L’Eritrea respinge la dichiarazione rilasciata dal Segretario generale aggiunto delle Nazioni Unite per i diritti umani durante il dialogo interattivo rafforzato tenutosi durante la 55a sessione del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite.
In un momento in cui la comunità globale chiede equità e giustizia nelle istituzioni internazionali, in cui il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite cerca di affrontare le questioni della selettività e dei doppi standard, è deplorevole che ancora una volta alcuni funzionari delle Nazioni Unite, travisando fatti e rigurgitando accuse infondate contro l’Eritrea, compreso quello di revoca del mandato da parte del Consiglio per i diritti umani. Il 28 febbraio 2024, Ilze Brands Kehris, segretario generale aggiunto delle Nazioni Unite per i diritti umani, ha consegnato una dichiarazione al Consiglio per i diritti umani, che è stata presa parola per parola dai numerosi rapporti contenenti accuse infondate a cui l’Eritrea ha ripetutamente risposto. Tra le altre cose, il Segretario generale aggiunto descrive l’Eritrea come un paese senza legge, “che soffre di una grave mancanza di stato di diritto senza un sistema giudiziario indipendente o altri meccanismi di responsabilità”. La signora Ilze Brands Kehris insulta i Servizi Nazionali senza scarso esame e riferimento alla logica sottostante; norme statutarie; e le politiche e le prospettive del Governo. Allude alla persecuzione dei cristiani; ignaro del track record riconosciuto dall’Eritrea di costumi esemplari e armoniosi di tolleranza e rispetto religioso, in una regione che è spesso tormentata da conflitti etnici e religiosi. L’Assistente Segretario Generale prende ingenuamente spunto dalla disinformazione del TPLF per affermare falsamente la “presenza segnalata di truppe eritree nella regione del Tigray”. A questo proposito, ha appoggiato, consapevolmente o inconsapevolmente, il rifiuto da parte del TPLF della sentenza definitiva e vincolante sui confini della Commissione per i Confini dell’Eritrea Etiopia (EEBC), in violazione del diritto internazionale e della posizione delle stesse Nazioni Unite. Ovviamente, l’intenzione non era quella di coinvolgere l’Eritrea, ma di incrementare la campagna negativa contro lo Stato dell’Eritrea, la sua leadership e il suo popolo. Niente nella dichiarazione riflette i fatti sul campo che avrebbero potuto essere facilmente verificati dai membri del Country Team delle Nazioni Unite in Eritrea e dalle ripetute risposte presentate dal governo eritreo. Il funzionario delle Nazioni Unite ha scelto invece di utilizzare la piattaforma per portare avanti programmi politicamente motivati da alcuni ambienti, che non hanno nulla a che fare con la promozione dei diritti umani dei popoli eritrei. È scoraggiante vedere l’Ufficio dell’Alto Commissario per i Diritti Umani (OHCHR) utilizzato come strumento per prendere di mira alcune nazioni, proclamando ad alta voce accuse non verificate, mentre si hanno risposte mute su evidenti violazioni altrove. Le recenti azioni dell’OHCHR nell’unirsi a quella che sembra essere una campagna di diffamazione contro l’Eritrea, basata su affermazioni infondate, sono irresponsabili e non riescono a soddisfare gli obiettivi dell’ufficio stabiliti nella risoluzione 48/141. La ripetizione di accuse errate rafforza le riserve che gli Stati membri hanno nei confronti del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, in particolare la percezione della selettività. Quando il mondo è testimone di crimini atroci, la scelta di distogliere l’attenzione prendendosela con un piccolo stato in via di sviluppo, che non ha commesso tali crimini è inaccettabile. La realtà di un paese e di un popolo la cui storia è basata sulla lotta per la liberazione e per i diritti umani non può essere cancellata o offuscata da dichiarazioni così irresponsabili. Invece di lodare accuse infondate, l’Ufficio dovrebbe dare priorità all’equilibrio, all’impegno, alla cooperazione tecnica e al dialogo basato su aree di priorità per i paesi interessati. Questo metodo ha maggiori probabilità di stabilire una comprensione e di dare luogo a una cooperazione significativa nella promozione dei diritti umani. Il fatto che il Segretario generale aggiunto abbia deciso di portare alla luce accuse infondate avanzate da una commissione d’inchiesta precedentemente defunta, sette anni dopo lo scioglimento del suo mandato, da parte del Consiglio per i diritti umani, è stata una manifestazione della politicizzazione dell’Ufficio. L’Eritrea ha ritenuto che i rapporti fossero privi di alcuna metodologia professionale di accertamento dei fatti e basati su “testimonianze” selezionate, non verificabili e contraddittorie. L'Eritrea ha respinto fin dall'inizio la risoluzione che istituiva il relatore speciale sulla situazione dei diritti umani in Eritrea affermando che il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite si stava facendo beffe dei "criteri di imparzialità e ammissibilità del Consiglio" poiché il risultato non era il risultato di "un processo imparziale di raccolta dei fatti e accertando”. All’Eritrea non è stata data l’opportunità di fornire informazioni e prove essenziali, e ciò che è stata in grado di presentare in un tempo molto limitato è stato “ignorato”. L’intero processo è stato “portato avanti in modo frettoloso” ed è stato “basato su un approccio parziale volto a inghiottire le accuse dei detrattori dell’Eritrea e ad ignorare le risposte e le prove dell’Eritrea”. L’Eritrea chiede la fine di tutti i mandati politicamente motivati stabiliti senza il consenso del paese interessato. Il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite dovrebbe cessare di essere utilizzato come piattaforma per manovre geopolitiche. Il Consiglio dovrebbe stabilire credibilità ed efficacia nel promuovere i diritti umani su scala globale, libero da indebite influenze geopolitiche. Dovrebbe impegnarsi in una vera cooperazione con gli Stati nella promozione e protezione dei diritti umani. La Missione Permanente dell’Eritrea è pronta a impegnarsi con tutte le entità delle Nazioni Unite. credit Ghideon Musa Aron
0 Comments
8/3/2016
Tullia M. Piccoli - "Grazie a un tasso di criminalità molto basso e alla parità dei diritti di cui godono le donne eritree, l'Eritrea è forse uno dei paesi più sicuri e meno restrittivi del continente africano per le donne in viaggio..." pag. 356 della Guida Lonely Planet. Con questa rassicurazione 'da verificare' in loco, ho voluto intraprendere il viaggio in Eritrea, forte anche delle conoscenze di donne eritree in Torino e di agganci ad Asmara, la capitale. A Nord del Mediterraneo circolano voci poco rassicuranti sul clima di guerra e mancanza di libertà del paese, tuttavia la curiosità è stata più forte dei timori. Le donne eritree che conosco a Torino sono donne non comuni; le giovani, anche se addette a lavori di assistenza domestica, sono quasi tutte diplomate, colte e con conoscenza di almeno 3 lingue: il tigrino, l'italiano e l'inglese. Ma ciò che mi affascina di più è il loro attaccamento alle tradizioni, da quelle alimentari a quelle sociali, come le feste, le danze, le ricorrenze e soprattutto la loro grande cortesia e disponibilità. E’ bello osservare la grazia che hanno nei movimenti e la dignità del loro incedere, quasi nascondano un’arcaica e incontaminata forza e superiorità interiore. In aereo, seduta accanto a Saba, vestita sobriamente ma alla moda, vengo a sapere che vive a Milano, lavora in una ditta, e torna a casa a trovare la madre per le vacanze. Scopro poi che ha una serie infinita di bagagli e mi spiega che sono regali per una serie altrettanto infinita di fratelli, sorelle, nipoti e parenti vari. Le rimesse degli emigrati della ‘diaspora’, cioè coloro che sono fuoriusciti dall’Eritrea durante il periodo del Derg (governo etiopico di occupazione prima della liberazione del 1991), sono ancora molto importanti per l’economia, in lento sviluppo, del paese. Per i parenti emigrati, i legami famigliari non si perdono; quasi tutti sentono l’obbligo morale di tornare e riabbracciare fisicamente i loro cari. I doni più gettonati sono l’olio d’oliva, i capi di vestiario e, quando possibile, cellulari e computer portatili. Le madri sembrano ancora gradire cioccolatini e caramelle, che nel paese sono care, proprio come quando ero piccola io. Le strade di Asmara pullulano di gente che va e viene, soprattutto a piedi ed in bicicletta. La metà della popolazione è musulmana, ma le donne vestono indistintamente all’occidentale o in modo tradizionale con lo zurià, un abito bianco, bordato, di cotone-garza a più strati e con una sciarpa bianca tenuta sul collo o sul capo per coprirsi dal sole o dal vento. Ho incontrato pochissime donne in abito nero lungo, alla moda musulmana, e nessuna col velo integrale. Le donne, qui, non tengono il capo abbassato in presenza degli uomini. Sono invece fiere, ironiche e combattive, pur con i modi garbati e privi di aggressività della loro cultura. Beh, c’è molto da imparare… Inoltre le donne non fumano in pubblico (e fumano pochissimi uomini) perché è il segno distintivo della ‘disponibilità’ sessuale. La donna eritrea si trova ad essere in un mirabile equilibrio tra tradizione e modernità. C’è chi si sente un po’ stretta, ma c’è chi sa apprezzare il senso di protezione sociale che questa condizione garantisce ancora. I legami sociali, parentali, la ‘reputazione’ come vincolo ma anche come salvaguardia, il forte rapporto famigliare e di gruppo hanno preservato di fatto lo sfaldamento sociale e la deriva del degrado, anche all’estero, nelle metropoli corrotte dell’occidente. Non esiste un giro di prostituzione di eritree, è inimmaginabile. Per quanto riguarda il problema della violenza sulle donne, Mbrat, giovane eritrea espulsa con altri 80.000 connazionali da Addis Abeba, in seguito all’aggressione militare dell’Etiopia (60 milioni di abitanti) contro l’Eritrea (5 milioni di abitanti) nel 1998, mi dice che le violenze sessuali sulle donne sono rarissime perché punite molto duramente. Lei vive da sola ad Asmara e sostiene di sentirsi sicura, non minimamente minacciata da eventuali atti di aggressione sessuale. La sera tardi sono scesa per le strade della capitale, tra edifici e ville di gusto architettonico italiano dei primi decenni del secolo scorso. L’aria tiepida e ancora tanti passanti. Locali pubblici in chiusura e qualche venditore di belès, fichi d’india, agli angoli dei marciapiedi. Ho constatato anch’io la piacevolezza della passeggiata tra giovani donne che si muovevano serenamente anche lungo i poco illuminati viali della città e nei dintorni. Tra i vicoli più scuri si vedevano spuntare gli abiti bianchi di donne sole che si dirigevano con passo calmo verso casa, forse ignare di quale privilegio sia il vivere il proprio quartiere e la propria città come a noi non è più consentito. E tutto ciò in assenza di militari, di poliziotti e di ‘ronde’. Intervista a Ghennet Tekiè. Ma dove sta l’atmosfera di intimidazione e paura che mi avevano prospettato in Italia? Forse lo sguardo del turista sfiora solo la superficie dei luoghi e non penetra le contraddizioni della comunità che visita. Ho voluto allora intervistare una donna molto interessante. Ghennet è un’eritrea che vive e lavora ad Asmara; ha due figlie che si sono laureate di recente ma, soprattutto, ha avuto l’esperienza di lavorare all’estero, in Inghilterra, per 15 anni. Ciò le consente di avere un’ottica più ampia della mia di quello che è il processo di emancipazione della donna in Eritrea. - E’ vero che dopo l’indipendenza del 1991 la donna eritrea ha ottenuto degli importanti diritti civili? - Non solamente dopo l’indipendenza, anche durante la lotta armata per l’indipendenza, l’emancipazione delle donne eritree era già assicurata. Le donne rappresentavano il 30% dei combattenti, dirigevano dei battaglioni, assicuravano l’assistenza sanitaria e l’istruzione sia dei combattenti che dell’intera popolazione. Dopo aver assicurato l’indipendenza, non sono ritornate in cucina. Attualmente ricoprono cariche ministeriali, di direzione generale, sono medici, ingegneri, piloti di linee aeree interne, informatiche e anche meccaniche. Dal momento che la politica del governo è quella di fornire scuole in tutti i paesi, anche quelli sperduti nelle campagne, le donne della nuova generazione ne approfittano e riescono a completare gli studi superiori. Nel mio caso, per le mie due figlie, dal momento che i livelli secondari e universitari sono gratuiti in Eritrea, non abbiamo versato neanche un Nakfa per i loro studi. - La guerra del 1998 combattuta dall’Eritrea per difendere i propri confini dall’invasione etiopica ha finito per segnare una battuta d’arresto del processo di emancipazione? - La guerra è una cosa devastante che non porta a nulla tranne disastri e ostacoli. Quando la guerra condotta dall’Etiopia è cominciata, molti progetti in corso si sono fermati per qualche tempo. Ma ora questi progetti hanno ripreso il loro cammino. - In Italia mi hanno detto che il centro di istruzione e addestramento militare di Sawa, dove tutti i giovani devono andare, è una specie di prigione che terrorizza i ragazzi e le loro famiglie. Molti giovani fuggirebbero dall’Eritrea per non dover fare il servizio militare di Sawa. - Condanno energicamente questa informazione inesatta. Sawa non è un luogo di tortura. Sawa è un luogo in cui ragazzi e ragazze svolgono l’ultimo anno delle superiori e in seguito ottengono il diploma ‘. Quelli di loro che superano l’esame vanno all’università. Gli studenti che hanno ricevuto un giudizio elevato ricevono il premio ‘Zagra’ dalle mani del presidente eritreo. Il fine del governo è incoraggiare i giovani a studiare e diplomarsi. Tra loro, il numero delle ragazze non cessa di aumentare di anno in anno. Chi invece non supera l’esame ha il diritto di seguire degli ‘stage’ professionali per un anno. A parte gli studi, i giovani apprendono la scoperta e lo scambio culturale nonché la disciplina. Anche se le classi sono miste, i dormitori dei ragazzi e delle ragazze sono separati. Durante la notte, c’ è un’alta sorveglianza affinché non ci siano ‘andirevieni’ tra i dormitori. - Le mie due figlie sono andate a Sawa come tutti i giovani eritrei. Mio marito ed io siamo andati a trovarle e siamo stati impressionati dalla disciplina che regnava nel campo. Qualche mese più tardi si sono diplomate e sono entrate all’Università. Devo dire che le abbiamo trovate più responsabili e anche molto più mature. Dato che l’Eritrea ha una popolazione poco numerosa, è evidente che i giovani difendano la loro patria contro eventuali aggressioni esterne, per cui sono tenuti ad un addestramento militare di 3 mesi proprio a Sawa. - Se ottimista o pessimista per il futuro dell’Eritrea? - Benché l’Eritrea attraversi un periodo economico difficile in questo momento, come del resto tutti i paesi sviluppati e in via di sviluppo che soffrono la crisi mondiale, io sono molto ottimista sull’avvenire del mio paese. Il popolo e il governo eritreo lavorano duro affinché l’economia del paese sia stabile e duratura. - Qual è il tuo messaggio alle donne italiane? - Io le invito a visitare il paese e a vedere con i propri occhi la partecipazione delle donne in tutti i settori economici e anche a vedere la pace che regna nel paese e l’armonia della popolazione. Reportage di Tullia M. Piccoli Londra, 28 febbraio 2024
Per ragioni non difficili da decifrare, alcuni esperti e lobbisti assoldati dal TPLF stanno rigurgitando in questi giorni narrazioni revisioniste sulla guerra che ha infuriato nell'Etiopia settentrionale per due anni, dal novembre 2020 al 2022. Questa narrativa revisionista è meglio illustrata nei postulati di articoli recenti, sostanzialmente simili, su "The Statesman; Gray Dynamics (edizione online); World Peace Foundations..etc." rispettivamente. Tra le altre distorsioni, tutti questi articoli accusano falsamente l’Eritrea di “mantenere le sue truppe in diverse parti della Regione del Tigray”. Quali sono realmente i fatti ? 1. In primo luogo, la guerra feroce e costosa che ha infuriato per due anni è scoppiata quando il TPLF ha lanciato una guerra di insurrezione contro il governo federale dell'Etiopia il 4 novembre 2020. L'obiettivo dichiarato della guerra scelta dal TPLF: che definita una guerra lampo - aveva il duplice scopo di rimuovere il nuovo governo in Etiopia e di perpetuare i suoi programmi irredentisti contro l'Eritrea. Questo è stato il prodotto inevitabile dello sconsiderato errore di calcolo del TPLF, spinto per così dire dai suoi referenti esterni e dai suoi alleati, riguardo alla sua abilità militare. È stato anche guidato dal desiderio di fare marcia indietro e di naufragare lo slancio di pace regionale che è stato inaugurato quando l’Eritrea e il nuovo governo in Etiopia hanno firmato un accordo storico accordo di pace nel luglio 2018. 2. L’accordo di pace di Pretoria è stato firmato dal TPLF quando tutti i suoi obiettivi e le sue avventure di guerra – e le tre offensive che aveva lanciato soprattutto durante il periodo del raccolto - furono totalmente sconfitti. 3. Nonostante questi fatti indelebili e invece di attuare, in buona fede, tutte le disposizioni dell’Accordo di Pretoria sulla cessazione delle ostilità, il TPLF e i suoi facilitatori sembrano aver escogitato un nuovo stratagemma per fare dell’Eritrea un capro espiatorio per ulteriori obiettivi alludendo ad un "presenza persistente e/o continuata di truppe eritree in alcune parti della Regione del Tigrai". 4. Queste accuse non solo sono false ma confermano essenzialmente la posizione insostenibile del TPLF di rivendicare, ancora una volta, Badme e altri territori sovrani eritrei che aveva occupato per quasi due decenni in flagrante violazione del premio EEBC del 13 aprile 2002. Nel suo linguaggio contorto, il TPLF continua ad affermare che "il percorso critico nell'attuazione dell'Accordo di Pretoria è il ritorno del Tigray ai suoi confini amministrativi prebellici" (ha anche affermato con audacia, solo la settimana scorsa, che non ha ancora smobilitato i suoi "270.000 soldati" 5. In ogni caso, come sottolineato sopra, le false accuse sulla presenza di truppe eritree nella regione del Tigrai si riferiscono infatti, e sono letteralmente un eufemismo, ai territori sovrani eritrei che il TPLF aveva occupato illegalmente e impunemente per due decenni. Le truppe eritree si trovano altresì all’interno dei territori sovrani eritrei senza alcuna presenza in terra sovrana etiope. Ufficio Media e Comunicazione Ambasciata dello Stato di Eritrea nel Regno Unito e in Irlanda Il 24 febbraio la comunità di Shariki, nella sottozona di Eleberet, ha celebrato l’inaugurazione di una nuova diga, segnando una pietra miliare significativa negli sforzi di sviluppo agricolo e ambientale locale. Il progetto è stato uno sforzo di collaborazione tra il Ministero dell'Agricoltura e la 34a Divisione delle Forze di Difesa Eritree. La cerimonia di inaugurazione è stata allietata dalla presenza di personalità di rilievo tra cui l'ambasciatore Abdella Musa, governatore della regione di Anseba, il generale di brigata Tekle Libsu, comandante del comando della forza popolare, e vari capi del Fronte popolare per la democrazia e la giustizia (PFDJ) nel regione, insieme ad altri ospiti invitati. Nel suo discorso, l’Ambasciatore Musa ha lodato il ruolo chiave e il contributo delle Forze di Difesa nel miglioramento degli standard di vita della comunità e nella conservazione dell’ambiente attraverso la campagna di inverdimento. Lui ha sottolineato che negli ultimi tre anni gli sforzi di collaborazione del pubblico e delle Forze di Difesa hanno portato alla costruzione di numerose dighe, con l'intenzione di costruirne altre dieci nel prossimo futuro. L'ambasciatore Musa ha inoltre esortato la comunità a intensificare la partecipazione a questi sforzi di sviluppo. Il signor Gebremeskel Tewolde, amministratore ad interim della sottozona Eleberet, ha sottolineato l'incrollabile impegno delle Forze di Difesa Eritree nei confronti della sovranità nazionale e il loro diligente contributo al successo di vari programmi di sviluppo. Ha sottolineato il ruolo cruciale delle dighe nella sottozona nel rafforzare l’agricoltura irrigua nella sottozona, contribuendo così allo sviluppo agricolo e alla sicurezza alimentare. Il tenente colonnello Gebreab Tsehaye, comandante della 34a divisione, ha riflettuto sull'impegno delle forze di difesa nell'esecuzione dei programmi di sviluppo. Ha sottolineato i contributi significativi forniti dalle Forze di Difesa nella costruzione delle dighe non solo a Shariki ma anche a Melebso, Enrakubet, Aibaba e Habero Tselim, con molte altre in fase di completamento. L’inaugurazione della nuova diga a Shariki rappresenta un passo avanti fondamentale nella sostenibilità agricola e ambientale della regione, dimostrando la collaborazione di successo tra le Forze di Difesa e il pubblico nelle iniziative di sviluppo. da shabait credit Ghideon Musa Aron NefasitPost 16 febbraio 2024 L'impegno diplomatico del presidente Isaias Afwerki segna un punto di svolta nelle relazioni Italia-Eritrea. Impatto del secondo dopoguerra, ruolo dell'Italia, forza dell'Eritrea, vertice Italia-Africa, vantaggio strategico, iniziativa Belt and Road, impegno globale, accordo storico. Amanuel Biedemariam 16 febbraio 2024 Introduzione Questo articolo approfondisce le intricate dinamiche storiche tra Italia ed Eritrea dopo la seconda guerra mondiale, facendo luce sul profondo impatto della sconfitta dell'Italia e delle successive azioni sul panorama sociale, economico e politico dell'Eritrea. Dalla fondazione dell'amministrazione militare britannica alle relazioni diplomatiche contemporanee, la narrazione attraversa decenni di relazioni in evoluzione, lotte di potere e la duratura resilienza del popolo eritreo. Esamina inoltre i recenti sviluppi, come la partecipazione dell'Eritrea al vertice Italia-Africa, offrendo approfondimenti sulle prospettive e sul potenziale di un rinnovato impegno tra le due nazioni. L'impegno diplomatico del presidente Isaias Afwerki segna un punto di svolta nelle relazioni Eritrea-Italia All’indomani della Seconda Guerra Mondiale, l’Italia subì la sconfitta, con il risultato che l’Eritrea passò sotto il controllo delle forze alleate USA-Gran Bretagna, ponendo così fine al dominio coloniale durato sessant’anni in Eritrea. Successivamente, fu istituita la British Military Administration (BMA) per governare l’Eritrea. La BMA ha cambiato in modo significativo le istituzioni, la governance e le infrastrutture dell'Eritrea durante questo periodo. Miravano a stabilire una presenza militare statunitense in Eritrea e a introdurre un programma di federazione con l’Etiopia. Nel processo, la BMA smantellò e saccheggiò gran parte delle infrastrutture costruite dagli italiani. Questa mossa ha avuto un impatto significativo sul panorama sociale ed economico dell'Eritrea. Mentre accadevano queste cose, l’Italia perse la sua influenza e il controllo sugli affari eritrei, inclusa la decisione di federare l’Eritrea con l’Etiopia, contro la volontà del popolo eritreo. Il periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale segnò un cambiamento significativo, ponendo le basi per intricati rapporti nelle relazioni dell'Italia con l'Eritrea fino ad oggi. L’Italia è alle prese con un panorama globale rimodellato, che ha avuto un profondo impatto sui suoi rapporti diplomatici. Sotto la guida di Stati Uniti e Gran Bretagna, il trionfo delle forze alleate spinse Francia e Gran Bretagna ad assumere un ruolo internazionale di primo piano come parte dell’architettura di sicurezza statunitense nel plasmare il futuro dell’Africa. L’Italia si è trovata messa da parte, senza voce negli affari delle sue ex colonie. Per aggravare la situazione, l’Italia fu costretta ad accettare qualunque richiesta imposta dagli Stati Uniti e dai suoi alleati, in particolare riguardo all’Eritrea e al suo futuro. La visita del presidente Isaias e della delegazione eritrea al Summit Italia Africa, insieme al loro soggiorno di 10 giorni in Italia, ha posto l’attenzione necessaria sulla complessa relazione tra Italia ed Eritrea. La sconfitta dell’Italia nella seconda guerra mondiale ha svolto un ruolo significativo nel plasmare questo rapporto, intricato nelle dinamiche geopolitiche del dopoguerra. Durante la decennale amministrazione militare britannica, in seguito alla Federazione dell'Eritrea nel 1952 e alla sua successiva annessione da parte di Haile Sellassie nel 1962, l'Eritrea subì persecuzioni, saccheggi e omicidi sotto varie amministrazioni etiopi. All'indomani del controllo dell'Etiopia, il popolo e il governo italiano hanno dimenticato l'Eritrea, il loro ruolo storico e il popolo. Gli eritrei hanno dovuto affrontare enormi difficoltà, morte e sfollamenti durante la lotta per l’indipendenza, mentre l’Italia ha scelto di allinearsi con l’Etiopia. Ciò è stato ulteriormente complicato dal coinvolgimento dell’Italia nell’architettura di sicurezza degli Stati Uniti, che l’ha legata alle direttive della NATO e dell’Unione Europea. Sfortunatamente, ciò significava che l’Italia lavorava contro le popolazioni che aveva colonizzato per decenni. L’Etiopia era un collegamento cruciale per gli Stati Uniti in Africa e nelle aree circostanti come il Corno d’Africa, il Medio Oriente e il Mar Rosso. Di conseguenza, all’Etiopia è stato concesso uno status preferenziale e il sostegno necessario per continuare la guerra contro l’Eritrea. Questa disposizione continuò per più di tre decenni. Dopo aver ottenuto l’indipendenza di fatto nel 1991, l’Italia ha riconosciuto ufficialmente l’Eritrea nel 1993 e ha stabilito relazioni diplomatiche tra i due paesi. Tuttavia, l’Italia non ha contribuito allo sviluppo dell’Eritrea e spesso ha operato contro di esso. Nel conflitto tra Eritrea ed Etiopia avviato dal TPLF nel 1998, l’Italia ha spesso sostenuto gli interessi dell’Etiopia e degli Stati Uniti, ignorando le sue ingiustizie storiche nei confronti dell’Eritrea nell’arco di diversi decenni. L’Italia, in collaborazione con l’Etiopia e i suoi alleati occidentali, inclusi Stati Uniti e Unione Europea, ha perseguito attivamente un programma di cambio di regime contro il governo dell’Eritrea per minarne la sovranità. L'Ambasciatore Antonio Bandini, il quale, come affermato dall'U.E. rappresentante in Eritrea, ha esercitato pressioni sul governo eritreo nel tentativo di rovesciarne la leadership. Di conseguenza, il governo eritreo ha richiesto la partenza dell'ambasciatore italiano da Asmara nell'ottobre 2001. Il Ministero degli Esteri italiano a Roma ha sostenuto che l'Eritrea stava individuando l'Italia per punizione, citando il ruolo storico dell'Italia come ex potenza coloniale nella regione. Dal 2001 fino a tempi molto recenti, l’Italia si è costantemente opposta agli interessi dell’Eritrea, allineandosi con gli Stati Uniti e i suoi alleati, mentre l’Eritrea ha sopportato prolungate difficoltà, sottomissione, sanzioni e isolamento. I documenti storici non mostrano alcuna prova che l’Italia sostenga pubblicamente l’Eritrea; piuttosto, l’Italia ha partecipato attivamente a campagne per diffamare l’Eritrea, nonché a sforzi di spopolamento rivolti ai giovani eritrei, tentativi di cambio di regime e altre attività di indebolimento. Queste azioni hanno portato allo sfollamento di migliaia di eritrei e alla perdita di innumerevoli vite umane, molte delle quali risultano disperse nel Mar Mediterraneo. I tragici eventi di Lampedusa e la successiva gestione della situazione da parte delle autorità italiane servono a ricordare in modo toccante i gravi maltrattamenti subiti dagli eritrei nel corso di decenni. Un gruppo di attivisti eritrei che ha visitato Lampedusa ha documentato le attività delle autorità italiane. Dato questo contesto, la narrazione storica diventa cruciale per orientarsi nelle relazioni dell’Eritrea con l’Italia. Sullo sfondo delle relazioni Eritrea-Italia, il recente vertice Italia-Africa a Roma segna una pietra miliare significativa, offrendo all’Italia l’opportunità di rettificare le narrazioni storiche. Il governo italiano ha salutato il vertice come un "incontro storico", definendolo l'incontro più significativo degli ultimi 200 anni. Il Primo Ministro Giorgia Meloni ha evidenziato un nuovo approccio volto a promuovere una cooperazione reciprocamente vantaggiosa tra l’Italia e le nazioni africane, allontanandosi dalla storica posizione “paternalistica” dell’Europa nei confronti dell’Africa. L'impegno dell'Italia si estende al finanziamento di progetti energetici e infrastrutturali, che abbracciano settori chiave come energia, istruzione, sanità e agricoltura, per favorire lo sviluppo dei Paesi africani. Uno degli obiettivi principali dell’agenda italiana è il controllo dell’immigrazione. In cambio dei suoi investimenti, l’Italia chiede l’impegno dei Paesi africani per affrontare il problema degli attraversamenti irregolari nel Mediterraneo. Questa strategia è in linea con l’obiettivo più ampio dell’Italia di investire nei paesi africani, un’esigenza evidenziata dalle crescenti esigenze dell’Europa a seguito del conflitto in Ucraina. Le sanzioni contro la Russia hanno interrotto il flusso delle risorse russe verso l’Europa, spingendo l’Italia e le altre principali economie europee a esplorare alternative in Africa. Attraverso gli investimenti in questi Paesi, l’Italia mira a contribuire allo sviluppo delle infrastrutture, a migliorare le condizioni di sicurezza dei propri investimenti e a costituire una fonte sostenibile di risorse, in particolare nel settore energetico. L’Eritrea si adatta a questa narrazione, soprattutto considerando la situazione nello Yemen, che sta causando disagi economici alle economie occidentali. Situata a nord di Gibuti e controllando l’ingresso di Bab al-Mandeb, l’Eritrea svolge un ruolo cruciale nel futuro di varie risorse e forniture energetiche europee. La stabilizzazione della regione e lo sviluppo delle sue economie possono creare forti partenariati economici. Nonostante gli incessanti sforzi delle nazioni occidentali per isolare l’Eritrea nel corso dei decenni, la nazione è emersa come un centro di gravità de facto nella regione, esercitando un’influenza significativa nei paesi chiave. Le forti relazioni dell’Eritrea la posizionano come un faro di pace, offrendo una risorsa preziosa da sfruttare per l’Europa. Il popolo eritreo ha sopportato immensi sacrifici per raggiungere questa posizione, sottolineando la sua resilienza e determinazione. L’Eritrea si trova ora in una posizione forte, pronta ad impegnarsi in modo costruttivo sulla scena regionale e internazionale. La partecipazione dell'Eritrea al vertice Italia-Africa ha rappresentato un'ottima opportunità per stringere nuove relazioni con il suo ex colonizzatore, l'Italia, da un punto di vista di robustezza e sicurezza. Questo momento riveste un significato particolare, data l’integrazione dell’Eritrea nella Belt and Road Initiative (BRI) e le sue relazioni positive con attori influenti come Russia, Cina e altre potenze globali desiderose di sfruttare il potenziale dell’Africa. L’Eritrea è posizionata con un vantaggio strategico, pronta per un impegno sostanziale sulla piattaforma globale. Secondo quanto riportato da EriTV, il presidente Isaias e la sua delegazione hanno partecipato al vertice Africa-Italia a Roma, cogliendo l'occasione offerta dall'invito rivolto dal governo italiano. Il vertice mirava a coltivare partenariati equi in vari settori, tra cui economia, infrastrutture, sicurezza alimentare, sicurezza energetica, transizione, formazione professionale e cultura. Accompagnata da un'illustre delegazione, tra cui il signor Osman Saleh, Ministro degli Affari Esteri, e l'Ambasciatore Zemede Tekle, Commissario per la Cultura e lo Sport, la delegazione eritrea ha intrapreso ampie discussioni durante la visita. Il presidente Isaias ha partecipato a incontri con ministri e leader aziendali italiani, concentrandosi sul rafforzamento degli investimenti e degli sforzi di cooperazione. La visita è durata 12 giorni, durante i quali il presidente Isaias ha partecipato attivamente a numerosi eventi e dialoghi. I suoi obiettivi principali includevano il rafforzamento delle relazioni bilaterali, l’esplorazione delle opportunità economiche e la promozione dello scambio culturale tra Eritrea e Italia. Un punto saliente della visita è stato l'accordo tra i governi di Eritrea e Italia per documentare le esperienze degli eritrei costretti a partecipare alle guerre italiane. L’Eritrea mira ad archiviare questi documenti e istituire un centro in loro onore, commemorando il loro contributo alla storia collettiva eritrea e italiana. Simon Weldemichael
Gli eritrei si stanno preparando a celebrare il 34° anniversario dell’Operazione Fenkil, un’operazione che ha portato a una delle più grandi vittorie militari nella lunga e aspra lotta per l’indipendenza. L'operazione Fenkil fu una battaglia durata tre giorni, iniziata l'8 febbraio e terminata il 10 febbraio 1990 con la liberazione della città portuale di Massaua. La liberazione di Massaua aveva creato cambiamenti militari fondamentali negli equilibri di potere a favore dei combattenti per la libertà dell’Eritrea. Più di 40mila soldati etiopi furono uccisi, catturati o feriti; 80 carri armati furono catturati e altri 30 carri armati bruciati; e la forza navale etiope fu annientata. La liberazione di Massaua, città portuale sul Mar Rosso, ebbe un'importanza strategica nella lotta per l'indipendenza perché significò la chiusura della principale arteria per il trasporto della logistica e degli armamenti dell'esercito etiope in Eritrea. L’operazione Fenkil ridusse l’esercito etiope, all’epoca il più numeroso dell’Africa, in una tigre sdentata. L’establishment militare, assistito in tempi diversi dall’Occidente e dall’Oriente, perse lo spirito di lotta. La sua disillusione fu così grande che i suoi disperati tentativi di riconquistare Massaua fallirono miseramente. Più di 300 ufficiali militari di alto e basso rango, tra cui il generale di brigata Tilahun Kilfe, il generale di brigata Ali Haji Abdulahi e il capitano Tsegaye Mekonen, furono fatti prigionieri nella battaglia rapida e decisiva. Quando le forze dell'EPLF controllavano gran parte di Massaua, i restanti soldati nemici erano concentrati a Twalet, una piccola area collegata alla terraferma tramite una stretta strada rialzata conosciuta come Sigalet. Sotto il comando del generale di brigata Teshome Tesema, l'esercito disperato tenne in ostaggio la popolazione civile. L’appello dell’EPLF per il rilascio dei civili e la sua offerta di amnistia all’esercito assediato caddero nel vuoto. E dopo 12 ore di cessate il fuoco dichiarato unilateralmente, i carri armati e la fanteria dell’EPLF fecero irruzione a Tiwalet e nel porto, liberando le persone che erano state prese in ostaggio dall’esercito etiope. L’operazione Fenkil è la più grande operazione militare strategica portata avanti dall’EPLF dopo la battaglia di Afabet che distrusse il più forte comando Nadew dell’Etiopia. Il coordinamento e la velocità dell'operazione Fenkil colsero di sorpresa l'esercito etiope. Fu un'operazione anfibia, la prima del suo genere nella storia della lotta, che coinvolse la fanteria, le unità meccanizzate e la marina, e coprì una vasta area di 1.560 chilometri quadrati. L'operazione Fenkil fu una battaglia decisiva e fu descritta dal generale Philipos Woldeyohaness come uno stringere il cappio sulla gola del nemico. Anche il maggiore generale Romodan Awlyay, comandante della divisione meccanizzata dell’EPLF, descrisse il destino di Derg come “simile al destino di un albero senza radici”. Con la cattura di Massaua nel febbraio 1990, l’EPLF tagliò di fatto alle forze etiopi in Eritrea l’accesso diretto al Mar Rosso. L'operazione Fenkil scosse profondamente le fondamenta del Derg e accelerò la sconfitta definitiva dell'esercito etiope in Eritrea. La liberazione di Massaua fu una sorpresa sia per gli amici che per i nemici nel mondo. Nella sua trasmissione del 10 febbraio 1990, la BBC dichiarò che “se la vittoria rivendicata dall’EPLF è vera, è un duro colpo per il presidente Mengistu”. Il generale di brigata Tilahun Kifle, comandante del 606° corpo catturato durante la battaglia, descrisse la battaglia con queste parole: “Ho visto molte battaglie. Su questo fronte ho ricevuto la mia prima sconfitta nella mia carriera di capo militare. Ho perso il mio spirito combattivo in questa battaglia. La velocità e il morale dei vostri combattenti [EPLA] hanno superato quelli dei nostri." Allo stesso modo, anche il generale di brigata Ali Haj Abdu, un altro prigioniero che era comandante della terza unità meccanizzata, ha riconosciuto il talento dei comandanti dell'EPLF e la mobilità e velocità superiori dei i combattenti e il loro abile uso dell'artiglieria. Mengistu Hailemariam capì che la guerra era entrata in una fase critica e disse: “L’occupazione di Massaua significa l’occupazione del secondo comando rivoluzionario che consideriamo come la spina dorsale delle nostre forze di difesa”. La vittoria dell'operazione Fenkil mise l'esercito coloniale etiope in Eritrea in completo accerchiamento. Il Derg, come sempre, rispose alla sua umiliazione militare bombardando la popolazione civile di Massaua con bombe a grappolo e al napalm. L'atto frenetico del Derg è conosciuto dagli eritrei come qbtset (disperazione). Particolarmente brutale e distruttivo è stato il bombardamento del porto di Massaua, con attacchi spietati da parte dell'aeronautica etiope contro i civili e le infrastrutture. Le conseguenze politiche dell’operazione Fenkil furono altrettanto grandi. Per la prima volta nella sua storia, il Derg ammise la propria sconfitta. Una settimana dopo la liberazione di Massaua, Mengistu inviò il suo messaggio di sconfitta a tutte le sue unità militari dicendo loro che con la presa di Massaua la colonna vertebrale dell'esercito etiope era stata spezzata, rendendo l’indipendenza dell’Eritrea una realtà. Il comitato centrale del Partito dei Lavoratori Etiope, il partito al potere, si riuni e approvò risoluzioni farsesche. Promise di intraprendere riforme economiche e cambiò il nome in Partito dell'Unità Democratica Etiope. Il sapore amaro della sconfitta costrinse Mengistu Hailemariam a riconoscere pubblicamente di essere stato strangolato per la gola. L’operazione Fenkil e i successivi attacchi militari coordinati e riusciti sia in Eritrea che in Etiopia intrapresi dall’EPLF esercitarono la massima pressione, provocando la fuga di Mengistu nello Zimbabwe. L’obiettivo finale della lotta armata eritrea era quello di stabilire un’Eritrea indipendente. Gli eritrei combatterono per trent'anni per la sola ragione di promuovere quell'obiettivo politico. L’operazione Fenkil è venerata come un grande successo per il suo contributo decisivo alla realizzazione dell’obiettivo politico degli eritrei. È stata una vivida dimostrazione della determinazione senza precedenti e dell’abilità militare dei combattenti per la libertà eritrei che meritano di essere ricordati per sempre. MOI Eritrea credit Ghideon Musa Aron Nel 1990, dopo un anno di preparativi, l'EPLF iniziò a schierare segretamente le sue truppe nel Semhar, obiettivo: la liberazione di Massawa. L'offensiva iniziò l'8 febbraio su un fronte di oltre duecento chilometri. La prima direzione dell'offensiva fu lungo la via Asmara-Massaua, tagliando la strada a Gahtelay e spingendo verso Dongollo. La seconda direzione dell'offensiva fu la penetrazione attraverso le pianure di Semhar verso Massaua. Il secondo giorno dell'operazione, l'EPLF raggiunse la zona di Massaua. Le forze navali dell'EPLF, utilizzarono piccole imbarcazioni ad alta velocità, di fronte alle navi da guerra etiopi. Infine, Massaua cadde dopo tre giorni di intense battaglie. La liberazione di Massaua segnò l'inizio della fine dell’occupazione dell'Eritrea da parte di Menghistu Haile Mariam. Per rappresaglia l'aviazione etiope bombardò la popolazione civile di Massaua con bombe a grappolo e napalm. Centinaia di civili furono uccisi, magazzini di grano bruciati e le infrastrutture del porto, già danneggiate, subirono un ulteriore gravissimo colpo. L'operazione Fenkel fu talmente impressionante in termini di dimensioni e portata da scioccare il Derg fin nelle fondamenta, accelerando così la sconfitta finale dell'esercito etiopico in Eritrea. L'evento rafforzò anche notevolmente la posizione della Rivoluzione Eritrea nella politica globale e regionale. Anche quest'anno la ricorrenza della liberazione di Massaua sarà festeggiata da tutte le Comunità eritree nel mondo con rinnovato spirito di condivisione. Clicca sotto per il video Il Presidente Isaias Afwerki e la sua delegazione in visita di lavoro in Italia hanno visitato stabilimenti produttivi e centri di ricerca in varie parti d'Italia il 4 e 5 febbraio. Nel corso della visita alle città dell’Umbria e di Norcia nel perugino, la delegazione ha esplorato il Gruppo Grifo Agroalimentare, azienda specializzata in prodotti lattiero-caseari, e L’Artigiano dei Salumi Salvatori, rinomato per la lavorazione della carne suina. Il tour ha messo in luce le avanzate capacità agroindustriali dell'Italia e ha fornito approfondimenti sulle pratiche di produzione alimentare sostenibile. Ad arricchire ulteriormente la loro visita, il Presidente Isaias e la sua delegazione hanno visitato il Parco Tecnologico Agroalimentare dell'Umbria. Questa istituzione è in prima linea nel miglioramento della produzione agricola attraverso l’innovazione tecnologica, con particolare attenzione alla conservazione della biodiversità, ai sistemi agroalimentari, all’agrochimica e alla coltura dei tessuti vegetali. La delegazione ha ricevuto briefing esaurienti sui contributi significativi del parco all'agricoltura e sulle sue iniziative lungimiranti. Sottolineando l'importanza della collaborazione, il presidente Isaias ha sostenuto consultazioni approfondite tra gli esperti dell'istituzione e le loro controparti eritree per favorire una maggiore comprensione e cooperazione. Oltre a queste visite, la delegazione si è interessata all'industria della ceramica, osservando la sofisticata tecnologia in uso presso una fabbrica locale. Il 4 febbraio la delegazione ha visitato anche la Basilica di Assisi, città che attira ogni anno milioni di turisti, sottolineando la dimensione culturale e storica della loro visita in Italia. MOI Eritrea credit Ghideon Musa Aron |
Archivi
Marzo 2024
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 3.0 Italia. |