, invece salta fuori che mancava il certificato di residenza necessario per mandare avanti la pratica ma che tra i tanti documenti non era stato richiesto nel kit delle Poste. Così sono andato al mio Comune di residenza per poi tornare alla Questura (60 km). Dopo averlo consegnato, per ritirare mi è stato dato un appuntamento a tre mesi, arrivando al totale di un anno e un mese senza permesso di soggiorno. Finalmente il 3 ottobre, dopo aver atteso una buona oretta nella sala gremita di persone arrivate da ogni dove, mi chiamano per dirmi che “il permesso non è stato stampato” e che sarei dovuto ritornare dopo 20 giorni ma solo dopo aver controllato sul sito della Polizia di Stato che fosse presente la spunta verde. Il 25 ottobre la spunta era verde e così sono ritornato alla Questura dove, finalmente, un altro poliziotto apre la busta e mi consegna il mio permesso di soggiorno elettronico. Ma qui si presenta subito un problema. Il mio permesso scade nel 2028, cioè fra tre anni! Frastornato chiedo al poliziotto quale fosse il motivo e lui impassibile mi risponde “È la legge!” e mi spiega che la durata sarebbe di 5 anni ma che la conta partiva dal giorno in cui avevo inoltrato la richiesta del rinnovo. Cioè quasi un anno e mezzo in cui ho vissuto senza il documento e senza poter viaggiare veniva calcolato come se il documento l’avessi avuto? In più a me non spettava quello di lungo periodo con durata di dieci anni? Il poliziotto fa solo in tempo a dirmi che avrei dovuto superare prima un test di italiano perché dietro di me altre persone in fila già scalpitavano. Sarebbe stato inutile insistere dicendogli che conosco l'italiano meglio di tanti italiani e che in questi anni non solo ho pubblicato centinaia di articoli, saggi e inchieste giornalistiche ma anche due libri. Deluso e scoraggiato mi son chiesto che male avessi fatto nella vita per meritarmi tutta quella umiliazione. In quel momento mi son venuti alla mente i consigli dei tanti che mi avevano sempre detto “Ma perché non ti prendi la cittadinanza italiana?” Avevano ragione, la mia vita sarebbe stata senza dubbio più facile ma mai e poi mai avrei gettato la croce che a 25 anni avevo scelto di portare, ossia quella di vivere in Italia da “immigrato” con tutto il dolore e i sacrifici che ciò avrebbe comportato. E per coerenza avrei continuato ad essere un immigrato. Alla sua scadenza mi aspetta nuovamente tutta la trafila alle Poste per compilare il kit pagando altri 70 euro o più e un altro anno e mezzo senza documento. E chissà a quanti altri immigrati nelle mie stesse condizioni sarà capitato! Perciò vorrei sapere dal Ministro dell’Interno Piantedosi se questa legge non sia stata fatta apposta per incassare soldi facili da noi immigrati e sistemare così le casse dello Stato oppure se l’idea è quella di voler perennemente ricattarci con i documenti. Inoltre, se ad un immigrato di lungo periodo come il sottoscritto gli si fanno questi torti, cancellando da un giorno all’altro i suoi diritti acquisiti, mi chiedo che trattamento stiano riservando ai nuovi arrivati che non capiscono nemmeno la lingua. Quante possibilità avranno queste persone di integrarsi davvero o continueranno ad essere abbandonate all’arte di arrangiarsi? Si accoglieranno a oltranza altri immigrati giusto per tenere in piedi l’industria dell’Immigrazione che oramai conta più dipendenti della Fiat? Quando finirà questa ipocrisia che vi fa sentire tanto “buoni”? Daniel Wedi Korbaria, scrittore eritreo e panafricanista, è nato ad Asmara nel 1970 e vive e lavora in Italia dal 1995. Con i suoi libri, articoli e saggi pubblicati online e tradotti in inglese, francese, tedesco e norvegese si è battuto per offrire una voce alternativa ai racconti dei media mainstream italiani ed europei sull'immigrazione e il neo colonialismo. Nel 2019 ha pubblicato il suo primo romanzo "Mother Eritrea" e nel 2022 il saggio d'inchiesta "Inferno Immigrazione". Di prossima pubblicazione (2025) il suo romanzo sul colonialismo italiano in Eritrea. [1] I democratici intolleranti https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-i_democratici_intolleranti/39602_56724/ [2] L’immigrato più censurato d’Italia https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-limmigrato_pi_censurato_ditalia/39602_54047/ [3] Aggiornamento permessi di soggiorno di lungo periodo e permessi per familiari di cittadini dell’Unione Europea https://questure.poliziadistato.it/it/Brescia/articolo/138864411e6e419ad755678903 Il Saitama Criterium è un criterium di ciclismo su strada che si svolge ogni anno nella prefettura di Saitama, in Giappone.
È stato fondato nel 2013 dall'Amaury Sport Organisation, società che organizza anche il Tour de France: per questo motivo vi partecipano molti ciclisti di livello mondiale, che spesso hanno preso parte proprio alla corsa a tappe francese. Biniam Girmay succede a Tadej Pogacar nell’albo d’oro del Saitama Criterium. Dopo 61 chilometri pedalati sotto l'acqua, l’eritreo della Intermarché – Wanty, che oggi indossava la maglia verde della classifica a punti al Tour de France, ha anticipato sul traguardo il vincitore della Vuelta Espana Primož Roglič (Red Bull - BORA – hansgrohe) e Mark Cavendish (Astana Qazaqstan Team). Durante i diciassette giri del tracciato diversi gli atleti che hanno provato ad attaccare a più riprese guadagnando una manciata di secondi, tra questi Il tedesco John Degenkolb (Team dsm-firmenich PostNL), il francese Sandy Dujardin (TotalEnergies) i nipponici Tadaaki Nakai (Shimano Racing) e Yukiya Arashiro (Bahrain – Victorious), il giovane tedesco Emil Herzog (Red Bull - BORA – hansgrohe), il quattro volte vincitore del Tour de France Chris Froome e il vincitore della Vuelta Espana Primož Roglič, ultimo atleta ad essere raggiunto dal gruppo prima dello sprint conclusivo. Nella classifica dei traguardi volanti di giornata vittoria di Philipsen, mentre nella classifica degli scalatori il successo di giornata è andato a Bardet. LE PAROLE DEL VINCITORE «La pioggia ha reso tutto un po’ complicato, fortunatamente avendo corso molto in Belgio ho fatto esperienza e so che in situazioni del genere è importante stare davanti; oggi in particolare bisognava stare attenti e affrontare bene le varie curve del percorso. Roglic è andato in fuga e ha cercato di anticipare ma lo abbiamo ripreso a pochi metri dal traguardo e allora ho sprintato, ho vinto e sono davvero molto felice ». L’eritreo, parlando della sua stagione ha aggiunto: «È stata una annata fantastica in cui ho ottenuto molto di più di quello che mi sarei aspettato. In luglio specialmente, quando al Tour ho conquistato tre tappe e questa magnifica Maglia Verde a cui ora aggiungo questa vittoria qui a Saitama» ORDINE D'ARRIVO 1 1 *GIRMAY HAILU Biniam +00 IWA ERI 2 21 ROGLIC Primoz ' ' RBH SLO 3 35 CAVENDISH Mark ' ' AST GBR di Marilena Dolce
Affari Italiani In un contesto di scontri interni, il premier Abiy Ahmed chiede alla Presidente di rinunciare all’incarico prima della fine del mandato In Etiopia il premier Abiy Ahmed spinge alle dimissioni la presidente Sahle Work-Zewde È di questi giorni la pubblicazione di un rapporto Reuters sull’Etiopia che, ancora una volta, denuncia il furto degli aiuti alimentari Usaid, US Agency for International Development. Sacchi di grano che, anziché raggiungere la popolazione affamata e stremata da anni di guerre interne, vanno a beneficio dell’esercito federale o, peggio ancora, alimentano il mercato nero. Una situazione già nota e denunciata nel 2021, quando a parlare dei furti di grano è il direttore di Usaid Etiopia che punta il dito contro il Tplf, Tigray People’s Liberation Front. Problema ignorato allora, che si ripresenta a marzo di quest’anno e poi adesso, con maggior risalto mediatico e l’indagine di Usaid e Wfp, World Food Programme, su chi abbia organizzato i furti. Inutile sottolineare che a pagare per corruzione, ruberie e incapacità è la gente più povera che vive nelle zone critiche, perché ora l’invio di aiuti è stato bloccato, in attesa di trovare i colpevoli. Questo il triste quadro generale di uno dei più grandi paesi africani, secondo dopo la Nigeria per numero di abitanti, oltre 110 milioni di persone di cui 20 sull’orlo della fame e 3 milioni costretti a rifugiarsi nei campi per sfollati. Dopo il conflitto interno, iniziato nel 2020 e terminato nel 2022, tra governo federale e Tigray, la crisi economica ha sconvolto il paese, attraversato adesso da una gravissima inflazione che ha ridotto il potere d’acquisto della popolazione, rendendo insostenibile il costo della vita. Il Birr, la moneta ufficiale, non ha più valore, se non sostenuta dalle rimesse della diaspora. Tale condizione di fragilità è confermata da un recente rapporto dell’Undp, United Nations Development Programme e dell’Università di Oxford, che dice che in Etiopia il 72 per cento della popolazione vive in condizione di estrema povertà, mentre 86 milioni di abitanti su 120 lottano per la sopravvivenza. Autore del disastro economico e politico il premier Abiy Ahmed, fondatore del Partito della Prosperità, dal nome evocativo ma completamente scollegato dall’attuale realtà del paese, per nulla prospero. Nel 2018, poco dopo il suo insediamento, Abiy ricompone la politica interrotta per lungo tempo con l’Eritrea, ristabilendo buone relazioni con il paese vicino. Una scelta che l’anno dopo gli vale il premio Nobel per la pace. Ma mai pace fu così insicura. Nel 2020 il Tplf, ex partito di governo, ispiratore di una politica interna basata sull’appartenenza etnica, attacca la nuova coalizione colpendo le basi militari del paese nel Tigray. Si aprono due anni di lotte sanguinose che provocano oltre cinquecentomila morti e la devastazione delle regioni coinvolte. Nel 2023 a Pretoria l’Etiopia firma un accordo di pace che, come si usa dire, è la toppa peggio del buco. Il premier Abiy sceglie la strada del compromesso con il Tplf, ex nemico, escludendo di fatto dalle trattative alleati interni ed esteri, cioè regione Amhara ed Eritrea. Quanto promesso agli Amhara, che chiedevano il ripristino dei confini del proprio territorio, riportandolo alla situazione precedente all’arrivo al potere del Tplf, è rapidamente dimenticato. Una situazione che precipita in un nuovo sanguinoso conflitto interno, stavolta tra regione Amhara e Addis Abeba. Per questo gli amhara rinforzano le proprie milizie che di fatto diventano un esercito, i Fano, sostenuto dalla popolazione, 60 milioni di abitanti schierati contro i federali. Comincia così, drammatico ma in sordina, il nuovo conflitto che, diversamente dal precedente è del tutto ignorato dalla stampa internazionale. Il governo federale con il proprio esercito, ENDF, Ethiopian National Defense Force, composto per l’80 per cento da soldati oromo e per il restante da soldati provenienti dalle regioni a sud del paese, dichiara lo stato d’emergenza nella regione Amhara. Una condizione che avrebbe dovuto essere temporanea e che invece si prorogherà ad oltranza. Chi, ancora una volta, paga un prezzo altissimo, è la popolazione Amhara, come precedentemente la gente del Tigray in balia del Tplf. Le diverse associazioni per i diritti umani, compresa HRW, Human Rights Watch, denunciano l’attacco del governo Abiy parlando di crimini di guerra da parte dell’esercito federale, compreso l’uso dell’aviazione e di droni su obiettivi civili, persone, scuole, ospedali. Le aree sottoposte allo stato d’emergenza subiscono blackout, mancanza di internet e comunicazioni in genere. Una situazione che rende più difficile la testimonianza diretta e più semplice la censura, con parziale eccezione dei social che, in questi giorni, hanno pubblicato la notizia dell’arrivo nella regione Amhara di un osservatore internazionale, di cui per sicurezza non è stato rivelato il nome. Il dramma è tale che spinge anche i contadini a imbracciare le armi per difendersi, per difendere la propria casa, la famiglia, il raccolto altrimenti incendiato. Da quando vige lo stato d’emergenza, secondo HRW, gli attacchi dell’esercito ENDF, hanno devastato moltissime comunità agricole e villaggi, lasciando dietro di sé una scia di fuoco e distruzione che, per il momento, l’Occidente non vede. In questo grave contesto di crisi umanitaria e politica, si colloca un altro tassello preoccupante, le dimissioni, o forse meglio dire, l’allontanamento, della presidente Sahle Work-Zewde. Il 7 ottobre la Presidente rimette il proprio mandato, senza nessuna eco della stampa interna, un modo per rimarcare la lontananza del premier. Il suo mandato sarebbe terminato a fine ottobre, quindi da molte parti si ipotizza che le dimissioni volutamente anticipate siano state chieste per evitare le insidie di un suo discorso ufficiale. Per non rischiare un’incrinatura nella narrativa di paese idilliaco, senza problemi, con molti parchi da inaugurare. La presidente Sahle Work-Zewde, prima donna a ricoprire la più alta carica politica, in questi anni avrebbe messo la sua esperienza in ambito diplomatico e internazionale al servizio dell’Etiopia, se solo avesse potuto. Se l’ostruzionismo del premier non lo avesse impedito. Lei è una persona molto amata e rispettata nel paese, ammirata per la competenza e preparazione. “Il problema”, dice una donna etiopica che chiede l’anonimato, “è stato il conflitto con Abiy Ahmed, perché lei, durante le cerimonie pubbliche, invitata a parlare, metteva sempre l’accento sulla necessità della pace e della riconciliazione nazionale”. Il 5 ottobre sul proprio profilo X la Presidente ha citato il verso di una canzone amarica, “il silenzio è la mia risposta”, una risposta che però non è rimasta silenziosa, diventando presto virale. Aver messo a tacere la donna che ha ricoperto un ruolo simbolico, di solito riservato a politici maschi e di lungo corso, è la conferma del livello di repressione e della volontà del governo di soffocare le voci discordanti, persino quella della massima carica del Paese. Così mentre la crisi in Etiopia si aggrava, il silenzio della comunità internazionale e l’assenza di azioni concrete contro la violazione dei diritti umani, alimentano l’instabilità e l’incertezza della popolazione che vive un clima di conflitto e paura. |
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Settembre 2024
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