di Wedi Korbaria*
Oggi ricorre l’anniversario della Tragedia di Lampedusa del 3 ottobre 2013, la “più grande tragedia dell'immigrazione” nella quale un barcone partito dalla Libia con 540 persone a bordo, dopo due ore di fermo motore, affonda in prossimità dell’isola di Lampedusa. Ad oggi i suoi 368 morti sono dispersi in diversi cimiteri siciliani, con sopra una lapide e un numero di identificazione. Quella mattina, il Presidente della Camera Laura Boldrini, giunta sull’isola identificò subito il colpevole di quella tragedia nel Governo eritreo, come se fosse stato lui il trafficante che, dalle coste della Libia, aveva stipato su quel barcone fatiscente centinaia di migranti che, oltretutto, avevano pagato fior di quattrini. La Boldrini si affrettò, puntando il suo dito accusatorio, a dare la colpa agli stessi africani per coprire quelle del suo Governo. “Excusatio non petita, accusatio manifesta”. Scusa non richiesta, accusa manifesta, come recita un proverbio latino, sarà la mia premessa. Ma cosa è veramente successo all’alba di quella maledetta mattina? “Erano le 6:30, forse le 6.40 quando ho dato l’ordine di chiamare la Guardia Costiera, ma loro sono arrivati alle 7:30”[i] denunciò Vito Fiorino, proprietario del peschereccio “Gamar”, che per primo era giunto nel luogo della tragedia e insieme al suo equipaggio era riuscito a strappare alla morte 47 persone. Certo, il ritardo dei soccorsi era stato consistente, un’ora per coprire una distanza di circa ottocento metri. Doveva essere successo qualcosa di gravissimo. Molti sopravvissuti raccontarono di aver avvistato due imbarcazioni. La prima sarebbe rimasta ferma a una distanza di circa quindici metri mentre l’altra avrebbe circumnavigato il barcone. Poi entrambe si sarebbero dirette verso il porto, indifferenti alle grida di quelle persone che già sognavano il loro approdo in Europa. Perciò, per richiamarne l’attenzione, lo scafista decise di dar fuoco ad un lenzuolo. Certo, non avrebbe dovuto accendere quel fuoco che costrinse tutti a spostarsi da un lato sbilanciando così un barcone in precarie condizioni e stracolmo di persone. Certo, avrebbero dovuto restare tutti buoni e immobili. Ma è altrettanto certo che il barcone sarebbe affondato lo stesso anche senza quell'incendio, perché era fermo da ore a imbarcare acqua. “Quella notte qualcosa è successo, qualcosa si è inceppato, i ragazzi della Guardia Costiera sono sempre stati bravissimi, però evidentemente quella notte o aspettavano un comando o aspettavano una telefonata o forse non hanno capito la gravità nonostante noi dicessimo che c’era una tragedia in mare”[ii] queste le parole di Grazia Migliosini, anche lei quella notte a bordo della “Gamar”. Che la Guardia Costiera abbia davvero ricevuto l’ordine di rallentare i soccorsi? Ricordiamoci che stiamo parlando di un Paese riscopertosi “giustizialista”, dove viene processato persino un Ministro[iii] della Repubblica nella sua qualità di Ministro dell’Interno, colpevole tra il 14 ed il 15 agosto 2019, di aver “privato della libertà personale 147 migranti” a bordo della nave dei salvataggi “Open Arms”, dove c’erano sia donne incinte che minori non accompagnati. Una situazione grottesca e allo stesso tempo drammatica, che il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio risolse il 20 agosto salendo a bordo della nave e decidendo di disporre lo sbarco ipotizzando il reato di abuso d'ufficio contro Matteo Salvini. Dunque se, giustamente, la Magistratura agisce prontamente a favore dei migranti tenuti sotto sequestro da un Ministro prepotente, senza che ci sia stato alcun morto, a maggior ragione, a fronte di 368 vittime ci si aspetterebbe che faccia quantomeno un’indagine approfondita sulla Tragedia. Invece così non è stato. Due anni dopo la tragedia (luglio 2015) viene condannato a trent'anni di reclusione (pena confermata in appello), lo scafista somalo Mouhamud Elmi Muhdin, l'uomo che aveva appiccato il fuoco, e a diciotto anni Khaled Bensalem, l’altro scafista tunisino, ritenuti gli unici responsabili del disastro e colpevoli di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, naufragio e omicidio volontario plurimo. Poi nel 2017, nel corso dell'inchiesta condotta da Luigi Patronaggio e Andrea Maggioni, vengono indagati per omissione di soccorso i sei uomini del peschereccio “Aristeus” di Mazara del Vallo, accusati di non avere avvisato le autorità della presenza in mare del natante carico di migranti. E nel dicembre 2020 il tribunale di Agrigento ha condannato a sei anni di carcere il Comandante Matteo Gancitano e a quattro anni ciascun membro dell'equipaggio, compresi 4 africani.[iv Che fine aveva fatto invece quella imbarcazione “fantasma” dotata di radar di bordo così come riferito dai sopravvissuti che aveva circumnavigato il barcone per poi tornarsene in porto? Sparita dai radar. Eppure qualcuno di loro l’aveva riconosciuta fra quelle ormeggiate nel porto e l’aveva identificata con una motovedetta della Guardia di Finanza.[v] Da eritreo vorrei che le famiglie delle vittime ottenessero, non solo le salme dei loro cari defunti ma anche una vera giustizia, una Giustizia con la G maiuscola. Giustizia anche per i 268 siriani, tra loro 60 bambini[vi], che l’11 ottobre 2013 (ad una settimana dalla Tragedia di Lampedusa) sono annegati in acque internazionali mentre la Guardia Costiera italiana e Malta facevano a scaricabarile. “Stiamo morendo, trecento persone, stiamo morendo!” “Chiamare Malta!” gli venne risposto. Per quanto riguarda l’accusa di omissione di soccorso nei confronti di Leopoldo Manna (Capitano di fregata della Marina Militare) e Luca Licciardi (Capitano di vascello delle Capitanerie di Porto) i giudici hanno emesso la sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione.[vii] Un altro grave incidente in mare[viii] è avvenuto il 24 maggio 2017 quando la “MOAS”, la prima nave dei salvataggi nel Mediterraneo, ha incontrato un barcone carico di persone che procedeva lentamente. Mandò loro incontro il suo Rhib (un battello gonfiabile a chiglia rigida) da cui vennero lanciati pochi giubbotti salvagente che scatenarono quel fenomeno istintivo del “mors tua vita mea”. Il barcone perse stabilità, si inclinò sul fianco destro rovesciando in acqua tutti coloro che si trovavano sul ponte, tranne un’unica persona. Poi lentamente ritornò a raddrizzarsi e a galleggiare normalmente. (Si vedano i tre fotogrammi) La situazione divenne subito drammatica, si possono scorgere oltre 400 persone in acqua tra le quali molte donne e bambini, molti privi di giubbotti salvagente. Proprio quel giorno, a bordo della “MOAS” era presente un famoso fotografo della “Getty Images” che farà fotografie[ix] veramente drammatiche che saranno mostrate anche alla CNN, mentre Chris Catrambone[x] (fondatore della MOAS) trascorrerà la giornata a twittare le operazioni di salvataggio.[xi] Il bilancio delle vittime sarà di 32 morti recuperati tra cui quattro bambini, centinaia di dispersi, forse 120, di cui 9 bambini. In questo caso non ci fu nessuna indagine, nessun fascicolo aperto contro ignoti per procurata tragedia. Capisco che in Italia ci sia l’abitudine a dimenticare facilmente, vedi le numerose stragi ancora senza colpevoli e coperte dal segreto di Stato, ma condannare un paio di scafisti o l’equipaggio di un peschereccio non basta per restituire giustizia alle famiglie delle vittime della Tragedia, bisogna che la Magistratura faccia riemergere dal suo oblio quella nave fantasma per risalire la china. Ma dubito che ciò possa accadere. Probabilmente all’Italia serviva una tragedia per sensibilizzare l’UE in materia di immigrazione. “Ma dov’è la solidarietà europea? Eppure i confini italiani sono anche i confini europei”, questi sono stati i commenti che ci siamo abituati a sentire. Eppure era stato proprio il Governo Letta, quattro mesi prima della Tragedia, ad approvare il Regolamento di Dublino, il quale imponeva che il primo Stato membro dove fosse stata registrata la richiesta di asilo di un immigrato (o ne fossero state memorizzate le impronte digitali) sarebbe stato responsabile della sua richiesta d’asilo. E cioè chiunque sbarcava in Italia era obbligato a restarci. Quindi non potendo più fare dietro front non restava che sperare in una tragedia. “Spero che la divina provvidenza abbia voluto questa tragedia per far aprire gli occhi all'Europa” dichiarò il Ministro dell’Interno Angelino Alfano. Difatti, per la sua portata tragica, la tragedia di Lampedusa aveva incrinato il muro di vetro dell’indifferenza europea, facendo precipitare sull’isola Josè Barroso, Presidente della Commissione europea.[xii] All’interno di un hangar davanti alle bare messe in fila lui si impegnò a mantenere “alta l’attenzione dell’Europa”. Vennero stanziati 30 milioni di euro (che ricordano molto i 30 denari intascati da Giuda) per aiutare l’Italia a fronteggiare l'emergenza immigrati. L’allora Presidente del Consiglio Letta utilizzò quei soldi, non per risarcire le famiglie degli eritrei o dei siriani, ma per allestire “Mare Nostrum”. Così, dieci giorni dopo il dramma, il 14 ottobre, iniziò una vasta operazione di tipo militare di search & rescue (ricerca e salvataggio) con l'ausilio di Marina, Aeronautica, diverse Forze dell’Ordine e un dispiegamento di 700/1000 militari, una nave anfibia, due corvette, due pattugliatori e tre elicotteri. Per un costo complessivo di 300.000 euro al giorno, nove milioni al mese. Il risultato fu l’aumento sconsiderato degli sbarchi, in pochi mesi si passò da 42.925 a 170.100 (fonte: Ministero dell’Interno) e i barconi di legno furono sostituiti dai più economici gommoni Made in China che si sgonfiavano appena prendevano il largo provocando ancora più morti. Poi, non potendo girarsi dall’altra parte, la sorda ed egoista Europa il 22 settembre 2015 con la Decisione (UE) 2015/1601 istituiva misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell'Italia e della Grecia, Paesi di primo approdo. Così nacque la Relocation, ossia la ricollocazione in due anni di ben 120.000 richiedenti asilo negli Stati membri. Ma il programma non includeva tutti gli africani che intraprendevano la traversata ma soltanto eritrei e siriani, due nazionalità invise a Washington, perciò tutti gli altri immigrati dovevano restare in Italia, secondo il regolamento di Dublino. Potevano beneficiare del programma anche gli appartenenti all’Iraq, alla Repubblica Centrafricana, al Bahrein, al Burundi, al Costa Rica, alle Maldive, ai Territori d'oltremare britannici e, addirittura, a Saint Vincent e Granadine.[xiii] Una lista che suona tanto di presa in giro. Lo stesso, il 9 ottobre 2015 il ministro Alfano si recò in aeroporto di persona a salutare i primi 19 eritrei che partivano per la Svezia.[xiv] “Abbiamo rotto il ghiaccio”, commentò soddisfatto. In verità l’UE aveva finto solidarietà con la Relocation, perché degli iniziali 120.000, titolati ad essere ricollocati, i Paesi dell’Unione che avevano aderito alla ridistribuzione non ne accolsero nemmeno un quarto e il programma finì nel 2017, lasciando sopravvivere la costosissima agenzia EASO[xv], trasformata in Agenzia dell'UE per l'asilo (EUAA)[xvi], a gestire le domande dei richiedenti asilo in giro per l’Europa, con un mandato più forte, un bilancio di 172 milioni di euro (solo per il 2022) e dispiegando un organico di duemila dipendenti e cinquecento esperti[xvii] che guadagnano 500 euro al giorno ai quali poco interessa il benessere dei migranti africani che annaspano in acqua. Nel frattempo, dopo un anno e due mesi di vita, l'operazione “Mare Nostrum” venne sostituita da “Triton”, con un terzo del budget (2,9 milioni di euro al mese). Certo, la sua fine è servita da apripista all’arrivo di altre navi private di salvataggi. Già nell'estate 2014 la prima di queste, come si è detto, fu la Phoenix della Ong “MOAS”. Gli armatori di tutte queste Ong, piovute dal cielo all’improvviso e che costano oltre 10.000 euro al giorno, provengono dal mondo dell’intelligence militare, sono indirettamente finanziati dai dollari di George Soros, e il loro equipaggio è composto da personaggi della borghesia europea tutti convertiti all’umanitario sulla strada di Damasco. La loro presenza in mare arrivò sulle coste della Libia come uno tsunami, facendo raggiungere nel 2016 la cifra di 181.436 sbarchi, 26.000 dei quali erano minori non accompagnati. Un vero e proprio effetto pull-factor. Ma, nonostante i loro salvataggi quotidiani, dalla Tragedia del 2013 ad oggi, sono morte nel Mediterraneo 30.000 persone, un paio di migliaia dei quali erano bambini.[xviii] Incommentabile! Quel seme impiantato dal Governo Letta diede i suoi frutti. E anche il Ministro Salvini, adducendo discutibili motivazioni tipo: “ho difeso l'Italia e gli italiani”, pensò bene di voler ricattare l’UE usando i poveri migranti e vietando loro di sbarcare come fece con quei disgraziati della nave “Diciotti”. Tutto ciò per poterli ridistribuire fra gli Stati membri ma inutilmente. Non si riuscì a cavar il ragno dal buco dell’UE e perciò il 26 febbraio 2023 venne servita un’altra tragedia in mare a Steccato di Cutro[xix] con le stesse modalità da “scaricabarile” che erano state già sperimentate (94 morti di cui 34 bambini). “Calabria in lutto, dov’è l’Europa?” disse il Presidente della Regione Calabria Roberto Occhioluto chiamando in causa l’Europa seguito dalle dichiarazioni del ministro Guido Crosetto: “Tragedia enorme, l’Europa faccia sentire la sua voce”, appoggiato anche dalle parole di Giuseppe Conte (M5S): “Basta slogan, l’Europa sia davvero presente”. E fu per acquietare gli animi che arrivò puntuale la solidarietà della Presidente Ursula von der Leyen che profondamente addolorata twittò: “Tutti insieme, dobbiamo raddoppiare i nostri sforzi sul Patto migrazione e asilo e sul Piano d'azione per il Mediterraneo centrale.” Per concludere, alla fine che cosa ci resta in mano? Nulla. Il 3 ottobre, come in tutti questi dieci anni trascorsi, vedremo i più buoni e i più umani scendere in campo a Lampedusa per la consueta passerella su un tappeto rosso-sangue, una kermesse degna di un festival del Cinema. Vedremo in televisione, con le solite lacrime di coccodrillo, politici, sacerdoti, attivisti delle Ong, volontari che vivono di volontariato, giornalisti immigrazionisti e attivisti molto commossi. Li sentiremo sciorinare parole buoniste o accusatorie “Mai più tragedie!”, accompagnati dai sopravvissuti che presteranno il loro volto africano per la propaganda immigrazionista occidentale così che possano dire: “Non lo dico io ma…” Ci saranno sfilate con le magliette del “Comitato 3 Ottobre” cucite con i dollari del buon vecchio Soros con stampata la scritta “Proteggere le persone non i confini”, verrà celebrata la santa messa in commemorazione di quei numeri su una lapide, saranno lanciate corone di fiori in acqua condite da tante belle parole di fratellanza e amicizia. Ogni anno la stessa storia strappalacrime e spettacolare. Nel Paese dei Balocchi mancheranno soltanto i fuochi d’artificio. Daniel Wedi Korbaria, scrittore eritreo e panafricanista, è nato ad Asmara nel 1970 e vive e lavora in Italia dal 1995. Con i suoi libri, articoli e saggi pubblicati online e tradotti in inglese, francese, tedesco e norvegese si è battuto per offrire una voce alternativa ai racconti dei media mainstream italiani ed europei sull'immigrazione e il neo colonialismo. Nel 2019 ha pubblicato il suo primo romanzo "Mother Eritrea" e nel 2022 il saggio d'inchiesta "Inferno Immigrazione". Di prossima pubblicazione (2024) il suo romanzo sul colonialismo italiano in Eritrea. [i] “La strage di Lampedusa, polemica sui soccorsi Indagati i migranti nel giorno della commozione 05 ottobre 2013. Diportista accusa la capitaneria: filmavano invece di soccorrere i naufraghi. La replica: intervento immediato”. https://www.corriere.it/cronache/13_ottobre_05/strage-lampedusa-procura-smentisce-inchiesta-soccorsi-ma-polemica-9c070c2a-2d96-11e3-89d5-cdac03f987bf.shtml [ii] I Giorni della Tragedia 03 Ottobre 2013 Lampedusa https://www.youtube.com/watch?v=0HjMRcMlG9E [iii] Processo Open Arms (Ministro Matteo Salvini imputato per sequestro di persona): la requisitoria della Procura di Palermo https://www.giurisprudenzapenale.com/2024/09/15/processo-open-arms-ministro-matteo-salvini-imputato-per-sequestro-di-persona-la-requisitoria-della-procura-di-palermo/ [iv] Strage di Lampedusa, condannati sette pescatori: non soccorsero i migranti in mare https://www.corriere.it/cronache/20_dicembre_11/non-soccorsero-migranti-mare-condannati-sette-pescatori-3672df66-3bf2-11eb-aad9-ba761f429210.shtml [v] Il naufragio della verità https://askavusa.files.wordpress.com/2018/09/lampedusa-3-ottobre-2013-il-naufragio-della-veritc3a0-askavusa-2018.pdf [vi] Esclusiva L'espresso: Così l'Italia ha lasciato annegare 60 bambini https://www.youtube.com/watch?v=XOuRvdwHDFU [vii] Naufragio dei bambini dell'11 ottobre 2013: reato prescritto https://www.rainews.it/articoli/2022/12/naufragio-dei-bambini-11-ottobre-2013-reato-prescritto-890cd94f-f0a7-4931-bffb-d861ff9c4900.html [viii] Salvataggio in mare oppure naufragio annunciato? https://www.lucadonadel.it/salvataggio-in-mare-oppure-naufragio-annunciato/ [ix] Crossing the world’s deadliest border https://edition.cnn.com/interactive/2017/05/world/migrant-rescue-cnnphotos/?sr=sharebar_twitter [x] Fondatore di MOAS, un giovane miliardario statunitense fondatore di una società maltese di servizi assicurativi, gestione sinistri per contractors e “informazioni” operativa in zone a rischio, mercati emergenti e teatri di guerra come Iraq e Afghanistan [xi] #Breaking #Phoenix crew conducting rescue of this wooden boat carrying 700+, #MOAS working hard & fast to make sure everyone gets off safely https://x.com/moas_eu/status/867269656213630977 [xii] Strage di Lampedusa, arrivano Barroso e Letta Proteste in aeroporto: «Vergogna, assassini» https://www.corriere.it/cronache/13_ottobre_09/tragedia-lampedusa-arriva-barroso-proteste-aeroporto-vergogna-assassini-6e79ae26-30ba-11e3-b3e3-02ebe4aec272.shtml [xiii] St. Vincent e Grenadine è una nazione nel Sud dei Caraibi formata dall’isola principale, St. Vincent, e da una serie di isole più piccole. Con i suoi porti affollati di yacht, le lussuose isole private e i paesaggi vulcanici, è famosa per le mete frequentate dalle barche a vela tra cui l’isola di Bequia, che si trova al largo di Admiralty Bay ed è circondata da barriere coralline e da spiagge di sabbia bianca come la Princess Margaret. La capitale, Kingstown, sorge sull'isola principale. [xiv] Decollato l'aereo con 19 eritrei diretti in Svezia https://www.interno.gov.it/it/notizie/decollato-laereo-19-eritrei-diretti-svezia Alfano: «I ricollocamenti successo senza precedenti» https://www.interno.gov.it/it/notizie/alfano-i-ricollocamenti-successo-senza-precedenti [xv] EASO - European Asylum Support Office [xvi] Agenzia dell'UE per l'asilo: il Consiglio concorda la proroga del mandato per i negoziati con il Parlamento europeo - 16 giugno 2021 https://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2021/06/16/eu-asylum-agency-council-agrees-extended-mandate-for-negotiations-with-the-european-parliament/ Ue, accordo per la nascita dell’Agenzia per l’asilo https://ilmanifesto.it/ue-accordo-per-la-nascita-dellagenzia-per-lasilo/ [xvii] New EU Agency for Asylum starts work with reinforced mandate – 19 gennaio 2022 https://www.euaa.europa.eu/news-events/new-eu-agency-asylum-starts-work-reinforced-mandate Regolamento (UE) 2021/2303 del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 dicembre 2021 relativo all’Agenzia dell’Unione europea per l’asilo e che abroga il regolamento (UE) n. 439/2010 https://eur-lex.europa.eu/eli/reg/2021/2303/oj?locale=it [xviii] In 10 anni nel Mediterraneo sono morte quasi 30mila persone https://www.agi.it/cronaca/news/2024-06-17/migranti-numero-morti-mediterraneo-26816655/ [xix] Strage di Cutro: come per Lampedusa restano solo vaghi "sos all'Europa" https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-strage_di_cutro_come_per_lampedusa_restano_solo_vaghi_sos_alleuropa/39602_49015/#google_vignette
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Il ministro degli Esteri dell'#Eritrea Osman Saleh ha incontrato il segretario generale @antonioguterres e ha scambiato opinioni sulle questioni regionali, sulla necessità di soluzioni armonizzate e coordinate ai conflitti insolubili nella regione e ha concordato di continuare la cooperazione e l'impegno tra e con l'Eritrea e le Nazioni Unite 28 settembre 2024
S.E. Gen. Odongo Jeje Abubakhar, Ministro degli Affari Esteri della Repubblica dell'Uganda e Presidente del Gruppo dei 77 e della Cina Eccellenze Signore e signori Innanzitutto, consentitemi di congratularmi e ringraziare l'Uganda per la leadership abile del Gruppo durante tutto l'anno 2024, e di congratularmi anche con la Repubblica dell'Iraq, il presidente entrante del gruppo. Signor Presidente, Eccellenze Molteplici relazioni indicano chiaramente che la piena attuazione dell'agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile sembra essere irraggiungibile, principalmente a causa delle sfide critiche di finanziamento. Abbiamo assistito al fatto che l'intero sistema di sviluppo delle Nazioni Unite è stato costantemente indebolito e sottofinanziato; e le varie promesse e impegni relativi al finanziamento per lo sviluppo non sono stati rispettati. L'attuale architettura finanziaria globale non è solo sbilanciata, ma anche obsoleta e non adatta allo scopo. Signor Presidente, Fin dalla sua fondazione, sessant'anni fa, il Gruppo dei 77 e la Cina hanno svolto un ruolo encomiabile nel rispondere alle sfide affrontate dalle nazioni in via di sviluppo e nel promuovere le aspirazioni e gli interessi del Sud del mondo. Inoltre, il ruolo del nostro Gruppo nel dare forma ai risultati di importanti processi come il vertice SDG dello scorso settembre, il Forum ECOSOC del 2024 sul finanziamento per lo sviluppo e il Summit del futuro, è stato degno di nota. Con lo stesso spirito, è richiesto un maggiore coordinamento e un fermo impegno nei prossimi eventi di alto livello nel 2025, tra cui la Quarta conferenza internazionale sul finanziamento per lo sviluppo, per affrontare meglio le nostre preoccupazioni e priorità. In questo periodo critico, è giunto il momento che il nostro Gruppo si adatti al panorama globale in evoluzione e adotti approcci innovativi per affrontare le sfide ereditate ed emergenti, tra cui le sfide finanziarie, pur rimanendo fedele ai nostri valori fondamentali di solidarietà, unità e rispetto reciproco. Per realizzare una nazione prospera e sostenibile, l'Eritrea ha adottato una visione chiara e ha messo in atto politiche di sviluppo, e ha iniziato a implementare programmi tangibili, per raggiungere una crescita completa del paese. In linea con le priorità di sviluppo nazionale, sono in corso sforzi per mobilitare risorse nazionali, approfondire le partnership e allineare gli sforzi nazionali con le agende di sviluppo regionali e globali. Contro queste sfide, e guidati dai principi di giustizia sociale, equità e autosufficienza, il popolo e il governo dell'Eritrea sono riusciti a sventare le minacce e a dimostrare resilienza e determinazione. Purtroppo, abbiamo incontrato minacce esistenziali, tra cui aggressioni militari, sanzioni ingiuste e inique del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e misure economiche coercitive unilaterali illecite. A questo proposito, vorrei estendere i miei ringraziamenti e apprezzamento al nostro gruppo per la sua posizione ferma e forte che rifiuta le sanzioni economiche unilaterali e ci esorta tutti a continuare a essere solidali con gli stati membri gravemente colpiti da queste misure illegali. Crediamo fermamente che il nostro Gruppo debba impegnarsi nuovamente per le ambizioni collettive e agire in unità, solidarietà, determinazione e puntare in alto per svolgere un ruolo di primo piano nel dare forma all'agenda e alla governance finanziaria e di sviluppo globale. Il Gruppo deve inoltre contribuire in modo significativo all'accelerazione e al raggiungimento degli interessi collettivi delle nazioni in via di sviluppo, sostenere un ordine globale equo e giusto con una maggiore rappresentanza e voce per i paesi in via di sviluppo nelle istituzioni economiche globali. L'Eritrea rimane pienamente impegnata nella missione del Gruppo di articolare le nostre posizioni, priorità e interessi collettivi, nonché promuovere la cooperazione Sud-Sud. Grazie! 25 settembre 2024, New York
Eccellenze, Illustri delegati, Signore e signori, L'Eritrea esprime il suo profondo apprezzamento agli organizzatori di questo importante incontro sulla crisi umanitaria in Sudan. Siamo riuniti oggi per affrontare una situazione di immensa gravità, che ha avuto conseguenze devastanti per il popolo sudanese e, in effetti, per l'intera regione. Il conflitto in corso ha causato la morte di migliaia di persone, milioni di sfollati, interrotto i mezzi di sostentamento e portato a gravi insicurezze alimentari e sanitarie. Le esigenze umanitarie sono urgenti e spetta a noi rispondere con l'urgenza e la cura che questa situazione richiede. L'Eritrea è pienamente solidale con il popolo sudanese in questo momento difficile. È stata attivamente impegnata negli sforzi per assistere il Sudan e il popolo sudanese, in particolare nel promuovere la pace e la stabilità nella regione. Con le risorse limitate, il popolo e il governo dell'Eritrea hanno mostrato solidarietà ai rifugiati sudanesi offrendo loro protezione e supporto all'interno dei nostri confini. Come parte degli sforzi diplomatici volti a raggiungere un cessate il fuoco permanente e arginare la sofferenza umanitaria, l'Eritrea si è coordinata con le parti interessate pertinenti e ha partecipato a iniziative regionali. L'Eritrea continua a sostenere un processo di pace inclusivo di proprietà sudanese, sostenuto dai paesi vicini. A questo proposito, l'Eritrea è stata anche impegnata con varie delegazioni sudanesi e delle Nazioni Unite, tra cui il signor Ramtane Lamamra, inviato personale dell'UNSG per il Sudan, ad Asmara. Sottolineiamo che le varie iniziative devono essere coordinate e impegni seri dovrebbero creare un ambiente favorevole. Eccellenze, La situazione in Sudan richiede un'azione rapida e collettiva. Porre fine al conflitto è fondamentale per fermare la devastazione, lo sfollamento e la sofferenza del popolo sudanese. Ora è il momento di mobilitare il supporto politico, finanziario e tecnico necessario per superare le sfide operative e fornire la protezione e gli aiuti urgenti richiesti. Solo attraverso finanziamenti sostenuti e flessibili e solidarietà internazionale possiamo scongiurare il peggio e ridare speranza al popolo del Sudan. Grazie! credit Ghideon Musa Aron Giustizia, sviluppo e geopolitica del Corno: approfondimenti dalla sessione di dialogo del MoJ26/9/2024 25 settembre 2024
Il Ministero della Giustizia ha convocato un'importante sessione di dialogo dal 4 al 6 settembre 2024, intitolata "Giustizia, sviluppo e geopolitica del Corno". L'evento mirava a integrare ulteriormente i valori sociali fondamentali dell'Eritrea nel quadro giuridico, affrontando al contempo le complesse dinamiche geopolitiche della regione, fondamentali per promuovere la pace e lo sviluppo sostenibile. La sessione ha attirato esperti legali, studiosi e professionisti di vari paesi, favorendo un ricco scambio di idee. * * * Professor Fawaz Gerges, quali sono le sue opinioni sul significato della sessione di dialogo del Ministero della Giustizia? Questa conferenza è molto significativa, in quanto riunisce un gruppo eterogeneo di studiosi, esperti e ospiti speciali per discutere strategie efficaci per promuovere giustizia, sviluppo, pace e sicurezza nel Corno d'Africa. Negli ultimi giorni abbiamo esplorato vari temi, tra cui il contesto geopolitico, le potenziali riforme e i metodi per migliorare le relazioni tra i paesi della regione. Un'attenzione particolare è stata rivolta al ruolo cruciale della legge e della giustizia nel guidare lo sviluppo e nell'affrontare i valori fondamentali che sostengono l'armonia sociale. Come vede le attuali dinamiche geopolitiche e il loro impatto sul Corno d'Africa? Stiamo attualmente assistendo a un momento di trasformazione nel panorama geopolitico globale, che include implicazioni significative per l'Eritrea e i suoi vicini. Il tradizionale predominio degli Stati Uniti sta scemando e questo cambiamento presenta sia opportunità che sfide. Gli Stati Uniti stanno esercitando una notevole pressione sui paesi del Sud del mondo affinché si allineino ai propri interessi strategici nella sua rivalità con altre potenze globali. Sebbene ciò crei un ambiente complesso, sostengo che i paesi del Corno d'Africa dovrebbero evitare di essere coinvolti in queste rivalità. Invece, dovrebbero impegnarsi con tutte le parti e diversificare le loro strategie economiche e di riforma per navigare in modo efficace in questo intricato panorama. Quali lezioni si possono trarre dall'attuale stato della cooperazione regionale nel Corno d'Africa? Sfortunatamente, c'è una notevole mancanza di coordinamento e cooperazione tra i paesi del Corno d'Africa, che mina i loro interessi collettivi e apre la porta a potenze esterne per interferire nei loro affari. Questa situazione ha soffocato la loro capacità di funzionare come stati sovrani indipendenti. La sfida critica che queste nazioni devono affrontare è come uscire da questa palude geopolitica, affermare la loro sovranità e collaborare efficacemente per diventare attori influenti sulla scena internazionale. I paesi devono affrontare le loro differenze interne e lavorare per promuovere la collaborazione, costruire ponti e promuovere l'integrazione economica. Dovrebbero esplorare modi per incorporare i principi di cooperazione e dialogo nelle loro politiche nazionali. Le esperienze di altre regioni che affrontano sfide simili possono fornire lezioni preziose per superare questi ostacoli e promuovere la stabilità regionale. Professor Makane Mbengue, come valuta il dialogo? Il dialogo organizzato dal Ministero della Giustizia è stato determinante nell'affrontare il più ampio panorama geopolitico, in particolare per quanto riguarda il suo contesto storico. La sessione inaugurale di aprile si è concentrata sull'identificazione dei valori fondamentali che dovrebbero guidare il processo di revisione del quadro giuridico dell'Eritrea per lo sviluppo sostenibile. Il presidente Isaias Afwerki ha svolto un ruolo fondamentale nell'incoraggiarci a riflettere profondamente su questi valori. Un quadro giuridico privo di solide basi di valori è intrinsecamente vulnerabile, una sfida evidente in molte nazioni africane. Le nostre discussioni hanno sottolineato la necessità di identificare questi valori per un maggiore allineamento e integrazione nel processo di consolidamento giuridico per garantire la sostenibilità a lungo termine. Quali valori fondamentali avete identificato nel contesto eritreo? Nelle nostre discussioni, abbiamo identificato diversi valori fondamentali che sono essenziali per il quadro giuridico eritreo: sovranità nazionale, stato di diritto, dignità umana, giustizia sociale e autosufficienza. Questi valori non sono semplicemente concetti astratti; sono fondamentali per dare forma a un sistema giuridico che risponda alle realtà e alle aspirazioni del popolo eritreo. Ancorando il processo di revisione giuridica in corso a questi valori, miriamo ad articolare meglio un quadro che rifletta realmente il contesto sociale, culturale e storico dell'Eritrea. Quali sfide prevedete nell'integrazione di questi valori in un quadro giuridico moderno? Le principali sfide che affrontiamo sono lo sviluppo delle capacità e l'inclusività. Il rafforzamento delle capacità è essenziale, poiché dobbiamo garantire che le parti interessate pertinenti siano attivamente coinvolte nel processo di revisione. Questo impegno significa fornire informazioni e opportunità di partecipazione a ogni livello. L'inclusività è altrettanto importante. Garantire un'ampia partecipazione sarà una sfida significativa, che richiede un dialogo continuo e un impegno con tutti i settori della società. Professor Mohammed Hasssan, perché è importante allineare le prospettive tra i paesi della regione e in che modo il contesto storico può guidare le azioni future? Allineare le prospettive è fondamentale perché ci consente di costruire una base basata su valori condivisi che sono profondamente radicati nelle nostre esperienze storiche. Riconoscere il nostro passato comune ci aiuta ad affrontare e correggere sia i valori importati sia le narrazioni travisate, che altrimenti possono dividerci. Comprendere gli sviluppi storici fornisce un quadro per affrontare le dinamiche contemporanee. Discutendo della nostra storia, possiamo identificare i problemi che hanno storicamente causato conflitti e lavorare in modo collaborativo verso un futuro più integrato. Questa comprensione reciproca promuove un senso di unità, che è fondamentale per navigare nel complesso panorama geopolitico che ci troviamo ad affrontare. Quale ruolo ha svolto l'Eritrea nelle dinamiche regionali del Corno d'Africa e quali strategie specifiche possono essere implementate per promuovere la cooperazione? L'Eritrea è emersa come un attore fondamentale nella regione. Questa posizione proattiva riflette una visione di un Corno d'Africa unificato che resiste alla manipolazione straniera. La trasformazione dell'Eritrea da vittima di lotte geopolitiche a importante attore regionale è fondamentale per raggiungere i nostri obiettivi comuni e promuovere la stabilità regionale. Per promuovere la cooperazione, possono essere implementate diverse strategie, tra cui: Il rafforzamento delle organizzazioni regionali può creare piattaforme per il dialogo e la cooperazione, consentendo ai paesi di dare priorità ai propri interessi collettivi rispetto alle agende esterne. La promozione di partnership commerciali ed economiche può ridurre la dipendenza da poteri esterni. Progetti collaborativi in infrastrutture, energia e agricoltura possono unificare le nostre economie, promuovendo una prosperità condivisa. L'istituzione di meccanismi di sicurezza congiunti può aiutare ad affrontare minacce comuni, come terrorismo e pirateria, creando al contempo fiducia tra le nazioni. Un quadro di sicurezza collettivo può migliorare la stabilità regionale. Incoraggiare gli scambi culturali e le iniziative educative può rafforzare i legami tra i nostri popoli, promuovendo la comprensione reciproca e la solidarietà. Ciò può aiutare a contrastare narrazioni divisive e a promuovere un senso di destino condiviso. Sviluppare una strategia diplomatica regionale che enfatizzi il dialogo e la negoziazione può aiutare ad attenuare le tensioni e a promuovere risoluzioni pacifiche dei conflitti. Dando priorità ai nostri interessi regionali, possiamo presentare un fronte unito contro le pressioni esterne. Per tutti questi, implementare una strategia e un quadro politico chiari è fondamentale ed è per questo che siamo qui. Qual è l'obiettivo finale di queste iniziative? L'obiettivo finale è coltivare una visione unitaria per il Corno d'Africa, riconoscendo la nostra storia e i nostri valori condivisi. Costruendo una base per una pace, una sicurezza e uno sviluppo duraturi, possiamo trasformare la nostra regione in un'entità coesa che dia priorità al benessere della sua gente. Questo impegno per l'unità regionale garantirà un futuro più luminoso per tutti, consentendoci di affrontare le sfide collettivamente ed efficacemente. da shabait di Daniel Wedi Korbaria* *Daniel Wedi Korbaria, scrittore eritreo e panafricanista, è nato ad Asmara nel 1970 e vive e lavora in Italia dal 1995. Con i suoi libri, articoli e saggi pubblicati online e tradotti in inglese, francese, tedesco e norvegese si è battuto per offrire una voce alternativa ai racconti dei media mainstream italiani ed europei sull'immigrazione e il neo colonialismo. Nel 2019 ha pubblicato il suo primo romanzo "Mother Eritrea" e nel 2022 il saggio d'inchiesta "Inferno Immigrazione". Di prossima pubblicazione (2024) il suo romanzo sul colonialismo italiano in Eritrea. Eppure, fino a quel momento non sapevo di essere diventato tanto famoso, Lol! Reduce da una brutta esperienza con la CGIL di Catania[1] che il 18 marzo 2024 mi aveva censurato e cacciato dalla sala conferenze di Via dei Crocefini n°40, spazio precedentemente concesso per presentare l’iniziativa “L’Africa e l’Occidente” in cui avrei dovuto essere uno dei relatori; tre settimane dopo, il 13 aprile, in un convegno del Partito Democratico a Milano, intitolato “Eritrea, un popolo in prigione”, promossa dall’On. Lia Quartapelle ed altri politici del PD, sono stato pubblicamente diffamato da due giornalisti in particolare che erano stati invitati come relatori. L’idea di base dell’iniziativa del partito democratico era quella di estromettere l’Eritrea dal Piano Mattei perché considerata Paese poco democratico e perciò non meritevole della loro “beneficenza”. Eppure lo sanno tutti che il Piano Mattei non è beneficenza ma puro investimento utile sia all’Italia che ai paesi africani coinvolti, tra cui l’Eritrea. Tutti sanno anche che se dovesse fallire il danno maggiore lo subirebbe l’Italia, ma sono pronto a scommettere che qualora il PD dovesse tornare nuovamente al Governo lo stesso farebbe carta straccia del Piano Mattei. Il Partito Democratico, che dovrebbe essere più sensibile alla democrazia e fare sua la famosa frase: non sono d’accordo con quello che dici ma darei la vita affinché tu possa esprimerla, ha permesso invece che dal suo palco milanese due giornalisti italiani attaccassero senza contraddittorio un immigrato panafricanista, semplicemente per le sue idee completamente diverse dalle loro sull’Eritrea e sull’immigrazione in generale. Tutti i personaggi su quel palco mi conoscevano perché in passato avevano sbattuto il loro grugno contro i miei articoli. A cominciare dalla Quartapelle[2]che nella sua carriera politica ha promosso diverse interrogazioni parlamentari contro il Governo eritreo, tutte riportate nel mio libro “Inferno Immigrazione”. Quando ero il portavoce della Comunità eritrea in Italia l’avevo persino incontrata nel suo ufficio istituzionale e invitata a visitare l’Eritrea per farsi così un’idea de visu invece di ripetere come un pappagallo tutte quelle infamie “per sentito dire”. L’Onorevole glissò e infilò la testa sotto la sabbia della propaganda di Washington continuando imperterrita la sua attività antieritrea. Uno dei relatori del convegno era il giornalista Luca Casale che, avendo pubblicato nel 2017 su Africa Rivista una bufala su un massacro mai avvenuto ad Asmara, costrinsi a rettificare[3]. Due anni dopo, riprese nuovamente la stessa falsa notizia dei morti pubblicandola sul sito di ISPI[4], dove assieme alla Quartapelle si presentano come esperti di geopolitica africana. Dio liberi! Un altro giornalista presente al convegno era Massimo Alberizzi. Lui è uno di quelli bravi, quello che nel 2012 lanciò per primo la falsa notizia della morte del Presidente eritreo. Si definiva intimo amico del fu Meles Zenawi, che governò l’Etiopia dal 1991 al 2012 e che nel 1998 dichiarò guerra all’Eritrea, guerra che fece oltre 100000 morti da ambo le parti. Durante il convegno Alberizzi mi ha definito “un pazzo” perché nel 2014 avevo osato commentare un suo articolo menzognero sul Festival Eritreo a Bologna pubblicato nel blog “Africa Express”, blog degno di un vero colonialista che spara a zero non solo sull’Eritrea ma in generale sull’intero continente africano. Quella volta, non riuscendo più a ribattere ai miei commenti e per evitare di fare la figura del “pirla” con i suoi pochi lettori, non solo li cancellò ma mi bannò impedendomi di intervenire. Un vero maestro della democrazia! Il terzo relatore era il giornalista di “Avvenire” Paolo Lambruschi. Dalle pagine del quotidiano della CEI si è sempre occupato di Eritrea, quasi 150 articoli, attaccando quotidianamente il suo Governo e facendo propaganda immigrazionista. Infatti il quotidiano dei Vescovi incoraggia le navi dei salvataggi affinché i naufraghi finiscano come ospiti di Caritas e Coop Auxilium che si occupano dell’accoglienza. Molti degli immigrati sbarcati negli ultimi quindici anni sono poi finiti nelle loro strutture sparse in tutt’Italia guadagnando per ogni ospite 45 euro al giorno e circa 120 euro al giorno su un minore non accompagnato! Durante il convegno di Milano lui stesso ha confessato di aver allertato il suo amico Don Mussie Zerai, “l’angelo dei profughi” che col telefono satellitare gestiva il traffico dei barconi nel Mediterraneo, perché indagando su di me aveva scoperto che facevo il mediatore culturale presso la CIES[5]. Convinto che potessi danneggiare i richiedenti asilo, chiese al suo amico di farmi cacciare via da quel lavoro. “Ci penso io!” gli ha risposto “l’angelo dei profughi” e difatti da un giorno all’altro mi sono ritrovato disoccupato e cancellato dal gruppo Whatsapp dei loro mediatori. Scoprire a distanza di tempo che il giornalista di “Avvenire” era diventato un delatore ed era stata quindi colpa sua se da un giorno all’altro mi sono ritrovato senza lavoro mi ha scosso nel profondo. Alla faccia della carità cristiana! Inoltre, dal palco del PD, Lambruschi con il tono compiaciuto di chi aveva chiesto ed ottenuto giustizia divina disse che la “Ong”, (riferendosi alla CIES) mi aveva anche denunciato per la mia discutibile professionalità che aveva messo a rischio i migranti, diffamandomi pubblicamente. Appresa questa notizia mi sono recato al Tribunale giudiziario di Piazzale Clodio a richiedere il certificato dei carichi pendenti per vedere se veramente ci fosse traccia di questa denuncia ma risultò che non c’era niente contro di me e che la mia fedina penale era ancora immacolata come sempre. Allora perché aveva detto questa cosa falsa e infamante? Questa sarebbe stata la prima delle legittime domande da fargli in sede giudiziaria. Infatti, l’avvocato a cui mi sono rivolto per procedere legalmente, mi ha detto che c’erano tutti gli estremi per procedere sia per la diffamazione che per la perdita del lavoro. Ma aveva bisogno delle testuali parole usate da Lambruschi. E qui entra in ballo una giornalista di Milano, area PD, della quale per ora non voglio fare il nome, che mi aveva chiamato al telefono il 18 aprile (5 giorni dopo il convegno) per raccontarmi tutto per filo e per segno, dicendomi anche di aver fatto, come sua abitudine, una registrazione audio, per poi sbobinarla e scriverci un articolo. La giornalista con la quale in passato avevo collaborato in molte campagne mediatiche a favore dell’Eritrea, anche lei da decenni scrive di Eritrea ma su uno schieramento politico vicino alla mia posizione e in netta contrapposizione ai sopramenzionati personaggi, voleva farmi un’intervista. Le dissi che avevo intenzione di agire legalmente e lei mi promise che mi avrebbe dato quella registrazione audio. Successivamente mi richiamò per tirarsi indietro adducendo motivazioni assurde a dir poco imbarazzanti. Le chiesi allora di scrivermi giusto una nota con le testuali parole del giornalista, e dopo un primo sì di nuovo cambiò idea e mi lasciò appeso in attesa di una sua risposta nonostante sapesse quale era il poco tempo rimasto a mia disposizione. Le dissi che ero favorevole all’intervista a patto che inserisse le testuali parole. Lei acconsentì e “Ti chiamo domani sera” fu la sua ultima frase. Lasciò trascorrere i 90 giorni utili per poter approntare la pratica della querela sparendo nel nulla e lasciandomi con la convinzione che alla fin fine “cane non morde cane” perché grazie a lei delatori e diffamatori sono impunemente ancora liberi di raccontare menzogne su menzogne. Amen. [1] L’immigrato più censurato d’Italia https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-limmigrato_pi_censurato_ditalia/39602_54047/
[2] Pace nel Corno d'Africa. Ma Lia Quartapelle non si arrende... https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-pace_nel_corno_dafrica_ma_lia_quartapelle_non_si_arrende/82_26476/ [3] Eritrea, repressa nel sangue una manifestazione di studenti https://www.africarivista.it/eritrea-repressa-nel-sangue-una-manifestazione-di-studenti/117216/ [4] Eritrea: si può credere ad Asmara? https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/eritrea-si-puo-credere-ad-asmara-23405 [5] Onlus di proprietà di Elisabetta Melandri, sorella dell’ex ministro della cultura Giovanna Melandri (PD) 1961 - Alcuni esuli eritrei, fra i quali l’ex presidente del parlamento eritreo, Idris Mohammed Adem, fondano il Fronte di liberazione dell’Eritrea (F.L.E.) e decidono di dare inizio alla lotta armata.
Il 1° settembre, un gruppo di guerriglieri, guidati da Hamed Idris Awate, attacca una stazione di polizia nella provincia eritrea occidentale del Barka dando vita a quello che viene considerato l'inizio della trentennale lotta armata del popolo eritreo per la Liberazione e l'Indipendenza del proprio paese. Il Festival Nazionale contribuisce al trasferimento dei valori sociali nobili.
Il Festival Nazionale Eritreo 2024, che segna il 50° anniversario del Festival di Bologna, contribuisce in modo significativo a trasferire i nobili valori sociali e la storia della lotta del popolo eritreo per l’indipendenza e la salvaguardia della sovranità nazionale. I visitatori del festival hanno affermato di aver osservato in prima persona lo sviluppo del festival, iniziato nel 1994 con una partecipazione e attività minime, fino a diventare un evento nazionale annuale. Hanno notato che le mostre fotografiche esposte dalle comunità eritree provenienti da Europa, Nord America, Medio Oriente e Africa descrivono il contributo che queste comunità hanno dato nel sostenere la lotta armata per l’indipendenza, nel consolidare l’unità e l’identità nazionale, nel nutrire bambini e giovani, così come rafforzare la resilienza degli eritrei della diaspora. I visitatori hanno anche chiesto di organizzare tali eventi basandosi sulla ricerca, piuttosto che limitarsi ai festival annuali. I rappresentanti delle comunità eritree della diaspora hanno indicato che, come parte del quarto fronte, stanno svolgendo un ruolo cruciale nella conservazione della cultura e dell’identità nazionale, nell’attuazione dei programmi di sviluppo nazionale e nello sventare cospirazioni e ostilità esterne. Il raduno degli eritrei della diaspora, iniziato nel 1970 da membri clandestini dell'EPLF e giovani a Monaco, in Germania, ha preso la forma di un festival per le comunità eritree a Bologna dal 1994 e ha dato un contributo significativo alla lotta armata per l'indipendenza nazionale. Media Comunità Eritrea.it di Robert Crowe Associated Medias
Agosto 5, 2024 Il Presidente della Regione del Tigrai, Ghetachew Redda: “Il rapimento delle donne è ormai considerato un fenomeno comune e normale. Questo non è più tollerabile. Dobbiamo vergognarci di attribuire la colpa ai nostri nemici o a forze straniere quando sappiamo che questi crimini sono perpetrati dalla nostra stessa gente. Il traffico di esseri umani è diventato una pratica inaccettabile” Una recente, drammatica dichiarazione del Presidente della Regione del Tigrai, Ghetachew Redda, è rimasta inascoltata nonostante il suo contenuto scioccante e potenzialmente dirompente. In un’intervista trasmessa dalla televisione regionale del Tigrai, Redda ha fatto un’ammissione senza precedenti, dichiarando apertamente che stupri, traffico di esseri umani, rapimenti e altre violazioni dei diritti delle donne sono fenomeni largamente diffusi nella sua regione. Questa dichiarazione segna un punto di svolta nella riconoscenza pubblica e nella lotta contro un problema che affligge profondamente la comunità tigrina. Redda ha descritto con franchezza la situazione: “Il rapimento delle donne è ormai considerato un fenomeno comune e normale. Non è più tollerabile. Dobbiamo vergognarci di attribuire la colpa ai nostri nemici o a forze straniere quando sappiamo che questi crimini sono perpetrati dalla nostra stessa gente. Il traffico di esseri umani è diventato una pratica inaccettabile. La nostra regione è diventata un luogo dove gli esseri umani vengono trattati come oggetti e il riscatto dei migranti è diventato la norma.” Questa ammissione pubblica rappresenta un passo cruciale verso il riconoscimento e la lotta contro fenomeni che sono stati a lungo minimizzati o ignorati. In passato, tali crimini erano spesso politicizzati e attribuiti agli eritrei per giustificare sanzioni internazionali. Le accuse, non supportate da prove concrete, hanno contribuito a un clima di ostilità e incomprensione nei confronti dell’Eritrea, mentre la verità sui crimini perpetrati all’interno della regione del Tigrai rimaneva nascosta. La dichiarazione di Redda giunge in un momento in cui i media internazionali, per anni, hanno imputato questi crimini agli eritrei, senza condurre indagini approfondite e indipendenti. Tuttavia, studi indipendenti finanziati dalle agenzie delle Nazioni Unite, come l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e il Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (UNFPA), così come da ONG operanti nella regione, hanno documentato la presenza di tali fenomeni ben prima dell’inizio del conflitto del 2020. Studi condotti nel 2007 e nel 2014 hanno messo in luce la persistente cultura della violenza sessuale nel Tigrai. In particolare, uno studio condotto nel 2020 dall’Università di Mekele, realizzato da noti ricercatori etiopici, tra cui Sarah Bahta Galu, Habtu Berhe Ghebru, Yohannes Tesfay Abebe, Ghebrekristos Gebrekidan, Atsede Fabthaven Aregay e Gherezghier Buruh Abera, ha rivelato che circa il 50% delle donne impiegate all’università erano state vittime di stupri perpetrati da colleghi o superiori. Altri studi, finanziati dalla cooperazione irlandese e condotti in collaborazione con ONG come Save the Children Sweden, hanno documentato la violenza subita dai bambini nella regione del Tigrai. La dichiarazione di Ghetachew Redda non solo riconosce la gravità di questi crimini, ma sfida anche la narrativa prevalente che ha frequentemente attribuito ingiustamente la responsabilità a forze esterne. Questo riconoscimento dovrebbe spingere a una riflessione profonda su tutte le accuse mosse contro l’Eritrea e gli eritrei, e invitare a un riesame delle prove e delle testimonianze. La verità sulla violenza e sugli abusi nel Tigrai deve emergere con chiarezza, e solo attraverso un’analisi onesta e imparziale sarà possibile affrontare e risolvere i gravi problemi che affliggono questa regione. (Associated Medias) – Tutti i diritti sono riservati |
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Settembre 2024
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