In questi giorni caratterizzati dai mondiali di calcio in Russia e dalle altalenanti dichiarazioni di Salvini e Di Maio, è passato quasi sotto silenzio un evento di portata storica che ha visto una delegazione eritrea di alto livello recarsi in Etiopia accolta con tutti gli onori.
Fra gli addetti ai lavori in molti si sono chiesti cosa mai fosse successo perché avvenisse un cambiamento così radicale nell’atteggiamento del governo eritreo da sempre ben fermo sulle sue posizioni di rispetto della legalità internazionale come condizione preliminare per un qualunque altro tipo di dialogo con il governo etiopico che da parte sua aveva fatto della mancata accettazione dei Patti di Algeri un punto fermo irrinunciabile. Per capire meglio come si sia giunti alla attuale situazione di distensione occorre sottolineare quali sono le sostanziali differenze nella leadership dei due paesi molto diversi fra di loro sia per estensione e caratteristiche territoriali che per composizione sociale. L’Eritrea molto più piccola territorialmente ha sviluppato nei lunghi anni di lotta per la liberazione e l’indipendenza un modello sociale basato sull’uguaglianza religiosa, etnica e di genere dove il bene comune viene anteposto agli interessi individuali, pur non avendo avuto ancora le condizioni adatte a sviluppare fino in fondo il programma elaborato negli anni di guerra e codificato nella National Charter. Nell’emergenza causata dal nuovo attacco da parte etiopica subito negli anni fra il 1998 e il 2000, la scelta del governo eritreo è stata quella austera di congelare le riforme e di dedicarsi con tutte le energie alla difesa del paese e allo stesso tempo di garantire la sicurezza alimentare attraverso programmi di sviluppo. L’Etiopia invece molto più grande territorialmente ed estremamente varia dal punto di vista sociale, etnico e religioso, in seguito alla fine della guerra che ha portato all’indipendenza dell’Eritrea, si è ritrovata a fare i conti con tutte le contraddizioni e le problematiche che avevano portato al crollo della dittatura di Menghistu. Mai del tutto libera dal suo passato feudale l’Etiopia in seguito alla fuga di Menghistu poté ritrovare una qualche forma di controllo centrale solo grazie alle forze di liberazione eritree che dopo aver liberato Addis Abeba con le proprie divisioni meccanizzate convinsero Melles Zenawe, leader del Fronte Popolare di Liberazione del Tigray, a formare un governo che riportasse alla normalità tutta l’Etiopia. Questa scelta però non sostenuta da una spontanea vocazione sociale all’uguaglianza, ricreò ben presto quelle fratture etniche e sociali che hanno sempre impedito all’Etiopia di emanciparsi e diventare un grande paese moderno. La leadership etiopica di fatto si è prestata a fare il lavoro sporco al servizio dei poteri forti esterni all’Africa, tenendo allo stesso tempo il paese ostaggio di una pseudo-democrazia di comodo rappresentata da una coalizione di maggioranza assoluta controllata dai Waiane che per anni ha prodotto danni enormi. I rapporti con l’Eritrea hanno rappresentato uno dei casi più eclatanti fino al clamoroso rifiuto di ottemperare alle decisione della Commissione Confini e all’accanimento contro il governo del paese solo per partito preso e in tutte le sedi internazionali. Tuttavia alla lunga si è avuta la percezione che anche all’interno dell’Etiopia qualcosa stava cambiando. Il potere Waiane stava vacillando sotto il peso dei tanti errori politici sia in campo di rapporti internazionali che, soprattutto, nelle scelte di politica interna. Le persecuzioni, la soppressione delle sempre maggiori voci della dissidenza, la sottovalutazione del crescente fenomeno di emancipazione dell’Oromia, ha portato a sempre crescenti disordini interni e poi alla dichiarazione dello stato di emergenza. Costretta per necessita a un riassetto politico che scaricasse le troppe tensioni interne, la coalizione ha prima accettato le dimissioni del primo ministro Hailemariam Desalegne succeduto al defunto Melles Zenawe e poi il 2 aprile scorso ha eletto come primo ministro dell’Etiopia Abiy Ahmed appartenente al gruppo etnico Oromo all’origine di un movimento anti-governativo di protesta senza precedenti, dopo la presa del potere da parte del regime, nel 1991. Abiy, che aveva rivestito vari incarichi governativi, nel corso dello stesso discorso di insediamento davanti al parlamento etiopico ha immediatamente tracciato le linee del suo programma politico orientato al cambiamento e alla distensione, e facendo riferimento all’Eritrea ha commentato: “Per il bene comune dei nostri due paesi, non solo per il nostro beneficio, ma per quello delle due nazioni legate dal sangue, siamo pronti a risolvere le nostre differenze attraverso il dialogo e invitiamo il governo eritreo a mostrare gli stessi sentimenti”. Alla firma degli accordi di Algeri, nel 2000, Addis Abeba e Asmara si erano impegnate a rispettare qualsiasi decisione della Commissione come “finale e vincolante”, ma l’Etiopia era venuta meno a tale impegno con il grande rifiuto del defunto premier etiopico Meles Zenawi di riconoscere la decisione della Commissione. Asmara da parte sua aveva sempre sostenuto di essere pronta a riavviare il dialogo con Addis Abeba non appena quest’ultima avesse accettato senza condizioni quanto prescritto dalla Commissione Confini Etiopia Eritrea. Il 5 giugno è giunto dal governo di Addis Abeba il tanto atteso segnale della svolta con la decisione ufficiale di applicare appieno gli accordi di Algeri e di aderire al dispositivo della commissione per il confine creata per la demarcazione della frontiera con l’Eritrea, e come da sempre promesso da Asmara è arrivata l’immediata reazione con l'invio in Etiopia di una delegazione di alto livello a dimostrazione che si stava procedendo alla normalizzazione dei rapporti lasciandosi alle spalle i problemi oramai definitivamente risolti. La scelta dunque di recarsi in Addis Abeba va letta come una legittimazione da parte del Governo eritreo del nuovo interlocutore presso il Governo etiopico e un segnale forte di rispetto verso tutta la popolazione etiopica fino a oggi rappresentata illegittimamente da una componente fortemente minoritaria Waiane che ne ha soffocato le aspirazioni e le speranze. La visita della delegazione di alto livello inviata da Asmara ha suscitato grandi entusiasmi in Etiopia espressi da spontanee manifestazioni di piazza e dalla pronta reazione ai tentativi di reazione terroristica attuati dai seguaci Waiane. Il processo di normalizzazione dell’Etiopia è oramai avviato e appare inarrestabile, e probabilmente contagioso, in un’area geografica che dopo tanta sofferenza merita ora stabilità e progresso. Stefano Pettini
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Settembre 2024
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