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di Simone Salvucci - Attenzione!!! Non sto affermando che quella svolta dalle imprese che si occupano della filiera del riciclo di abiti usati sia un'attivita' illecita o priva di positivi fini sociali.
Affermo solo che NON AIUTA L'AFRICA. Sia nel caso in cui l'attivita' viene svolta da societa' a scopo di lucro (lecito) sia quando la raccolta viene fatta dalle cooperative sociali (in buona fede). Vi spiego in estrema sintesi come funziona la filiera e I relativi vantaggi. Gia' nel momento in cui inserite un sacco di abiti nel cassonetto, generalmente riconoscibile anche da immagini di bambini africani sul cassone colorato, ci sono vantaggi: 1 - voi fate spazio nell'armadio o in cantina 2 - il vostro comune risparmia I costi dello smaltimento in discarica A questo punto entra in gioco la societa' , di lucro o no profit, che si occupa della raccolta e spesso della prima lavorazione, viene fatta una prima cernita della qualita' dei tessuti e dello stato degli indumenti. Quelli in ottime condizioni e di brand commerciali vengono sanificati e inviati ai negozi di abiti usati ormai presenti in molte citta' , I tessuti rovinati vengono venduti per farne materia prima tessile che viene rivendura alle aziende per il riutilizzo, una grande quantita' viene confezionata in grandi balle in cui viene inserito un misto di abiti riutilizzabili, tessuti e stracci. Queste balle vengono esportate nei paesi africani ed asiatici. Vantaggi: 3 - queste aziende, quando sono serie, danno lavoro con un regolare contratto a molti lavoratori in Italia che spesso appartengono a categorie disagiate ( il lavoro non e' complesso, quindi adatto anche a persone che provengono da esperienze personali difficili) 4 - oltre alla diminuzione della disoccupazione vi e' anche l'irpef che questi dipendenti pagano all'erario 5 - queste aziende fanno reddito e pagano IRES alle casse dello stato 5 - il prodotto viene in gran parte esportato con vantaggi per la nostra bilancia commerciale 6 - le cooperative sociali che operano in questo settore donano una parte degli introiti ad iniziative sociali in Italia “Se non sai da dove vieni non sai dove andrai”.
Ariam è una giovane regista antropologa che, grazie alla sua tesi, si è riavvicinata alle sue origini eritree e ha deciso di diffondere le esperienze raccolte in un documentario. Noi, con il contributo di Gucci, abbiamo deciso di proporvi la sua storia in un racconto che unisce e stupisce, da Milano all'Eritrea ERITREALIVE INTERVISTA ROMANO PRODI, EUROPA, ELEZIONI, CORNO D’AFRICA
A distanza di un anno dall’insediamento in Etiopia del premier Abiy Ahmed e del successivo accordo di pace con l’Eritrea, EritreaLive ha intervistato il professor Romano Prodi, ex presidente del Consiglio ed ex presidente della Commissione Ue, per chiedergli cosa pensa della nuova situazione nel Corno d’Africa. Del ruolo di Italia ed Europa, della situazione in Libia e delle prossime elezioni europee. Un anno fa, dopo l’elezione del premier Abiy Ahmed, con il nuovo governo in Etiopia, per l’Eritrea è arrivata la pace. Una situazione che ha modificato lo scenario del Corno d’Africa, ristabilendo relazioni interrotte non solo tra Eritrea e Etiopia ma tra Somalia ed Eritrea e tra Eritrea e Gibuti. La pace è la premessa politica necessaria per lo sviluppo dei paesi, come vede ora il futuro del Corno d’Africa? Ho sempre seguito con interesse e da vicino le vicende del Corno d’Africa, quindi ho visto con molta felicità questa pace. Conosco i problemi che ci sono e che ci saranno, sia in Etiopia che negli altri paesi, tuttavia la pace è la premessa perché qualcosa di nuovo possa avvenire. Negli anni passati ho fatto molte volte la spola tra le due capitali, Addis Abeba e Asmara. La guerra però (ndr, dopo l’ultimo conflitto 1998-2000, tra i due paesi si instaura una situazione definita di non pace non guerra) rendeva impossibile qualsiasi dialogo. Ora è caduto un ostacolo enorme. Adesso Eritrea ed Etiopia possono riprendere normali rapporti di circolazione delle persone e una normale vita economica. Per l’Eritrea, paese più piccolo rispetto all’Etiopia, con meno popolazione e un minore mercato interno, questa situazione è certamente positiva. Ma lo è anche per l’Etiopia che, in questo modo, ha la pace sul confine e l’accesso al mare. È un guadagno netto per tutte e due le parti. Non solo. In questo modo cade anche il maggior ostacolo per gli investimenti italiani nel Corno d’Africa. La situazione precedente infatti impauriva gli imprenditori quando si proponevano investimenti nel Corno d’Africa, un’area dalle molte potenzialità. Questa pace inoltre aiuta anche la difficile situazione del resto del Corno d’Africa. Penso alla Somalia. Non che la pace tra Eritrea ed Etiopia si possa estendere automaticamente agli altri paesi, certo però rende il quadro migliore. La pace dello scorso luglio mi ha reso molto contento perché, ripeto, personalmente mi ero adoperato molto negli anni passati, facendo la spola tra i due paesi e incontrando gli ex primi ministri, Meles Zenawi e poi Heilèmariam Desalegn. Lei che è andato molte volte in Eritrea ed Etiopia, cosa pensa del rapporto tra Italia ed Eritrea, contraddistinto nel tempo anche da momenti di grande freddezza? Si, di forte tensione, anche per piccole cose… Il "momento della lampadina" che ha colpito l'inventore Michael Sebhatu è arrivato inaspettatamente, come tutti i bei momenti di eureka, in un caffè londinese.
Era come se un cubo di Rubik fosse entrato nella sua mente e, all'improvviso, Sebhatu aveva capito come perforare il foro quadrato perfetto. Prima che l'idea potesse fuggire, disegnò uno schizzo approssimativo su un tovagliolo. Non aveva ancora tutti i dettagli, ma alla fine sapeva esattamente come voleva che il meccanismo si comportasse. Alla fine, Sebhatu ha capito come convertire il movimento rotatorio di un trapano normale nel movimento lineare necessario per pilotare quattro seghe perfettamente coreografate. Il suo primo pensiero fu: "Perché non ci ho pensato prima?" "In un certo senso, mi sono sentito stupido", ricorda Sebhatu. "Ma, pochi secondi dopo, hai questa sensazione di illuminazione e ti dici: 'Sì! Questo funzionerà '. " L'idea di costruire quello che è diventato il Quadsaw è iniziata otto anni fa, quando Sebhatu ha visto la fatica di un elettricista per tagliare un buco quadrato pulito con una sega. Alla domanda se ci fosse un modo più veloce per farlo, o uno strumento progettato per lo scopo, l'elettricista ha guardato Sebhatu come se provenisse da un altro pianeta. "Prendimene uno e te lo pagherò il doppio", ha detto scherzando. Sebhatu ha deciso di fare proprio questo. Ma per comprendere appieno come è nato l'attacco per trapano Quadsaw, è necessario riavvolgere ulteriormente la storia e recarsi in un piccolo villaggio chiamato Adi Golgol, un luogo per lo più ignorato dai creatori di mappe, situato a 50 km a sud della capitale Eritrea Asmara, nel Corno d'Africa . Riceviamo e pubblichiamo questo contributo dello scrittore eritreo Daniel Wedi Korbaria dove viene denunciato come i rifugiati siano sfruttati a fini economici. Le opinioni presenti nell’articolo potrebbero non coincidere con quelle della redazione de l’AntiDiplomatico
di Daniel Wedi Korbaria Mentre nell’aeroporto militare di Pratica di Mare aspettavo che gli addetti ai lavori agganciassero la scaletta e che altri sistemassero le transenne al lato dell’aereo appena atterrato e carico di migranti provenienti da Misurata, in un hangar una folla scalpitante, armata di macchine fotografiche e videocamere, aspettava solo un segnale per lanciarsi in una corsa di oltre duecento metri per piazzare in prima fila i loro treppiedi. Una corsa affannosa e pesante in cui nemmeno Usain Bolt sarebbe riuscito a primeggiare. Era prevista la presenza del Ministro dell’Interno Salvini che poi non è avvenuta per “sopraggiunti impegni istituzionali” a detta dei giornalisti. Ecco, ho pensato, questi sono i famosi giornalisti italiani “camerieri del potere” come li aveva definiti Beppe Grillo. Loro sanno che chi si occupa di immigrazione campa cent’anni e può vincere tanti premi umanitari elargiti da qualche fondazione “filantropica” d’oltreoceano. E dopo aver dettagliatamente fotografato e ripreso lo sbarco dei primi venti migranti se ne sono andati per imbastire il loro pezzo e guadagnarsi la pagnotta. Dopo lo sbarco delle mamme con neonati e bambini è stata la volta di 19 minori non accompagnati, tutti maschi. Mentre li vedevo scendere dalla scaletta pensavo che quei ragazzi con barbe folte e più alti di me, che sono 1 metro e 80, fossero tutti renitenti alla leva che, per la cronaca, solo qualche anno fa in Italia era un reato punibile fino a due anni di reclusione. Invece oggi, come cambia il mondo, vengono accolti come eroi in fuga dal servizio militare del loro Paese. Vederli così muscolosi, forti e nel pieno vigore della loro età mi ha fatto pensare che questa “accoglienza” per forza deve essere una strategia occidentale per svuotare l’Africa dei suoi giovani, della sua forza lavoro che qui presto finirà per essere ridotta in schiavitù in qualche campo agricolo del meridione. Oramai in Italia politici come ad esempio Michele Emiliano1, governatore PD della Regione Puglia, non nascondono affatto il disegno che questa immigrazione serva proprio a questo, a fare il lavoro che gli italiani non vogliono più fare. Secondo me, questi giovanissimi ragazzi che hanno dai 15 ai 19 anni, ingannati e sradicati dovrebbero essere rimandati nei loro paesi d’origine e aiutati a restarvi per dare il loro prezioso contributo allo sviluppo dell’Africa. Tanto per smentire le parole del portavoce UNHCR Federico Fossi, che ha dichiarato alla stampa: “Nei centri di detenzione hanno subito delle condizioni di detenzione molto pesanti…”, i migranti erano tutti in buone condizioni fisiche e già quando erano ancora a bordo dell’aereo e gli si spiegava che ad attenderli in aeroporto ci sarebbero stati anche alcuni medici e quindi se avevano problemi di salute avrebbero potuto usufruirne, una ragazza ha alzato la mano e ha chiesto: “Ma c’è internet?”. Questa domanda interessava la maggior parte di loro che aveva fretta di spedire i selfie fattisi in aereo alle loro famiglie. Alcuni avevano il telefono carico e sembravano preoccupati esclusivamente di trovare il collegamento wi-fi nei campi di accoglienza ai quali erano stati destinati. E non tutti erano entusiasti di questo corridoio umanitario. Ho chiesto ad un ragazzo a cui avevano appena preso le impronte digitali se fosse contento di rimanere in Italia e lui mi ha risposto: “I miei genitori penseranno che sono stato maledetto!” intendendo che in Italia non ci sia nessuna prospettiva di guadagno ed è sicuro che molti di loro scapperanno nel florido Nord Europa dal ricco welfare così come hanno già fatto molti altri arrivati con i precedenti corridoi umanitari. Peggio che in un tribunale divorzista, durante l’assegnazione dei campi d’accoglienza molte coppie partite come coniugi hanno confessato di non esserlo mai stati e hanno chiesto persino di essere divisi nella destinazione lasciando il personale della Questura molto perplesso mentre i volontari di UNHCR facevano spallucce. Non è certo la prima volta che le coppie scoppino appena sbarcate in Italia, dove anche i padri disconoscono i figli che prima hanno dichiarato legittimi. Ciò è oramai una prassi in Italia e il Ministero dell’Interno è sempre stato informato di queste anomalie ma non ha mai chiesto giustificazioni all’UNHCR e soggiace alle sue scelte unilaterali infischiandosene della tanto sbandierata Sovranità. I migranti, un po’ disorientati dalla lingua italiana che non conoscono affatto, hanno accettato qualsiasi ordine tradotto dai mediatori culturali, senza sapere che la loro presenza in quell’aeroporto faceva gola a molti né che il viaggio fosse stato organizzato per essere strumentalizzato da più attori. I politici in primis per mostrare un volto più umano in vista delle prossime elezioni europee. Già, oramai l’immigrazione decide gli umori dei sondaggi perché è questa che interessa agli elettori italiani, persino più del lavoro, della pensione o del reddito di cittadinanza. Poi ci sono loro: gli operatori dell’accoglienza. Chiedendo in giro ho ricevuto numerose conferme di quello che sapevo già da anni. Nessuno fa niente per niente, non c’è nessun volontariato gratuito. “Quanti ne prendete?” e il responsabile di Mondo Migliore della Auxilium, che in un recente passato ha ospitato anche 700 persone a 35 euro al giorno e oggi ridotti alla metà, con un tono abbattuto mi ha risposto: “Solo 42…” come se si parlasse di pochi spiccioli. Certo, sarebbe stato più contento se li avessero presi tutti e 146. Una ragazza dello SPRAR di Bologna, oggi in ridefinizione SIPROIMI, mi ha detto col tono di chi si accontenta: “Io mi prendo una mamma con neonato e qualche minore non accompagnato, è poco ma è meglio di niente”. Certo da quando il Ministero dell’Interno ha ridotto i 35€ a 21€ al giorno molte associazioni dell’accoglienza hanno deciso di non partecipare più al bando della Prefettura perché non conviene più. Ma la parte del leone la fa l’UNHCR e la sua smania di creare rifugiati ad oltranza. Già allo sbarco, gli operatori con il fratino azzurro non sono stati da meno dei giornalisti, preparati a documentare l’avvenimento con scatti rubati e senza autorizzazione. Quelle foto e quei video dell’UNHCR servono per chiedere altri soldi ai loro sponsor e ai loro benefattori. Li vedevo inginocchiarsi davanti ai bambini e scattare centinaia di foto allo stesso soggetto sperando che almeno un paio risultassero d’effetto. Chiedevano alla mamma di mettere il neonato a favore dell’obiettivo fregandosene del suo sonno e la poveretta, stanca e timorosa, li accontentava senza ribellarsi, non sia mai la rispedissero da dove era arrivata visto che erano stati proprio loro a stilare la lista dei passeggeri in quel di Libia. Le ragazze scambiavano con i migranti due parole e due sorrisi per farsi fotografare e poi cambiavano soggetto e scenografia. Una squadra estremamente affiatata quella dei volontari di UNHCR che, con un copione imparato a memoria e uno stipendio mensile di 3.000 euro, si muovono e interagiscono con i migranti per sostenere la loro causa. Per farsi un’idea basta entrare nel loro sito e vedere quelle foto e quei video editati con professionalità. Sono del parere che questi ‘bonaccioni’ dovrebbero quotidianamente baciare i piedi a tutti i migranti/rifugiati dal momento che se non fosse per loro non esisterebbero e sarebbero a spasso in cerca di un lavoro. Un volontario UNHCR mi ha raccontato che loro, per contratto, devono indottrinare i migranti su quello che devono o non devono dire una volta approdati in Italia. In tutte le Commissioni territoriali italiane in cui si intervista il richiedente asilo e poi si decide del suo futuro, uno dei quattro membri che compongono la Commissione è dell’UNHCR. Normalmente dovrebbe essere un osservatore invece, forse per mancanza di personale, si ritrova a fare l’intervistatore unico del richiedente, cioè quello che decide. E ovviamente, quando l’interrogatore è uno dell’UNHCR pone domande così incalzanti e insistenti che il quadro che ne esce del Paese in questione è quello di un “inferno sulla terra”. Questa mala abitudine ha preso il sopravvento ed è diventata la norma, una vera anomalia tutta italiana. Ma cosa succede invece in Africa? Sono decenni che l’UNHCR gioca sporco nel continente africano per moltiplicare, come fossero pani e pesci, i rifugiati. E quando non riesce a farlo materialmente, riempiendo i campi che continua a recintare per ospitarli, ricorre a falsificare dati e numeri, come il famoso “5000 eritrei al mese lasciano il paese” che ho già raccontato in “Guerra 2:0 Rifugiati al posto dei proiettili2” E se l’Africa non fosse come la raccontano? L’Onu e l’UNHCR in questi ultimi cinquant’anni hanno trasformato l’Africa in un campo per rifugiati, allestendo i loro tendoni bianchi in quasi tutti i paesi africani. Un neocolonialismo sottile e subdolo. E oggi più che mai vivono un vero conflitto di interesse e, per occuparsi di rifugiati, hanno bisogno di destabilizzazione, caos e conflitti. Difatti l’Onu non risolve conflitti ma addirittura li crea, così come l’UNHCR ha bisogno di rifugiati per giustificare la propria esistenza. Per questo ha sempre partecipato direttamente ed indirettamente a quelle destabilizzazioni in Africa e nel Medio Oriente, appoggiando i vari regime-change nel nome dei diritti umani e giustificando l’esportazione della democrazia occidentale. Così ha fatto con la Libia di Gheddafi e la Siria di Al Assad. I continui rapporti sulle violazioni dei diritti umani in Libia hanno giustificato il rovesciamento di Gheddafi e il caos prodotto ha visto l’esodo di “rifugiati” che furono fatti sbarcare in Italia cosi come quelli siriani in Grecia. Ma la situazione di instabilità della Libia post Gheddafi, divisa in due governi che si combattono, ha bloccato il via vai del tanto desiderato esodo e ha costretto l’UNHCR ad allestire un campo rifugiati in Niger, la nuova frontiera, non per liberare ed evacuare la Libia ma per attirare altri migranti con la speranza di partire per l’Italia, un megafono eccezionale per altri giovani africani, non per scappare dalla trappola libica ma direttamente dai paesi d’origine. Se da una parte l’UNHCR ha tutto l’interesse a promuovere il suo programma di Resettlement per allontanare sistematicamente i rifugiati africani sradicandoli dai loro paesi d’origine per deportarli in paesi più lontani possibile come America, Canada, Australia e Nord Europa in modo che non possano più tornare indietro, dall’altra parte c’è un paese africano che da anni denuncia queste violazioni dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. L’ultima, in ordine di tempo è un tweet datato 30 aprile 2018 del Ministro dell’Informazione Yemane Gebremeskel in cui scrive: “Il ministero degli Esteri dell'Eritrea ha convocato oggi il Rappresentante UNHCR per protestare contro gli atti ingiustificati di quest'ultima che ostacolano gli sforzi del Governo eritreo per portare a casa i suoi cittadini bloccati in Libia. L'UNHCR ha inviato alcuni eritrei in un campo desolato in Niger promettendogli ‘il reinsediamento in paesi terzi’” Nelle ultime settimane circa una settantina di persone ha scelto di lasciare la Libia per tornare in Eritrea. È innegabile che il rientro volontario vada contro gli interessi esistenziali di UNHCR ed è comprensibile che la suddetta lo possa ostacolare con tutte le sue forze. Infatti, nonostante la pace tra Etiopia ed Eritrea firmata a giugno 2018, un evento storico che fermerà l’emorragia della migrazione dal Corno d’Africa, le linee guida sull'eleggibilità dell'UNHCR nei confronti degli eritrei non cambia versione proprio per non facilitare il rientro volontario. Anzi. Un Dirigente UNHCR in pensione contattato da me telefonicamente mi dice che: “In ogni caso dubito che UNHCR offra rimpatrio volontario come opzione agli eritrei perché ha montato i campi di transito in Niger proprio per facilitare il Resettlement verso l’Europa.” Non si preoccupino gli immigrazionisti e i paladini dei diritti umani: a nessuno dei ragazzi che torneranno in Eritrea sarà torto un capello, non subiranno nessuna ritorsione né alcuna penalizzazione. Stia serena Laura Boldrini e la sua Carta di Roma. Non è mai successo niente a nessuno che sia uscito illegalmente dal Paese, anzi, ogni estate i nostri “rifugiati” tornano a casa per le vacanze o per sposarsi. È certo che giocando così sporco UNHCR vincerà a mani basse e riuscirà a portare in Europa numerosi migranti che volevano invece tornarsene a casa. l’AntiDiplomatico Daniel Wedi Korbaria scrittore eritreo, ha pubblicato diversi articoli in italiano poi tradotti in inglese, francese, tedesco e norvegese. Ad aprile 2019 ha pubblicato il suo primo romanzo “Mother Eritrea”. |
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Settembre 2024
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