Con questa faccia da straniero di Cleo Adrien Dioma
La mia idea è di provare a parlare di come si può “aiutare” l’Africa. So poco di economia, sono solo un africano che vive in Europa e che si confronta con situazioni abbastanza difficili da gestire. Qualche volta mi ritengo molto privilegiato, perché non sapevo che l’Africa era povera. Sì, sapevo che c’erano persone ricche e persone povere. Per me era una cosa normale. Forse una cosa ingiusta era vedere che c’era troppa corruzione. Questo diventava in qualche modo, per me africano, una cosa normale. Insisto molto sulla parola “normale” perché può aiutare a capire meglio come vanno certe cose in Africa. Spesso osservo che le persone che cercano di aiutare l’Africa vogliono idealizzare tutto. “In Africa c’è ancora solidarietà, la gente è semplice e si accontenta di poco. Sorride sempre. La colpa è dell’Occidente”. Anche se non escludo la parte di responsabilità del mondo occidentale nel “disastro” africano, mi chiedo per quanto tempo ancora daremo la colpa ad altri. Una volta, discutendo con amici, si parlava dell’uso/abuso del telefonino degli africani. Non andava bene, non era giusto per loro che avessero questi “difetti”. Ma dove è scritto che noi africani non possiamo avere gli stessi difetti del mondo occidentale? Che cosa so dell’Africa, io l’africano? Conosco il posto dove sono nato, la mia città, la città di mia madre, il villaggio di mio padre e qualche Paese vicino dove sono andato a studiare o a lavorare. Mentirei se dovessi parlare dell’Africa come di qualcosa che conosco. Non conosco neanche bene il mio Paese, il Burkina Faso. La mia città, Ouagadougou, è una città con culture ed etnie diverse che si sono incontrate ed hanno creato un’“unica cultura”. Una cultura fatta di “melange”, di incontri, dove un dioula (etnia dell’ovest del Paese), un peul (che viene dal sud) e un mossi (che viene dal centro) si incontrano e trovano la possibilità di parlare. A Ouagadougou ci sono dei quartieri che parlano dioula, mossi o peulh, ma alla fine tutti si incontrano attraverso il francese e il mossi, la lingua più importante. A Bobo Dioulasso è il contrario. Lì convivono dioula, mossi, peul, ma si parla francese e dioula. E quando vedi un mossi che è nato e che vive a Bobo è completamente diverso da un mossi che è nato e vive a Ouagadougou. E il mossi di Ouagadougou è diverso dal mossi di Zorgho (villaggio mossi). Tutto questo per dire che siamo davanti a trasformazioni che non solo sono legate all’incontro tra le diverse etnie e culture del Paese, ma tra queste etnie, culture e il mondo occidentale. Questo porta ad una contaminazione che per forza influisce sul comportamento delle persone, sulla loro cultura, sugli aspetti apparentemente banali che riguardano il loro modo di vedere le cose.
0 Comments
A MILANO avranno luogo ben due presentazioni:
Venerdì 24 febbraio alle 21:00 alla Casa Rossa in Via Monte Lungo 2 e Domenica 26 febbraio nella sede della Comunità Eritrea in Via Temperanza 4 (ore 15:00 prima proiezione ore 18:00 seconda proiezione). Parteciperà ad entrambi gli incontri l'autore Fulvio Grimaldi. Vi aspettiamo numerosi. Media Comunità Eritrea.it Nella nota località di Luxor si stanno svolgendo i Campionati africani di ciclismo su strada. Oggi è stata la volta delle cronometro a squadre élite: in quella maschile, disputata lungo la distanza di 56 km, a prevalere è stata l’Eritrea con il tempo di 1h08’42”, che ha schierato il quartetto Meron Abraham, Amauel Gebreigzabhier, Awet Hambtom e Meron Teshome.
Seconda a 1’54” si è classificata l’Algeria (Abdelkader Belmokhtar, Abdallah Benyoucef, Azzedine Lagab e Abderrahmane Mansouri), terzo a 3’43” il Rwanda (Joseph Areuya, Samuel Mugisha, Valens Ndayisenga e Jean Bosco Nsengimana). Completano l’ordine d’arrivo l’Etiopia a 3’54”, l’Egitto a 4’01”, il Burkina Faso a 9’15”, le Seychelles a 9’18”, la Nigeria a 9’25”, il Kenya a 9’37”, il Sudan a 16’36” e il Gibuti a 24’10”. Medesima nazione vincitrice anche nella gara femminile: nei 36 km di gara l’Eritrea (Mossana Debesay, Wegaheta Gebrihiwt, Bisrat Ghebremeskel e Wehazit Kidane) ha battuto di soli 10″ l’Etiopia (Selam Amha, Tsega Beyene, Birham Fkadu Abrha e Eyeru Gebru). Le altre due nazioni in gara si sono così classificate: l’Egitto terzo a 1’42” e il Nigeria quarto a 4’56”. da Cicloweb.it Formerà tecnici per il restauro in progetto finanziato da Ue
Roma, 14 feb. (askanews) - Il Politecnico di Milano formerà tecnici eritrei per il restauro del patrimonio culturale e architettonico di Asmara, nell'ambito di un progetto finanziato con quasi 300.000 euro dall'Unione europea. Lo ha precisato l'architetta Susanna Bortolotto dell'ateneo milanese, contattata da askanews dopo che l'Ue ha riferito del coinvolgimento del Politecnico nel progetto intitolato "Capacity building for safeguarding Asmara's historic urban environment". Bruxelles ha infatti annunciato di recente il via libera a un finanziamento di 297.721,87 euro per le attività di valorizzazione e tutela del patrimonio di Asmara, "unico al mondo", che fa della capitale eritrea la "città modernista del continente africano". Città candidata lo scorso anno a diventare patrimonio Unesco e la decisione dell'agenzia Onu è attesa nella prima metà del 2017. Il progetto, presentato dall'Asmara Heritage Project e dalla municipalità di Asmara, prevede il completamento del "Conservation Master Plan" della città, un corso per la conservazione, tutela e valorizzazione del patrimonio edilizio e attività che incentivino la consapevolezza e il coinvolgimento dell'opinione pubblica. "L'Asmara Heritage Project implementerà parte del progetto in collaborazione con il Politecnico di Milano", si legge nella nota diffusa dall'Ue. Interpellata da askanews, Susanna Bortolotto ha spiegato che i docenti italiani del Dipartimento di Architettura e Studi Urbani saranno impegnati per due anni al fianco delle autorità eritree e che "il corso del Politecnico, di carattere teorico e pratico su cantieri scuola, sarà volto a preparare tecnici eritrei in grado di svolgere progetti di restauro sull'architettura di Asmara". di Billion Temesghen
da raimoq.com Mentre trascrivevo l'intervista che ho condotto con il dr. Toni Locher, fondatore di Suke (Comitato di sostegno svizzero per l'Eritrea), non riuscivo a trattenere le lacrime. Che storia che abbiamo e che amico e partner Suke è stato nella lotta eritrea e per la nazione. Nel 40° anniversario della Suke, il compagno e connazionale dr. Toni Locher condivide i suoi ricordi. - So che hai iniziato quando eri molto giovane. Potresti per favore portarci indietro a quei giorni? Allora, negli anni '70, avevo probabilmente 19 o 20 anni ed ero in contatto con molti movimenti di liberazione, come l'ANC in Sud Africa e le ex colonie portoghesi. Ero molto impegnato con i gruppi di solidarietà. -Come europeo, perché eri interessato a questo tipo di lotte? Sono nato negli altopiani meridionali della Svizzera da una famiglia di agricoltori, e tradizionalmente il primo maschio nato è dedicato a Dio. Poiché quelle comunità erano povere, l'unico modo per noi di ricevere un’educazione era essere chierici, sacerdoti o missionari. Pertanto, durante la crescita siamo stati molto vicino alla chiesa e anche ai missionari chierici che hanno lavorato in Africa. Ci hanno mostrato le immagini che avevano riportato dai loro viaggi in Africa e, di conseguenza, mi sono molto interessato all’Africa e anche a i suoi movimenti di liberazione. A Zurigo nel 1968 c'era questo famoso movimento studentesco chiamato “ 68 Student Movement”. Come i cosiddetti "Tiers-mondistes", che significa i ragazzi interessati nel terzo mondo, abbiamo sostenuto la liberazione della gente oppressa dalla colonizzazione. Una volta che le organizzazioni di liberazione in Angola, Guinea-Bissau, e Mozambico hanno avuto successo, hanno iniziato ad agire come se avessero dimenticato le loro lotte. I nostri contatti con i movimenti alla fine diminuirono quando questi iniziarono a vivere nell’abbondanza. Ero anche un delegato di un movimento studentesco cristiano in tutto il mondo e, nel 1971, ho partecipato a una conferenza di questa associazione ad Addis Abeba. Nel corso di un ricevimento con l'imperatore Haile Selassie, abbiamo appreso che c’erano molti giovani eritrei che si opponevano alla sua dominazione in Eritrea. Quello che mi ha molto colpito è che molti di loro lavoravano come autisti di taxi e davano fino al 70% del loro reddito per il fronte di liberazione, che in quel momento era solo l'ELF. Dal 1971 al 1977 sono stato in contatto sia con l’ELF che con l’EPLF, così come con i suoi membri e uffici in tutta Europa. E poi finalmente nel 1977 sono venuto in Eritrea per visitare il campo e le aree liberate. Il mio primo viaggio nel Sahel! di Daniel Berhane
Nella sua missione di disinformazione, con conseguente offuscamento dell'immagine dell'Eritrea, Martin Plaut ha nuovamente organizzato questa settimana un altro evento dal titolo "Lo stato più repressivo dell’Africa" presso l'Università di Londra. Profittando dell’occasione per vendere il suo nuovo libro, “Comprendere l’Eritrea - Dentro lo stato più repressivo dell’Africa”. Martin Plaut ha chiaramente gettato via qualsiasi pretesa di giornalismo obiettivo. Nonostante la sua affermazione che il libro parla di comprensione dell'Eritrea, il suo contenuto è pura propaganda per disinformare, ingannevole, e con una falsata ricostruzione della storia dell'Eritrea adattata alla sua agenda. C' erano una serie di errori fattuali e affermazioni riportate come fatti storici sia da Martin che Vanessa, i due oratori. Per citare un esempio, una delle sue errate interpretazioni maliziose e false ricostruzioni della storia recente, con l'obiettivo di giustificare l'aggressione del TPLF sull'Eritrea, è quello che lui definisce un "momento chiave" nella rottura delle relazioni tra Eritrea e TPLF negli anni ottanta. Martin ha incolpato il FLPE, a un certo punto nel passato, di aver chiuso l'unica via attraverso la quale gli aiuti avrebbe potuto essere consegnati ai popoli affamati del Tigrai. Ha detto: "In un momento critico quando la gente del Tigrai stavano morendo di fame, veramente morendo di fame, ci sono stati morti, migliaia di morti, l'Eritrea ha chiuso la strada, che era l'unico modo per portare aiuti dal Sudan." Secondo lui TPLF è ancora arrabbiato e "che non potranno mai dimenticare". Questa è la tipica minacciosa mal-presentazione di Martin Plaut fuori contesto e adattata selettivamente alla sua agenda. Contrariamente alle sue malevoli affermazioni questo è stato uno dei momenti in cui che l’EPLF ha dimostrato la sua strategica gestione delle questioni storiche. Il FLPE non ha reagito all’errore ideologico del TPLF affermando semplicemente che aveva scelto di rimanere in silenzio e non reagire in alcun modo per interesse strategico di entrambe le parti. D' altro canto la vera verità è che l'Eritrea a quel tempo tese una filantropica mano alla gente del Tigrai. Migliaia di persone del Tigrai beneficiarono dell’assistenza ai loro bisogni umanitari e sanitari in Tessenei, che al tempo faceva parte delle aree liberate. Il TPLF ne ha anche assistiti molti trasportandoli nei campi organizzati per l’occasione. La riscoperta italiana del Corno D’Africa oltre i limiti diplomatici e i pregiudizi storici6/2/2017 di Aldo Di Biagio
su Charta minuta - www.farefuturofondazione.it Il binomio Italia-Corno d’Africa è ancora contaminato da pregiudizi e da discutibili scelte di opportunità diplomatica che apparirebbero investire poco in progettualità di medio-lungo periodo in grado di rappresentare una strategia vincente, sotto il profilo economico e geopolitico per entrambi i versanti. Ed in questa sorta di “pregiudizio” relazionale, che ancora condiziona le dinamiche di interazione tra i due versanti, si riscontro tutto il limite dell’approccio italiano all’affaire Corno d’Africa e alle sue molteplici implicazioni politiche, economiche, commerciali. Un limite che si inserisce, in quello più ampio, della distanza che ha condizionato la politica estera italiana dal continente africano nella sua totalità. Al momento questo scenario però non è esente da infiltrazioni di natura opposta che lasciano intuire la consistenza, anche potenziale, dell’interesse che i Paesi dell’area potrebbero esercitare sul nostro Paese in una prospettiva di rinnovate e proficue partnership che sappiano andare ben oltre le episodiche e limitate iniziative portate avanti dal Governo negli ultimi anni. A partire dal 2013 con il lancio dell’iniziativa Italia-Africa, si è voluto avviare una nuova fase nella quale valorizzare al massimo le possibilità di interlocuzione con i Paesi, in particolare dell’area sub-sahariana, con la priorità di creare un canale di confronto tra aziende italiane ed opportunità africane in una congiuntura economica complessa per l’Italia e l’Europa, al fine di accedere al dinamismo dei nuovi mercati. Ma l’input all’evoluzione delle partnership nell’area è apparso particolarmente evidente proprio nella regione del Corno d’Africa, storicamente legata all’Italia, ed in particolare nella bilaterale con Asmara con il ripristino di un confronto ufficiale nel luglio 2014 in occasione della missione del Viceministro Pistelli, a decorrere dal quale, sebbene si è inteso ufficialmente collocare le relazioni con Asmara in un scenario nuovo, capace di astrarsi dalle contaminazioni post colonialiste ancora forti in Eritrea, nei fatti tale emancipazione non si è ancora attuata per una sorta di freno diplomatico e per l’assenza di una visione geopolitica ed economica valida. Uno slancio significativo è stato compiuto con la Conferenza Italia-Africa del maggio 2016, che ha visto la partecipazione di 52 Paesi del continente con l’obiettivo di delineare e rafforzare le relazioni con l’Italia intorno a macro tematiche quali lo sviluppo economico, la sostenibilità socio-ambientale, l’emergenza migratoria e la stabilità geopolitica: un momento di confronto che ha ribadito il ruolo cardine di interlocutore interregionale dell’Italia, ponte naturale, storico e geopolitico tra l’Europa e l’Africa. di Mela Ghebremedhin
Dedizione, passione e compassione sono parole tra molte altre che possono descrivere la Dott.ssa Traudl Elsholz, una donna con una forte visione di ciò che significa sviluppo e quello che significa lavoro di squadra nel raggiungere risultati di successo. Questi sono i valori che la Dott.ssa Traudl ha condiviso con i suoi studenti, colleghi e amici mentre lavorava in Eritrea negli ultimi 6 anni presso il College of Health Science e ospedali locali. Dal momento che si avvicinava il termine del suo mandato, era d’obbligo per Eritrea Profile ascoltare la sua storia. Ecco un'istantanea della nostra conversazione: - Può dirci qualcosa di lei?... Io sono tedesca e provengo da una famiglia modesta, da adolescente ero molto coinvolta nei movimenti del 68 in Europa. Ho partecipato a diverse proteste, come quelle contro la guerra del Vietnam, che dimostra il mio sostegno ai movimenti di liberazione e sono anche andata ad alcune proteste organizzate da eritrei in Germania durante la loro lotta per l'indipendenza. Volevo studiare medicina in un primo momento, ma in Germania, studiare medicina era costoso e molto selettivo. Così all’inizio ho deciso per oculistica e, più tardi, per oftalmologia. Beh, ho iniziato a lavorare come aiuto-infermiera di turno di notte mentre studiavo durante il giorno, ero immersa nel mondo dell’emergenza e della terapia intensiva e ho capito quanto ero interessata alla terapia intensiva e all’anestesia. Così il lavoro nel quale ero coinvolta durante i miei studi è quello che mi ha spinto verso questo campo della medicina intensiva e anestesiologia che divenne la mia specialità. -Lavorare In Africa ... Sono sempre stato interessata a lavorare nel continente africano, così non appena ho potuto, sono andata in Sud Africa e ho lavorato in un ospedale in una cosiddetta ‘homeland', una township nera dal 1993 fino al 1995. E' stato appena prima delle elezioni, quindi un periodo molto interessante. Sono tornata brevemente in Germania e poi ho deciso di lavorare in Francia e ho superato un esame di francese che mi ha permesso di lavorare per gli ospedali governativi in medicina d'urgenza, terapia intensiva e anestesia. Dal 1998 al 2004, sono tornata in terra africana e ho lavorato in Uganda, dove ho fatto parte di una squadra di realizzazione di programmi presso l'Università di Scienza e Tecnologia in Burara. Ho fatto corsi di formazione post-laurea per medici e anestesisti, nonché un corso di i assistenti anestesisti e funzionari. Ho anche partecipato all'apertura di una terapia intensiva lì. Poi sono tornata ancora una volta al mio vecchio posto in Francia, nel frattempo, sono diventata docente per la WFSA, che è la Federazione Mondiale delle Società di anestesisti (WFSA) e abbiamo fatto brevi corsi sulla gestione del trauma e come costruire una terapia intensiva, tra gli altri. Il suo primo Congresso Nazionale ha avuto luogo nel 2004 ad Asmara. di Kaitlin Lavinder reporter del "The Cipher Brief".
Seguila su Twitter @KaitLavinder. L'instabilità e il terrorismo nel Corno d'Africa, insieme a un conflitto enorme sul lato opposto del Mar Rosso nello Yemen, minacciano gli interessi degli Stati Uniti nella regione. Il Vice Direttore dell’Atlantic Council’s Africa Center, Bronwyn Bruton, scrive in un recente rapporto, "gli Stati Uniti potrebbero trovarsi di fronte l'instabilità e forse una minaccia terroristica su entrambi i lati dello Stretto Mandeb [che separa lo Yemen da Eritrea e Gibuti], che è un collo di bottiglia critico per i 700 miliardi di $ ... di merci che passano ogni anno tra l'Unione europea (UE) e l’Asia". Bruton, che è anche un esperto di Cipher Brief, continua, "Le minacce a questa rotta commerciale hanno in questi ultimi anni ha portato gli Stati Uniti a versare milioni di dollari nella lotta contro la pirateria somala . Un’indicazione dell'importanza del Stretto agli interessi degli Stati Uniti". Così, il piccolo paese dell'Africa orientale, l’Eritrea, diventa vitale nel prevenire il passaggio di terroristi tra il Corno d'Africa e il Golfo Persico e mantenere la stabilità in una regione sempre più instabile. "Finora, l'Eritrea ha respinto jihadisti e si è dimostrata immune da ideologie radicali", osserva Bruton. Gli Stati Uniti non collaborano formalmente con l'Eritrea su una strategia counterterror. In effetti, gli Stati Uniti non hanno alcuna cooperazione militare con l'Eritrea e non fornisce alcuna assistenza bilaterale al paese, su richiesta del governo eritreo, secondo il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti. Ci sono un certo numero di ragioni per questo. Per cominciare, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, su sollecitazione di Washington, ha posto sanzioni all'Eritrea nel 2009 per il suo presunto sostegno del gruppo terroristico di al-Shabaab e per aver rifiutato di risolvere una disputa di confine con Gibuti. Le sanzioni includono un embargo sulle armi, il divieto di viaggiare e il congelamento dei beni su certi individui. Nel 2011 e nel 2012, osservatori delle Nazioni Unite non hanno trovato prove per concludere che l'Eritrea ha supportato al-Shabaab, ma le sanzioni sono state estese al 2013, con un conseguente doppio senso sulle armi. "Abbiamo [gli Stati Uniti] ritirato le sanzioni contro il Sudan, e se abbiamo ritirato le sanzioni nei confronti del Sudan, non riesco a capire perché non vogliamo avere un rapporto migliore con l'Eritrea," dice Seth Kaplan a The Cipher Brief. |
Archivi
Settembre 2024
![]() Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 3.0 Italia. |