M'è capitato di leggere un articolo su Yeni Safak (EXPLAINER: What comes next for Ethiopia as tensions in Tigray threaten regional war?) , in sé onesto ma con alcune storture che meritano d'essere corrette. In primo luogo è infondato che una fazione del TPLF in Tigray, la D di Debretsion Ghebremicael, si sia avvicinata o sia divenuta alleata dell'Eritrea, contro la fazione G di Getachew Reda. Men che meno che vi siano ancora truppe eritree nel Tigray a due anni dalla fine del conflitto che oppose il TPLF al Governo Federale Etiopico.
Fidarsi del narrato di testimoni faziosi può portare la stampa a facili confusioni, e nel corso degli anni ne abbiamo avuto più volta prova. Lo stesso vale per quanto riferito all'evidentemente incauto giornalista da un altro testimone, sostenitore del diritto del suo paese, l'Etiopia, ad uno sbocco sul mare a spese altrui. Se tutti hanno diritto a qualcosa in base al principio per cui "il diritto internazionale è un'opinione", allora anche i somali dell'Ogaden avrebbero tutto il diritto d'erigere un proprio Stato o di tornare in seno alla Somalia, per non parlare dello stesso Tigray che ugualmente potrebbe fare ciò che vuole, e così via. Mi pare che molti, tra agitatori politici ed umanitari, e giornalisti che incautamente porgono loro una sponda, giochino col fuoco senza tuttavia esserne davvero consapevoli; o forse, come son più solito pensare io, facendo i "finti tonti", simulando dietro ad una fittizia inconsapevolezza una più ben costruita malafede. In Etiopia si sta giocando l'ennesima OPA tra fazioni etno-politiche ed etno-militari, con vari gruppi che ormai tallonano l'Esercito Federale, sempre più demoralizzato, sottraendogli presidi su presidi; intanto, il potere centrale ad Addis Abeba sempre più vicilla. Si sa come vanno a finire questi giochi, in certi paesi che ciclicamente nella loro storia vedono entrare in crisi l'autorità dello Stato sfaldandosi tra vari centri di potere locali: se chi ha tentato l'OPA non riesce ad ottenere "tutto il pacchetto", allora passa al piano B, quello della secessione. L'Etiopia purtroppo rientra in questa categoria, come la Somalia, il Congo, per certi versi persino il Sudan o certe nazioni del Sahel, fino alla Libia: è un aspetto doloroso, ma che nella loro storia può talvolta ripresentarsi, carsicamente, a conferma della difficoltà ad amalgamare tra loro in modo armonico le varie parti interne. Ed infatti, e non è un caso, i continui successi dei miliziani del FANO, gli Amhara, sul Governo Federale Etiopico e le sue truppe trovano immediati e facili capri espiatori proprio nell'Eritrea, con esponenti sia di Addis Abeba che del TPLF che l'accusano di dar sostegno pure a costoro; anche in questo caso, però, sempre senza uno straccio di prova alcuna. Non condanno dunque l'articolo che ho letto, che al pari di tanti soprattutto italiani lascia comunque molto a desiderare; ma al solito, e non perché voglia tessere le lodi di me stesso, per chi davvero voglia capirne di più invito piuttosto a dar una lettura al mio, pubblicato alcuni giorni fa, apparso su l'Opinione Pubblica sia in italiano che in inglese.
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All'inizio di questa settimana, Osman Saleh, ministro degli Esteri dell'Eritrea, ha tenuto un briefing ai diplomatici e ai funzionari delle Nazioni Unite ad Asmara, affrontando la recente ondata di disinformazione e false accuse diffuse contro l'Eritrea. Ha categoricamente respinto le false affermazioni sulla presenza di truppe eritree nella regione del Tigray in Etiopia, ribadendo che le unità EDF sono state completamente ridistribuite all'interno dei confini riconosciuti a livello internazionale del paese da novembre 2022.
Ha inoltre respinto i tentativi di fare dell'Eritrea un capro espiatorio per le attuali crisi interne dell'Etiopia, chiarendo che l'Eritrea considera l'accordo di Pretoria una questione interna etiope e non ha alcuna intenzione di intervenire nella continua lotta di potere nel Tigray. Inoltre, ha criticato la pericolosa retorica dell'Etiopia in merito all'accesso al Mar Rosso. Oltre a chiarire le cose, il briefing ha evidenziato una questione più ampia: il ruolo storico della comunità internazionale nell'esacerbare l'instabilità regionale anziché promuovere la pace. Invece di sostenere la giustizia e il diritto internazionale, le potenze globali hanno ripetutamente minato la sovranità dell'Eritrea e incoraggiato l'aggressione nella regione. Mentre le tensioni aumentano nel Corno d'Africa, la comunità internazionale deve finalmente fare ciò che ha fallito a lungo: difendere la giustizia, condannare le violazioni del diritto internazionale e assumere una posizione ferma e di principio contro l'aggressione. Negare e ignorare il diritto all'autodeterminazione dell'Eritrea Le azioni dannose della comunità internazionale nei confronti dell'Eritrea hanno profonde radici storiche. Dopo la seconda guerra mondiale, le aspirazioni all'indipendenza del popolo eritreo furono sacrificate per interessi geopolitici. Dopo la colonizzazione italiana e un periodo sotto amministrazione britannica, l'Eritrea fu federata con l'Etiopia contro la volontà del suo popolo. Questa decisione è stata guidata da interessi strategici occidentali, come affermato da John Foster Dulles The International Community Must Finally Shoulder its Role in un discorso del settembre 1952 al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite: "Dal punto di vista della giustizia, le opinioni del popolo eritreo devono essere prese in considerazione. Tuttavia, l'interesse strategico degli Stati Uniti nel bacino del Mar Rosso e le considerazioni di sicurezza e pace nel mondo rendono necessario che il paese sia collegato al nostro alleato, l'Etiopia". Mentre l'Etiopia smantellava sistematicamente la federazione e annetteva con la forza l'Eritrea, la comunità internazionale rimase completamente in silenzio, non condannando queste palesi violazioni dei diritti eritrei e del diritto internazionale. Per decenni, la comunità internazionale ignorò le richieste di autodeterminazione degli eritrei, costringendo il paese a sopportare la guerra più lunga dell'Africa senza supporto o intervento internazionale. Infatti, nemmeno una volta nel corso di quasi mezzo secolo fino al 1991 l'Eritrea, teatro della guerra più lunga dell'Africa e vittima di alcune delle più gravi violazioni dei diritti umani, figurava nell'agenda delle Nazioni Unite. Nella prefazione degli Atti del Tribunale permanente dei popoli della Lega internazionale per i diritti e la liberazione dei popoli, convocato nel 1980, si dichiarava: "Nessuna lotta importante, sia in termini di intensità militare che di impatto politico, è così poco conosciuta, anzi ignorata, come quella in cui è impegnato il popolo eritreo da 20 anni". Allo stesso modo, l'anno seguente, un decennio prima che l'Eritrea ottenesse finalmente l'indipendenza, la Commissione internazionale dei giuristi dichiarò che: "Di tutte le persone che, dalla seconda guerra mondiale, sono state vittime di rivalità e ambizioni tra grandi potenze, forse quella con il più grande diritto di essere presa in considerazione è il popolo eritreo. Tuttavia, nessuna nazione è stata ancora disposta a sollevare la questione dei diritti di queste persone alle Nazioni Unite. La verità è che la "questione eritrea" è fonte di imbarazzo sia per l'ONU stessa che per quasi tutte le "parti interessate"". Dopo l'ammissione formale dell'Eritrea all'ONU nel 1993, il presidente eritreo Isaias Afwerki si è rivolto all'Assemblea generale, riflettendo sugli anni di abbandono: "[Gli anni di] assordante silenzio hanno fatto soffrire il nostro popolo. Hanno anche dato mano libera agli aggressori, prolungando così la nostra sofferenza e aumentando i sacrifici che abbiamo dovuto fare. Ma non hanno scosso la nostra determinazione né minato la nostra convinzione nella giustezza della nostra causa e nell'inevitabilità della nostra vittoria. Come dice un proverbio eritreo: "La verga della verità può diventare più sottile, ma non può essere spezzata". In effetti, la giustizia ha finalmente prevalso. Questa è una fonte di speranza e felicità non solo per il popolo eritreo, ma per tutti coloro che amano la giustizia e la pace". Ostilità continua e doppi standard La lotta dell'Eritrea non si è conclusa con l'indipendenza. Dal 1998 al 2000, ha dovuto affrontare una guerra di aggressione progettata per rovesciare il governo, invertire la sua indipendenza e impadronirsi con la forza di ampie fasce del suo territorio, anche lungo il Mar Rosso. Nonostante la "decisione definitiva e immodificabile" della Commissione per i confini tra Eritrea ed Etiopia, la comunità internazionale ha permesso all'Etiopia di mantenere per quasi un decennio la sua illegale occupazione militare delle terre eritree e di lanciare ripetuti attacchi militari su larga scala. Infatti, anziché condannare le violazioni dell'Etiopia, le potenze occidentali hanno invece ricompensato gli aggressori. L'Etiopia, sotto il Tigray People's Liberation Front (TPLF), ha ricevuto ingenti aiuti esteri, per lo più in forma di bilancio e altre forme fungibili, e la cancellazione del debito, mentre si posizionava come alleato occidentale. A complicare ulteriormente le cose, su richiesta delle potenze occidentali e del loro rappresentante regionale, sono state imposte all'Eritrea una serie di sanzioni punitive, nonostante la mancanza di prove concrete per le affermazioni e le accuse sollevate. Queste misure non solo hanno ostacolato gli sforzi di costruzione della nazione dell'Eritrea e il potenziale per la cooperazione regionale, ma hanno anche incoraggiato gli attori ostili. Anche dopo che le giustificazioni originali per le sanzioni sono state sfatate, sono rimaste in vigore per anni, riflettendo un programma più ampio di contenimento e controllo piuttosto che una genuina preoccupazione per la pace e la stabilità. Oltre all'interferenza politica, l'Eritrea è stata anche bersaglio di campagne mediatiche incessanti e coordinate, progettate per denigrare e demonizzare il paese, oscurando al contempo le vere fonti di conflitto e instabilità nella regione. È giunto il momento per assumere una posizione di principio Oggi, le crescenti tensioni e il tintinnio di sciabole che circondano il Mar Rosso rappresentano una seria minaccia per la stabilità regionale. Ora è il momento che la comunità internazionale inizi a rettificare la sua lunga storia di fallimenti. Invece di rilasciare dichiarazioni vuote e inefficaci o di mantenere una falsa narrazione "da entrambe le parti", la comunità internazionale deve condannare fermamente e inequivocabilmente coloro che violano il diritto internazionale, alimentando le tensioni e minacciando la sovranità e l'integrità territoriale degli altri. Giustizia e pace non richiedono niente di meno. 21 marzo 2025 credit Ghideon Musa Aron di Sabrina Solomon
L'ambasciatrice Sophia Tesfamariam è la rappresentante permanente dell'Eritrea presso le Nazioni Unite. Ha una vasta esperienza nello sviluppo sociale globale, in particolare nel lavoro con i giovani e le donne nel Corno d'Africa. La sua passione è quella di promuovere una mentalità di possibilità tra i giovani. Ha condotto oltre 100 seminari e workshop sulla leadership e sullo sviluppo di strategie per i giovani e le donne negli Stati Uniti, in Europa e in Africa. Con una profonda competenza nei media e nella diplomazia pubblica, l'ambasciatrice Sophia mantiene solide reti in Africa, Europa e Australia, lavorando costantemente per promuovere la pace, la stabilità e la sicurezza nella regione. Attualmente, in Eritrea, continua il suo lavoro di impatto conducendo seminari e visitando siti chiave per lo sviluppo. Sabrina Solomon e Raphael Giuseppe di Eri-TV si sono seduti con lei per un'intervista approfondita. Di seguito sono riportati alcuni estratti della loro discussione. * * * Il Sud del mondo sta affermando sempre di più la sua influenza negli affari internazionali. Come vede il ruolo dell'Eritrea in questa dinamica e come possono i paesi del Sud del mondo affrontare collettivamente le sfide comuni all'ONU? Beh, grazie. Questa è una domanda molto impegnativa e anche tempestiva. Il Sud del mondo si è unito attivamente per rispondere alle urgenti sfide globali. Di recente, ho partecipato al Summit of the Future delle Nazioni Unite, così come ai precedenti summit chiave degli ultimi due anni. Il Sud del mondo ha costantemente alzato la voce su questioni critiche come lo squilibrio del sistema finanziario globale, le riforme delle Nazioni Unite, il cambiamento climatico, la sicurezza alimentare e idrica e i diritti umani. All'ONU, il Gruppo africano, insieme ad altri blocchi con idee simili, ha lavorato collettivamente per sostenere queste preoccupazioni. Negli ultimi due anni, si sono svolte serie negoziazioni per conto del Sud del mondo, in particolare in importanti forum come la conferenza del G77, il Summit di Kampala di gennaio e i summit sul clima come COP28 e COP29. Il finanziamento per il clima e la transizione energetica rimangono le massime priorità per le nostre nazioni. Il Sud del mondo sta sfruttando ogni piattaforma disponibile, conferenze, summit e riunioni di alto livello, per garantire che le nostre voci siano ascoltate e che le nostre esigenze di sviluppo siano affrontate. Il panorama globale si sta evolvendo rapidamente con sfide come il cambiamento climatico, i cambiamenti geopolitici e i progressi tecnologici. Come percepisce l'Eritrea, in quanto membro delle Nazioni Unite, questi cambiamenti e quali strategie sta impiegando per affrontarli? L'approccio dell'Eritrea è in linea con le strategie impiegate da molte nazioni, ma ciò che ci distingue è la nostra posizione proattiva. Abbiamo affrontato questioni chiave, come clima, sicurezza alimentare, gestione delle risorse idriche e sostenibilità, molto prima che diventassero argomenti di discussione globali. Sul campo, l'Eritrea ha effettuato investimenti significativi nelle infrastrutture, tra cui la costruzione di dighe, la terrazzatura delle montagne e iniziative di piantagione di alberi a livello nazionale. Per noi, queste non sono solo discussioni politiche; sono realtà vissute. A livello internazionale, partecipiamo attivamente a discussioni globali in summit e conferenze, contribuendo a dare forma al dibattito su queste questioni urgenti. I cambiamenti geopolitici in atto oggi erano inevitabili e l'Eritrea ha da tempo previsto la necessità di un ordine internazionale più giusto ed equilibrato. Abbiamo costantemente chiesto un cambiamento nel sistema globale e accogliamo con favore le trasformazioni in atto. All'ONU, l'Eritrea partecipa a discussioni tematiche su questioni emergenti come la sicurezza informatica e l'intelligenza artificiale. Siamo anche un membro attivo del G77+Cina, un blocco di 134 paesi, dove ci impegniamo in dialoghi politici sullo sviluppo globale. All'interno del Gruppo africano, ci concentriamo sulle sfide uniche del continente, tra cui gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) delle Nazioni Unite per il 2030 e l'Agenda 2063 dell'Africa. L'Eritrea utilizza piattaforme come la Voluntary National Review (VNR) presso l'ECOSOC per condividere i nostri progressi, imparare da altre nazioni e mostrare i nostri sforzi di sviluppo. L'Eritrea ha assunto posizioni diverse da quelle delle principali potenze globali. Come bilancia i suoi interessi nazionali con il suo impegno per la cooperazione internazionale? Quali meccanismi garantiscono che la voce dell'Eritrea venga ascoltata all'ONU? L'Eritrea partecipa attivamente alle discussioni all'ONU. Sarebbe inesatto affermare che le nostre posizioni sono isolate o contraddittorie rispetto alle preoccupazioni globali. Mentre alcune nazioni dominanti potrebbero non condividere sempre le nostre prospettive, esiste un'ampia coalizione di paesi con idee simili che condividono le preoccupazioni e le aspirazioni dell'Eritrea. Ogni paese all'ONU dà priorità ai propri interessi nazionali e l'Eritrea non fa eccezione. Non siamo schierati contro nessun paese, né ci allineiamo ciecamente con gli altri. Al contrario, lavoriamo con nazioni che condividono prospettive simili e comprendono il contesto delle posizioni dell'Eritrea. Questi alleati abbracciano sia il Sud del mondo che il Nord del mondo, a seconda della questione in questione. Per garantire che la nostra voce venga ascoltata, massimizziamo la nostra presenza alle Nazioni Unite impegnandoci in discussioni su argomenti chiave come il cambiamento climatico, la sicurezza alimentare e idrica, la desertificazione, la pace e la sicurezza, l'integrità territoriale e la riforma delle Nazioni Unite. L'Eritrea non si limita a partecipare; avviamo anche conversazioni per valutare il sostegno alle nostre posizioni e per costruire coalizioni. Le piattaforme, i forum e i meccanismi esistono: utilizziamo solo approcci innovativi per garantire che le nostre preoccupazioni siano integrate nell'agenda più ampia delle Nazioni Unite. Nel promuovere la pace e la comprensione nel Corno d'Africa, quali strategie diplomatiche impiega l'Eritrea alle Nazioni Unite per favorire la stabilità regionale? L'Eritrea adotta un approccio proattivo e pragmatico alla diplomazia regionale. Ci impegniamo bilateralmente con i nostri vicini, lavorando anche attraverso quadri multilaterali come l'IGAD (Autorità intergovernativa per lo sviluppo). Alle Nazioni Unite, solleviamo costantemente questioni che interessano il Corno d'Africa e sosteniamo soluzioni che riflettano le realtà sul campo. Una delle nostre principali strategie diplomatiche è promuovere un dialogo onesto. Per troppo tempo, le narrazioni esterne hanno dipinto il Corno d'Africa come una regione dilaniata dai conflitti. Sebbene esistano delle differenze, abbiamo lavorato duramente per dissipare l'idea che le nostre nazioni siano perennemente in disaccordo. Gran parte dell'instabilità della regione in passato è stata causata da interventi esterni che hanno distorto le dinamiche locali. Oggi, sottolineiamo la cooperazione regionale, riconoscendo che, sebbene ogni paese abbia le sue priorità, i nostri interessi comuni in materia di pace, sicurezza e integrità territoriale devono avere la precedenza. Alle Nazioni Unite, l'Eritrea si impegna regolarmente con gli ambasciatori residenti nel Corno d'Africa per discutere le priorità regionali, contrastare la disinformazione e presentare una narrazione più accurata del panorama politico e di sicurezza della regione. Considerando il suo background e la sua passione per lo sviluppo dei giovani, quale messaggio ha per i giovani eritrei riguardo al loro ruolo nel plasmare l'impegno dell'Eritrea con le Nazioni Unite e la più ampia comunità internazionale? I giovani eritrei hanno un ruolo significativo da svolgere e vediamo già i loro contributi nei progetti di sviluppo nazionale. I giovani eritrei sono profondamente coinvolti nella costruzione del paese, che si tratti di ingegneria, infrastrutture, agricoltura o sicurezza. Ciò che resta da fare è garantire che le loro voci siano ascoltate anche a livello internazionale. Abbiamo iniziato a portare i giovani eritrei ai dialoghi delle Nazioni Unite, inclusi eventi collaterali e forum globali come la Commissione sullo status delle donne. I giovani rappresentano il 70% della popolazione africana, rendendo essenziale la loro integrazione nelle discussioni politiche, economiche e di sviluppo. Il programma di servizio nazionale dell'Eritrea è spesso travisato, ma svolge un ruolo fondamentale nella costruzione della nazione. I nostri giovani non sono solo nella riserva militare, ma lavorano principalmente in diversi ministeri, progetti infrastrutturali e missioni internazionali, inclusa la missione ONU dell'Eritrea. Sono in prima linea nelle installazioni di pannelli solari, nella costruzione di dighe e nelle iniziative di sviluppo. Questa è una storia che deve essere raccontata. Con l'ascesa dei social media, i giovani eritrei hanno un'opportunità senza precedenti di dare forma alla narrazione globale. Questa storia positiva deve essere condivisa in modo più efficace e dare potere ai giovani energici con contesto e piattaforme, soprattutto attraverso i social media, amplificherà la voce dell'Eritrea a un pubblico globale più ampio. Quindi, evviva i giovani! Di recente ha tenuto una lezione intitolata "L'Eritrea in un ambiente globale in evoluzione" ai membri del Ministero dell'informazione. Potresti spiegare i punti chiave, in particolare come l'Eritrea si sta adattando all'ordine internazionale in evoluzione? L'Eritrea ha a lungo previsto e sostenuto un cambiamento nell'ordine globale e gli attuali cambiamenti sono in linea con le sue richieste di lunga data di giustizia e uguaglianza. Il paese si sente rivendicato poiché le precedenti narrazioni contro di esso, sui diritti umani, il servizio nazionale e lo sviluppo, vengono ora riconsiderate. L'Eritrea sottolinea che la pace, la sicurezza e la proprietà del suo programma di sviluppo sono le sue priorità principali, garantendo una società stabile e autosufficiente. Sfida le idee sbagliate esterne sui diritti fondamentali e afferma che molte delle preoccupazioni che ha sollevato sono ora riecheggiate da altre nazioni africane che si oppongono all'ingiustizia e allo sfruttamento delle risorse. Con oltre 60 anni di esperienza nella gestione delle sfide globali, l'Eritrea ritiene di avere lezioni preziose da offrire e continuerà a sostenere un sistema internazionale più equo condividendo le sue intuizioni con altre nazioni. Qualche osservazione finale? Apprezzo l'opportunità di discutere di questi importanti argomenti. Gli eritrei devono riconoscere che facciamo parte dell'ONU, uno dei 194 stati membri. Mentre alcune nazioni potenti possono dominare il processo decisionale, la maggior parte dei membri dell'ONU condivide le nostre aspirazioni per la pace, lo sviluppo e la giustizia. Dobbiamo impegnarci in modo costruttivo, assicurandoci che la voce dell'Eritrea continui a essere ascoltata. Grazie! Credit Ghideon Musa Aron Il ministro degli Esteri Osman Saleh ha tenuto un briefing questa mattina, presso la sede centrale del Ministero degli Esteri di Asmara, agli ambasciatori/membri residenti del Corpo diplomatico e ai capi delle agenzie ONU accreditati presso il paese, su false accuse riguardanti:
i) i presunti preparativi dell'Eritrea per la guerra contro l'Etiopia; ii) l'accordo di Pretoria; e, iii) L'ossessione dell'Etiopia per uno sbocco al mare e le successive campagne diplomatiche e i tintinnii di sciabole. Nel suo ampio briefing, FM Osman ha sottolineato: * Il FES è stato ridistribuito ai confini riconosciuti a livello internazionale dell'Eritrea subito dopo la fine del conflitto nel novembre 2022. "Chiunque sostenga o suggerisca che il FES sia ancora in territorio etiope lo sta facendo per capro espiatorio Eritrea per i problemi interni dell'Etiopia". * Queste accuse sono rivolte da ex membri del TPLF che avevano respinto fin dall'inizio, e continuano a respingere, la decisione definitiva e vincolante della Commissione di Confine Eritrea-Etiopia (EEBC), e che avevano lavorato per il cambiamento di regime in Eritrea "inutile". * Il GOE considera l'accordo di Pretoria come un affare interno dell'Etiopia e non desidera intervenire in tale processo. *Il GOE non ha alcun ruolo nel conflitto interno in corso tra l'Amministrazione Tigray ad interim e il TPLF; respinge categoricamente qualsiasi accusa o accusa che insinuino diversamente. * L'Eritrea è perplessa dalle ambizioni miguidate e obsolete dell'Etiopia per l'accesso marittimo e la base navale "attraverso la diplomazia o la forza militare". A questo proposito, l'Eritrea esorta la comunità internazionale e i suoi organi competenti a esercitare pressioni sull'Etiopia affinché rispetti la sovranità e l'integrità territoriale dei suoi vicini. Via Yemane G. Meskel Ministro dell'Informazione credit Ghideon Musa Aron In questo lungo articolo raccontiamo un po' di aneddoti che accompagnarono la nascita della Comunità Eritrea in Italia, ma anche e soprattutto l'affermazione femminile nella Guerra d'Indipendenza condotta dal FPLE (Fronte Popolare di Liberazione Eritrea): un ruolo, quella donna, che ha davvero reso possibile l'esistenza dell'Eritrea di oggi.
Di Filippo Bovo 17 Mar 2025 In questi giorni si sono tenuti i festeggiamenti della Comunità Eritrea in Italia per l’8 Marzo, Festa della Donna. La Comunità è presente in molte città del nostro Paese, in gruppi più o meno nutriti: Bologna, Milano, Roma, e Firenze giusto per citare i più numerosi, ma guai a dimenticare anche gli altri, come ad esempio Parma, Reggio Emilia, Pisa, Genova, Torino, o ancora Catania, Bari, Pescara, Pistoia, e chi più ne ha più ne metta. Mi scuso con chi eventualmente non avessi nominato, ma la lista è tanto vasta da favorire pure qualche… “sbandamento di memoria”. Ogni gruppo, tradizionalmente, tiene i festeggiamenti di questa e di altre ricorrenze, come ad esempio l’Anniversario dell’Indipendenza o quello dell’Operazione Fenkil, o ancora la Giornata dei Martiri, secondo la data in cui è possibile riunirsi tutti quanti: solitamente le domeniche e i festivi sono i giorni prediletti, proprio perché vedono tutti svincolati dai propri doveri lavorativi. Per questo motivo alcune Comunità cittadine hanno tenuto la celebrazione dell’8 marzo domenica scorsa, e altre nella domenica precedente: per praticità e rispetto di tutti era la cosa più giusta che si potesse fare. Così quella che è un’importante giornata comune, oltre che un evento di comunità diventa anche un grande evento di famiglia: donne e uomini, anziani e bambini, tutti si ritrovano insieme accompagnati dal ricordo, dalla musica e dalla cucina nazionali, non ultimo dalle tante occasioni di ballo che, davvero, non risparmiano nessuno: impossibile restarne fuori, anche i meno “abili” in una simile arte non possono a quel punto non scendere in pista e dire la loro. Mi piace ricordare tutto questo, a distanza di qualche giorno, per far capire ai tanti amici italiani che ci leggono quanto profonda sia l’importanza della Giornata della Donna per l’Eritrea e per gli eritrei, molti dei quali da decenni parti attive del nostro paese, cittadini modello di famiglie storicamente radicate nella loro città, già alla seconda e terza generazione, talvolta anche di più. Sebbene la maggior parte degli eritrei d’Italia sia giunta nella Penisola negli Anni ‘70, quando la Guerra d’Indipendenza tra il governo etiopico d’allora e il FPLE (Fronte Popolare di Liberazione Eritreo) infuriava più che mai, non pochi di loro erano già approdati negli anni precedenti: alcuni nel Dopoguerra, quando l’Eritrea aveva cominciato a scontare le prime drammatiche traversie legate al Secondo Conflitto Mondiale e alla sua successiva annessione, dopo l’intermezzo del governo militare inglese, da parte dell’Etiopia a quel tempo ancora dominata dal Negus Haile Selassie. Non era mancato neppure qualche eritreo giunto in Italia tra le due Guerre Mondiali, per ragioni casuali o anche parentali, ma parliamo davvero di pochissime personalità, che tuttavia anticiparono pur sempre quella che un giorno sarebbe stata una ben più ampia presenza. Ebbene, il contributo che il FPLE seppe dare alla condizione femminile eritrea, nel pieno del conflitto, in un momento dei più drammatici della storia di quella terra, fu tale da potersi dire ben oltre il rivoluzionario. La donna, per il FPLE, era ben più che alla pari rispetto all’uomo: si potrebbe quasi parlare, si spera non impropriamente, di un’emancipazione femminile che dinanzi alle urgenze di un conflitto di liberazione nazionale si faceva anche guerriera. Rispetto al precedente FLE (Fronte di Liberazione Eritreo), da una cui costola il FPLE tra la fine degli Anni ‘60 e l’inizio degli Anni ‘70 era sorto, il nuovo movimento seguendo valori socialisti, marxisti e patriottici adattati alle specificità storico-nazionali eritree aveva subito individuato nella piena eguaglianza tra uomini e donne e nella centralità di quest’ultime nella nuova visione della società eritrea uno dei cardini essenziali perché una vera guerra d’emancipazione ed autodeterminazione vi potesse essere e, soprattutto, potesse trionfare. Ben presto oltre il 30% delle donne andarono a comporre le fila dei cosiddetti Tegadelti, i combattenti per la Liberazione, ricoprendosi di grandi atti d’eroismo e coraggio guerriero. In verità la percentuale andrebbe persino rivista verso l’alto, giacché molte donne collaboravano alla causa e al movimento anche dall’esterno, e nelle forme più disparate: dalle cure ai feriti e ai bambini, alla custodia e al trasporto di documenti e consegne, o ancora nella ricerca di fondi, come del resto facevano anche altri uomini. Una delle ragioni per cui negli Anni ‘70 si formò una così grande Diaspora eritrea in vari paesi del mondo, Italia per prima, risiede infatti proprio in questa ragione: le donne in tutto ciò ebbero un ruolo importante anche nel favorire il trionfo della Liberazione dall’estero, e non solo in patria. Contro il nemico si poneva così un vero e proprio “popolo in armi”, non un semplice gruppo politico o militare, e quando intendiamo “armi” esse potevano essere anche quelle sociali, familiari e culturali, o altre ancora: armi femminili, potenti, che il nemico non prevedeva e non sapeva esattamente come contrastare. Un altro fattore importante in cui le donne svolsero un ruolo a dir poco insostituibile fu quello della cura e del controllo dei prigionieri: contro i Tegadelti, non di rado, le truppe etiopiche giocarono sulla quantità, ricorrendo a contingenti massicci ma anche scarsamente motivati, spesso composti di uomini che quella guerra non la volevano o non sapevano esattamente perché dovessero combatterla. I tanti armamenti le resero comunque capaci di lasciare gravissime ferite sul campo e a danno della popolazione, tanto che neanche il Napalm o bombe non consentite dalle convenzione internazionali vennero escluse dall’impiego dal regime di Menghistu Haile Mariam, che a metà Anni ‘70 aveva rimpiazzato il Negus alla guida del DERG. Tuttavia, numerosi soldati etiopici cadevano nelle imboscate o, sconfitti nei combattenti ed accerchiati, finivano prigionieri dei temuti Tegadelti: non pochi di loro erano feriti, affamati, certo disperati. Dai nemici s’aspettavano la morte o comunque il peggio, anche perché così certamente i Comandi gli avevano fatto credere. Invece, contrariamente alle loro più nefaste previsioni, i Tegadelti li curavano e li rifocillavano, e quando erano tornati sani li riaccompagnavano, intuibilmente con non pochi rischi, oltre il fronte. Là, tornati tra i loro commilitoni, raccontavano una realtà diversa da quella che il regime gli aveva fatto credere: dall’altra parte c’era un nemico “umano”, fatto di donne materne, che li avevano curati e nutriti con la pietà che avrebbero avuto delle madri o delle sorelle. Il passaparola, diffondendosi in Etiopia, contribuì non poco nel tempo a scardinare molta della propaganda del DERG e a demotivare ancor più un esercito a cui non bastavano più solo i potenti arsenali ricevuti dall’estero per poter rimediare alle crescenti falle, sia interne che sul fronte. Le donne furono davvero “l’arma nell’arma” del FPLE e della causa di Liberazione Eritrea. Non è un caso che tra gli eritrei sempre si ricordi, col massimo orgoglio, che “senza le donne l’Eritrea di oggi non sarebbe mai stata possibile”. Anche in Eritrea la Giornata dell’8 Marzo ha ricevuto pertanto delle enormi attenzioni, con varie ricorrenze e festeggiamenti; ma non è mancato neppure l’aspetto politico e formativo. Non è casuale, ad esempio, che proprio lo scorso 12 marzo ad Asmara si sia tenuto anche il Sesto Congresso dell’Associazione di Agro-Business delle Donne, presieduto dalla Sig.ra Letekidan Kahsai: è anche attraverso la promozione del credito alle coltivatrici, seguendole nel miglioramento delle tecniche agronomiche e nello sviluppo degli affari, della gestione del marchio e della promozione imprenditoriale, che si porta avanti l’emancipazione femminile in uno Stato progressista e moderno, che mira a porsi anche in questo campo come avanguardia di tutto il Continente. Ne è un esempio anche quanto dichiarato, guarda caso, dalla Sig.ra Takea Tesfamichael alla 69esima Sessione della Commissione per lo Statuto delle Donne, a New York, lo scorso 13 marzo, che ricordando proprio l’enorme contributo dato dalla donna eritrea nella causa della Liberazione Nazionale, proprio per mezzo di quel suo valore aggiunto dato da un approccio di femminilità e resilienza, ha poi ricordato come appena divenuto indipendente il paese abbia aderito alla Dichiarazione di Pechino e alla Piattaforma per l’Azione tese proprio ad assicurare, nei paesi firmatari, la piena eguaglianza di genere e la partecipazione delle donne ad ogni settore nazionale, economico e sociale. Ricordando il drammatico livello in cui l’Eritrea si trovava a guerra per l’Indipendenza appena conclusa, la Sig.ra Tesfamichael ha a quel punto ricordato come un enorme lavoro sia stato condotto dallo Stato in questo senso, garantendo alla donna pieni diritti nella Pubblica Amministrazione e nel diritto di proprietà, nel potere decisionale e nei diritti di successione, così come in ogni altro campo ancora. Basti pensare che in Eritrea è possibile trovare donne nell’Esercito, nella Sanità, nell’Istruzione, nel Governo, e così via: non è scontato in tutto il Continente, e nemmeno altrove, soprattutto in quelle percentuali sociali. Come paese fortemente progressista, l’Eritrea in poco più di trent’anni d’Indipendenza ha così ridotto di oltre il 70% la mortalità infantile e materna, garantito alla donna il parto nelle condizioni più sicure possibili e lottato accanitamente contro le mutilazioni genitali femminili, aspetti parimenti tutt’altro che scontati in altre parti del mondo. Con tutto ciò, questi per la leadership eritrea non sono un punto d’arrivo, ma solo un punto di partenza: per la donna e per la parità di genere ancora lungo e molto più luminoso è destinato ad essere il percorso futuro. A tutte le donne eritree in particolare, ci sentiamo dunque di dover fare i nostri più cari e sinceri auguri! Dichiarazione generale dell'Eritrea durante la 69a sessione della Commissione sullo status delle donne pronunciata dalla Sig.ra Takea Tesfamichael, Presidente dell'Unione nazionale delle donne eritree
New York, giovedì 13 marzo 2025 Signora Presidente, La Dichiarazione di Pechino rimane uno degli impegni globali più importanti non solo per promuovere i diritti delle donne e delle ragazze, ma anche per promuovere società avanzate e inclusive. Sebbene siano stati compiuti progressi innegabili da Pechino, siamo ben lontani dal realizzare le sue ambiziose aspirazioni e i dati che indicano che siamo a più di cento anni dal raggiungimento dell'uguaglianza di genere sono una realtà che fa riflettere e richiede un'azione urgente. Signora Presidente, mi permetta di offrire alcune riflessioni. In primo luogo, ricordando l'era coloniale, le strutture economiche globali rimangono ingiuste, sfruttatrici ed estrattive, arricchendo pochi eletti nel Nord del mondo e impoverendo le nazioni più povere. Da nessuna parte ciò è più evidente che nell'attuale crisi del debito, dove i paesi africani pagano costi di prestito fino a otto volte superiori rispetto alle economie ricche. La deviazione di risorse vitali dal finanziamento dell'istruzione, dell'assistenza sanitaria e delle opportunità economiche per donne e ragazze sta senza dubbio influenzando gli sforzi per promuovere l'uguaglianza di genere. In secondo luogo, i conflitti stanno invertendo i progressi dell'uguaglianza di genere. In tutta l'Africa, i conflitti, spesso causati da interferenze esterne, hanno devastato le economie, fratturato le comunità e lasciato donne e bambini a sopportare i fardelli più pesanti. Senza una vera cooperazione globale per prevenire e porre fine ai conflitti, il raggiungimento dell'uguaglianza di genere sarà un sogno lontano. In terzo luogo, stiamo assistendo a una trasformazione selettiva dei diritti delle donne in armi per giustificare misure punitive contro alcuni governi, mentre la situazione di altre donne, comprese quelle che soffrono di conflitti, è spesso sfuggita al livello di indignazione necessario per guidare le soluzioni politiche. Questo doppio standard espone una profonda ipocrisia nel sistema globale, dove la sofferenza delle donne viene riconosciuta solo quando si allinea con gli interessi geopolitici di attori potenti. Indipendentemente dall'identità dei colpevoli, dalla razza, dal credo o dalla posizione delle vittime, o dalle considerazioni politiche in gioco, i diritti delle donne devono ottenere la stessa considerazione globale. Signora Presidente, In Eritrea, la lotta per l'uguaglianza di genere è nata all'interno della lotta di liberazione nazionale per l'indipendenza. Non è stata concessa o negoziata; è stata ottenuta attraverso sacrificio e determinazione. Le donne eritree si sono schierate spalla a spalla con le loro controparti maschili, non solo come sostenitrici ma come combattenti e leader. La loro partecipazione non era simbolica, era fondamentale per il successo del movimento di liberazione. Così facendo, hanno infranto norme patriarcali profondamente radicate. I loro diritti sono radicati nel tessuto stesso della società della nazione. La Dichiarazione di Pechino e la Piattaforma d'azione sono stati uno dei primi grandi impegni internazionali dell'Eritrea dopo aver ottenuto l'indipendenza nel 1993. Nonostante le risorse limitate e le persistenti ostilità, l'Eritrea ha costantemente fatto progressi verso l'adempimento di questi impegni. Dalla Dichiarazione di Pechino, l'Eritrea ha compiuto passi da gigante nel promuovere i diritti e la partecipazione delle donne in tutti i settori. Le riforme legali hanno garantito pari diritti nel matrimonio, nell'occupazione e nella proprietà immobiliare, consentendo alle donne di ereditare, possedere terreni e prendere decisioni economiche indipendenti. Le iniziative educative hanno portato alla parità con particolare attenzione alle aree rurali, mentre gli investimenti nella salute hanno portato a una riduzione di oltre il 70% della mortalità materna. Le donne svolgono un ruolo fondamentale nell'economia, impegnandosi attivamente in piccole imprese, agricoltura e commercio, supportate da programmi di microfinanza e formazione professionale. Politicamente, le donne eritree ricoprono posizioni di leadership chiave a livello nazionale e locale, assicurando che le loro voci plasmino le politiche e lo sviluppo nazionale. Nonostante questi risultati, non siamo compiacenti. Restiamo vigili e impegnati nel miglioramento continuo, determinati a raggiungere il progresso a cui aspiriamo e che le donne eritree meritano di diritto. Vi ringrazio fonte shabait.com credit Ghideon Musa Aron A quanto pare, un altro periodo di massimo splendore per i soliti imprenditori del conflitto!15/3/2025 La preoccupazione genuina di evitare qualsiasi episodio di conflitto - intra-statale o inter-statale - nel Corno d'Africa è ovviamente nobile e lodevole. Mettere a tacere le armi deve essere davvero l'impegno collettivo di coloro che hanno a cuore il benessere di tutti i popoli della nostra regione. Ma i vari postulati e "analisi di scenario", così come le richieste di "intervento esterno", spacciati dalla maggior parte di questi imprenditori del conflitto mancano di profondità e obiettività e sembrano impantanati in motivazioni malsane e programmi sottostanti. E come sempre, macchiare l'immagine dell'Eritrea e usarla come un comodo sacco da boxe politico sembra essere una parte organica di questi schemi. In tal caso, ribadiamo l'impegno incrollabile dell'Eritrea per la pace sulla base dei pilastri fondamentali del diritto internazionale e degli interessi della stabilità regionale. A questo proposito: 1. Le accuse spesso ripetute di "presenza di truppe eritree nella regione del Tigray in Etiopia" da parte di certi circoli sono del tutto false e sono state inventate per creare un pretesto per alimentare il conflitto. Le truppe eritree erano e rimangono completamente dispiegate nei suoi territori sovrani. 2. Come sottolineato in termini inequivocabili in molte occasioni in passato, l'Eritrea non ha alcun interesse a far naufragare l'accordo di pace di Pretoria; che è essenzialmente un affare interno etiope, 3. Allo stesso modo, l'Eritrea non ha alcun interesse a esacerbare gli scismi interni alle fazioni politiche del TPLF che ritiene possano solo comportare sofferenze inutili ed evitabili per la popolazione del Tigray. 4. Insieme ad altri programmi tossici (polarizzazione etnica e religiosa ecc.), l'irredentismo territoriale è rimasto la causa principale di conflitti interstatali e intrastatali endemici e ciclici nella regione del Corno d'Africa. In questo contesto, le continue dichiarazioni infiammatorie rilasciate giorno dopo giorno da varie forze politiche in Etiopia in merito al Mar Rosso continuano a essere una ricetta per inutili tensioni. Ciò deve essere condannato nei termini più forti e senza alcun equivoco Yemane G. Meskel 🇪🇷 Ministro dell'Informazione Il ministro Adolfo Urso ha incontrato il ministro dell'industria eritrea Nesredin Bekit e Hagos Ghebrehiwet, consigliere economico del presidente Afewerki. Al centro dell'incontro la cooperazione #economica nei settori prioritari per rafforzare i legami tra #Italia ed #Eritrea
Via Ministero delle Imprese e del Made in Italy credit Ghideon Musa Aron n questi giorni il Tigray è nuovamente al centro di una serie di tensioni, che dividono il TPLF e lo oppongono al Governo Federale etiopico; quest'ultimo, a sua volta, sconta una serie di problemi interni e manifesta una sempre maggior polemicità coi suoi confinanti. In tutta questa situazione l'Eritrea, spesso destinataria d'ingiuste polemiche che ne fanno un "capro espiatorio" per i problemi interni del suo vicino etiopico, non intende ritrovarsi coinvolta.
Di Filippo Bovo 14 Mar 2025 In questi ultimi giorni destano crescenti preoccupazioni le rinnovate tensioni tra il Governo Federale etiopico e l’amministrazione dello stato settentrionale del Tigray. Prima di tutto, sono da smentire le voci spesso circolanti in questi casi di truppe straniere o pronte ad intervenire nel Tigray, in primis truppe eritree: la questione infatti è tutta interna all’Etiopia, tra il governo del PP (Prosperity Party) di Abiy Ahmed e una fazione del TPLF (Tigray People’s Liberation Front) che guida il Tigray, e prova la sostanziale e prevedibile impotenza degli Accordi firmati a Pretoria che chiusero proprio il conflitto tra Governo Federale e TPLF del 2020-2022. Quegli Accordi, sottoscritti dal Governo Federale etiopico e dal TPLF, con Sudafrica, Stati Uniti ed Unione Africana come garanti ed osservatori, hanno purtroppo incontrato numerosi ostacoli, che ne hanno vanificato in buona parte l’applicazione; ma probabilmente farli rispettare potrebbe costituire ancora oggi un’ancora di salvezza per la stabilità della regione e, indirettamente, della stessa Etiopia. L’Eritrea, e così pure altri ancora, non hanno certo alcun interesse a farli fallire, preferendo semmai che le parti chiamate ad applicarlo s’impegnassero in tal senso anziché speculare politicamente e mediaticamente per internazionalizzare le loro rinnovate conflittualità interne. Per prima cosa va spiegato che il TPLF, che guida il TPLF, è prevalentemente diviso in due grosse fazioni, una capeggiata dal leader Getachew Reda (TPLF-G), presidente ad interim del Tigray, e l’altra dal leader Gebremichael Debretsion (TPLF-D), che può contare soprattutto della forza militare, stimata in circa 200mila combattenti. La fazione TPLF-G guida il Tigray secondo un compromesso con Addis Abeba sorto proprio con gli Accordi di Pretoria, con la fazione TPLF-D che intanto mira a portare avanti una strategia tesa ad impedire che possa dotarsi di una propria credibile forza militare, oltre a guadagnare una maggior influenza politica interna. Nel Tigray, così come in seno allo stesso TPLF, albergano poi anche altre fazioni relativamente minoritarie. Negli ultimi giorni la fazione TPLF-D sta scalzando con una serie di colpi di mano varie amministrazioni controllate dalla TPLF-G nel Tigray; fin qui sarebbe un problema interno al Tigray, se non fosse che la fazione TPLF-G è quella allineata al Governo Federale del PP, oggi più che mai ostile all’Eritrea, contro cui nella vana ricerca di un capro espiatorio viene lanciata l’accusa ovviamente non provata d’aver mosso la mano della fazione TPLF-D. Già soltanto queste accuse hanno ampiamente colonizzato il web, assommandosi ad altre di estranee all’area del TPLF ma comunque pur sempre riconducibili ad altre fazioni interne o internazionali, non ultimo occidentali, note per la loro ostilità al governo di Asmara: tutte fasulle, spesso vecchie accuse rimasticate e ripescate dal passato, ma che testimoniano comunque il forte attivismo anti-eritreo conosciuto da certi ambienti politici e mediatici in questi giorni. E’ un vecchio copione a cui il pubblico occidentale, meno “vaccinato”, può ancora facilmente dar credito; ma davvero, dopo tutti questi anni, sarebbe il caso di non lasciarsene troppo influenzare. Perché se i contrasti e le conflittualità in seno alle compagini politiche etiopiche esistono, e così pure quelle etiopiche nei confronti dei paesi confinanti, a maggior ragione è allora preferibile inquadrarli in una più corretta lettura politica, anziché dar adito a narrazioni decisamente poco costruttive o persino fuorvianti. La fazione TPLF-D non vuole che il Tigray sia nuovamente trasformato in una linea del fronte in un eventuale scontro militare tra il Governo Federale etiopico e l’Eritrea, visto che Addis Abeba negli ultimi tempi ha minacciato tutti i suoi confinanti nel Corno d’Africa per ottenere un accesso al mare. In precedenza fu con la Somalia, firmando con lo stato non riconosciuto del Somaliland un MoU per stabilire una base navale e militare presso l’area di Berbera, in cambio del riconoscimento come stato indipendente; e col Sudan, dove ugualmente sostenendo le RSF contro il governo di Khartum uno degli auspici etiopici era pure quello di crearsi, attraverso la deflagrazione del proprio vicino, un accesso a Port Sudan. Chiusa la pagina in Somalia, su cui restano accese le attenzioni degli Emirati Arabi Uniti e di Israele, nonché degli USA, e ormai quasi chiusa anche la guerra civile in Sudan con la sconfitta delle RSF (Rapid Support Forces), sostenute sempre con Emirati Arabi Uniti ed Israele, l’Etiopia è tornata ultimamente a polemizzare con l’Eritrea proprio per l’accesso al porto di Assab, a cui prima del conflitto del 1998-2000 aveva avuto sempre accesso a titolo gratuito. Un accesso, quello ad Assab, che Addis Abeba s’è voluta giocare per sua scelta, muovendo contro l’Eritrea l’immotivata guerra d’aggressione del 1998, conclusasi nel 2000 con una pesante sconfitta per le forze etiopiche “addolcita” dal pronto intervento diplomatico e dai successivi 18 anni di violazione delle aree frontaliere, contro quanto asserito dalla commissione ONU UNMEE e dagli Accordi di Algeri. In sostanza, se con l’alleata fazione TPLF-G per il Governo Federale etiopico sarebbe più facile confrontarsi militarmente con l’Eritrea dato il relativamente maggior controllo politico che gli assicurerebbe nel Tigray, con la più ostica fazione TPLF-D sarebbe invece più probabile che proprio il Tigray diventi teatro di un nuovo conflitto civile tra TPLF e Governo Federale. L’Eritrea non intende ritrovarsi immischiata in una questione interna riguardante il suo vicino etiopico, preferendo semmai portar avanti il suo sviluppo interno e i suoi rapporti coi vari partner regionali ed internazionali, come attestato ad esempio proprio dall’accordo multimiliardario firmato in questi giorni con l’Arabia Saudita per lo sviluppo del porto di Assab. Il Governo Federale etiopico è in preda ad una grave crisi economica e finanziaria aggravata dalle liberalizzazioni imposte dal FMI e dalla fine dei fondi USAID, di cui l’Etiopia era tra i massimi dipendenti nel Continente, con un’inflazione che sta divorando il birr il cui valore nel frattempo continua a scivolare; con crescenti rivalità tra i gruppi che lo compongono, oltre che con quelli che a vario titolo guidano o gli contendono il controllo di varie aree del paese, dal FANO in Amhara all’ONLF in Oromia, fino poi a nuove tensioni nell’Afar e nell’Ogaden, una zona finora relativamente più tranquilla delle altre. Soprattutto la guerra civile che in questo momento oppone il Governo Federale al FANO, che continua ad avanzare in varie aree del paese, sta creando nell’Amhara continue e gravi sofferenze alla popolazione, costituendo per il premier Abiy Ahmed ben più che una spina nel fianco ed un’ipoteca sulla stabilità del proprio potere. Di conseguenza, che il Governo Federale etiopico cerchi nella conflittualità con l’esterno una via di fuga alle sue tante e crescenti contraddizioni interne appare più che comprensibile; ma proprio per tale ragione nessun serio e responsabile attore regionale od internazionale vedrebbe mai il perché di dargli corda, fomentandone ulteriormente l’instabilità e conseguentemente anche le sofferenze di molti suoi cittadini. Semmai, quel che tutti ci dovremmo augurare è che l’Etiopia possa presto ritornare a conoscere momenti migliori, per il bene dei tanti popoli che la abitano e così pure dei suoi vicini, con cui preferirebbero stabilire una politica d’integrazione e buon vicinato e non certo di sospettosa conflittualità; e che ancor meno vorrebbero sentirsi additati a consueti “capri espiatori” di problemi su cui non hanno alcuna responsabilità. Dichiarazione della delegazione eritrea sulla 58a sessione del Consiglio per i diritti umani28/2/2025 Dichiarazione pronunciata durante il Dialogo interattivo avanzato sull'Eritrea
58a sessione del Consiglio per i diritti umani 27 febbraio 2025 Signor Presidente, Ogni anno, questo Dialogo interattivo avanzato si svolge come uno spettacolo stagionale ben provato, con il cast che sale sul palco, ognuno nei ruoli assegnati. La sceneggiatura si svolge quasi identica agli anni precedenti quando inizia il dialogo. Lo spettacolo si trascina da dodici anni sulla premessa centrale di ritenere responsabile uno stato sovrano. Ma proprio come un dramma logoro, la trama si trasforma e cambia direzione, ma alla fine torna alle tattiche familiari di nominare e svergognare. Mentre il dramma persiste, una cosa diventa dolorosamente chiara: l'evidente ipocrisia e parzialità nell'applicazione da parte di questo Consiglio di mandati specifici per paese. Purtroppo, la scena si trascina ancora, stuzzicando la possibilità di qualcosa di significativo senza mai produrre risultati. Signor Presidente Nel profondo, questo spettacolo inciampa su una fragile premessa centrale: il coraggio di tenere l'Eritrea, una nazione orgogliosa di 3,6 milioni di persone, ai capricci di crociati dei diritti umani non accreditati e autoproclamati. In questo esercizio assurdo, una nazione forgiata nel sacrificio e temprata dalla resilienza viene presentata come una nazione paria. Quando in realtà, la lotta dell'Eritrea per l'indipendenza è stata una lotta per i diritti umani e la giustizia, una lotta contro l'oppressione, una lotta contro lo sfruttamento e le violazioni sistemiche. Ampie prove rivelano la lunga storia di grave ingiustizia e sofferenza umana dell'Eritrea sotto il dominio coloniale. Tragicamente, ancora oggi, l'Eritrea affronta una continua brutalizzazione deliberata attraverso sabotaggi politici e diplomatici, tratta di esseri umani, sanzioni unilaterali illegali e altre misure ingiuste e immorali. Illustri delegati, Nonostante ciò, l'Eritrea, per anni, si è apertamente impegnata con agenzie ONU credibili. Eppure, questa buona volontà è soffocata da questi processi farsa teatrali, dove la nostra realtà, i nostri progressi nell'alfabetizzazione, nell'assistenza sanitaria e nelle infrastrutture nonostante le sanzioni e l'accerchiamento, è soffocata da narrazioni parziali e retoriche. Questa deliberata falsa rappresentazione non è solo ingiusta, ma anche profondamente ironica. Una realtà semplice ma innegabile sottolinea ulteriormente l'assurdità di questo spettacolo. Mentre questa piattaforma viene ripetutamente utilizzata per presentare rappresentazioni esagerate e fuorvianti dell'Eritrea, un ufficio nazionale delle Nazioni Unite pienamente operativo continua a funzionare ad Asmara. Dove i vostri colleghi si impegnano in modo costruttivo ogni giorno con il nostro governo nell'esecuzione di iniziative di sviluppo tangibili. Eppure, i rapporti orali presentati oggi, come quelli precedenti, persistono nell'ignorare il quadro più accurato e sfumato dei progressi e delle sfide del paese come riportato dall'ufficio nazionale delle Nazioni Unite. Signor Presidente Illustri Delegati, I nostri detrattori intervengono, spesso tornando alle stesse inutili e vuote accuse sollevate contro l'Eritrea in passato. Quello che dovrebbe essere un dibattito avvincente è diventato un esercizio teatrale di futilità, una pantomima in cui l'unica suspense sta nel fatto che qualcuno si sintonizzerà l'anno prossimo. Tuttavia, l'Eritrea si distingue, non come un attore in questa farsa, ma come una nazione al di sopra di essa, inflessibile agli echi coloniali, inflessibile alle critiche vuote e indifferente al frastuono di un palcoscenico vuoto. Il nostro copione è scritto nella resilienza del nostro popolo, non nei capricci di questo specifico mandato. Grazie -------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Osservazioni conclusive pronunciate durante il dialogo interattivo avanzato sull'Eritrea 58a sessione del Consiglio per i diritti umani 27 febbraio 2025 Signor Presidente, Come ho detto nelle mie osservazioni introduttive, quella che un tempo avrebbe dovuto essere una sessione una tantum si è trasformata in una saga di lunga durata, con trame prevedibili e personaggi ricorrenti occasionali. Nel frattempo, abbiamo perso la voglia di dare risposte che abbiamo opportunamente fornito innumerevoli volte in precedenza in risposta alle accuse infondate dei detrattori dell'Eritrea, alcuni dei quali sono apertamente dichiarati operatori di cambio di regime. A questo punto, mentre riconosciamo che l'ufficio dell'Alto Commissario sta adempiendo a un mandato che è stato incaricato di eseguire, esortiamo comunque i membri dell'ufficio ad agire in modo responsabile. È profondamente preoccupante che l'Alto Commissario assistente continui a presentare aggiornamenti basati su rapporti riciclati principalmente da mandati precedenti, ribadendo false accuse. Purtroppo, se questo schema persiste, non farà altro che minare il dialogo costruttivo e mettere a dura prova la relazione che ci stiamo sforzando di costruire. Abbiamo ripetutamente espresso la nostra volontà di impegnarci apertamente e onestamente con l'Ufficio dell'Alto Commissario. Signor Presidente, L'Eritrea non è una nazione che si sottrae alla responsabilità. Nonostante le immense sfide, abbiamo fatto passi da gigante nell'istruzione, nella salute e nell'uguaglianza sociale, risultati costantemente trascurati dalla ristretta prospettiva del mandato speciale. Invitiamo a una vera collaborazione e cooperazione, non a puntare il dito e condannare. Il mandato speciale, tuttavia, non offre né l'uno né l'altro. Rimane una reliquia di un approccio imperfetto che dà priorità alla geopolitica rispetto al progresso. Questo mandato mina anche il principio fondamentale della sovranità nazionale, una pietra angolare della Carta delle Nazioni Unite. In quanto stato sovrano, l'Eritrea ha il diritto e la responsabilità di affrontare i propri affari interni senza indebite interferenze esterne. L'imposizione di una procedura speciale, senza il consenso dell'Eritrea, ignora questo principio e tratta la nostra nazione come un soggetto di controllo neocoloniale piuttosto che come un membro paritario della comunità internazionale. I diritti umani, signor Presidente, non dovrebbero servire da pretesto per intromettersi nella governance interna; devono essere perseguiti attraverso il dialogo e il rispetto reciproco, non attraverso dettami unilaterali di questo Consiglio mascherati da autorità morale. In conclusione, l'Eritrea è pronta a impegnarsi come partner paritario, non come bersaglio. L'onere ricade sul Consiglio. Esortiamo gli Stati membri ad agire con decisione per porre fine a questo mandato alla 59a sessione del Consiglio per i diritti umani a giugno. IGrazie |
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Settembre 2024
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