Il 24 maggio 1991 il Fronte Popolare di Liberazione dell'Eritrea entra nella capitale Asmara ponendo fine alla lunga guerra per la conquista dell'Indipendenza durata trent' anni, per poi proseguire la sua marcia verso la presa di Addis Abeba.
Il F.P.L.E. affida a Isaias Afwerki la guida del Governo di Transizione mentre una conferenza di riconciliazione sancisce il diritto all’autonomia dell’Eritrea da esercitarsi attraverso un referendum popolare che avrà luogo due anni dopo. Il 24 maggio 1993 con un risultato plebiscitario l'Eritrea viene dichiarata indipendente divenendo il più giovane Stato africano. Nei prossimi giorni si terranno da parte delle Comunità Eritree di tutto il mondo le Celebrazioni dell'evento storico che ha cambiato il volto dell'Eritrea proiettandola come protagonista fra i paesi emergenti dell'intera Africa. A Roma:
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13 mag 2024, Caracas, Venezuela
Dichiarazione al secondo incontro dei coordinatori nazionali del gruppo di Amici in difesa della Carta delle Nazioni Unite "Per troppo tempo, il popolo palestinese ha sopportato sofferenze e difficoltà inimmaginabili. I suoi diritti fondamentali sono stati negati, la sua terra occupata e le sue voci messe a tacere. L'occupazione in corso, gli insediamenti illegali e il blocco hanno perpetuato un ciclo di violenza e instabilità, minando le prospettive di una pace giusta e duratura nella regione. Come difensori della Carta delle Nazioni Unite, dobbiamo riaffermare il nostro impegno nei confronti dei principi di sovranità, autodeterminazione e risoluzione pacifica dei conflitti. Non possiamo chiudere un occhio davanti alle violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani che continuano a verificarsi in Palestina." credit Ghideon Musa Aron Al Secondo Incontro dei Coordinatori Nazionali del Gruppo di Amici in Difesa della Carta delle Nazioni Unite
13 maggio 2024, Caracas, Venezuela Permettetemi innanzitutto di congratularmi con la Repubblica Bolivariana del Venezuela per aver convocato l'Incontro dei Coordinatori Nazionali del Gruppo di Amici in Difesa della Carta delle Nazioni Unite e per la Dichiarazione Politica che abbiamo davanti. Ringrazio il Governo della Repubblica Bolivariana del Venezuela per la gentile ospitalità riservata alla mia delegazione fin dal nostro arrivo nella bellissima città di Caracas. Le tre aree di cui discutiamo oggi, la situazione in Palestina, la decolonizzazione e il neocolonialismo, sono questioni attuali che meritano la nostra attenzione. Signor Presidente Per troppo tempo il popolo palestinese ha sopportato sofferenze e difficoltà inimmaginabili. I loro diritti fondamentali sono stati negati, la loro terra occupata e le loro voci messe a tacere. L’occupazione in corso, gli insediamenti illegali e il blocco hanno perpetuato un ciclo di violenza e instabilità, minando le prospettive di una pace giusta e duratura nella regione. Come difensori della Carta delle Nazioni Unite, dobbiamo riaffermare il nostro impegno nei confronti dei principi di sovranità, autodeterminazione e risoluzione pacifica dei conflitti. Non possiamo chiudere gli occhi di fronte alle violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani che continuano a verificarsi in Palestina. Spetta alla comunità internazionale rispettare i propri obblighi e sostenere gli sforzi volti a riprendere negoziati significativi basati sulle pertinenti risoluzioni delle Nazioni Unite, sul diritto internazionale e sui principi di equità e uguaglianza. La creazione di uno Stato palestinese indipendente e sovrano non è solo un imperativo morale ma anche essenziale per raggiungere una pace giusta e globale nella regione. Dobbiamo affrontare la terribile crisi umanitaria che affligge il popolo palestinese, in particolare a Gaza, dove la situazione è disastrosa. L’accesso ai beni di prima necessità come cibo, acqua e assistenza sanitaria deve essere garantito e il blocco deve essere revocato immediatamente per alleviare la sofferenza dei civili innocenti. Il conflitto in corso perpetua la sofferenza, approfondisce le divisioni e mina le prospettive di pace e stabilità nella regione. Il popolo palestinese ha il diritto inalienabile di vivere in libertà, dignità e sicurezza, all’interno del proprio Stato sovrano e vitale. Dovremmo raddoppiare i nostri sforzi per sostenere una soluzione negoziata del conflitto israelo-palestinese, basata sui principi di giustizia, uguaglianza e rispetto reciproco. Solo attraverso un dialogo autentico, una cooperazione e un rispetto del diritto internazionale possiamo sperare di raggiungere un futuro in cui sia israeliani che palestinesi possano vivere fianco a fianco in pace e sicurezza. L’Eritrea chiede la fine immediata della guerra scatenata contro la popolazione civile palestinese e le istituzioni pubbliche e chiede il rispetto dei diritti inalienabili e delle aspirazioni del popolo palestinese. Signor Presidente Siamo costretti a riflettere non solo sulla questione più ampia della decolonizzazione, ma anche sulle esperienze uniche di nazioni come l’Eritrea. La lotta per l’indipendenza dell’Eritrea è durata tre decenni, segnati da un’aspra lotta armata contro il dominio coloniale e la dominazione straniera. Il popolo eritreo ha sopportato immensi sacrifici, dimostrando una risolutezza incrollabile e una resilienza nella ricerca dell’autodeterminazione e della liberazione. Il viaggio dell’Eritrea verso l’indipendenza serve come un toccante promemoria del diritto intrinseco di tutti i popoli a determinare il proprio destino, liberi da coercizioni o interventi esterni. Sottolinea l’importanza dell’autodeterminazione come principio fondamentale sancito dalla Carta delle Nazioni Unite, un principio che deve essere sostenuto e rispettato da tutte le nazioni. Il riuscito raggiungimento dell’indipendenza da parte dell’Eritrea rappresenta una testimonianza dello spirito indomabile di un popolo determinato a tracciare il proprio percorso, rivendicare la propria identità e costruire un futuro basato su principi di sovranità, uguaglianza e giustizia. Mentre riflettiamo sull’esperienza dell’Eritrea, riaffermiamo il nostro impegno a sostenere le aspirazioni di tutti i popoli che lottano per l’autodeterminazione e l’indipendenza. Restiamo solidali con coloro che ancora lottano contro il colonialismo, l’oppressione e l’occupazione straniera e lavoriamo instancabilmente per garantire che le loro voci siano ascoltate e i loro diritti rispettati. Mentre ci riuniamo a Caracas per questo incontro cruciale, è essenziale approfondire gli insidiosi meccanismi del neocolonialismo e i suoi strumenti pervasivi che perpetuano l’oppressione e la disuguaglianza. Il neocolonialismo opera attraverso una miriade di strategie, spesso mascherate da forme benigne di cooperazione o di assistenza allo sviluppo. Lo sfruttamento economico è al centro, con nazioni potenti e multinazionali che sfruttano la loro influenza per estrarre risorse, controllare i mercati e perpetuare la dipendenza nelle ex colonie e nelle regioni vulnerabili. Uno degli strumenti principali del neocolonialismo è la coercizione economica, per cui attori potenti usano la loro leva economica per dettare termini che avvantaggiano i propri interessi a scapito della sovranità e dello sviluppo degli altri. Accordi commerciali ingiusti, trappole del debito o pacchetti di aiuti condizionati che minano le industrie locali e perpetuano un ciclo di dipendenza definiscono le strutture finanziarie e di governance internazionali Per quelli di noi in questo gruppo che hanno a che fare con gli effetti negativi delle misure coercitive unilaterali, delle sanzioni e dei vari ordini esecutivi, li riconosciamo come strumenti utilizzati per soggiogare le nostre nazioni e continuiamo ad aumentare la consapevolezza dei loro effetti negativi. A questo punto, permettetemi di congratularmi con la Missione Permanente del Venezuela per i numerosi eventi che ha organizzato per dare visibilità a questa insidiosa questione . L’interferenza politica è un altro segno distintivo del neocolonialismo, come tutti abbiamo visto mentre le nazioni potenti cercano di manipolare gli affari interni degli stati sovrani per promuovere le proprie agende geopolitiche. Di fronte a queste sfide, spetta a noi rimanere vigili e proattivi nel contrastare gli strumenti del neocolonialismo. Ciò richiede la promozione della giustizia economica, dell’autonomia politica e della diversità culturale, nonché il sostegno a strutture di governance indigene che diano potere alle comunità emarginate e salvaguardino i loro diritti culturali e sociali. Mentre discutiamo degli impatti insidiosi del neocolonialismo, è imperativo puntare i riflettori sui suoi profondi effetti sulla traiettoria di sviluppo dell’Africa. Nonostante abbiano ottenuto l’indipendenza formale dal dominio coloniale, molte nazioni africane continuano a fare i conti con l’eredità duratura dello sfruttamento, dell’emarginazione e della dipendenza. Il neocolonialismo in Africa si manifesta attraverso vari canali, ciascuno dei quali esacerba le sfide affrontate dal continente nella sua ricerca di uno sviluppo sostenibile. Lo sfruttamento economico rimane una caratteristica centrale, con le multinazionali e gli investitori stranieri che sfruttano le risorse naturali dell’Africa senza benefici commisurati per le comunità locali. L’estrazione di minerali, petrolio e altre materie prime avviene spesso in termini fortemente sbilanciati a favore di interessi esterni, privando le nazioni africane delle risorse necessarie per il proprio sviluppo. Inoltre, le strutture economiche neocoloniali perpetuano la dipendenza e ostacolano la capacità dell’Africa di raggiungere l’autosufficienza economica. Il continente rimane intrappolato in un ciclo di debito, con prestiti da parte di istituzioni finanziarie internazionali spesso accompagnati da condizioni rigorose che danno priorità al rimborso rispetto agli investimenti in istruzione, sanità e infrastrutture. Questo onere del debito limita lo spazio fiscale a disposizione dei governi per perseguire politiche che promuovano una crescita inclusiva e rispondano ai bisogni delle loro popolazioni. Gli effetti del neocolonialismo sullo sviluppo dell’Africa sono profondi e di vasta portata, minando gli sforzi per raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile e lasciando milioni di persone intrappolate nella povertà e nella privazione. Tuttavia, l’Africa non resta passiva di fronte a queste sfide. In tutto il continente ci sono vivaci movimenti che sostengono la giustizia economica, l’autonomia politica e la rivitalizzazione culturale. Come alleati nella lotta contro il neocolonialismo, spetta a noi sostenere questi sforzi e amplificare le voci di coloro che sostengono una vera sovranità, dignità e autodeterminazione in Africa. Solo attraverso la solidarietà e l’azione collettiva possiamo sperare di smantellare le strutture di oppressione che perpetuano il neocolonialismo e aprire la strada a un futuro in cui l’Africa possa realizzare il suo pieno potenziale alle proprie condizioni. La storia dell’Eritrea è segnata da una lunga e ardua lotta per l’indipendenza dal dominio coloniale, culminata nella sua combattuta liberazione nel 1991. Tuttavia, nonostante abbia ottenuto l’indipendenza formale, l’Eritrea si trova ad affrontare tentativi persistenti da parte di attori esterni di minare la sua sovranità e impedirne lo sviluppo. L’Eritrea ha dovuto affrontare sforzi concertati contro l’ingerenza politica, con potenze esterne che cercavano di manipolare i suoi affari interni e modellare il suo panorama politico. Nonostante queste sfide, l’Eritrea è rimasta salda nel suo impegno per la sovranità, l’autodeterminazione e l’indipendenza. Il popolo eritreo ha dimostrato resilienza di fronte alle avversità, mobilitandosi per difendere i propri diritti e resistere alle pressioni esterne. L’Eritrea continua ad affermare la propria agenzia e a perseguire un percorso di autosufficienza e sviluppo sostenibile. Come alleati nella lotta contro il neocolonialismo, spetta a noi essere solidali con stati come l’Eritrea e sostenere gli sforzi dei suoi popoli per tracciare il proprio corso, liberi da interferenze esterne. Ciò richiede la promozione di un’autentica solidarietà tra le nazioni e i popoli, basata sul rispetto reciproco, sulla reciprocità e sulle aspirazioni condivise per un mondo più equo e giusto. Restando uniti in difesa della sovranità, della dignità e dell’autodeterminazione, possiamo affrontare la piaga del neocolonialismo e costruire un futuro in cui tutte le nazioni e i popoli possano prosperare alle proprie condizioni. L’Eritrea continuerà a chiedere la fine della disuguaglianza e dell’ingiustizia globale. La guerra silenziosa tra regione Amhara e Addis Abeba lascia campo libero alla fabbricazione di notizie false
di Marilena Dolce 13 maggio 2024 In Etiopia è in corso una guerra senza fine e, purtroppo, anche senza notizie. O per meglio dire con molte notizie false e parziali. Non c’è giorno in cui i social non riversino in rete una quantità enorme di fatti e opinioni, lasciando al lettore, ma anche a chi scrive per mestiere, il compito di capire e, soprattutto, controllare le fonti. Già perché il conflitto iniziato nel Tigray nel 2020 dal Tplf (Tigray People’s Liberation Front) contro il governo federale del premier Abiy Ahmed in carica dal 2018, ha avuto, fin dall’inizio, un secondo fronte, quello mediatico. Così, fino alla conclusione, che tale non è stata, del 2022, chi in Occidente seguiva le notizie della guerra in Tigray incorreva in manipolazioni e interessi alle spalle dei fatti raccontati. Intendiamoci, nel Tigray, regione abitata da sei milioni di persone, i morti sono stati moltissimi, si dice seicentomila, forse di più. Tantissimi i civili sfollati da una regione sempre al limite della sussistenza e ora piombata nell’incubo della fame. A un certo punto alla popolazione, infatti, non arrivano più gli aiuti. Si dice che la colpa sia del governo di Addis Abeba che ha deciso di usare la fame come arma. Invece se gli aiuti non arrivano la responsabilità non è dei posti di blocco dei soldati federali ma di UsAid che spiega che tali aiuti non arriverebbero alla popolazione perché il Tplf li ruba e se li spartisce. Per questo motivo l’organizzazione internazionale ha fermato i camion con i carichi. Un anno dopo l’inizio del conflitto escono report di agenzie internazionali che accusano i federali, i soldati eritrei e quelli amhara, cioè la coalizione contro il Tplf, di compiere eccidi nel Tigray, ruberie, stupri, omicidi di civili. Leggendoli però emergono molte contraddizioni, cominciando dai testimoni, sentiti via telefono in una zona priva di connessioni a meno di non avere telefoni satellitari, oppure interrogati nei campi profughi in Sudan, senza chiedersi se fossero soldati del Tplf in fuga. Si pubblicano articoli sul massacro di Axum con dichiarazioni di un “prete copto” che si rivelerà invece un attivista etiopico residente in America. E così via. Anche “Monna Lisa” entra nel quadro. Per i giornali italiani è “una ragazza leonardesca che ha perso un braccio ma non la dignità”. Effettivamente è una giovane donna però è anche una soldatessa del TDF (Tigray Defense Forces) come dichiarerà il padre in televisione. Dell’Eritrea si è detto che fosse entrata nel conflitto per mettere a tacere, una volta per tutte, il Tplf suo nemico giurato fin dai tempi di Meles Zenawi. Senza aggiungere però che, all’inizio dello scontro, quando i soldati Tdf uccidono i soldati federali e saccheggiano la riserva nazionale di armamenti collocata proprio nel Tigray, bombardano anche Asmara, la capitale eritrea. Comunque dopo l’accordo di pace il premier Abiy Ahmed chiede ai governatori regionali di smobilitare gli eserciti locali in modo che tutti i soldati diventino parte dell’esercito federale. Pochi governatori lo fanno. Non certo il Tigray che mantiene il Tdf e neppure gli amhara la cui arma più forte ora sono i Fano, un movimento organizzato militarmente deciso a difendere la propria gente perché il Tplf non possa più organizzare pulizie etniche come quella di Mai Kadra del novembre 2020, quando le porte delle abitazioni degli amhara da uccidere sono state segnate con vernice scarlatta. Sul conflitto politico tra Tigray e Amhara, che è il nucleo di questa seconda fase di scontri, è necessario aprire una parentesi. Nel 1995 la Costituzione etiope, voluta dall’allora premier Meles Zenawi, prevede un articolo per cui “ogni nazione, nazionalità e popolo dell’Etiopia ha diritto all’autodeterminazione, incluso il diritto alla secessione”. Questa diventa la base del pensiero politico del Tplf che ritiene tigrini tutti i popoli che parlano tigrino non solo quelli che risiedono nel Tigray. Così, mentre il partito diventa capo della coalizione di governo, pur rappresentando un’etnia minoritaria, gli Amhara, etnia ben più numerosa, diventano i nemici da combattere, gli oppressori di un tempo andato. Perciò i fertili territori di Wolkait, Gondar, Raya e la provincia Wollo, fino a quel momento Amhara, diventano parte del Tigray, che prende il nome di Tigray Occidentale ed è la regione dove oggi si combatte. Dopo aver appoggiato il governo di Addis Abeba nella prima fase di guerra contro il Tplf, i Fano occupano il novanta per cento della regione contestata. L’Amhara Prosperity Party governa ancora nelle zone di Raja e Wolkait Tsegede. Fonti locali dicono però che è solo questione di tempo, che i Fano vinceranno perché hanno il sostegno della popolazione. Nella stessa area è di questi giorni la notizia di una nuova “pulizia etnica”. Questa volta sarebbero stati i soldati eritrei ad attaccare una popolazione che vive nella limitrofa regione Irob. “Il Tigray è un buco nero”, dice un’attivista etiopica residente in Italia, “ci sono movimenti separatisti nella zona Agame, che sostengono che il loro territorio sia ora occupato dall’Eritrea. In realtà si sentono traditi dal Tplf che li avrebbe abbandonati al loro destino”. La maggioranza di queste persone è cristiana, molti anche cattolici. Per questo la notizia dell’attacco eritreo arriva da fonti cattoliche. “I missionari sono brava gente che si lega alla popolazione locale. Condividono la loro mentalità, spesso ne parlano la lingua… in Tigray, quando durante il conflitto si intervistavano i missionari, ci si accorgeva che erano parte in causa. Le loro analisi politiche vanno prese con cautela, per questo non dovrebbero essere l’unica fonte”, dice una donna tigrina contattata per telefono sugli accadimenti. Il problema attuale rimanda alla questione dei confini tra Eritrea ed Etiopia. Nel 1991 l’Eritrea diventa uno stato indipendente. Pochi anni dopo però, nel 1998, comincia un nuovo scontro con l’Etiopia, proprio nell’area del Tigray dov’è iniziata la guerra del 2020. Nel 2000 gli accordi di Algeri, per definire la pace tra i due paesi, istituiscono una commissione con il compito di stabilire i confini. Due anni di studi, moltissime carte e duecentocinquanta mappe portano alla demarcazione grazie alle mappe coloniali italiane del 1900, 1902 e 1908. Il confine riconosciuto tra i due paesi, semplificando, è quello segnato dal corso dei fiumi Mareb, Belesa, Muna. La zona sottostante è divisa in due, una a nord, definita un tempo “Acchele Guzai” diventa Eritrea, l’altra a sud, chiamata “Agame” quando era “sotto il controllo abissino” diventa Etiopia. “La provincia Irob storicamente non è mai stata parte dell’ex colonia Eritrea gli abitanti sono sempre stati etiopi. L’occupazione (ndr, attuale) quindi viola la vecchia regola africana per cui i confini degli stati indipendenti devono rispecchiare quelli coloniali”. Così scrive Avvenire, dimenticando però che la commissione EEBC (Eritrea - Ethiopia Boundary Commission) ventidue anni prima aveva deciso che il distretto Irob è eritreo, che non è una “provincia amministrativa del Tigray”, perché l’attività amministrativa in tale distretto è stata minore da parte etiope rispetto alla parte eritrea. Abbandonando la storia passata per tornare ai giorni nostri, lo scorso 8 maggio a Roma, alla Farnesina, si è svolto il “dialogo imprenditoriale Italia-Africa”, seguito della conferenza di gennaio che ha dato l’avvio al Piano Mattei. Nell’intervento d’apertura il ministro degli affari esteri Antonio Tajaniha detto di “credere molto nel rapporto privilegiato” dell’Italia con l’Africa. “Noi siamo i suoi naturali interlocutori” ha detto, aggiungendo che sarà un “rapporto win-win” a favorirne la crescita. Tra i molti paesi africani con cui l’Italia riprenderà rapporti economici ma anche culturali e di sostegno alla formazione dei giovani, c’è l’Eritrea dove a giugno è programmata una visita del governo italiano. Relativamente alla situazione nella regione, un alto funzionario delle Nazioni Unite, ci ha confermato che si ritiene che l’Eritrea, in questo periodo, sia l’unico paese stabile, che agisce per la pace. Fondamentale, per esempio, l’accoglienza data ai profughi sudanesi, che la popolazione eritrea considera fratelli. Comunicato stampa
Ginevra, 9 maggio 2024 L’Ambasciata dello Stato di Eritrea presso la Confederazione Svizzera è sconvolta dal contenuto provocatorio di una lettera datata 17 aprile 2024 sul Giorno dell’Indipendenza dell’Eritrea e dalle celebrazioni annuali normative associate a questo onorevole evento. L'Ambasciata desidera ricordare alle autorità svizzere che il 24 maggio 1991 segna la storica liberazione dell'Eritrea dopo una guerra trentennale e costosa contro l'occupazione coloniale e che ha richiesto il sacrificio ineguagliabile e prezioso di oltre 60.000 combattenti per la libertà eritrei nel contesto di una piccola nazione . Il popolo dell’Eritrea ricorse alla lotta armata nel 1961, quando i suoi diritti inalienabili allo status di nazione nel periodo della decolonizzazione furono calpestati attraverso una risoluzione ONU 390 A (V) sponsorizzata dagli Stati Uniti che vincolava il loro paese all’Etiopia per “prevalere sugli interessi strategici degli Stati Uniti”. . L’Etiopia andò oltre, abrogando unilateralmente e impunemente la legge federale e annettendo l’Eritrea nel 1962. La vittoria militare conquistata a fatica dall’Eritrea il 24 maggio 1991 ha aperto la strada al popolo eritreo per indire un referendum per illustrare al resto del mondo le proprie aspirazioni all’indipendenza e alla dignità nazionale. Nell’aprile 1993, gli eritrei all’interno dell’Eritrea e in tutto il mondo espressero il loro voto in un referendum sponsorizzato dalle Nazioni Unite per decidere se volevano o meno che l’Eritrea fosse uno stato sovrano. Il popolo eritreo ha votato con una stragrande maggioranza del 99,8% a favore della sovranità. All’indomani dello storico referendum, l’Eritrea ha aderito e ha assunto il suo seggio alle Nazioni Unite insieme a paesi come la Svizzera. L’Eritrea ha anche stabilito rapporti diplomatici bilaterali con la comunità di nazioni sovrane e con importanti organizzazioni regionali e internazionali. In ogni caso, fingere di ignorare questi eventi storici per dissacrare la Giornata Nazionale dell’Eritrea è un atto irresponsabile, riprovevole e inaccettabile di blasfemia politica e legale di prim’ordine. L'Ambasciata d'Eritrea richiede l'immediato annullamento della lettera e adeguate azioni correttive. Naturalmente, gli eritrei in patria e all’estero hanno e continuano a celebrare il Giorno dell’Indipendenza all’unisono e con vigorosa vivacità poiché simboleggia il giorno in cui così tanti hanno sacrificato così tanto per accertare i propri inalienabili diritti nazionali e la dignità umana. In questa prospettiva, le celebrazioni per l’indipendenza dell’Eritrea del 24 maggio che si sono svolte in Svizzera, Europa e in altre parti del mondo negli ultimi tre decenni sono sempre state eventi familiari pacifici. A questi eventi hanno partecipato tutti i settori della comunità eritrea. È davvero un peccato che dallo scorso anno un gruppo violento che afferma di essere “eritreo e che lotta per i diritti degli eritrei” abbia cercato di interrompere le celebrazioni tradizionalmente pacifiche del Giorno dell’Indipendenza dell’Eritrea. Si tratta naturalmente di atti illeciti di vandalismo e di minaccia alla sicurezza pubblica che devono essere trattati secondo la legge. D’altro canto, placare questi delinquenti violenti o usare la loro condotta illecita per impedire agli eritrei rispettosi della legge in Svizzera di celebrare il Giorno dell’Indipendenza pacificamente e con civiltà – come questa è stata infatti la tradizione normativa – non può essere giustificabile in nessuna circostanza. Ambasciata dello Stato di Eritrea presso la Confederazione Svizzera e alle Nazioni Unite credit Ghideon Musa Aron 08 maggio 2024
Il Vice Primo Ministro italiano e Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Antonio Tajani, aprirà oggi alle 9.30, presso la Farnesina, il Forum di Dialogo Imprenditoriale Italia-Africa. L'incontro è organizzato dalla Farnesina in collaborazione con Confindustria Assafrica & Mediterraneo e con il sostegno dell'Italian Trade Agency. All'evento parteciperanno i rappresentanti di 47 associazioni imprenditoriali africane provenienti da 21 paesi, tra cui Senegal, Nigeria, Kenya, Niger e Costa d'Avorio, nonché rappresentanti delle loro controparti italiane. Si terranno due sessioni dedicate rispettivamente al ruolo delle Banche Regionali di Sviluppo per la crescita del continente africano e al sostegno all'export da parte delle Agenzie italiane dell'Internazionalizzazione Hub. Chiuderà i lavori il Vice Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Edmondo Cirielli. Nel corso del Forum, il rafforzamento della rete del Sistema Italia in Africa – reso possibile dalle recenti aperture delle sedi dell’ICE a Dakar, Lagos e Nairobi, dell’Osservatorio ITA a Niamey e di si parlerà anche della prossima apertura dell’Osservatorio ICE ad Abidjan. Nel corso dell'evento, infine, verranno firmati cinque protocolli d'intesa tra Cassa Depositi e Prestiti e le Banche Multilaterali di Sviluppo presenti al Forum. L’obiettivo è individuare ambiti di possibile collaborazione in Paesi di interesse comune, identificare possibili progetti da cofinanziare e promuovere incontri di match-making con le controparti locali. “L’Africa, che offre straordinarie opportunità di collaborazione in molteplici settori, rappresenta una priorità della politica estera italiana. Ho voluto metterlo al centro dell'agenda della Presidenza del G7”, ha commentato il Ministro Tajani, che ha ribadito lo sforzo compiuto fin dall'inizio del suo mandato per avviare una nuova fase del partenariato economico con il continente, pilastro fondamentale del Piano Mattei . COMUNICATO STAMPA Il "Rapporto Eritrea 2023 sui diritti umani" del Dipartimento di Stato americano spaccia ancora una volta, questa volta con un tono più alto, una litania delle sue solite, fallaci e a lungo screditate accuse contro l'Eritrea. Paese. La questione generale è ovviamente se gli Stati Uniti abbiano, in primo luogo, le credenziali per un diritto legale e morale esclusivo e innato di fare proselitismo e incriminare il mondo intero su questioni di “diritti umani e governance”. Questa è infatti la ragione convincente per cui il Rapporto annuale viene per lo più ignorato come un esercizio anacronistico e banale che nella maggior parte dei casi non suscita una risposta seria da parte della maggior parte dei paesi. Quello è infatti ciò che abbiamo fatto in passato I promemoria potrebbero essere utili di tanto in tanto. In questa prospettiva, l'Ambasciata dello Stato di Eritrea negli Stati Uniti rifiuta categoricamente il contenuto, la metodologia, la narrativa del rapporto e le sue inerenti ed ovvie motivazioni ulteriori. In effetti, non vi è nulla di nuovo nella natura del rapporto che mostri un allontanamento dal prevedibile vetriolo nei confronti Eritrea. Ma soffermandosi sulla recente guerra di insurrezione che ha imperversato in Etiopia, il Rapporto illustra ancora una volta che non è il benessere del popolo eritreo o le questioni di pace e stabilità regionale sulla base della legalità che interessa di più agli Stati Uniti. Come è avvenuto nei decenni passati, quando le amministrazioni statunitensi hanno compromesso i diritti nazionali inalienabili dell’Eritrea sull’altare dei loro interessi geostrategici prioritari, l’attuale preoccupazione e priorità primaria dell’amministrazione Biden rimane il singolare e ostinato perseguimento di questi obiettivi a scapito della pace duratura, della stabilità e di una cooperazione significativa nella nostra regione. In questa prospettiva e a parte il confezionamento in malafede, il Rapporto non fa altro che accentuare la politica statunitense prevalente, fuorviante e ingiustificata contro l’Eritrea. Ambasciata dell'Eritrea presso gli Stati Uniti d'America 2 maggio 2024 credit Ghideon Musa Aron Si prega di notare che rimangono in vigore alcune restrizioni sul rilascio dei visti ai cittadini dell'Eritrea da parte dell'ambasciata degli Stati Uniti ad Asmara (vedi sotto).
Secondo l'attuale ordinanza del Segretario, la sezione 243(d) dell'INA si applica ai funzionari del governo eritreo con il grado di Direttore generale o superiore, ai funzionari di partito in posizioni di leadership nazionale all'interno del Fronte popolare per la democrazia e la giustizia (PFDJ), nonché come i coniugi di questi funzionari governativi e di partito e i loro figli di età inferiore a 21 anni. Gli altri richiedenti NIV che presentano domanda in Eritrea non sono soggetti alle limitazioni della sezione 243 (d) dell'INA. Cittadini e residenti dell'Eritrea Le persone che risiedono permanentemente in Eritrea possono fissare un appuntamento online qui. Tieni presente che se non sei cittadino/non residente in Eritrea e pianifichi un appuntamento utilizzando questo programma di pianificazione online, l'appuntamento verrà annullato e riceverai una notifica via e-mail. Non residenti La sezione consolare ha una capacità limitata di programmare gli appuntamenti per i richiedenti non residenti o per quei richiedenti a cui è stato precedentemente rifiutato per lo stesso motivo di viaggio negli ultimi dodici mesi. I richiedenti non residenti e coloro a cui è stato rifiutato il visto per lo stesso scopo di viaggio negli ultimi dodici mesi possono richiedere un appuntamento seguendo le istruzioni riportate di seguito per richieste di appuntamento accelerate. Richieste di appuntamento accelerate I candidati che hanno urgente bisogno di recarsi negli Stati Uniti per cure mediche, un'emergenza familiare, questioni aziendali urgenti e impreviste o per partecipare a un programma accademico o a un'offerta di lavoro con una data di inizio imminente possono richiedere un appuntamento rapido inviando un'e-mail a ConsularAsmara@State. gov e seguendo le istruzioni riportate di seguito. Le richieste di accelerazione devono includere quanto segue: Copia della pagina di conferma DS-160 Copia del passaporto Motivo della nomina urgente Date del viaggio negli Stati Uniti Se applicabile: date specifiche, non sei disponibile per un colloquio. I candidati studenti (F-1) e visitatori di scambio (J-1) devono inoltre includere: F1: modulo I-20 J1: DS-2019 Data di inizio del programma Le richieste di colloquio accelerato che non soddisfano i requisiti di cui sopra non verranno elaborate. I richiedenti il visto Exchange Visitor (J-1) devono portare con sé anche il modulo DS-2019 e il modulo DS-7002 originali se partecipano alle categorie Trainee e Intern J-1. Tutti i richiedenti IVLP devono portare anche le versioni stampate della copia elettronica del modulo DS-2019. Tutti gli altri richiedenti visitatori di scambio visto J devono continuare a utilizzare il modulo DS-2019 cartaceo originale e firmato. Lo scopo del viaggio previsto e altri fatti determineranno il tipo di visto richiesto dalla legge sull'immigrazione degli Stati Uniti. Come richiedente il visto, dovrai dimostrare di soddisfare tutti i requisiti per ricevere la categoria di visto per la quale stai richiedendo. I richiedenti provenienti dall’esterno dell’Eritrea possono richiedere qui un visto, ma le difficoltà linguistiche e la scarsa familiarità degli ufficiali intervistati con le condizioni locali del tuo paese potrebbero rendere più difficile dimostrare le tue qualifiche per il visto qui che nel tuo paese d’origine o nel paese di residenza permanente. Consulta il nostro elenco di categorie di visti su usvisas.state.gov per determinare quale categoria di visto potrebbe essere appropriata per il tuo scopo di viaggio negli Stati Uniti. https://er.usembassy.gov/visas/... credit Ghideon Musa Aron |
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