Dichiarazione ingiustificata dell'UE sull'Eritrea
In un comunicato stampa - Conclusioni del Consiglio Ue - diffuso l'11 marzo di questa settimana, il Consiglio dell'Unione Europea allude a “vari rapporti e fonti multiple” per accumulare accuse offensive contro l'Eritrea. Le conclusioni del Consiglio dell'UE sono state pubblicate a seguito della relazione dell'inviato speciale dell'UE dell'alto rappresentante che ha visitato l'Etiopia e il Sudan dal 7 al 10 febbraio 2021. L'inviato speciale dell'UE non aveva, a quanto pare, mandato e non si è recato in Eritrea per tenere consultazioni dirette con il governo eritreo ai livelli appropriati. Alla fine, è inopportuno e imprudente, per non dire altro, che l'UE incrimini l'Eritrea sulla base di rapporti "credibili" raccolti da terze parti dubbie e maligne. Questo anomalo atto di malafede viola infatti le disposizioni dell'Accordo di Cotonou nonché le norme e le pratiche delle relazioni diplomatiche esistenti tra l'Eritrea e l'Unione Europea. Le conclusioni del Consiglio dell'UE sottolineano l'importanza fondamentale di mantenere la pace e la stabilità regionali nel Corno d'Africa. Questi sono ideali e obiettivi che l'Eritrea nutre - molto più dei nostri partner internazionali al di fuori della regione - perché l'Eritrea ha sopportato, per quasi due decenni nel recente passato, l'urto della sofferenza e della distruzione che derivano dal conflitto e dal caos perenni. In effetti, l'UE è rimasta in gran parte in silenzio - e in molti casi ha incoraggiato e sostenuto - le forze responsabili di questo stato di cose attraverso un enorme aiuto finanziario. L'Unione europea non può, in caso, rivendicare all'Eritrea l'altitudine morale e il pontificato su questo argomento. Per quanto riguarda l'attuale crisi nella regione del Tigray dell'Etiopia, la gravità della situazione e l'unica colpevolezza del gruppo TPLF è al di là di qualsiasi controversia o contesa. Mentre le conseguenze umanitarie devono essere affrontate da tutti gli interessati per prevenire e alleviare qualsiasi sofferenza umana, minimizzare la natura della crisi e spostare la colpa su altri capri espiatori non può essere giustificato con alcun pretesto. Né servirà gli interessi della pace e della stabilità in Etiopia e nel Corno d'Africa nel suo insieme. Ministro degli Affari Esteri Asmara fonte Shabait
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Nei giorni scorsi è stata diffusa un’intervista in lingua amarica all’ambasciatore etiopico presso le Nazioni Unite nel corso della quale ha rivelato che il giorno 4 marzo si è tenuta una riunione a porte chiuse del consiglio su temi riguardanti il rispetto dei diritti umani.
Uno degli argomenti proposti per essere discussi era l’emissione di un comunicato congiunto alla stampa sulla corrente situazione nel Tigrai. L’ambasciatore ha spiegato che avendo in passato fatto parte dei partecipanti a questo tipo di riunioni ne conosce bene tutti i meccanismi procedurali potendo affermare che in alcuni casi su specifiche pressioni si discutono anche casi di non diretta pertinenza dell’assemblea allo scopo di influenzare l’opinione pubblica. Di solito in questi casi la strategia è quella di esercitare pressioni sui rappresentanti di paesi con basso peso politico per giungere all’approvazione di dichiarazioni mirate, tuttavia nel caso in questione l’argomento non è arrivato neanche a essere discusso per il veto preliminare di paesi non influenzabili quali: Cina, Russia, India e altri. Questo episodio che sarebbe potuto rimanere all’interno delle porte chiuse dell’assemblea è diventato pubblico perché la stampa era stata preavvisata dell’imminente rilascio di un comunicato definito “Bomba” sulla situazione nel Tigrai. Stefano Pettini di Robert Crowe
articolo originale da Associated Medias La disinformazione è l’ultima pericolosa arma rimasta in mano alle élite tigrine e ai suoi alleati che non hanno accettato il cambiamento di governo in Etiopia guidato dal Premio Nobel per la Pace Abiy Ahmed. Il periodico “The Week” è l’ultima vittima di questa raffica di fake news diramate subdolamente da quel che resta del TPLF, il Fronte di Liberazione Popolare del Tigrai, il partito dell’ex Primo Ministro Meles Zenawi (foto a sinistra) e dell’attuale Direttore Generale dell’OMS Tedros Adhamon. Il settimanale statunitense, in un reportage intitolato “Tigray, Etiopia”, ha riportato una serie di false notizie che ha come obiettivo quello di gettare discredito sul governo etiope e su quello eritreo. Del resto, questa è una storia antica: in un’epoca in cui i giornalisti viaggiano poco, in assenza di testimonianze dirette si riportano le notizie riferite da una parte o dall’altra. E molto spesso sono soltanto false notizie. Così, in questa guerra propagandistica chi ci rimane di frequente nel mezzo sono le ONG, utilizzate in maniera strumentale. In altri casi invece sono addirittura le grandi organizzazioni umanitarie internazionali a venire strumentalizzate. Le notizie riportate in buona fede da “The Week” sul Tigrai sembrano proprio figlie di queste logiche perverse della propaganda. Altri media arrivano addirittura ad accusare gli eritrei di macchiarsi di orribili crimini nel Tigrai contro la popolazione civile e in particolare contro le donne quando tutti sanno e riconoscono che l’etica e il senso di solidarietà e di responsabilità del Fronte Popolare di Liberazione Eritreo ha forgiato negli ultimi 30 anni un popolo che si distingue per senso civico e rispetto altrui e che viene spesso preso ad esempio non solo in Eritrea ma nei paesi dove esiste una importante diaspora. In particolare l’Eritrea è riconosciuta per il ruolo che hanno avuto le donne nella lotta di liberazione nazionale conquistandosi la considerazione degli uomini eritrei che hanno finito per essere educati a rispettarle e al concetto di parità. Affermare che eritrei rubano nel Tigrai quando la storia ci insegna che gli eritrei hanno aiutato, senza chiedere niente in cambio, paesi per esempio come il Rwanda, la Repubblica Democratica del Congo , il Sudan del Sud e la Somalia per esclusivo senso di solidarietà, non è solo falso ma criminale. I Tigrini stessi che conoscono bene gli eritrei e che ne hanno ottenuto il sostegno incondizionato durante il periodo della guerra di liberazione, sanno che queste sono calunnie che vengono pubblicate ad arte per denigrare gli sforzi di collaborazione del Presidente Isaias Afewerki e del Primo Ministro Abiy per pacificare il Corno d’Africa. Gli osservatori, ma anche i semplici analisti che hanno studiato e vissuto le recenti vicende del Corno d’Africa, sanno perfettamente che l’Eritrea ha un ruolo positivo e stabilizzante nella regione. Il Premier Abiy , rispettando il suo mandato politico, è impegnato anche lui a pacificare l’area creando così le condizioni per lo sviluppo dell’intera regione. La pace con l’Eritrea , dopo venti anni di guerra, è stata raggiunta in poche settimane. Sappiamo oggi che la volevano tutti gli etiopici, ad eccezione dei Tigrini del Tplf che l’hanno sempre ostacolata, ma la voleva soprattutto l’Eritrea. La dimostrazione è che quando è arrivato un uomo di pace come Abiy , il Presidente dell’Eritrea, Isaias Afewerki, ci hanno messo veramente poco a trovare un’intesa di pace ristabilendo il corso normale di una storia che era già stata scritta venti anni prima. Poi, a testimonianza di questo storico evento, è arrivato il Nobel, poi, ancora, è arrivato l’accordo a tre (Etiopia, Eritrea, Somalia) per dare nei fatti una prospettiva economica e sociale a tutto il Corno d’Africa. Gli unici che si sono sempre battuti contro questo processo di pace e di sviluppo sono stati sempre e soltanto loro, i tigrini del TPLF che oggi utilizzano il loro network internazionale costruito e finanziato con le ingenti somme sottratte al bilancio del Tesoro Etiope per continuare a disinformare su quello che succede veramente nel Tigrai e nella regione. Questa fabbrica di fake news internazionale è purtroppo formata anche da ONG e da funzionari ONU che sono ancora legati a dirigenti del Tplf. Essi fingono di ignorare che il Tplf si è rivelato sovversivo e chi si è macchiato di tremendi atti terroristici e di crimini che il governo etiope si appresta a giudicare nei prossimi mesi. Oltre ai vari attentati e stragi commesse in Etiopia, il Tplf è accusato di aver commesso dei crimini nella sua stessa regione del Tigrai. Per esempio è ormai accertato che le milizie del Tplf dopo aver commesso il massacro di Mai-Kadra sono fuggite nel Sudan facendosi passare per rifugiati mischiandosi ai civili in fuga. Come è ormai accertato che prima di fuggire da Macallè , hanno liberato le carceri del Tigrai riempite di criminali comuni dopo averli forniti di abiti militari copiati dalle divise usate dai militari eritrei e cucite nella loro fabbrica di Adwa per poter accusare in seguito gli eritrei dei crimini commessi. La questione dell’intervento armato nel Tigrai per salvaguardare la pace in Etiopia e nel Tigrai è figlia della risposta ad un attacco armato da parte del Tplf effettuato nel novembre 2020 che aveva come obiettivo di destabilizzare l’Etiopia e di fare un colpo di stato militare per rovesciare il governo etiopico di Abiy. Tutti quelli che oggi accusano il governo etiope di essere intervenuto nel Tigrai fanno finta di dimenticare che se non ci fosse stata la reazione militare che ha permesso di sconfiggere i piani criminali e terroristici del Tplf , oggi avremmo un Etiopia divisa e in preda a guerre etniche fratricide con gravi ripercussioni su tutti gli stati della regione e con milioni di vittime e di profughi . Queste persone dovrebbero anche ricordarsi che i tigrini del Tplf che rimpiangono non hanno voluto rispettare gli accordi di pace sottoscritti da Etiopia ed Eritrea e sono responsabili di aver destabilizzato l’intera regione per più di 20 anni sostenuti da una communita’ internazionale ingannata dalla loro politica basata su fakenews e sostenuta da riconoscenti e generosi contributi a media compiacenti. Mentre vendevano l’immagine di un governo stabile che pensava solo alla crescita e allo sviluppo dell’Etiopia, preparavano la secessione del Tigrai e delle altre regioni etiopiche sfruttando i conflitti etnici e acquistando ingenti armi da concentrare nel Tigrai con la scusa della minaccia eritrea che veniva regolarmente alimentata ad arte. Non si può in effetti non ricordare come i tigrini, quando ancora comandavano ad Addis Abeba, avevano fatto trasferire a casa loro più del ’80 per cento degli armamenti nazionali. Un gesto furbo e alquanto arrogante che puntava di fatto a mantenere il controllo delle forze armate per dominare il resto dell’Etiopia e l’intera regione, compresa l’Eritrea. Per capire la situazione attuale dell’Etiopia e del Tigrai non si può poi prescindere da quello che è successo il 3 novembre scorso.L’attacco ostile ordito dal TPLF contro tutte le posizioni e le basi militari del Comando Nord dell’Etiopia contro il quale il Premier Abiy ha dovuto opporsi è stata la causa della situazione che il governo etiope con fatica e dedizione sta cercando di gestire nel Tigrai. E tutte le persone di buona volontà dovrebbero sostenere gli sforzi del governo etiope ad aiutare le popolazioni locali a riprendere in mano il loro destino dopo essere stati liberati dai terroristi del Tplf, che dopo 20 anni di gestione affaristica e despotica del potere, stanno ancora tentando, con il sostegno dei loro vecchi amici e con tutti i mezzi a disposizione in Occidente, di salvaguardare il loro obiettivo di distruggere l’unità dell’Etiopia per mantenerne l’egemonia anche a costo di creare danni e perdite al loro stesso popolo. Per chi avesse voluto capire come stavano veramente le cose, sarebbe bastato rileggere i vari discorsi pubblici che Abiy ha fatto prima di intervenire nel Tigray. Dei veri e propri appelli lanciati alla popolazione nei quali si spiegava che Addis Abeba non voleva fare altro che ristabilire l’ordine nella regione e la pace nell’intero Corno d’Africa. Appelli reiterati anche dai canali televisivi, ma caduti nel vuoto nel Tigrai non per reale volontà della popolazione ma perché le élite hanno voluto resistere fino alla fine. Quello che è accaduto dopo la presa di Macallè, la capitale del Tigrai, da parte etiope è certamente una cronaca di guerra. E come sempre in questi casi si provocano anche involontariamente tragedie. Se ci sono stati atti di violenza commessi da militari devono essere naturalmente investigati e duramente condannati. Non abbiamo dubbi che il premio Nobel Abiy (foto a sinistra) saprà portare gli eventuali colpevoli alla giustizia e che promuoverà una commissione di inchiesta a tale fine che farà luce su quanto accaduto in maniera imparziale . Se oltre ai criminali del Tplf ci fossero anche soldati o ufficiali dell’esercito etiope fra i responsabili, saprà punirli in maniera esemplare. Perché anche durante una guerra ci sono regole e leggi che vanno rispettate. Ma anche questi fatti qualora venissero accertati non ci devono comunque fare dimenticare la realtà e cioè che sono stati i gruppi di potere tigrini a non rispettare gli accordi di pace scatenando, con il loro atto ostile, la guerra . Sono stati sempre loro a non voler deporre le armi nonostante i numerosi inviti ad arrendersi. E, ancora, sono stati loro prima della fuga dalla regione ad aprire le carceri e a mandare per le strade migliaia di delinquenti comuni e a usare la popolazione inerme come scudo. In situazioni del genere è evidente che ci sia un’emergenza umanitaria. In una regione martoriata, è chiaro che la popolazione, già stremata dalla carestia e dal Covid, sia in uno stato di profonda sofferenza e che per tanto tenti di scappare verso le regioni confinanti. Questo è certamente un dramma di cui tener conto e cui far fronte. Tutti dovremmo impegnarci per mettere fine alla sofferenza di popolazioni vessate dai giochi di potere. Ma la verità va rispettata. È difficile, ma occorre provare a rimanere ai fatti senza sottostare alle provocazioni e senza cedere ai tentativi di disinformazione tutt’ora in corso. Viceversa, si aggiungono vittime a vittime, tragedie a tragedie. credit (Associated Medias) – Tutti i diritti sono riservati L'Etiopia denuncia il tentativo degli Stati Uniti di fare dichiarazioni sui propri affari interni1/3/2021 DI FBC Il ministero degli Affari esteri etiopico ha respinto la dichiarazione alla stampa rilasciata ieri dal segretario di Stato americano Antony J. Blinken sullo stato regionale del Tigray. "Un tentativo da parte degli Stati Uniti di fare dichiarazioni nel comunicato stampa su affari interni dell'Etiopia e, in particolare, il riferimento alla ridistribuzione delle forze regionali dell'Amhara , è deplorevole", afferma il comunicato. Aggiungendo che: "Dovrebbe essere chiaro che tali questioni sono di esclusiva responsabilità del governo etiopico, che come rappresentante di una nazione sovrana, è responsabile nel dispiegare le necessarie strutture di sicurezza e mezzi disponibili per garantire lo stato di diritto all'interno di tutti gli angoli dei suoi confini". L'attenzione e la priorità prevalente del governo dell'Etiopia è stata ed è tuttora quella di rispondere efficacemente alla situazione umanitaria nella regione del Tigray. In tal modo, continua a collaborare e coordinare le sue azioni con i partner internazionali per raggiungere ogni persona bisognosa. Va notato che il governo etiopico finora ha coperto il 70% dell'assistenza con le sue risorse, mentre il restante 30% è condiviso da partner per lo sviluppo e ONG. Finora, gli sforzi di soccorso in corso hanno raggiunto più di tre milioni di persone. Viene data priorità alle persone in situazioni di vulnerabilità, in particolare alle donne e ai bambini. Con il significativo miglioramento della situazione della sicurezza nella regione, il governo ha ora consentito l'accesso illimitato agli attori umanitari. Ha anche messo in atto un sistema di sdoganamento accelerato per rimuovere gli ostacoli burocratici per ottenere i permessi necessari per operare nella regione. Di conseguenza, il Direttore Esecutivo del Programma Alimentare Mondiale (WFP), David Beasley, ha confermato gli importanti progressi compiuti nella risposta umanitaria, sottolineando anche la necessità di fare di più. La comunità internazionale deve rispondere al suo urgente appello per maggiori risorse per aumentare le operazioni di soccorso in corso, invece di lamentarsi continuamente della terribile situazione umanitaria nella regione. D'altra parte, il governo etiope ha reso la sua posizione inequivocabilmente chiara riguardo alle violazioni dei diritti umani e ai crimini presumibilmente commessi nella regione del Tigray.Il governo dell'Etiopia prende molto sul serio la sua responsabilità per la sicurezza, la protezione e il benessere di tutti i cittadini etiopici. Questo è il motivo per cui è pienamente impegnata a intraprendere indagini approfondite per arrivare al fondo della questione e assicurare gli autori alla giustizia. A questo proposito, il governo non solo ha accolto con favore il sostegno di esperti internazionali di diritti umani, ma ha anche segnalato la possibilità di collaborazione su indagini congiunte con gli organi competenti per i diritti umani. Pertanto, il governo ha dimostrato la sua determinazione a impegnarsi in modo positivo e costruttivo rispondendo alle due principali richieste della comunità internazionale, ovvero accesso illimitato per la fornitura di assistenza umanitaria e indagini indipendenti sulle presunte violazioni dei diritti umani e sui crimini commessi nella regione del Tigray. Queste sono anche le principali questioni sollevate dal Segretario di Stato americano, Antony J. Blinken nel suo comunicato stampa diffuso il 27 febbraio 2021. Tuttavia, è deplorevole il tentativo nel suddetto comunicato da parte degli Stati Uniti di pronunciarsi su affari interni dell'Etiopia e in particolare in riferimento alla ridistribuzione delle forze regionali dell'Amhara. Dovrebbe essere chiaro che tali questioni sono di esclusiva responsabilità del governo etiope, che come nazione sovrana è responsabile di dispiegare le necessarie strutture di sicurezza e i mezzi disponibili per garantire lo stato di diritto all'interno di tutti gli angoli dei suoi confini. qualsiasi governo di una nazione sovrana, ha in atto vari principi organizzativi nelle sue strutture federali e regionali che sono responsabili esclusivamente nei confronti del popolo etiope. Il governo federale è incaricato dalla Costituzione di garantire la pace e la sicurezza contro qualsiasi minaccia all'ordine costituzionale del paese. È nello spirito di questa responsabilità e tenendo insieme una nazione da forze traditrici e divisive che il governo federale ha intrapreso le operazioni per lo stato di diritto nel Tigray. L'Etiopia ha un impegno incrollabile a onorare le proprie responsabilità internazionali, nonostante la natura destabilizzante delle sfide che ne sono derivate a causa dell'alto tradimento di una cricca criminale. Tuttavia, il rispetto degli obblighi e delle responsabilità internazionali non dovrebbe essere considerato da alcuna entità come un invito a dettare gli affari interni di una nazione sovrana. credit TesfaNews di Luca Peretti
27 febbraio 2021 Il progetto del collettivo Tezeta con interviste e passeggiate nel quartiere di Roma dove le vie si chiamano Asmara, Libia, Eritrea, Massaua. Per risignificare le strade, ricordare il nostro passato coloniale e raccontare il presente delle migrazioni. «Roma è l’unica città mediorientale che non possiede un quartiere europeo», recita una citazione variamente attribuita e vagamente orientalista. Ma ha un Quartiere Africano, con le sue belle vie e piazze coloniali, viale Libia, Etiopia, Eritrea, Somalia ma anche via Cheren, Makallè, Tripoli, Bengasi, Massaua, Stirpe, Amba Alagi, ricordi ormai lontani di massacri e esplorazioni. Non sono le uniche, a Roma e altrove, come dimostra piazza dei Cinquecento (quella davanti a Termini, che prende il nome dai cinquecento soldati italiani morti nella battaglia di Dogali del 1887) o il rione Cirenaica a Bologna – le cui strade però sono in larga parte dedicate a eroi della resistenza. E mentre all’estero qualche statua viene giù, in Italia almeno vengono sanzionate con vernice rossa e altrove azioni di guerriglia odonomastica mettono in discussione i toponimi coloniali, le vie e le piazze di questo quartiere bene di Roma rimangono sornionamente al loro posto. Del resto questa zona, parte del più ampio quartiere Trieste, per un curioso twist della storia nel dopoguerra è diventato una roccaforte della destra neofascista romana – la più grande croce celtica a forma murales presente a Roma si trova proprio a piazza Gondar (antica capitale imperiale dell’Etiopia). Che fare allora per provare a risignificare queste strade, per dargli un senso nuovo e diverso? È quello che si sono chieste le ragazze del collettivo Tezeta di Roma (Riccardo Preda, Elena Maraviglia, Yodit Estifanos Afewerki, Giulia Zitelli Conti), che hanno deciso di intervistare uomini e donne eritree camminando per queste vie, associando i loro ricordi e suggestioni ai nomi di vie e piazze. «Tezeta – racconta a Dinamo Press Riccardo del collettivo – è una parola in tigrigna e in amarico che vuol dire memoria, ricordi, anche con un’accezione verso nostalgia, melanconia. Quindi unisce questi aspetti con varie sfumature». È infatti un progetto di storia orale che ha avuto il suo momento di restituzione attraverso le visite guidate chiamate “Trekking UrbAfricano. Narrazioni eritree attraverso le vie del quartiere africano di Roma”. Nel corso delle passeggiate, si ascoltano spezzoni delle interviste e i componenti del collettivo che contestualizzano e raccontano pezzi di storia eritrea e del colonialismo italiano. Grande successo e partecipazione nel corso di gennaio e febbraio, tutto esaurito e lunghe liste d’attesa. Il progetto (supportato da ARCS Culture Solidali e Archivio Memorie Migranti nell’ambito del progetto Pinocchio) si concentra sull’Eritrea, la colonia primogenita come veniva chiamata, il territorio africano dove gli italiani rimasero per più tempo. Quella tra Eritrea e Italia è una storia comune, come nota lo storico Sandro Triulzi in una chiacchierata informale alla fine dell’ultima passeggiata organizzata dal collettivo a metà febbraio. «Il progetto – ci dice ancora Riccardo – nasce con delle passeggiate molto spontanee, quasi a braccetto, con gli eritrei nel quartiere, lasciandoli raccontare a ruota libera in base alle suggestioni delle vie e anche dei simboli che troviamo per la strada, come una sbarra. Il percorso invece è una restituzione pubblica che è costruita e va contestualizzato tutto quello che loro raccontano, perché non si sa davvero nulla della storia dell’Eritrea, che è travagliata e complessissima». Si nota però come i racconti vadano oltre il colonialismo, alcuni degli intervistati sono giovani migranti, per estendere appunto questa storia comune ben oltre il 1947 (anno della fine ufficiale dell’esperienza coloniale italiana in Eritrea): «I racconti non sono tutti focalizzati sul colonialismo, cerchiamo comunque di parlarne per toccare questo argomento, però non si può racchiudere le loro storie solo su questo aspetto perché altrimenti li silenziamo di nuovo creando un rapporto di subalternità». La volontà del collettivo, oltre a quella di poter continuare le visite guidate creando anche nuovi percorsi nel quartiere, è di portare il loro lavoro nelle scuole, in classe e fuori con le passeggiate. Il Collettivo Tezeta sarà tra i relatori del corso sul colonialismo italiano organizzato da Dinamo Press. Il corso si terrà dal 22 marzo al 19 aprile. Per iscrizioni e informazioni scrivere a corsidinamopress@gmail.com. Questo articolo fa parte di una serie di articoli sul colonialismo e i suoi resti che Dinamo Press pubblica in preparazione e in contemporanea al corso. Nella foto di copertina Elena e Yodit del Collettivo Tezeta e una delle testimoni del progetto durante la tappa della passeggiata a Via Asmara. Foto di Luca Peretti. credit Dinamo Press |
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Marzo 2024
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