Tra alleanze dirette ed indirette, parallele ed asimmetriche: la complessa partita del Mar Rosso1/12/2023
0 Comments
di Pasquale Santoro
Da un articolo sul quotidiano “ LA REPPUBLICA” Si siede alla sua scrivania. Sul piano del tavolo è depositato un pacchetto. Lui lo apre. Dentro c’è uno zoccolo di cavallo in argento con un’iscrizione: “Sandor. Berbero grigio, 12 anni. Max Harari, Asmara – Giugno 1942”. C’è anche una foto: si vede il bel primo piano di un cavallo grigio affacciato alla porta del suo box. E una dedica autografa a penna: “Ad Amedeo, in ricordo del meraviglioso cavallo che fu causa della nostra amicizia”. Ad Amedeo… ma chi è Amedeo? E chi è la persona che gli invia questo oggetto così particolare? Facciamo un salto indietro nel tempo. Adesso siamo nel 1909. È il 7 febbraio, giorno in cui a Piacenza nasce Amedeo. Amedeo Guillet. Famiglia nobile di origine sabauda. Il piccolo Amedeo cresce e diventa ragazzo dall’animo sensibile e creativo: quando è il momento di fare la prima scelta terminata l’età della spensierata adolescenza è indeciso tra la carriera musicale e quella militare. Ma la carriera militare presenta un vantaggio esclusivo, ai suoi occhi: permette di rimanere a contatto con i cavalli praticamente ventiquattr’ore al giorno. La sua passione. I cavalli, certo: elemento fondamentale e imprescindibile dall’inizio alla fine di una vita intera. Amedeo Guillet esce dall’Accademia Militare di Modena con il grado di sottotenente nel 1931. Il Monferrato e le Guide i primi due reggimenti di cavalleria in cui presta servizio, probabilmente con l’idea di dedicarsi (anche) allo sport equestre come molti suoi colleghi d’arma: non dimentichiamo che in questo momento storico, infatti, l’equitazione agonistica è quasi esclusivamente cosa di militari. Ma il destino decide diversamente: nel 1935 Amedeo Guillet viene trasferito in Africa, dove nel mese di ottobre comanda un plotone impegnato nelle prime operazioni della guerra colonialista d’Etiopia e in dicembre viene ferito gravemente a una mano. Ed è a partire da questo momento che la sua vita smette di essere simile a quella di tanti altri ufficiali dell’esercito italiano per diventare la storia di un romanzo. Nel 1937 Amedeo Guillet è in Spagna dove comanda un reparto di carri della divisione Fiamme Nere e poi un reparto di cavalleria marocchina durante la guerra civile spagnola; successivamente ritorna in Libia, quindi nuovamente in Eritrea dove prende il comando del Gruppo Bande Amhara, un’organizzazione militare che riunisce uomini di origine etiope, eritrea e yemenita. È qui che nasce il mito: nel 1939 durante un’operazione militare il suo cavallo viene colpito e ucciso e lui, illeso, ne monta immediatamente un altro per continuare la carica, ma anche questo secondo povero cavallo cade vittima del fuoco; Amedeo Guillet imbraccia allora una mitragliatrice e continua a piedi la battaglia senza alcuna protezione fino a conquistare il sopravvento sulle formazioni nemiche. I soldati indigeni che avevano combattuto con lui, sbalorditi per la sua apparente invincibilità, lo soprannominano Comandante Diavolo, ignari di consegnare così alla leggenda un ‘titolo’ che segnerà ormai per sempre la vita di questo personaggio straordinario. Quando gli inglesi conquistano Asmara nell’aprile del 1941, Amedeo Guillet prende una decisione folle: se anche l’Italia si fosse arresa, lui avrebbe continuato la ‘sua’ guerra. E così accade: Guillet si spoglia della divisa dell’esercito italiano, raduna una formazione di suoi fedelissimi soldati indigeni e inizia una guerriglia senza quartiere, efficace al punto che gli inglesi mettono sul suo capo una taglia enorme. Invano, però: nessuno lo tradisce in nome del denaro, a conferma di quanto questa sorta di Lawrence d’Arabia italiano fosse amato dalle popolazioni locali. Ma in ottobre dopo una continua ed estenuante serie di operazioni Guillet capisce che non avrebbe più potuto andare avanti ulteriormente: significativo il fatto che la decisione di porre termine alla guerriglia venga da lui presa dopo la cattura del suo cavallo grigio Sandor da parte del maggiore Max Harari, l’ufficiale inglese responsabile delle attività di ricerca del temibile Comandante Diavolo. Amedeo Guillet dunque libera i suoi soldati e si nasconde a Massaua sotto la falsa identità di Ahmed Abdallah al Redai, cosa resa possibile anche dalla sua capacità di parlare perfettamente l’arabo. Da lì raggiunge lo Yemen, inizia a lavorare come palafreniere nelle scuderie della guardia del re, l’Imam Yahiah, il quale lo prende a benvolere fino a nominarlo precettore dei suoi figli nonché istruttore delle guardie a cavallo yemenite. Nel giugno del 1943, dopo aver trascorso un anno intero alla corte dell’Imam Yahiah, Amedeo Guillet riesce a imbarcarsi su una nave della Croce Rossa italiana per infine rientrare in Italia dopo due mesi di navigazione. Grazie alla sua grande esperienza e alla sua conoscenza delle lingue, viene assegnato al Servizio Informazioni Militare per dedicarsi a operazioni molto delicate contro gli alleati angloamericani. Quando però l’8 settembre viene dichiarato l’armistizio, Amedeo Guillet ripudia Mussolini, rimane fedele al re d’Italia e si trasferisce a Brindisi dove si erano installati i componenti della famiglia reale. Amedeo Guillet diventa un agente segreto formidabile ed è proprio a lui che si deve un’operazione diplomaticamente di grande significato nel processo di riappacificazione tra Italia ed Etiopia: il recupero della corona del Negus, prima confiscata dalla Repubblica di Salò e poi nelle mani dei partigiani, e quindi riconsegnata al suo legittimo proprietario. Finisce la guerra. Dopo il referendum che trasforma l’Italia da Stato monarchico in Stato repubblicano Amedeo Guillet – coerente con il suo giuramento militare di fedeltà alla corona Savoia – rassegna le dimissioni dall’esercito e diventa un cittadino italiano al servizio della Repubblica. Inizia così la sua seconda vita. Si laurea in Scienze Politiche, vince il concorso per entrare nella carriera diplomatica, nel 1950 è segretario di legazione all’ambasciata del Cairo, nel 1954 viene trasferito in Yemen dove ritrova i figli del vecchio Imam che lo accolgono come chi ritorna a casa dopo anni di lontananza, nel 1962 viene nominato ambasciatore e destinato ad Amman dove può condividere la grande passione per i cavalli e per l’equitazione con re Hussein di Giordania (padre della principessa Haya, che sarà presidentessa della Federazione Equestre Internazionale dal 2006 al 2014), nel 1967 è ambasciatore in Marocco, nel 1971 in India, per infine raggiungere il termine della carriera diplomatica nel 1975 e quindi stabilirsi in Irlanda in mezzo ai suoi amati cavalli. Nel 2000 insieme allo scrittore irlandese Sebastian O’Kelly (autore della biografia di Guillet uscita nel 2002 con il titolo “Amedeo”), Guillet ritorna in Eritrea: viene ricevuto dal presidente della Repubblica che lo accoglie come un suo pari. Poi arriva il 2 novembre di questo stesso anno: il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, conferisce ad Amedeo Guillet l’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine Militare d’Italia, uno dei più prestigiosi riconoscimenti previsti nel nostro Paese. Infine il 16 giugno 2010 il Comandante Diavolo ci lascia per sempre. Questa per sommi capi e in estrema sintesi la vita di Amedeo Guillet. Ma tra le tante storie dentro questa straordinaria storia, ce n’è una che non può non emozionare chi vive per i cavalli e con i cavalli. La storia di un pacchetto che un giorno viene recapitato sulla scrivania dell’ambasciatore Amedeo Guillet. Una storia che sembra una favola, invece è la realtà di due persone che prima di essere soldati - e nemici - sono stati gentiluomini nell’animo. Loro: Max Harari e Amedeo Guillet. Proprio loro: il maggiore britannico e il Comandante Diavolo, cacciatore e preda a turno l’uno per l’altro sulla scena dell’Africa Orientale. Ebbene: negli anni Cinquanta, grazie anche all’attività diplomatica di Guillet, i due ‘vecchi’ nemici si incontrano, e tra loro nasce un’amicizia forte come solo l’aver condiviso quel pezzo di storia tremendo avrebbe potuto rendere possibile, seppure da acerrimi rivali. Un’amicizia vissuta nel nome di un cavallo: Sandor. Sì: perché è ovviamente Max Harari il mittente del pacchetto che un giorno viene recapitato sulla scrivania dell’ambasciatore Amedeo Guillet. Sulla scrivania del Comandante Diavolo. Nel 2000 fu ricevuto con tutti gli onori riservati a un Capo di Stato dal Presidente Eritreo Di Pasquale Santoro 03 nov. 2023 Questo articolo che vi accingete a leggere l’ho valutato attentamente, visto e considerato che quando esco fuori dalla logica dei post strappa lacrime, trovo sempre qualcuno cha ha da ridire sui pensieri che esprimo su argomenti piuttosto spinosi. Ma, fortunatamente, i miei amici più fedeli, gli asmarini come me, hanno un altro metro di giudizio e tanto mi basta. Avete dimenticato o forse vi chiederete dove sono andati a finire gli 80 imprenditori italiani che qualche anno fa dovevano investire in Eritrea?? Sono partiti accompagnata da una vice ministra il cui nome è scomparso nel nulla e hanno fatto i turisti, imprenditori fasulli e come in epoca coloniale, affaristi ,avventurieri in cerca di fortuna e nostalgici di ogni tipo, naturalmente viaggiando a sbafo, con i soldi nostri. Alcuni di loro sono arrivati in Asmara con il cappotto e il colbacco in testa pensando che a 2400 metri ci fossero nevi perenni e non gli ha mai detto nessuno che cosa è stata l'Eritrea nella storia Italiana. Hanno scelto per caso, pensando di venire nel cuore del Corno d'Africa a vedere come sono fatti i tucul. Ora, questi sprovveduti imprenditori/turisti incominciano a pensare che non sono venuti in Africa come pensavano . Si ritrovano a guardare con occhi increduli gli edifici dell'arte cubista e poi Art Decò e si rendono conto di trovarsi davanti ad un impronta più evidente dello stile razionalista del periodo fascista degli anni 30. Si rendono anche conto che a differenza dell'Italia di quel periodo, qui gli architetti si sono sbizzarriti a disegnare una città dell’utopia. Nella "piccola Roma" i nostri frastornati imprenditori/ turisti vedono così accostati i diversi stili architettonici in voga in Europa nei primi decenni del novecento. Possibile che sono in Africa, si domandano? Guardano il Teatro con la sua elegante scala che conduce al portico, in stile rinascimentale, da cui si accede ad una sala da 750 posti e tre file di palchi, oltre alla platea con soffitto decorato in stile liberty. Quando passano davanti al Palazzo del governo e le sue facciate classicheggianti capiscono che dovevano informarsi bene dove stavano andando. Si stanno trovando a girare in una delle più belle città Italiane, su un cocuzzolo di montagna alta 2400 metri E il loro stupore è ancora più grande quando si rendono conto che possono andare a pregare in una chiesa dl nord Italia, come la Cattedrale di S. Giuseppe, terminata nel 1922, in stile romanico lombardo, con i bei mattoni a vista, oppure l'entrata ibrida della chiesa ortodossa dove a tratti tipicamente italiani si accostano due alte torri con elementi dell'architettura locale, come i tetti conici, tipici dei rifugi tradizionali eritrei. I poveri imprenditori/turisti maledicono chi nella Madre Patria non gli abbia mai parlato di questa meraviglia tutta Italiana e ancor più sbigottiscono quando si accorgono delle decine di bar lungo la via principale ad iniziare dal "Vittoria",la Pasticceria Moderna, il Bar Commercio nell'ex Viale Regina, dove da bambini si andava ad acquistare paste e caramelle e poi ancora il bar "Portico", il Bar "Alba" dove si gustavano bicchierini di anice, arachidi e l'appetitoso “mezze", crostini con salumi e formaggi. Che dire poi dello storico "Bar Impero" oppure il bar "Rex" dove ci si andava soprattutto la Domenica e dove le donne di Asmara facevano sfoggio della loro eleganza. Loro non sanno, poverini ,che anche gli americani della Cagnew Station dove tutto era rigorosamente fatto in USA, la sera uscivano dalla loro piccola America e affollavano i bar Italiani tracannando litri di birra Melotti. Loro non conoscono la storia di tutti gli Asmarini che molto prima di loro si sono goduti queste bellezze. I nostri annichiliti imprenditori/turisti vedono giovani e non giovani eritrei che non sono diversi dagli Asmarini di una volta che utilizzano con grande attenzione quello che abbiamo lasciato in eredità. I poveri imprenditori/turisti che non sanno cosa ci sono venuti a fare, ritornano in Italia, senza aver mai sentito parlare di Guido De Nadai, un veneto schivo e riservato che in pochi anni fece fiorire i deserti, creò splendide piantagioni, aziende agricole in cui si faceva anche il parmigiano. Poi la Melotti, una minuta e tenace Signora romana che diventò uno dei più grandi industriali in Eritrea, per non parlare dell'ottica BINI, i cui occhiali sono diventati un "cult" anche in Italia e per non dire del grande Barattolo che con il suo cotonificio fece diventare grande l’Eritrea. Eccoli li, infine, a guardare in alto verso la costruzione futuristica per eccellenza che nessuno avrebbe affrontato in Italia, come la Fiat Tagliero con degli sbalzi in cemento di oltre 15 metri a forma di ali, senza sostegni. Riprendono l'aereo pagato dai contribuenti italiani e non sanno di aver perso la vista della ferrovia più ardita del mondo, con 30 gallerie e 65 tra ponti e viadotti ed ancora la funivia, quel che ne resta, una impressionante opera di ingegneria asmarina, lunga 75 Km. che superava dislivelli di oltre 2320 metri da Massaua. Non sono riusciti a vedere Massaua, la magica Massaua, con i suoi sambuchi colorati, gli abili Nakuda sui loro piccoli "hurry" che pescano tra le isolo Dahalak, i mercati di Cheren, e poi Decamerè che fu la città del futuro, Adi Ugri, con i suoi fiumi e le piantagioni . Non sentiranno mai parlare di Ghinda, Elaberet, Tessenei, Agordat, la Piana d'Ala, Embatkalla, Dongollo, Senafè. Peccato per loro, ma mi sono sempre chiesto perché i politici italiani amano prendere in giro gli amici eritrei; perché sono così sconsiderati da non comprendere che in Eritrea bisogna andarci per aiutarla, non per sfruttarla; perché ci fanno fare sempre figure da opportunisti e voltagabbana. Si sono fatti una gita con l’aereo di stato e chi si è visto si è visto. Hanno fatto molto di più Jovanotti e Vittorio Sgarbi che questi nostri sedicenti, amici degli amici e si fa per dire, qualificati come imprenditori. Certo, ci saranno pure problemi ad investire in Eritrea, limiti e burocrazia ma allora, come mai un italiano, di quelli veri, come Pietro Zambaiti, è riuscito a far decollare l'ex cotonificio Barattolo, rendendolo un fiore all'occhiello per tutto il Corno d’Africa? Di quegli ottanta , si fa per dire imprenditori, nemmeno uno si è rifatto vivo e forse è stato meglio così. Dimenticavo: se questi insignificanti ometti al seguito di impresentabili rappresentanti del governo italiano avessero almeno letto quanto scrisse il Generale Amedeo Guillet: GLI ERITREI FURONO SPLENDIDI. TUTTO QUELLO CHE POTREMO FARE PER L’ERITREA NON SARA’ MAI QUANTO L’ERITREA HA FATTO PER NOI. Forse, dico forse, avrebbero provato vergogna. 27 ottobre 2023
L’Eritrea è impegnata nella promozione e protezione dei diritti umani universali e delle libertà fondamentali. L’Eritrea ribadisce che i diritti umani sono indivisibili e si rafforzano a vicenda, e rifiuta l’approccio selettivo e la politicizzazione dei diritti umani, in contraddizione con i principi di non selettività, sovranità e cooperazione costruttiva tra gli Stati. La risoluzione originale contro l’Eritrea è stata sponsorizzata dai paesi africani presumibilmente per darle un “volto” africano. Per oltre un decennio è continuato l’approccio politicizzato, ingiusto e ingiusto, specifico per paese, mascherato da “Iniziativa africana”. Con il tempo, tuttavia, molti Stati membri si sono resi conto dell’inutilità delle accuse mosse contro l’Eritrea. Vale la pena ricordare che quest’ultima risoluzione per il rinnovo del mandato non ha ottenuto il sostegno di un solo Stato africano. Le risoluzioni che chiedevano il rinnovo e l’estensione del mandato dei SR non sono state sostenute da un solo paese africano. I paesi occidentali, che furono gli artefici originali del piano, ora portano avanti da soli l’assalto annuale. La farsa è stata smascherata. La posizione dell’Eritrea rimane la stessa. All’epoca non riconobbe il mandato mal ottenuto, motivato politicamente, e non lo fa nemmeno oggi. L’Eritrea è stata presa di mira attraverso risoluzioni e meccanismi dell’HRC motivati politicamente e specifici per paese da oltre un decennio. Signor Presidente, Al Comitato viene presentato ancora una volta un rapporto viziato del Relatore Speciale (SR) sull’Eritrea. Il rapporto ripete molte delle stesse accuse infondate che hanno caratterizzato i numerosi rapporti dal 2012. Lo scopo e gli obiettivi sottostanti di queste produzioni erano, e rimangono, la denigrazione, l’isolamento e la destabilizzazione del Paese per scopi politici più ampi. La relazione del relatore speciale non è cambiata. L’ultimo rapporto è l’ennesima raccolta di accuse e dicerie infondate, il solito vetriolo ripetuto ogni anno, e la deplorevole campagna di caccia alle streghe contro l’Eritrea continua. Questi rapporti continuano a ignorare i principali fattori contestuali e a minimizzare deliberatamente i progressi e i risultati ottenuti dall’Eritrea. I diritti umani sono alla base della strategia di sviluppo e di costruzione della nazione dell’Eritrea. Garantire la giustizia sociale, la dignità e il benessere di tutti i cittadini è il fondamento di tutte le politiche e le leggi in Eritrea, come sancito dalla Carta Nazionale, dalle politiche e dai regolamenti nazionali. Il Paese rimane vigile e risoluto nei suoi sforzi per attuare tutti i diritti civili, culturali, economici, politici e sociali per tutti i suoi cittadini. I diritti umani sono il fondamento della giustizia sociale, il principio stesso su cui si fonda la strategia di sviluppo e di costruzione della nazione dell’Eritrea. L’Eritrea continua a fare passi da gigante nel miglioramento dei servizi educativi e sanitari, nella produttività agricola, nella riduzione della povertà e nello sviluppo delle sue infrastrutture economiche e sociali. Signor Presidente, Come per i precedenti rapporti SR sull’Eritrea, la mancanza di dati affidabili, la forte dipendenza da fonti distorte, un approccio non verificabile e l’ignoranza delle realtà fondamentali dell’Eritrea rendono la metodologia e l’essenza delle accuse tenui e inaccettabili. La Risoluzione 75/151 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite sottolinea che i principi di non selettività, imparzialità e obiettività si applicano a tutti gli organismi del sistema delle Nazioni Unite, compresi “relatori e rappresentanti speciali, esperti indipendenti e gruppi di lavoro” nello svolgimento dei loro mandati. Il Relatore Speciale sulla situazione dei diritti umani in Eritrea è rovinato da estremi pregiudizi, selettività e parzialità. Permettetemi di presentare un esempio eclatante. Il relatore ha maliziosamente riferito che i soldati somali addestrati in Somalia sono stati schierati dall'Eritrea nel conflitto in Etiopia. Questa menzogna, un rigurgito di resoconti non verificati da parte dei detrattori dell’Eritrea, ha causato inutili ansie tra il popolo somalo. Il governo della Somalia ha dissipato la menzogna, ma questo relatore non ha ritrattata la menzogna. Le accuse mendaci del Relatore Speciale violano il Codice di condotta per i titolari di mandati di procedure speciali dell'HRC. In particolare, il comportamento del SR viola l'articolo 6, lettera a) sulle Prerogative, il quale prevede: “I titolari del mandato devono dimostrare i fatti, sulla base di informazioni obiettive e affidabili provenienti da fonti pertinenti e credibili che hanno debitamente incrociato con il nella massima misura possibile”. La SR ha inoltre violato le disposizioni dell'articolo 8, lettera a) sulla fonte dell'informazione e non si è ispirata ai “principi di discrezione, trasparenza, imparzialità e imparzialità”. L’Eritrea ha invitato la SR ad assumersi la responsabilità di aver presentato un rapporto fallace all’HRC in violazione dei “principi di responsabilità…. in cui i principi di indipendenza, imparzialità e obiettività attività sono compromesse”. Il fatto indelebile è che l'SR ha mancato al suo dovere di raccogliere informazioni obiettive e affidabili da un'ampia gamma di fonti primarie e secondarie. Lo stesso si può dire oggi delle sue accuse. I costumi e le tradizioni esemplari di rispetto e tolleranza etnica e religiosa dell’Eritrea sono stati gravemente travisati dall’SR nel suo ultimo rapporto. È vergognoso che l'SR abbia scelto di inserire insinuazioni infondate per cercare di creare un cuneo tra le varie etnie presenti in Eritrea. Il relatore ha fatto di tutto per diffamare il programma di servizio nazionale eritreo. Permettetemi di dichiarare per iscritto la vera essenza del programma di servizio nazionale di grande successo dell’Eritrea. Il servizio nazionale fu introdotto subito dopo l'indipendenza, quando il governo intraprese allora un massiccio programma di smobilitazione. Il Servizio Nazionale dell’Eritrea è stato istituito attraverso la Proclamazione n. 82 del 1995 con un impegno per la dignità umana, dando potere alle nuove generazioni fondamentali per la costruzione e lo sviluppo della nazione. Promuove l’unità nazionale e la cittadinanza. Per legge, ogni eritreo, di età pari o superiore a 18 anni, è tenuto a completare il servizio nazionale, che comprende 6 mesi di formazione e istruzione e 12 mesi di partecipazione ad attività di sviluppo. In tempo di pace, i membri del Servizio Nazionale non hanno altri obblighi una volta adempiuto al loro dovere di servizio per 18 mesi. Rimangono parte dell'esercito di riserva che può essere richiamato se e quando sarà necessario. Un numero significativo di membri del servizio nazionale è stato integrato nel nuovo sistema di remunerazione che ha migliorato la scala salariale del pubblico impiego. Il servizio nazionale in Eritrea preserva i valori e i principi dell’Eritrea, mantiene l’unità del nostro popolo, promuove la tolleranza e il rispetto etnico e religioso e, soprattutto, promuove la stabilità e la sicurezza della nostra giovane nazione. Signor Presidente, Sullo sfondo di queste realtà inaccettabili e in considerazione delle deplorevoli pratiche di diffamazione dell’Eritrea sulla base di false accuse spesso preparate in combutta con gli acerrimi nemici dell’Eritrea, l’Eritrea richiede ancora una volta: - Il ritiro totale del falso Rapporto (A/HRC/47/21) presentato dalla SR alla Sessione dell'UNHRC - L'Applicazione di adeguate misure sanzionatorie, compreso il licenziamento, del SR per inadempimento dei doveri; - e la fine di questo ingiustificato strumento di molestia Abbiamo appena celebrato il 78° anniversario delle Nazioni Unite e il 75° anniversario della Dichiarazione dei diritti umani, ma il nostro mondo rimane ingiusto e disuguale, e la politicizzazione dei diritti umani non fa altro che aggravare ulteriormente la terribile situazione attuale. La necessità di stabilire un’unità di pensiero, pratica e organizzazione contro la politicizzazione che mette in pericolo l’importanza dell’HRC come organismo emerso come risultato dell’esperienza fallimentare del suo predecessore, è ancora di fondamentale importanza da considerare. Il nostro mondo ha bisogno di un sistema solido che funzioni veramente per il miglioramento dei diritti umani per tutti. L’Eritrea rimane impegnata nei confronti del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite e ha lavorato instancabilmente con tutti i membri del Consiglio per riscattare la credibilità, l’efficacia e l’integrità erodenti del Consiglio. Grazie Nel Corno d'Africa, su Mar Rosso e Golfo di Aden, a chi convengono davvero certe tensioni?23/10/2023 da Le Nuove Vie del Mondo
Dopo un lungo periodo d'instabilità, dovuti ad una faticosa e talvolta bellicosa coesistenza tra governi opposti in Etiopia ed Eritrea e ad una trentennale guerra civile in Somalia, a partire dal 2018 s'è cominciata a vedere la luce in fondo al tunnel. In Etiopia il vecchio partito di governo, il Fronte Popolare di Liberazione del Tigray (il TPLF, che era stato in sella per quasi trent'anni, dal 1991 al 2018, coprendosi di gravi responsabilità verso i propri cittadini e il resto della regione come testimoniato dalle pesanti repressioni delle proteste delle popolazioni Oromo ed Amhara nel 2015 e 2016, dalla guerra d'aggressione contro l'Eritrea tra il 1998 e il 2000 e dall'invasione della Somalia nel 2006) si ritrovò all'opposizione, e ciò pose le basi perché molti importanti dossier comuni ai tre paesi si potessero cominciare a sbloccare. Ben presto Etiopia ed Eritrea siglarono la pace chiudendo il lungo e doloroso capitolo di guerra iniziato nel 1998, trascinatosi fino ad allora con uno stato di “né guerra né pace” dovuto all'occupazione da parte delle forze etiopiche delle aree frontaliere eritree intorno a Badme e ad altre località in violazione agli Accordi di Algeri del 2000, che pure erano stati firmati da entrambi i governi; e ben presto i due paesi iniziarono addirittura a parlare di cooperazione ed assistenza reciproca, mentre anche per la vicina Somalia il diverso clima regionale cominciava a fornire dei benefici effetti per la sua ricomposizione statale e nazionale. Tale situazione fu tuttavia turbata a partire dal novembre 2020 dalla rivolta del TPLF che, non accettando il nuovo corso politico e mirando alla secessione dello Stato del Tigray (situato nell'Etiopia settentrionale e al confine con l'Eritrea), tenne occupato a più riprese il governo federale etiopico con tenaci azioni militari che ebbero forti ripercussioni anche sui vicini, come ad esempio testimoniato proprio dai lanci di propri razzi oltre il confine eritreo fino a lambire la capitale Asmara. Il conflitto, conclusosi nel novembre 2022, vide il lavoro congiunto delle truppe etiopiche ed eritree, concludendosi con la resa e la smilitarizzazione del TPLF sottoscritta mediante un accordo vigilato dall'Unione Africana. A questo punto, sembravano finalmente porsi tutte le premesse per poter avviare quella maggiore integrazione del Corno d'Africa da lungo tempo auspicata; ma evidentemente mai bisogna vendere la pelle dell'orso prima d'averlo catturato. Ne abbiamo avuto una prova proprio in questi giorni, con un'insolita dichiarazione da parte del primo ministro Abiy Ahmed che, in scarsa sintonia col buon clima politico che aveva stabilito coi propri partner regionali a partire dal 2018, ha avanzato delle richieste giudicate da tutti costoro come a dir poco pericolose ed esagerate. Sostenendo che il Mar Rosso e il Nilo siano "intimamente collegati all'Etiopia, fungendo da pilastri che possono provocarne lo sviluppo o il declino”, ha quindi ricordato che quando aveva “l'accesso al Mar Rosso (perso con l'Indipendenza dell'Eritrea nel 1993, NdR) era una grande potenza”, per poi concludere che per riottenere questo suo ”diritto" non si dovrebbe “giungere al prezzo del conflitto e dello spargimento di sangue”. Pur sottolineando che non vi sia un espresso interesse verso i porti eritrei di Assab e di Massawa, ha comunque insistito che per ragioni geografiche e strutturali costituiscano gli obiettivi favoriti, magari da raggiungersi attraverso un acquisto, un leasing o qualsivoglia altro mutuo accordo. Il premier etiopico non intende, comprensibilmente, rovinare i propri rapporti con un vicino essenziale come l'Eritrea, che è stato un valido alleato nei peggiori momenti del quinquennio appena trascorso, almeno fino al punto da risvegliare certe dolorose e vicine memorie di guerra. Senza poi contare che tanto l'Etiopia quanto l'Eritrea vantino le medesime alleanze e collocazioni politiche internazionali, come testimoniato dalle forti partnership con paesi come Cina e Russia; e dunque non avrebbe certo molto senso per Addis Abeba andare a dar fastidio ad un paese suo confinante e peraltro da molto più tempo e con più solidità alleato dei suoi stessi alleati. A che pro una rissa in famiglia? Tuttavia Abiy Ahmed, pur proponendo partecipazioni in importanti progetti come la GERD (Great Ethiopian Renaissance Dam), Ethiopian Airlines ed Ethiotelecom, ha anche detto che “se non troviamo un alternativa attraverso il dialogo… potrebbe essere pericoloso”. A tal proposito, dandosi la responsabilità di mantener calme le acque ed invitando anche gli altri attori regionali a seguire il suo esempio, affinché non s'alimentino inutili tensioni regionali, Asmara ha ribadito con un proprio laconico e risoluto comunicatol'inviolabilità della propria sovranità ed integrità territoriale. Altre lamentele, d'altronde, le ha avute pure per la vicina Gibuti, con la quale negli ultimi anni era stata sviluppata la grande ferrovia Gibuti-Addis Abeba sostenuta nel quadro degli investimenti promossi dalla Cina per la BRI (Belt and Road Initiative). Ultimamente i due paesi hanno dato il battesimo anche ad un oleodotto, del quale però Abiy Ahmed s'è lamentato visto che il costo costruttivo è ricaduto esclusivamente sulle casse etiopiche, senza che Gibuti in cambio gli fornisse un controvalore nella forma magari di un più agevole accesso al mare. Per giunta, Gibuti s'affaccerebbe proprio sullo strategico Stretto di Bab al Mandab, punto di collegamento tra Mar Rosso e Golfo di Aden; ma anche la più piccola delle repubbliche del Corno d'Africa ha preferito liquidare le richieste etiopiche respingendole al mittente. Non diversamente, del resto, poteva essere per la Somalia, ancora alle prese col pieno riconsolidamento delle sue istituzioni e della sua unità statale; nella necessità di riaffermare su tutto il suo territorio la propria sovranità, ben difficilmente potrebbe gradire qualsiasi mossa che potrebbe rappresentarne una sia pur modesta cessione o limitazione: ugualmente interpellata dal governo di Addis Abeba, non ha quindi tardato a dire di no. Intuibilmente, le dichiarazioni di Abiy Ahmed hanno suscitato grosse polemiche anche in Etiopia. Non soltanto grande ne è stato l'eco nei social, in particolari tra cittadini etiopici ed eritrei, ma anche l'effetto sugli analisti politici regionali che le hanno giudicate improprie, se non proprio sconsiderate ed irresponsabili. Fortunatamente, non sembrano aver avuto per il momento altre e peggiori conseguenze, anche se sono state fatte prima che il premier etiopico partisse per il Belt and Road Forum di Pechino del 17 e 18 ottobre: prima di un simile evento, che avrebbe visto la Cina e l'Etiopia dar vita ad un “Partenariato Strategico e Globale a tutti i livelli”, poteva indubbiamente costituire un serio “passo falso” diplomatico, visto che andava a turbare gli equilibri politici nel Corno d'Africa e ad urtare altri importanti paesi alleati o partner di Pechino come Gibuti e l'Eritrea. Oppure, poteva venir visto come una “mossa su commissione di Pechino”, ed in effetti così in Occidente qualcuno ha voluto prontamente vederla, vale a dire rovesciando completamente ogni lettura geopolitica: giacché proprio alla Cina più che mai conviene che si preservi la stabilità e s'implementi la cooperazione nel Corno d'Africa al cui raggiungimento tanto ha lavorato, ma il cui sovvertimento chiaramente troverebbe il plauso di ben altri, a cominciare da ben precisi gruppi d'interesse occidentali. Peraltro insinuare senza prove che la Cina mandi avanti l'Etiopia nel rivendicar territori dall'Eritrea, da Gibuti o dalla Somalia significherebbe dar manforte alla vulgata, tanto diffusa dai media occidentali, secondo cui Pechino calpesti la sovranità ed il diritto internazionale degli altri Stati, avvalorando così l'idea che tanto valga renderle pan per focaccia riconoscendo magari l'indipendenza di Taiwan o chissà cos'altro ancora. Nessuno d'altronde può mettere in discussione la sovranità e l'integrità territoriale altrui, e ciò vale anche per tanti altri Stati, africani in primo luogo: difficilmente potremmo immaginarci un'Unione Africana disposta ad assecondare la frammentazione di vari suoi paesi membri, per ovvie ragioni. Tuttavia, lanciando questo suo appello proprio prima di partire per il Belt and Road Forum, Abiy Ahmed ha rischiato di fare un prezioso “regalo” ad americani ed europei. Possono esserci delle chiavi di lettura: l'Etiopia è ad esempio fortemente condizionata dalle sue tante quinte colonne interne, come partiti e movimenti su basi etniche pro o contro il governo, o ancora i sussidi e gli aiuti economici dall'Occidente da cui ancora molto dipende. Tutto ciò rende il paese intuibilmente molto influenzabile e persino ricattabile: il premier etiopico doveva dunque “fare un assist” ad americani ed europei, una sorta di gesto di rassicurazione, a maggior ragione ora che il suo governo sempre più cerca un forte rapporto con la Cina per controbilanciare giustamente la loro influenza. Come dicevamo, non ha alcun senso che due seri alleati di Pechino come Etiopia ed Eritrea, entrambi inseriti nella BRI e legati alla Cina con Partenariati Strategici e Globali, si ritrovino ora in contrasto per questioni ormai antiquate ed associate a fin troppo dolorose memorie. Sono questioni che entrambi, come il loro grande alleato cinese, hanno dimostrato che si possono risolvere con gli strumenti della pace, del dialogo e della cooperazione; e che solo quanti gradirebbero vedere il caos nella regione del Corno d'Africa e nella rete d'alleanze di Pechino vorrebbero veder rispolverate. da Nova News
Addis Abeba 19 Ott. 2023 È tornata in auge nelle ultime settimane l’annosa questione relativa alle rivendicazioni dell’Etiopia per ottenere uno sbocco al mar Rosso, obiettivo precluso dal 1993, anno dell’indipendenza dell’Eritrea. Da allora la vicenda ha conosciuto alterne vicende, ed è tornata prepotentemente alla ribalta dopo durante una sessione parlamentare che si è tenuta lo scorso 13 ottobre. In quell’occasione è stata infatti presentata una bozza di documento, redatta dal ministero della Pace, nella quale si propone di riaffermare gli interessi nazionali strategici ed economici dell’Etiopia nel mar Rosso. Intitolato “Interesse nazionale dell’Etiopia: principi e contenuti”, il documento sottolinea “l’urgenza” per il Paese del Corno d’Africa di esercitare il proprio diritto a costruire ed utilizzare i porti, di avere accesso al mar Rosso nonché alle regioni dell’Eden e della penisola del Golfo. Il Corno d’Africa e la regione del mar Rosso sono diventati “una calamita” per gli interessi delle superpotenze in competizione, si legge nel documento, pertanto l’Etiopia “dovrebbe impegnarsi con le altre nazioni dell’area per garantire il proprio accesso ai porti ed essere in grado di superare gli ostacoli geostrategici a questo riguardo, osserva la bozza di documento, prima che tali azioni inizino a impedire lo sviluppo della regione”. Il documento fornisce quindi un elenco di priorità, tra cui la preservazione dell’integrità territoriale del Paese, il rafforzamento dell’influenza regionale, la promozione della pace e della sicurezza, l’avanzamento efficace degli interessi dell’Etiopia nell’area del mar Rosso e della penisola del Golfo e la promozione dello sviluppo panafricano. Tra le priorità figurano anche la creazione di relazioni bilaterali e multilaterali basate su “solidi principi”, la garanzia del diritto dell’Etiopia all’uso del fiume Nilo, l’accesso ai porti e l’ottimizzazione dell’utilizzo delle risorse naturali non sfruttate. Il documento afferma inoltre che l’Unione africana dovrebbe avere la massima autorità sulle risorse idriche, sui mari e sulle coste oceaniche dell’Africa. Intervenendo in parlamento, il primo ministro Abiy Ahmed ha ribadito il diritto dell’Etiopia ad avere uno sbocco al mare. “Il mar Rosso e il fiume Nilo definiscono l’Etiopia; sono le basi per il suo sviluppo o la sua scomparsa”, ha detto il premier, ripetendo i medesimi concetti in un’intervista diffusa dall’emittente statale “Fana”. “Il Nilo e il Mar Rosso determinano il futuro dell’Etiopia. Contribuiranno al suo sviluppo o alla sua scomparsa”, ha aggiunto il premier, rivendicando i presunti “diritti naturali” etiopi circa un accesso diretto al mar Rosso, e affermando che se questo gli fosse negato “non ci saranno equità e giustizia”. “È una questione di tempo, combatteremo”, ha quindi minacciato. Le dichiarazioni non sono chiaramente piaciute alla vicina Eritrea che, pur avendo siglato – per motivi essenzialmente tattici – uno storico accordo di pace con il Paese rivale nel luglio 2018, negli ultimi tempi ha visto nuovamente peggiorare le relazioni con Addis Abeba, specialmente dopo la fine della guerra nel Tigrè che ha visto i due Paesi combattere insieme contro il Fronte di liberazione del popolo del Tigrè (Tplf). L’Eritrea “non è stata coinvolta” nei colloqui auspicati dal premier etiope sull’accesso al mar Rosso, ha tenuto a precisare il portavoce del governo eritreo, Yemane Meskel, aggiungendo che la questione “ha lasciato perplessi tutti gli osservatori interessati”. Il portavoce ha quindi definito “eccessivi” i “discorsi” sull’accesso al mare ed altri argomenti correlati “emersi negli ultimi tempi”. La vicenda ha coinvolto negli ultimi giorni anche la vicina Somalia, che ha respinto la richiesta da parte etiope di avviare dei colloqui per ottenere un accesso al mare. Alla richiesta di imbastire un dialogo sul tema, il ministro degli Esteri somalo Ali Omar ha risposto senza mezzi termini che “la sovranità e l’integrità territoriale della Somalia – terra, mare e aria – come sancite dalla nostra Costituzione, sono sacrosante e non sono oggetto di discussione”, e questo sebbene il suo Paese “sia impegnato a rafforzare la pace, la sicurezza, il commercio e l’integrazione”. Mogadiscio, insomma, non sembra interessata a fornire l’accesso ad una risorsa strategica come un porto, e non lo sarebbe neppure in cambio di una partecipazione ad altri progetti infrastrutturali: è il caso, ad esempio, della Grande diga della Rinascita etiope (Gerd), della quale – secondo alcune fonti stampa – il premier Ahmed avrebbe addirittura proposto di cedere alcune quote a Mogadiscio in cambio dell’anelato accesso al mare. Dalla chiusura dell’accesso al mare seguita all’indipendenza dell’Eritrea, nel 1993, l’Etiopia dipende dal vicino Gibuti per oltre l’85 per cento delle sue importazioni ed esportazioni. Per Addis Abeba l’accesso al mare diventa tanto più urgente se inquadrato nel rilancio dell’Iniziativa Nuova via della Seta (Belt and road Initiative – Bri), il maxi progetto infrastrutturale promosso dalla Cina, solido partner dell’Etiopia. Senza porti di sua competenza, Addis Abeba rischia infatti di rimanere tagliata fuori da un progetto strategico e, più in generale, di veder indebolita l’influenza da esercitare sulla regione in campo infrastrutturale. Non a caso, in occasione della visita che ha compiuto questa settimana a Pechino per partecipare al terzo Forum sulla Bri, il premier Ahmed è riuscito ad ottenere la promessa cinese di investire maggiormente nei parchi industriali etiopi, oltre ad un incontro con il presidente Xi Jinping nel quale i due leader hanno annunciato l’elevazione del partenariato tra i due Paesi ad una “cooperazione strategica per tutte le stagioni”. Nel colloquio tra Ahmed e il premier cinese Li Qiang la discussione si è invece concentrata sulle modalità per rafforzare la cooperazione economica tra Etiopia e Cina. A margine del Forum, il primo ministro ha avuto anche una serie di colloqui bilaterali con il presidente cinese Xi Jinping, il primo ministro Li Qiang, la presidente della Nuova Banca per lo sviluppo, Dilma Rousseff, e altri funzionari di Pechino. Nova News su Facebook, Twitter, LinkedIn, Instagram, Telegram I discorsi, reali e presunti, sull’acqua, sull’accesso al mare e su temi affini emersi negli ultimi tempi sono numerosi ed eccessivi.
La vicenda ha lasciato perplessi tutti gli osservatori interessati. A tale riguardo il governo dell’Eritrea ribadisce ulteriormente che non si lascerà, come di consueto, coinvolgere in tali ragionamenti pretestuosi. Il GoE esorta inoltre tutti gli interessati a non lasciarsi provocare da questi eventi. Ministero dell'Informazione Asmara 16 ottobre 2023 da Shabait credit Ghideon Musa Aron 29 sett 2023
I rapporti culturale ed economici che testimoniano la presenza degli italiani in Africa dalla seconda metà del 1800, andrebbero recuperati! Purtroppo da alcuni anni i paesi africani si rivolgono a Cina, Russia, USA e paesi arabi per i loro progetti di sviluppo sociale, ambientale, agricolo e industriale mentre proprio l’Italia potrebbe valorizzare al meglio il patrimonio comune italo-africano di storia e di cultura costruito nel tempo anche per questioni di vicinanza mediterranea. Infatti la struttura geografica dell’Italia e la sua posizione sembrano destinarla ad un ruolo centrale non solo come terra d’arrivo ma anche come osservatorio naturale sul bacino del mediterraneo così denso di opportunità. Anche l’Europa considera l’Africa sempre più centrale e indica la Sicilia come porta d’accesso strategica per l’Energia del continente africano o meglio:”l’hub energetico verde di riferimento”. Il viceministro degli esteri, l’onorevole Edmondo Cirielli, ha detto recentemente che bisogna investire più sugli accordi bilaterali che multilaterali verso Africa; è questa una strada da percorrere che potrebbe permettere all’Italia di stringere delle partnership con questi paesi africani, alcuni dei quali ex italiani? Può la politica tracciare una road map per costruire un ponte verso il Corno d’Africa e la Libia? Di questo e molto altro si è parlato ieri sera al Cubo di Parma nel Convegno:” Africa, dove si traccia il nostro destino” alla presenza del sottosegretario di stato al ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale Onorevole Giorgio Silli. La giornalista d’inchiesta Dottoressa Francesca Ronchin, moderatrice del Convegno, ha introdotto gli obiettivi dell’incontro e presentato gli ospiti. Infatti, oltre all’Onorevole Silli, erano presenti quattro testimoni, quattro autentiche voci di esperienza italiana in Africa vissuta personalmente con le proprie famiglie in Eritrea, Etiopia, Somalia e Libia. La giornalista Ronchin, in una sorta di tavola rotonda circolare tra passato e presente, ha moderato la narrazione del vissuto degli ospiti nati in Africa – e che per la prima volta parlavano pubblicamente della loro “nostalgia” ma anche dei fatti drammatici degli anni 70 e 90 del secolo scorso – trasformando le esperienze di vita degli ospiti in un ponte virtuale per comunicare le strategie di cooperazione descritte nel PNRR e nel Piano Mattei. Il lungo, attento e prezioso intervento dell’Onorevole Silli ha stigmatizzato le proposte contenute nel Piano Mattei e ha confermato l’intenzione di stabilire sempre più intense relazioni diplomatiche e operative con le nazioni africane – soprattutto nei paesi dove la presenza italiana è stata fonte di cultura e innovazione tecnologica – tese a costruire e ricostruire cooperazioni economiche e commerciali di sapore antico e contemporaneo. da Parma daily |
Archivi
Settembre 2023
![]() Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 3.0 Italia. |