Simon Weldemichael
Gli eritrei si stanno preparando a celebrare il 34° anniversario dell’Operazione Fenkil, un’operazione che ha portato a una delle più grandi vittorie militari nella lunga e aspra lotta per l’indipendenza. L'operazione Fenkil fu una battaglia durata tre giorni, iniziata l'8 febbraio e terminata il 10 febbraio 1990 con la liberazione della città portuale di Massaua. La liberazione di Massaua aveva creato cambiamenti militari fondamentali negli equilibri di potere a favore dei combattenti per la libertà dell’Eritrea. Più di 40mila soldati etiopi furono uccisi, catturati o feriti; 80 carri armati furono catturati e altri 30 carri armati bruciati; e la forza navale etiope fu annientata. La liberazione di Massaua, città portuale sul Mar Rosso, ebbe un'importanza strategica nella lotta per l'indipendenza perché significò la chiusura della principale arteria per il trasporto della logistica e degli armamenti dell'esercito etiope in Eritrea. L’operazione Fenkil ridusse l’esercito etiope, all’epoca il più numeroso dell’Africa, in una tigre sdentata. L’establishment militare, assistito in tempi diversi dall’Occidente e dall’Oriente, perse lo spirito di lotta. La sua disillusione fu così grande che i suoi disperati tentativi di riconquistare Massaua fallirono miseramente. Più di 300 ufficiali militari di alto e basso rango, tra cui il generale di brigata Tilahun Kilfe, il generale di brigata Ali Haji Abdulahi e il capitano Tsegaye Mekonen, furono fatti prigionieri nella battaglia rapida e decisiva. Quando le forze dell'EPLF controllavano gran parte di Massaua, i restanti soldati nemici erano concentrati a Twalet, una piccola area collegata alla terraferma tramite una stretta strada rialzata conosciuta come Sigalet. Sotto il comando del generale di brigata Teshome Tesema, l'esercito disperato tenne in ostaggio la popolazione civile. L’appello dell’EPLF per il rilascio dei civili e la sua offerta di amnistia all’esercito assediato caddero nel vuoto. E dopo 12 ore di cessate il fuoco dichiarato unilateralmente, i carri armati e la fanteria dell’EPLF fecero irruzione a Tiwalet e nel porto, liberando le persone che erano state prese in ostaggio dall’esercito etiope. L’operazione Fenkil è la più grande operazione militare strategica portata avanti dall’EPLF dopo la battaglia di Afabet che distrusse il più forte comando Nadew dell’Etiopia. Il coordinamento e la velocità dell'operazione Fenkil colsero di sorpresa l'esercito etiope. Fu un'operazione anfibia, la prima del suo genere nella storia della lotta, che coinvolse la fanteria, le unità meccanizzate e la marina, e coprì una vasta area di 1.560 chilometri quadrati. L'operazione Fenkil fu una battaglia decisiva e fu descritta dal generale Philipos Woldeyohaness come uno stringere il cappio sulla gola del nemico. Anche il maggiore generale Romodan Awlyay, comandante della divisione meccanizzata dell’EPLF, descrisse il destino di Derg come “simile al destino di un albero senza radici”. Con la cattura di Massaua nel febbraio 1990, l’EPLF tagliò di fatto alle forze etiopi in Eritrea l’accesso diretto al Mar Rosso. L'operazione Fenkil scosse profondamente le fondamenta del Derg e accelerò la sconfitta definitiva dell'esercito etiope in Eritrea. La liberazione di Massaua fu una sorpresa sia per gli amici che per i nemici nel mondo. Nella sua trasmissione del 10 febbraio 1990, la BBC dichiarò che “se la vittoria rivendicata dall’EPLF è vera, è un duro colpo per il presidente Mengistu”. Il generale di brigata Tilahun Kifle, comandante del 606° corpo catturato durante la battaglia, descrisse la battaglia con queste parole: “Ho visto molte battaglie. Su questo fronte ho ricevuto la mia prima sconfitta nella mia carriera di capo militare. Ho perso il mio spirito combattivo in questa battaglia. La velocità e il morale dei vostri combattenti [EPLA] hanno superato quelli dei nostri." Allo stesso modo, anche il generale di brigata Ali Haj Abdu, un altro prigioniero che era comandante della terza unità meccanizzata, ha riconosciuto il talento dei comandanti dell'EPLF e la mobilità e velocità superiori dei i combattenti e il loro abile uso dell'artiglieria. Mengistu Hailemariam capì che la guerra era entrata in una fase critica e disse: “L’occupazione di Massaua significa l’occupazione del secondo comando rivoluzionario che consideriamo come la spina dorsale delle nostre forze di difesa”. La vittoria dell'operazione Fenkil mise l'esercito coloniale etiope in Eritrea in completo accerchiamento. Il Derg, come sempre, rispose alla sua umiliazione militare bombardando la popolazione civile di Massaua con bombe a grappolo e al napalm. L'atto frenetico del Derg è conosciuto dagli eritrei come qbtset (disperazione). Particolarmente brutale e distruttivo è stato il bombardamento del porto di Massaua, con attacchi spietati da parte dell'aeronautica etiope contro i civili e le infrastrutture. Le conseguenze politiche dell’operazione Fenkil furono altrettanto grandi. Per la prima volta nella sua storia, il Derg ammise la propria sconfitta. Una settimana dopo la liberazione di Massaua, Mengistu inviò il suo messaggio di sconfitta a tutte le sue unità militari dicendo loro che con la presa di Massaua la colonna vertebrale dell'esercito etiope era stata spezzata, rendendo l’indipendenza dell’Eritrea una realtà. Il comitato centrale del Partito dei Lavoratori Etiope, il partito al potere, si riuni e approvò risoluzioni farsesche. Promise di intraprendere riforme economiche e cambiò il nome in Partito dell'Unità Democratica Etiope. Il sapore amaro della sconfitta costrinse Mengistu Hailemariam a riconoscere pubblicamente di essere stato strangolato per la gola. L’operazione Fenkil e i successivi attacchi militari coordinati e riusciti sia in Eritrea che in Etiopia intrapresi dall’EPLF esercitarono la massima pressione, provocando la fuga di Mengistu nello Zimbabwe. L’obiettivo finale della lotta armata eritrea era quello di stabilire un’Eritrea indipendente. Gli eritrei combatterono per trent'anni per la sola ragione di promuovere quell'obiettivo politico. L’operazione Fenkil è venerata come un grande successo per il suo contributo decisivo alla realizzazione dell’obiettivo politico degli eritrei. È stata una vivida dimostrazione della determinazione senza precedenti e dell’abilità militare dei combattenti per la libertà eritrei che meritano di essere ricordati per sempre. MOI Eritrea credit Ghideon Musa Aron I cittadini eritrei in Italia, Qatar e Germania sono impegnati in varie attività diplomatiche. In Italia, Fesehatsion Petros, Ambasciatore dell’Eritrea in Italia, ha condotto seminari per i cittadini a Milano il 26 gennaio e a Roma il 2 febbraio. Questi seminari si sono concentrati sul progresso educativo in Eritrea. Durante gli eventi, l'Ambasciatore Fesehatsion ha sottolineato che un paese prospero e una società civile possono essere raggiunti attraverso risorse umane istruite. Ha sottolineato che il governo dell'Eritrea ha fatto investimenti significativi nell'istruzione, fornendo accesso gratuito a tutti i livelli di istruzione, compresa l'istruzione superiore. L'ambasciatore ha inoltre osservato che, grazie a questi sforzi, il tasso di analfabetismo, che prima dell'indipendenza era pari all'80%, è ora sceso al 20%. L'Ambasciatore Fesehatsion ha inoltre invitato i cittadini italiani a sostenere le iniziative del governo per costruire collegi nelle aree remote del Paese. I partecipanti hanno espresso la loro disponibilità a contribuire alla riuscita attuazione di questi progetti. In Qatar, il 1° febbraio la comunità eritrea ha tenuto a Doha il suo 9° congresso. Il congresso prevedeva una revisione completa delle attività svolte finora, insieme a discussioni sul ruolo che i paesi possono svolgere nell'attuazione dei programmi nazionali. Il signor Ali Ibrahim, ambasciatore dell’Eritrea in Qatar, ha elogiato la comunità per i suoi sforzi volti a rafforzare l’unità tra i cittadini e li ha esortati a migliorare il loro contributo agli affari nazionali. Durante il congresso i partecipanti hanno eletto anche un nuovo comitato esecutivo. Ministry of Information A SPASSO CON LA STORIA: "35 anni fa l’Operazione Fenkil: ricordando quella memorabile vittoria"7/2/2025 Tra l'8 e il 10 febbraio 1990 si tenne l'Operazione Fenkil, con cui le forze dell'EPLF liberarono la città costiera di Massawa. Fu un momento storico, che aprì le porte alla totale Indipendenza dell'Eritrea, da quel momento destinata a divenire a breve realtà. In questo articolo ripercorriamo brevemente tutta la storia che, di vittoria in vittoria, condusse le donne e gli uomini dell'EPLF fino a quel trionfo di 35 anni fa.
Di Filippo Bovo 7 Feb 2025 Siamo al cospetto di un importante Anniversario, quello dell’Operazione Fenkil con cui vittoriosamente le forze dell’EPLF (Eritrean People Liberation Front) liberarono Massawa sbaragliandovi le forze etiopiche che fino a quel momento l’avevano detenuta. In tre giorni, dall’8 al 10 febbraio 1990, con un’operazione anfibia, la prima nella trentennale storia della Guerra di Liberazione iniziata nel 1961, i combattenti dell’EPLF mobilitarono fanteria, unità corazzate e marina su un’area di ben oltre 1560 chilometri quadrati: un’imponente dimostrazione di potenza militare e di capacità organizzativa, tale da atterrire fin da subito l’esercito e il regime etiopici, che infatti da quel momento iniziarono a sbandare in maniera sempre più irreversibile. Fino ad allora Massaua, come tutta l’Eritrea, era stata saldamente controllata dalle truppe etiopiche. L’Eritrea risultava di fatto ancora una provincia dell’Etiopia, come unilateralmente aveva deciso dal Negus Haile Selassie nel 1962 con lo scioglimento della precedente Federazione tra Stati etiopico ed eritreo sorta dieci anni prima, una volta terminato il governo d’occupazione militare inglese sull’ormai ex colonia italiana. L’Eritrea, pur possedendo tutte le ragioni per ottenere l’indipendenza, come riconosciuto fin dal Dopoguerra anche in sede ONU, s’era invece vista dare al Negus etiopico dagli Alleati inglese e statunitense, nel più spudorato disprezzo del diritto internazionale. Immediate erano state le proteste della popolazione e dei partiti eritrei, duramente represse delle forze etiopiche: preso atto dell’impossibilità a condurre la lotta democratica, era emerso così il progetto di quella rivoluzionaria, con la fondazione del primo movimento indipendentista eritreo, l’ELF (Eritrean Liberation Front). Fu uno dei suoi fondatori, Idris Amid Awate, attaccando nel settembre 1961 un presidio della polizia etiopica, a dare ben più che simbolicamente avvio alla Guerra di Liberazione Eritrea, che si sarebbe trascinata fino al 1991. Da una sua costola, anni dopo, sarebbe poi sorto l’ancor più combattivo ed efficace EPLF, in grado di dare sempre più filo da torcere alle truppe etiopiche. Crollato nel 1974 il regime negussita, era subentrato quello filosovietico del DERG, ma nulla era comunque cambiato: ben presto al suo interno era emersa la figura del Colonnello Menghistu Haile Mariam, deciso a trionfare laddove il predecessore aveva fallito, ovvero nello “sradicamento del nemico” eritreo. Nei suoi piani l’EPLF doveva venir liquidato una volta per tutte, e le smanie d’indipendenza degli eritrei archiviate per sempre. Grazie agli ingenti aiuti ricevuti dall’URSS, che oltretutto affluivano proprio dal grande porto di Massawa, l’esercito etiopico poté così intraprendere una lotta accanita contro le forze dell’EPLF, fino a sottrarre loro con l’Operazione Stella Rossa del 1982 gran parte dei territori che in precedenza avevano guadagnato. A sostenerla vi era la marina sovietica, che proprio da Massaua e dalle coste eritree bombardava i combattenti dell’EPLF, mentre le truppe etiopiche coadiuvate da tremila consiglieri militari li attaccavano da terra. Drammatico fu l’impatto anche sulla popolazione civile, sulle cui sorti oltretutto piovve poco dopo pure una dolorosa carestia che mise ancor più in ginocchio il paese esponendolo al bisogno degli aiuti internazionali. Neanche tutto questo, comunque, indusse Menghistu a recedere dal proprio obiettivo: l’imperativo era lo “sradicamento del nemico” eritreo. Ma, come ci ricorda la storia, finì che invece a venir “sradicato” fu proprio lui, col suo regime e l’occupazione esercitata sull’Eritrea: perché questo infatti è il significato in italiano della parola Fenkil, “sradicamento del nemico”. Dopo l’Operazione Stella Rossa, le forze dell’EPLF riguadagnarono lentamente i vecchi capisaldi, finché nel 1988 con la Battaglia di Afabet del marzo 1988 non assestarono alle truppe nemiche un colpo pari a quello inferto dai vietnamiti ai francesi con quella di Dien Bien Phu. Era soltanto l’inizio: l’URSS, riconoscendo i propri errori nell’aver sostenuto una dittatura militare a reprimere una guerra di popolo, poco dopo revocò i propri aiuti alla giunta del DERG, lasciando Menghistu quasi a mani vuote. Anche altri alleati l’avevano abbandonato. Ma l’Operazione Fenkil, tale da condurre il suo regime nel vortice delle contraddizioni interne, persino a costringerlo ad ammettere la sconfitta ricevuta, non era ancora arrivata. Dopo un anno d’accurati preparativi, concentrando il grosso delle proprie forze nell’area del Semhar, nella notte dell’8 febbraio l’EPLF iniziò a muoversi molto rapidamente, seguendo due direttrici essenziali per aprire la battaglia vera e propria: da una parte chiudendo la strada da Asmara a Massaua, all’altezza di Gahtelay, per marciare quindi su Dongollo dopo essersi coperto le spalle; e dall’altra infiltrandosi dal Semhar su Massaua, col favore dell’oscurità. Raggiunta l’indomani la città, con una mossa a sorpresa presero il via i combattimenti veri e propri: dal mare, con barchini molto veloci ribattezzati proprio Fenkil, i combattenti eritrei attaccarono mandando presto in crisi la marina etiopica, mentre a terra si scontrarono direttamente con le forze meccanizzate etiopiche. L’esercito etiopico, fino a quel momento tra i più potenti del Continente Africano, subì un colpo irrecuperabile: perse in quelle 72 ore di battaglia oltre 40mila dei suoi uomini, tra caduti e feriti, e 110 dei suoi carri armati, tra 80 catturati dall’EPLF e 30 andati distrutti, mentre la marina etiopica venne completamente debellata. A contribuire all’irrecuperabile demoralizzazione dell’esercito etiopico, anche la cattura di 300 suoi ufficiali di alto e medio rango. L’ultimo flebile ruggito della bestia ferita a morte fu nell’asserragliamento dei suoi rimanenti soldati nella piccola Twalet, collegata dalla strada rialzata di Sigalet, tenendovi ostaggi i civili. L’EPLF promise al generale di brigata che esercitava quel sequestro l’amnistia in cambio del rilascio dei civili, ma questi si rifiutò: sarebbe stato il DERG, a quel punto, a non perdonarlo. Così dodici ore dopo, scaduto il suo cessate il fuoco unilaterale, l’EPLF attaccò il presidio vincendo ben presto contro la debole resistenza etiopica e liberando i civili. Da quel momento il DERG di Menghistu entrò nel vortice di un declino incontrollato. Riconosciuta la sconfitta e caduto nella disperazione, bombardò pesantemente Massaua con l’aviazione distruggendone le infrastrutture portuali e civili, e al contempo avviò delle riforme di facciata, nell’illusoria speranza che potessero bastargli a sopravvivere politicamente. Il Partito dei Lavoratori Etiopico decise di cambiare nome in Partito Democratico dell’Unità Etiopica, e d’intraprendere una serie di riforme economiche sulla falsariga dell’URSS gorbaceviano, mentre in seno al governo e al paese covavano sempre più le ribellioni e le defezioni di figure importanti e di reparti militari. Un anno dopo, con le forze dell’EPLF che stavano per piombare su Addis Abeba per chiudere anche con quella messinscena, Menghistu fuggì all’estero con le tasche piene di denaro dell’erario nazionale. In questi giorni, il 35esimo Anniversario dell’Operazione Fenkil è celebrato in Patria e dalle Comunità Eritree di tutto il mondo, cominciando da quelle in Italia, da Roma a Milano, da Napoli a Bari, da Firenze a Pisa, da Parma a Bologna, da Catania a Palermo, da Verona a Roseto degli Abruzzi, e ci scusiamo per tutte quelle che per eventuale errore non nominiamo. A tutte loro i nostri Auguri per dei festeggiamenti memorabili. Awet N’Hafash! Potere alle Masse! Turkish Airlines regola la rotta Istanbul-Juba via Asmara, potenziando la nuova connettività Turchia-Eritrea-Sud Sudan nell'estate 2025
Turkish Airlines ha annunciato un significativo adeguamento alle sue operazioni di volo in Africa, in particolare per quanto riguarda il suo servizio a Juba, Sud Sudan, per la stagione Nord Estate 2025. A partire dal 31 marzo 2025, la compagnia aerea prevede di sostituire il suo servizio senza sosta Istanbul-Juba esistente con un nuovo routing triangolare via Asmara, Eritrea. Questo cambiamento nella struttura delle rotte segna un riallineamento strategico della rete di Turkish Airlines nell'Africa orientale, con implicazioni sia per i viaggiatori d'affari che per i turisti. La mossa evidenzia la crescente importanza delle connessioni multi-stop nell'aviazione africana, consentendo una maggiore connettività tra le diverse regioni ottimizzando al contempo l'efficienza del volo e i costi operativi. Introducendo uno scalo ad Asmara, Turkish Airlines potrà espandere la sua portata nel Corno d'Africa, offrendo ulteriori opzioni per i passeggeri che viaggiano sia in Eritrea che in Sud Sudan. Questo cambiamento dovrebbe influenzare la domanda di viaggio, il prezzo dei biglietti e l'accessibilità complessiva a Juba, una città che svolge un ruolo chiave nelle attività economiche e diplomatiche del Sud Sudan. Nuovo orario dei voli e dettagli dell'aereo Secondo il piano operativo rivisto, Turkish Airlines servirà la rotta Istanbul-Asmara-Juba-Istanbul due volte a settimana, utilizzando un Boeing 737 MAX 8. Il programma è pensato per ospitare sia viaggiatori d'affari che di transito, con orari di partenza e arrivo strutturati per una connettività ottimale. https://www.travelandtourworld.com/.../turkish-airlines.../ credit Ghideon Musa Aron Di Ternafi Hadelibi | 7 gennaio 2025
Quando parliamo di panafricanismo, spesso evochiamo visioni di sovranità, resilienza e un fronte africano unito contro l'imperialismo. Tuttavia, in questa narrazione persiste un'omissione evidente: l'Eritrea. Nonostante incarni l'essenza degli ideali panafricani (autosufficienza, indipendenza e resistenza incrollabile al dominio straniero), l'Eritrea rimane marginalizzata nel discorso. Perché una nazione così risoluta nel suo impegno per la sovranità africana viene trascurata da coloro che affermano di sostenere la stessa causa? Per comprendere la posizione dell'Eritrea, dobbiamo iniziare dalla sua straordinaria storia. Il Fronte di liberazione popolare eritreo (EPLF), una forza rivoluzionaria senza pari in Africa, ha condotto l'Eritrea all'indipendenza attraverso la pura volontà e la brillantezza strategica. L'EPLF non solo smantellò il regime Derg dell'Etiopia, un'entità militare pesantemente armata dall'Unione Sovietica, ma superò anche le precedenti ambizioni imperiali dell'imperatore Haile Selassie sostenuto dagli Stati Uniti e dal Regno Unito. Dopo l'indipendenza nel 1991, l'Eritrea affrontò il Fronte di liberazione popolare del Tigray (TPLF), che un tempo era stato suo alleato ma che in seguito divenne un regime sostenuto dall'Occidente intenzionato a destabilizzare il Corno d'Africa. Contro questa formidabile opposizione, l'Eritrea prevalse, mantenendo la sua sovranità mentre sopportava sanzioni, demonizzazione e provocazioni militari. Vivere il sogno panafricano L'Eritrea non si limita a predicare il panafricanismo; lo vive. Sotto il governo dell'EPLF, il paese adottò politiche che furono rivoluzionarie per l'Africa. Molto prima che diventasse di moda discutere di uguaglianza di genere nella leadership, l'EPLF aveva donne al servizio in combattimento e nell'amministrazione, rimodellando le norme di genere in una regione profondamente patriarcale. L'istruzione e l'assistenza sanitaria furono considerate prioritarie nelle aree liberate durante la lotta per l'indipendenza e in seguito istituzionalizzate nella politica nazionale. A differenza di molti stati africani postcoloniali che adottarono le lingue dei loro colonizzatori, l'Eritrea scelse una strada diversa, riconoscendo ufficialmente tutte le sue nove lingue etniche. Questa non era solo una politica linguistica; era una dichiarazione di unità nella diversità, una dichiarazione che nessun gruppo avrebbe dominato un altro sotto le mentite spoglie dell'"unità nazionale". Il rifiuto dell'Eritrea agli aiuti esteri, spesso un cavallo di Troia per il controllo neocoloniale, sottolinea ulteriormente il suo impegno per una vera sovranità. Invece di aiuti, l'Eritrea ha investito nell'autosufficienza, promuovendo un ethos che molte nazioni africane devono ancora abbracciare e realizzare pienamente. Demonizzazione da parte dell'Occidente L'indipendenza dell'Eritrea ha avuto un costo elevato, in gran parte perché si è rifiutata di giocare secondo le regole dell'egemonia occidentale. Il rifiuto del paese di accettare aiuti con vincoli, la sua insistenza nel risolvere i problemi africani attraverso soluzioni africane e il suo fermo impegno per una politica non allineata e un approccio indipendente lo hanno reso un bersaglio implacabile di ostilità. La famosa osservazione di Hillary Clinton, che definisce l'Eritrea come un "cattivo esempio di buona governance", riassume perfettamente la paura dell'Occidente di uno stato africano indipendente che traccia la propria rotta. Sono seguite sanzioni, campagne di disinformazione e tentativi di isolare l'Eritrea. La narrazione spinta dai media occidentali ritrae l'Eritrea come uno stato paria autoritario, ignorandone opportunamente i risultati e la resilienza. Questa campagna diffamatoria si è infiltrata nei circoli africani, dove persino alcuni intellettuali e movimenti panafricani hanno adottato l'immagine distorta creata dall'Occidente. Perché il silenzio dei panafricanisti? Il silenzio che circonda l'Eritrea nei circoli panafricani è sia sconcertante che preoccupante. Mentre i recenti movimenti anti-imperialisti nell'Africa occidentale, come quelli in Burkina Faso, Mali e Niger, meritano di essere celebrati, è l'Eritrea che da tempo è la stella polare dell'autodeterminazione africana. Decenni prima che queste nazioni iniziassero le loro lotte contro il neocolonialismo, l'Eritrea stava combattendo - e vincendo - contro probabilità ben maggiori. Eppure l'Eritrea è raramente riconosciuta come un esempio panafricano. Questa svista deriva probabilmente dall'influenza pervasiva delle narrazioni occidentali, che sono riuscite a inquadrare l'Eritrea come uno stato canaglia. È più facile allinearsi alla caricatura dell'Occidente sull'Eritrea che valutare criticamente le sue politiche e riconoscere il suo contributo all'indipendenza africana. Eritrea: un faro per l'Africa L'esperienza dell'Eritrea contiene lezioni inestimabili per l'Africa. La sua posizione incrollabile sulla sovranità ci ricorda che la vera indipendenza richiede sacrifici. Il suo impegno per l'autosufficienza dimostra che rifiutare gli aiuti esteri non è solo possibile, ma essenziale per uno sviluppo sostenibile. Il suo riconoscimento della diversità etnica e culturale sottolinea l'importanza dell'unità senza cancellazione. La dichiarazione del presidente Isaias Afwerki secondo cui "l'Eritrea non è in vendita" cattura l'essenza della filosofia del paese. È una filosofia che le nazioni africane devono abbracciare se vogliono liberarsi da secoli di sfruttamento e dipendenza. La resilienza dell'Eritrea, nonostante l'ostilità senza pari, è la prova che un'Africa autosufficiente non è un sogno irrealizzabile, ma una realtà tangibile. La storia dell'Eritrea è la storia dell'Africa Se il panafricanismo deve avere credibilità, deve riconoscere e celebrare i contributi dell'Eritrea. Ignorare l'Eritrea mentre si lodano nazioni che stanno appena iniziando il loro percorso anti-imperialista è un disservizio agli ideali stessi del panafricanismo. È tempo di affrontare le narrazioni che hanno messo da parte l'Eritrea e di dare a questa nazione il suo legittimo posto in prima linea nel movimento. La storia dell'Eritrea non è solo la sua; è la storia dell'Africa. Una storia di lotta, resilienza e incrollabile ricerca dell'indipendenza. È tempo che la raccontiamo come tale. da The Mesob Journal ROMA\ aise\ - “Lietissimo di rappresentare l'Italia in Eritrea, anche alla luce dei profondi legami storici esistenti tra i due Paesi”. Queste le prime parole di Alfonso Di Riso nella sua veste di nuovo ambasciatore d’Italia ad Asmara.
“Il mio mandato sarà indirizzato a promuovere una sincera e proficua collaborazione tra Roma e Asmara in tutti i settori di mutuo interesse”, ha assicurato Di Riso, al quale la Farnesina ha indirizzato le suecongratulazioni con un tweet. Nato nel 1965 a Napoli, dove si laurea in giurisprudenza e in scienze politiche, Alfonso Di Riso entra in carriera diplomatica nel 1997. Il suo primo incarico è al Contenzioso Diplomatico, Trattati e Affari Legislativi. Nel 2000 è secondo segretario commerciale a Kuala Lumpur, dove è confermato con funzioni di primo segretario commerciale. Nel 2003 è primo segretario a Teheran, sino al 2007, anno in cui rientra a Roma alla Direzione Generale Personale. Consigliere ad Algeri nel 2009, è confermato nella stessa sede con funzioni di primo consigliere. Nel 2013 è nominato incaricato d’Affari con Lettere ad Abidjan – e poi ambasciatore -, accreditato, con credenziali di ambasciatore, anche a Niamey (Niger), a Ouagadougou (Burkina Faso), a Monrovia (Liberia) e a Freetown (Sierra Leone). Rientra alla Farnesina nel 2017 ed è nominato capo dell’Unità per le Relazioni sindacali e l’innovazione della Direzione Generale Risorse e Innovazione. Nel 2021 è ambasciatore a Jerevan e ora approda ad Asmara. (aise) Dal giorno 4 al giorno 6 di gennaio 2025 si è tenuta in Asmara una importante conferenza internazionale dal titolo International Conference on Eritrean Studies.
Moltissime le autorità accademiche presenti al convegno caratterizzato da un fitto e articolato programma di conferenze. Per maggiori dettagli fare riferimento alla pagina di Ghideon Musa Aron |
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Settembre 2024
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