Nelle sue risposte al parlamento di oggi, il Primo Ministro Abiy AhmedAli ha detto che le truppe dell'Eritrea sono state costrette a mantenere posizioni all'interno del Tigray per proteggere la sua sicurezza nazionale a causa del vuoto creato quando l'ENDF ha lasciato le sue posizioni lungo il confine con l'Eritrea per far rispettare la legge in Tigray.
Il PM ha aggiunto che l'esercito eritreo lascerà tali posizioni in Tigray quando l'ENDF sarà in grado di controllare e reclamare il suo territorio sovrano. Ha aggiunto che l'Etiopia incontrerà presto l'Eritrea per discutere e affrontare le questioni che sono emerse. Il primo ministro Abiy Ahmed ha espresso la sua gratitudine per il popolo e il governo dell'Eritrea per il grande sostegno a seguito dell'attacco TPLF all'esercito etiope: "....Prima di tutto, ciò che i nostri amici e nemici devono sapere è quello che hanno fatto il popolo e il governo eritreo quando è stato commesso l'attacco a tradimento contro la Forza di Difesa del Popolo Etiope e contro lo Stato, accogliendo i nostri militari e sostenendoli nella pianificazione delle loro azioni. L'Etiopia sarà per sempre debitrice di questa compassione. Questo non sarà danneggiato ogni volta che gli attivisti faranno una campagna. Una cosa che vorrei che l'onorevole Consiglio osservasse è che le persone ti abbandonano durante il momento del bisogno. Non solo le persone, anche la tua stessa ombra scompare quando cade l'oscurità, solo quando c'è una luce vedi la tua ombra che ti segue, Anche la tua ombra ti segue solo quando c'è una luce, ma scompare quando arriva l'oscurità e non la vedi. La storia dell'Etiopia non dimenticherà mai, le cure fornite dall'Eritrea, quando i nostri soldati fuggivano dalla morte e quando avevano bisogno di aiuto Le persone che vogliono che dimentichiamo, neghiamo o screditiamo questo atto sono solo degli sciocchi. Siamo molto grati al popolo e al governo eritreo per quello che hanno fatto per noi..."
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L'Eritrea respinge la risoluzione offensiva e controproducente che il Consiglio dei ministri dell'UE ha adottato oggi contro di essa.
In quelle che ha definito "misure restrittive per gravi violazioni dei diritti umani", l'UE, nel suo atto doloso, ha specificamente preso di mira l'Ufficio per la Sicurezza Nazionale dell'Eritrea . L'UE non ha prerogative legali o morali per la sua decisione e ha semplicemente invocato accuse inventate per molestare l'Eritrea per altri secondi fini. In effetti, l'UE ha lavorato ostinatamente per salvare e riportare al potere la cricca defunta del TPLF e per minare gli sforzi della regione per affrontare le sfide e promuovere una cooperazione globale e duratura. L'UE ha preso di mira in particolare l'Eritrea nel futile tentativo di creare un cuneo tra l'Eritrea e l'Etiopia. Ministro degli Affari Esteri Asmara 22 marzo 2021 credit Shabait Quando abbiamo fondato l'Agenzia di News del Corno d'Africa nel 1989, il popolo eritreo era in guerra con l'Etiopia. Quando abbiamo fondato il Canale Corno d'Africa, abbiamo vissuto in pace con i nostri vicini etiopi.
In generale, nel Corno d'Africa oggi, la nostra situazione richiede che tutti i paesi della regione, non un paese in particolare, richiede che tutte le forze nazionali del Corno d'Africa cerchino soluzioni di successo che allontanino tutti i paesi della regione, non un paese in particolare, dai dolori e dalle preoccupazioni attuali causate dalle assurde guerre tra i nostri fratelli nella regione negli ultimi sette decenni. Noi siamo operativi da 32 anni sotto lo striscione di pace e sviluppo nel Corno d'Africa. Ora l'agenzia HOA News sta entrando in una nuova fase. Passando dai media di stampa ai media elettronici, questa fase richiede competenze e capacità e per fare spazio alla nuova generazione più informata e capace di affrontare la nuova tecnologia nel nuovo business mediatico, richiede anche di mettere la persona giusta al posto giusto, questo è ciò che l'agenzia e i suoi primi fondatori hanno cercato di ottenere soprattutto dopo il lancio del canale Horn of Africa quasi un anno fa. Poi l'elezione di un nuovo consiglio di amministrazione guidato dal professor Mohamed Hassan, esperto negli affari del corno d'Africa, e dal suo vice, il noto scrittore eritreo e un mediano noto per le sue opinioni di unità e patriottismo in Eritrea e pace nel Corno d'Africa, il compagno Elias Amare, e l'adesione dei compagni, Siyum Segay. Mohammed Saleh Badawy-Tedros Goitom - Osman Saleh Naib, hanno un team di esperienza nei social media e nel lavoro sociale di tre generazioni, gestiscono diversi programmi del canale, oltre a creare un'unità speciale per programmi giovanili. e sezione speciale per programmi in lingue madri, patrimonio e arti folk nel canale, finalità della prima conferenza del canale tenutasi il 20 marzo 2021 tramite trasferimento virtuale, era cristallizzare e adottare tutti questi programmi e presenti loro agli spettatori e ai sostenitori di questo canale. E sono felice di questo evento. Specialmente consegnando la piena responsabilità alla seconda e terza generazione dei figli e delle figlie dell'Eritrea e dei loro fratelli nel Corno d'Africa. Sono anche onorato di stare con loro e sostenerli mettendo la mia umile esperienza al servizio degli obiettivi nazionali, pace e sviluppo nel Corno d'Africa. Quello che non abbiamo menzionato alla conferenza è che tutti i membri del canale sono stati volontari non remunerati da quando è stato fondato il canale. Poiché amano le loro patrie e i loro popoli e credono nella pace nel Corno d'Africa, come è stato visto finora nella conferenza. credit Abdulkadir Bakri Hamdan Affaritaliani.it
L’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti dell’uomo accetta la richiesta etiope per un’indagine congiunta sulle conseguenze umanitarie del conflitto. di Marilena Dolce “Il fantasma del regime repressivo del Tplf (Tigray People’s Liberation Front) durato 27 anni continua a tormentare il Paese”, cioè l’Etiopia. Così si legge in una nota confidenziale redatta da Undp, (United Nations Development Programme) firmata da Achim Steiner e pubblicata dal Foreign Policy lo scorso 16 febbraio. Homo homini lupus direbbe Hobbes, che ben conosceva i peggiori istinti umani, per spiegare l’attacco del Tplf al governo federale di Addis Abeba. Di fatto un blitz, continuato subito dopo sul piano politico e, soprattutto, mediatico. Per capire l’accaduto è necessario partire per prima cosa dalla geografia, poi dalla storia recente. Innanzitutto la regione dove si è svolto lo scontro tra Tplf e governo federale è il Tigray, non il Tigrè, come spesso si scrive. Questo era il nome della regione durante i cinque anni di colonialismo italiano. Oggi invece indica un’etnia eritrea, non la regione a nord dell’Etiopia. La storia del Tplf al governo comincia invece nel 1992, quando Meles Zenawi, capo del partito e vincitore nella lotta contro la giunta del colonnello Menghistu Hailè Mariam, instaura nel paese un federalismo etnico. Nella nuova coalizione governativa, l’Ethiopian People's Revolutionary Democratic Front,(EPRDF), avrebbero dovuto sedere tutti i rappresentanti delle diverse comunità etniche, come stabilito nel 1995 dalla Costituzione. In realtà non andrà proprio così. I tigrini del Tplf, nonostante siano un’etnia minoritaria nel paese, saranno sempre in maggioranza al governo. Al contrario, amhara e oromo, etnie più numerose, resteranno in minoranza. Si forma, come viene detto, una democrazia “imperfetta”, con elezioni ma nessuna reale democratizzazione. Il potere resta nella mani dell’élite tigrina che governa da Addis Abeba. Comunque il governo di Meles, come precedentemente quello dell’imperatore Hailè Selassiè, riceve il forte sostegno dell’Occidente che considera tra l’altro l’Etiopia un importante baluardo cristiano contro il terrorismo islamico. Qualcosa però si incrina nel 2016, quando Hailemarian Desalegn, successore di Meles morto nel 2012, non riesce più a controllare lo stato di crisi e il fortissimo malcontento popolare. Scrive in quegli anni l’analista di Atlantic Council, Bronwyn Bruton che “i recenti accadimenti in Etiopia mettono a nudo la brutalità e l’instabilità di un governo che gli Stati Uniti hanno usato per anni come alleato nella regione. Negli scorsi mesi più di 500 dimostranti sono stati uccisi dalle forze dell’ordine etiopiche nelle strade delle regioni Oromo e Amhara”. Il cambiamento vero arriverà però solo nell’aprile 2018 quando nel Paese, dove vige lo stato d’emergenza, diventa premier Abiy Ahmed, un politico appartenente in parte all’etnia oromo in parte a quella amhara. Abiy è un militare giovane e molto preparato. Un uomo che piace all’interno e all’estero. L’anno successivo riceverà infatti il premio Nobel per la pace. Motivo principale del riconoscimento aver firmato ad Asmara la pace con l’Eritrea, interrompendo così il ventennale gelo tra i due paesi. Finalmente Eritrea ed Etiopia avrebbero ripreso le relazioni, commerciali e umane. Per l’Eritrea termina la difficile condizione di “non guerra non pace” ereditata dal mancato rispetto dell’Accordo di Algeri da parte etiopica, una conseguenza dello scontro del 1998-2000. Di colpo le firme del presidente dell’Eritrea Isaias Afwerki e del primo ministro etiopico Abiy Ahmed, modificano le relazioni politiche di diritto ma, ancora una volta, non di fatto. Lo scontro tra Eritrea ed Etiopia era stato provocato, almeno formalmente, dalla rivendicazione etiopica di una striscia di terreno, comprendente la città di Badme, al confine tra Tigray ed Eritrea. Si tratta di vecchi confini coloniali tracciati con il righello e probabilmente imperfetti, non diversamente da molti altri. Tuttavia il Tplf non vuole che il confine dell’Eritrea indipendente sia, sul fronte del Tigray, la zona intorno a Badme. Verosimilmente non per l’importanza del territorio in sé, ma per il progetto del “Grande Tigray” che dovrebbe comprendere i territori dell’attuale Eritrea e quelli dell’Etiopia, che condividono lingua tigrina ed etnia. Secondo questi parametri nel “Grande Tigray” rientrerebbero l’Eritrea dall’altopiano al porto di Assab oltre al Tigray stesso separato dall’Etiopia. Comunque sia, sta di fatto che nel 2018, dopo la rappacificazione con l’Eritrea, il Tplf, partito che governa il Tigray, decide di non smobilitare militarmente le aree contese. Per intendersi, quando il premier Abiy ordinerà all’esercito, dopo la firma ad Asmara, di ritirarsi dal territorio, il Tplf dirà alla gente del posto di sdraiarsi lungo le strade. I soldati e i loro mezzi non avrebbero potuto passare, se non sui loro corpi. Abiy Ahmed quindi sospende l’operazione. Nello stesso tempo l’Eritrea, che condivide il tentativo di Abiy di provare una mediazione politica con il Tplf, guarda con preoccupazione gli accadimenti. Quello che si prospetta, e che avverrà, è un braccio di ferro tra il nuovo governo e la vecchia guardia tigrina esautorata da poteri e prebende. L’Eritrea decide quindi di appoggiare il premier e non chiede l’immediato sgombro dal confine. Queste le premesse dell’attuale scontro preparato dal Tplf nei due anni passati. “I tigrini, estromessi dal potere politico, se avessero voluto lottare sarebbero rimasti ad Addis Abeba, invece sono andati nel Tigray per preparare un’azione militare”, dice un diplomatico che preferisce parlare con la garanzia dell’anonimato. Il 3 novembre il Tplf apre il fuoco contro le caserme militari dell’Ethiopian Defence Force (EDF), l’arsenale più importante dell’esercito federale che si trova nel Tigray. “L’assalto al Northern Command che ha sede a Mekelle capoluogo della regione, è organizzato in accordo con la numerosa componente tigrina dell’esercito”, spiega il diplomatico. “Loro sapevano dove trovare e come prendere le armi strategiche per continuare la lotta. L’operazione è avvenuta di notte. Hanno tagliato le comunicazioni in modo che Addis Abeba non potesse intervenire subito. È stato un massacro”, dice. “Per fortuna”, continua, “anche se non è bello usare quest’espressione, l’aviazione etiopica è arrivata in tempo per bombardare l’arsenale e iniziare l’attacco via terra e via aerea. I tigrini si sono ritirati velocemente. Si potrebbe dire che la battaglia sia terminata in un lampo, ma politicamente? I tigrini perdendo lo scontro si trovano scoperti su due fronti, verso il governo e verso la popolazione stessa che non voleva la guerra”. “L’ipotesi che taluni fanno”, prosegue “che avrebbero potuto iniziare una resistenza ad oltranza, una guerriglia come avvenuto contro Menghistu negli anni Settanta, non è realistica. Sono bloccati. Non possono andare a nord verso l’Eritrea, ma neppure a sud e non hanno accesso al mare. Quindi sono accerchiati. La loro resa è solo questione di tempo”. Sulla risposta militare etiopica contro il Tplf, dopo l’assalto alla caserma, si esprime con chiarezza l’Undp, (United Nations Development Programme). In una nota informale diffusa dal Foreign Policy, si legge che l’azione del Tplf contro il Northern Command sarebbe stata giudicata “ovunque un atto di guerra. Un attacco che avrebbe innescato una risposta militare di difesa in qualsiasi nazione”. Insomma esercito e aviazione etiopica, intervenuti dopo il superamento di quella che il premier Abiy, aveva definito “la linea rossa”, sono stati costretti a compiere un atto di guerra. Una decisione condivisa dai governatori delle altre regioni etiopiche che appoggiano il governo federale. Il 28 novembre l’esercito riconquista Mekelle. Quelli del Tplf sono definiti da Abiy atti di “terrorismo”. Tra i quali rientra il lancio dal Tigray di razzi su Asmara, capitale dell’Eritrea. Boati e paura ma per fortuna nessun danno. Un atto che tuttavia rende esplicito che, per il Tplf, l’Eritrea resta un nemico. Dopo la presa di Mekelle il primo ministro Abiy dichiara finite le operazioni militari. “Le forze di difesa nazionali”, dice, “non hanno dovuto bombardare la città e gli abitanti di Mekelle per controllare la città”. Fin dall’inizio l’obiettivo del governo di Addis Abeba non è falcidiare la popolazione, che anzi si cerca di proteggere in ogni modo, ma isolare e rendere inoffensiva la milizia Tplf organizzata dal partito. L’Undp, istituzione da anni al lavoro in Etiopia, definisce, nella nota precedentemente citata, la vecchia leadership del Tigray un ostacolo a tutti i programmi di riforma e incolpa i governi stranieri di non aver voluto vedere le molte azioni di sfida del Tplf verso il governo federale. Ora nel Tigray, regione con quasi 6 milioni di abitanti, in un Paese che ne conta più di cento, il conflitto ha creato una grave crisi alimentare. E ad oggi i civili che hanno cercato rifugio nei campi allestiti in Sudan dall’Unhcr (United Nations High Commissioner for Refugees), sono circa 45 mila. Prima dell’ingresso dell’esercito federale a Mekelle però, il 12 novembre, nella piccola città di Mai-Kadra la longa manus del Tplf ordina alle proprie milizie un terribile eccidio su base etnica nel quale muoiono circa 700 civili, per lo più di etnia amhara. Un massacro, lo definisce l’ex sottosegretario di Stato Usa per gli affari africani, Tibor, Nagy che, durante un briefing con ambasciatori e giornalisti, esprime una netta condanna dell’episodio, chiedendo indagini indipendenti. Nagy aggiunge inoltre che il lancio di razzi verso l’Eritrea è un tentativo da parte del Tplf di internazionalizzare il conflitto, per alimentare la fiamma del nazionalismo militante. Sui motivi dello scontro innescato dal Tplf, Nagy, oltre alla secessione del Tigray, ritiene che un obiettivo potesse essere la deposizione violenta del premier Abiy, ostacolo alla supremazia tigrina. Aggiunge, inoltre, una considerazione importante, non si tratta, dice, di un conflitto tra due Stati ma dello scontro tra una fazione, il Tplf, che ha impugnato le armi e il governo federale, che ha risposto. Va anche aggiunto, relativamente al reclutamento di miliziani da parte del Tplf, che sono state aperte le carceri per arruolare 10.000 soldati vestiti, tra l’altro, con divise uguali a quelle eritree, confezionate da un’azienda tessile locale. Quest’ultimo punto, riferito da più testimoni, non solo dai comunicati stampa governativi, è utile per capire l’inizio della seconda fase dello scontro, quello mediatico alimentato da fake news. Il Tplf comincia infatti una sorta di corrispondenza di guerra, decidendo che la lotta è dare false informazioni e immagini alle agenzie umanitarie internazionali e ai giornali esteri, utilizzando pregressi solidi contatti. Colmando così, tra l’altro, il vuoto d’informazioni che ha caratterizzato la prima parte del conflitto. Anche se tali testimonianze e dichiarazioni, non reggeranno la verifica dei fatti, conquisteranno comunque titoloni. In questi giorni la rete ha divulgato una conversazioni privata fra due militanti Tplf che pianificano la strategia di comunicazione per imbrogliare media e organizzazioni internazionali occidentali, “che tanto non distinguono il vero dal falso” e che “una volta arrivati nel Tigray non controlleranno o comunque troveranno quanto già hanno ricevuto”, cioè un racconto precostituito. Mentre da un lato, già il 19 gennaio, il Ministero per la Pace etiopico dice che “la risposta umanitaria nella regione del Tigray” è in corso e che sono stati forniti alimenti e medicine a 2.5 milioni di sfollati, grazie al Centro per il Coordinamento delle Emergenze e alle sue sedi distaccate nel Tigray, e anche grazie alle agenzie internazionali coordinate dall’UNOCHA, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento umanitario, dall’altro il Tplf fornisce alla stampa una storia diversa. A uccidere i civili e a violentare le donne, saccheggiando e rubando nei villaggi, portando via ai contadini persino i sacchi di grano, sarebbero stati i soldati eritrei, invasori del Tigray. A questo proposito va detto che l’Eritrea ha sempre negato il proprio coinvolgimento militare, affermazione confermata anche da Addis Abeba. Il 9 dicembre tra l’altro il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, dichiarava alla stampa estera che “non ci sono prove della presenza dell’esercito eritreo”. Nel frattempo però, con la nuova amministrazione Biden, in America aumentano le preoccupazioni per lo scontro nel Tigray e per il coinvolgimento dell’Eritrea. Il 15 gennaio, la stessa Ocha, lancia un allarme sul mancato aiuto alla popolazione del Tigray, “L’Onu rinnova l’invito perché sia permesso il passaggio sicuro e immediato di personale umanitario e rifornimenti nella regione”. Nella sua risposta il premier Abiy spiega che pace e sicurezza nel Tigray sono l’obiettivo prioritario e che i morti e le sofferenze che si sono verificate durante lo scontro, nonostante gli sforzi per limitarle, gli hanno causato grande angoscia. Rinnova quindi alle agenzie internazionali e all’Onu, l’invito ad agire con il governo etiopico per risollevare il Tigray devastato. Nel frattempo il World Food Programme organizza i primi aiuti. Tuttavia, se Abiy è angosciato per i suoi connazionali, Michelle Bachelet nella relazione all’Alto Commissariato Onu per i Diritti Umani, il 26 febbraio dice di essere “preoccupata per i report che indicano la partecipazione delle truppe eritree nel conflitto del Tigray, accusate, insieme all’esercito etiopico, di gravi violazioni dei diritti umani”. Cioè la Quarantaseiesima sessione di Ginevra mette sul banco degli imputati Eritrea ed Etiopia, senza spendere una parola sul ruolo del Tplf né sull’eccidio di Mai-Kadra. Arriva invece “la profonda preoccupazione” del Segretario di Stato americano Anthony Blinken, che chiede il ritiro delle truppe eritree, osservando la gravità della situazione nel Tigray. L’Etiopia risponderà di ritenere tali affermazioni un’ingerenza americana nei propri affari interni. Dieci giorni dopo il Ministro degli Affari Esteri finlandese, Pekka Haavisto, presenta a Bruxelles gli esiti della sua missione in Etiopia e nei campi profughi in Sudan, definendo la situazione, sia dal punto di vista militare, sia umanitario “fuori controllo”. Quanto alla presenza o meno di truppe eritree, dice che “la questione è delicata”, motivo per cui non “abbiamo una risposta chiara”. Alle sue dichiarazioni l’Etiopia risponde con un comunicato stampa in cui si legge che il ministro Haavisto avrebbe potuto recarsi nel Tigray, invece di visitare solo i campi profughi in Sudan per poi rientrare ad Addis Abeba. Il governo etiopico respinge l’accusa di non avere la situazione sotto controllo, soprattutto nelle aree “controllate dagli eritrei”. Il 4 marzo a Ginevra l’Alto Commissariato per i Diritti Umani esorta, ancora una volta, l’Etiopia ad aprire le porte del Tigray a “osservatori indipendenti”, per stabilire fatti e responsabilità. E, tra i fatti, emerge la notizia di “gravi “violazioni dei diritti umani, abusi e uccisioni di massa ad Axum”. Nelle stesse ore il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni, riunito per decidere se applicare sanzioni contro l’Etiopia e, forse, contro l’Eritrea, dopo le “reiterate denunce di massacri e violenze contro la popolazione del Tigray”, chiude il consiglio con un nulla di fatto. Le dichiarazioni presentate, infatti, non trovano il sostegno di Russia, Cina e India, che definiscono la questione del Tigray “un affare interno all’Etiopia”. Il 24 marzo il primo ministro Abiy consegna alla stampa un documento che riassume, in più punti, la situazione. Si enumerano le agenzie internazionali già presenti nel Tigray, come per esempio l’Unhcr, la quantità di aiuti distribuiti e, soprattutto, si accreditano sette testate internazionali. Si spezza così il silenzio stampa. Al Jazeera, Associated Press, New York Times, France 24, Reuters, BBC e Financial Times possono andare nel Tigray. È l’assenza di informazioni ad aver facilitato, da parte del Tplf, l’utilizzo dei social network per diffondere capillarmente la propria versione dei fatti. Una per tutte, l’intervista al prete etiopico che racconta in televisione il massacro di Axum. In realtà è una recita. Non si tratta di un prete che vive nel Tigray ma di un signore etiopico che vive e lavora a Boston. Sempre secondo il Tplf , Axum, simbolo della cristianità, sarebbe stato a fine novembre teatro di un massacro costato la vita a “cento civili” inermi. Il governo etiopico risponde immediatamente ripetendo, ancora una volta, che le organizzazioni internazionali devono andare nella zona, non possono divulgare affermazioni non verificate raccolte nei campi profughi. E comunque anche il massacro di Axum è una notizia falsa. Un filmato dalle televisioni locali, messo in onda durante il festeggiamento mostra moltissime persone davanti alla chiesa di Santa Maria di Sion, proprio il 30 novembre, giorno seguente a quello del presunto massacro. Inoltre l’immagine postata sui social che mostrerebbe i morti di Axum allineati sul terreno, è in realtà una foto che si riferisce a un attacco di Boko Haram in Nigeria. Anche Amnesty International cade nelle maglie del Tplf. Chi scrive il documento sullo scontro nel Tigray è un uomo, Fisshea Tekle, che non ha mai nascosto la propria vicinanza al partito. Le testimonianza ad hoc raccolte, grazie alla garanzia dell’anonimato, narrano nuovamente una verità impartita. Alcuni testimoni sarebbero stati persino contatti via telefono, nonostante nel Tigray le comunicazioni in quei giorni non funzionassero. Sul rapporto di Amnesty International si esprime una giovane donna eritrea, Aida, che vive e lavora da alcuni anni in Italia, come mediatrice culturale. “Sono stata una soldatessa e posso dire che, anche culturalmente, noi eritrei siamo distanti dalla violenza gratuita. È la prima cosa che impariamo durante il nostro addestramento militare. Perciò non immagino che i soldati eritrei, posto che ci fossero, abbiano commesso le azioni di cui sono accusati. Per prima cosa noi soldati impariamo la disciplina e il trattamento umano del nemico. Questo è un insegnamento che deriva dalla nostra guerra trentennale (ndr,1961-1991, i guerriglieri eritrei lottano contro l’Etiopia per l’indipendenza). Mia mamma che è stata una combattente mi diceva che i soldati etiopici catturati erano trattati nel massimo rispetto per i diritti umani”. Che questo avvenisse è confermato anche dal lungo reportage di Guido Votano, che intervistò negli anni Settanta, molti soldati etiopici catturati e trattati con giustizia dai guerriglieri eritrei. Le chiedo cosa pensa del conflitto tra Tplf ed Etiopia. “Non è la nostra guerra”, risponde, “di guerre l’Eritrea ne ha avute abbastanza. Ora vogliamo convivere in pace con l’Etiopia. È il Tplf a non volere una situazione tranquilla” . I testimoni interrogati da Amnesty dicono di aver riconosciuto che i soldati fossero eritrei perché calzavano gli shidda, i sandali di gomma tipici dei guerriglieri. “Gli shidda” commenta Aida “sono stati usati dai nostri genitori. Erano appunto i sandali in plastica dei guerriglieri. Ora noi militari usiamo gli anfibi. Gli shidda si indossano solo a Sawa, (ndr, il campo d’addestramento) durante le esercitazioni perché fa molto caldo. Sono senza dubbio un’icona ma i militari non li usano più”. E l’Italia, cosa pensa dello scontro in atto nel Tigray? Secondo Mario Giro, ex viceministro agli Affari Esteri, l’Italia dovrebbe intervenire politicamente. Gli chiedo se, secondo lui, il Tplf sarà sconfitto dalle forze federali. “No”, risponde, “sono forti, resisteranno. Ora però il conflitto è anche tra Tplf e amhara, ai quali, quando i tigrini erano al potere, hanno portato via le terre che adesso loro rivogliono. È un conflitto a porte chiuse”. Porte chiuse che ora però si stanno un po’ aprendo. Oltre ai giornalisti, il 10 marzo quaranta tra ambasciatori e diplomatici residenti ad Addis Abeba sono andati nel Tigray, a Mekelle, per vedere la situazione. Un’ultima considerazione. In Occidente le guerre o le tragedie quando sono distanti sono raccontate con più enfasi che certezze. Come quando in Etiopia, nel 1985, sotto la dittatura di Menghistu Hailè Mariam, si è scatenata una terribile carestia e l’Occidente, con giornali e televisioni, è corsa in aiuto. Pur nella tragedia c’erano famiglie e persone che cercavano di organizzarsi, di resistere con dignità, ma non era quello che le televisioni volevano mostrare. Come scrive a questo proposito Francesca Melandri in “Sangue giusto”, “i telegiornali di tutto il mondo ripetevano la formula, un milione di morti. Un antropologo obiettò che la cifra reale, nell’ordine delle centinaia di migliaia, era già atroce abbastanza e che renderla così rotonda e teatrale era un segno più della pubblica bulimia di emozioni forti che di rispetto per le vittime. Fu tacciato di mancanza di compassione”. Ecco direi che nel Tigray è in corso anche questa guerra, tra bulimia di immagini forti e compassione. credit Affaritaliani.it Il governo dell'Etiopia chiede ai leader politici e militari del TPLF, sospettati di aver svolto un ruolo chiave nel crimine, ad arrendersi pacificamente alle forze dell'ordine.
credit Ghideon Musa Aron L'Ambasciatore della Federazione Russa nello Stato dell'Eritrea A. A. Yarakhmedov ha avuto un incontro con il Commissario per la Cultura e lo Sport dell'Eritrea Z. Tekle per discutere l'invio di un lotto di vaccino Sputnik V per gli atleti eritrei.
credit Ghideon Musa Aron 16 mar 2021 - "Con esemplare impegno, per oltre settant’anni, ha contribuito a rafforzare i legami di amicizia tra i popoli italiano ed eritreo, facendosi apprezzare e amare come insegnante ed educatrice religiosa da intere generazioni di giovani"
L’Ambasciatore italiano in Eritrea Marco Mancini ha oggi consegnato una targa alla missionaria Comboniana, Giovanna Comencini, nota come Suor Giannantonia, classe 1920, veronese, giunta in Eritrea nel 1948 e attualmente ospitata nella casa delle consorelle all’Asmara, dove si è tenuta la piccola cerimonia. L’iniziativa, nata su impulso della Vice Ministra degli Esteri Marina Sereni, vuole rappresentare un riconoscimento alla grande opera pluridecennale svolta dalla religiosa nel Paese africano, come scritto sulla targa: “A Suor Giovanna, che con esemplare impegno, per oltre settant’anni, ha contribuito a rafforzare i legami di amicizia tra i popoli italiano ed eritreo, facendosi apprezzare e amare come insegnante ed educatrice religiosa da intere generazioni di giovani, va il profondo riconoscimento e la gratitudine dell’Ambasciata d’Italia all’Asmara”. “Poche altre gesta possano competere, - scrive a sua volta Sereni in una lettera letta dall’Ambasciatore - nell’illuminare il nostro cammino e nell’associare il nome del nostro Paese all’immagine del Bene nel suo senso più profondo, con un impegno pluridecennale, indefesso e disinteressato, a favore dell’Altro, quale quello testimoniato giorno dopo giorno da Suor Giannantonia. È a persone come lei che dobbiamo parte non piccola della nostra civiltà”. credit La Gente d'Italia Il 10 marzo, l'Ambasciatore della Federazione Russa nello Stato dell'Eritrea A.A.Yarakhmedov ha avuto un incontro con il Capo degli Affari economici del PFDJ H.Ghebrehiwet per informare sul vaccino russo Sputnik V
Ancora un altro rapporto, questa volta di Human Rights Watch, che rigurgita le bugie e le invenzioni che hanno fatto il giro dei principali media. Questo sembra aver preso spunto da tutte le verifiche dei fatti dei rapporti precedenti e ha cercato di farlo sembrare più convincente ma come al solito i fatti dimostrano che anche questo era solo un altro ingranaggio nella ben oliata campagna diffamatoria anti-eritrea in corso perpetuato da artisti del calibro di HRW, Amnesty, BBC, CNN e persino il nuovo ragazzo del quartiere, Al Jazeera. Esaminiamo alcune delle ovvie contraddizioni indicate nella relazione. Fatto 1: il rapporto afferma quanto segue: "Dopo che la milizia del Tigray e i residenti di Axum hanno attaccato le forze eritree il 28 novembre, le forze eritree, in apparente rappresaglia, hanno sparato a morte e sommariamente ucciso diverse centinaia di residenti, per lo più uomini e ragazzi, nell'arco di 24 ore". “Un uomo ha osservato i residenti che si dirigevano verso la collina dal suo hotel:“ Ho visto qualcuno che teneva in mano due pistole. Ha chiesto: "Come faccio a sparare a queste pistole?" Un ragazzino si stava unendo alla battaglia ". Più tardi, ha visto cecchini eritrei sparare ai giovani della città ea quelli che cercavano di salire sulla montagna. "Il ragazzo che è passato davanti all'albergo è caduto dalla montagna", ha detto l'uomo. "Non aveva più di 12 anni" Se davvero questo è vero, allora perché la milizia del Tigray coinvolgeva i residenti "civili" di Axum e perché i civili non sono rimasti fuori dal conflitto? Perché il rapporto li chiama "residenti" in una frase quando sparano alle forze [eritree] e li trasforma improvvisamente in "civili innocenti" una volta che le forze a cui hanno sparato si vendicano contro di loro? Cosa fanno le forze che sono sotto attacco (da parte dei residenti o meno)? Hanno risposto al tiro! I colpevoli non dovrebbero essere i miliziani del Tigray che, con ogni probabilità, stavano usando questi residenti come scudi umani? Una volta che un civile “(che si tratti di un ragazzo di 12 anni) prende una pistola e si impegna a combattere, non sono più civili. HRW ne tralascia convenientemente. Fatto 2: il rapporto afferma: "Gli attacchi ad Axum sono seguiti a settimane di combattimenti tra l'esercito etiope e le forze alleate della regione di Amhara e le truppe eritree contro le forze affiliate all'ex partito al governo della regione, il Fronte di liberazione popolare del Tigray". Come per tutti gli altri rapporti in circolazione, si sta compiendo uno sforzo distinto per dividere le forze di difesa etiopi lungo linee etniche sostenendo che si trattava delle forze speciali della regione di Amhara e non dell'esercito etiope, ecc. Ciò è in linea con il manifesto del TPLF. di dividere il paese lungo linee etniche. Le forze Amhara o qualsiasi altra forza che ha combattuto il TPLF sotto la bandiera etiope sono etiopi! Erano sotto il comando dell'esercito etiope, quindi rapporti come il tentativo di HRW di creare un divario lungo linee etniche sono solo un'estensione dell'orrenda politica di divide et impera basata sull'etnia del defunto TPLF Fatto 3: il rapporto afferma: "Tra dicembre 2020 e febbraio 2021, Human Rights Watch ha intervistato telefonicamente 28 testimoni e vittime di abusi e i loro parenti ad Axum ed ha esaminato i video degli attacchi e delle loro conseguenze". HRW non ci dice chi sono questi 28 testimoni, quando e come sono stati intervistati se non dicendo che era per telefono. Si presume che debbano aver condotto le interviste in tigrigna, quindi devono aver usato traduttori per questo, che con ogni probabilità saranno tigrini. Come si può basare un rapporto così serio sulle interviste - ammesso che gli si possa attribuire un tale merito - di 28 persone, condotte per telefono, tradotte da traduttori del Tigrai offesi e portarle avanti come prove? Per quanto ne sappiamo, potrebbero non essere state intervistate nemmeno 28 persone. Questo non vedrebbe mai la luce in un tribunale di tutti i giorni in nessuna giurisdizione. Nello stesso paragrafo, sembra che HRW, essendosi reso conto delle critiche dei rapporti precedenti, abbia deciso di includere riprese video a sostegno delle sue accuse. Forniva video ma i video non mostrano nulla per supportare anche vagamente le loro affermazioni selvagge. Nel video che si presume mostri i combattimenti ad Aksum, vediamo lo skyline di Aksum e colpi di pistola molto chiari e distinti sparati. Nessuna clip di persone che sparano o vengono colpite da colpi di arma da fuoco, solo l'orizzonte e il suono molto chiaro degli spari. Questa dovrebbe essere stata una registrazione dei combattimenti effettivi. Non ci vuole un esperto forense per rendersi conto che il suono degli spari era sovrapposto al video. Anche se non lo fosse, tutto ciò che dice il video era che c'erano colpi di arma da fuoco - nemmeno colpi sparati in una feroce battaglia - solo colpi di pistola. Nessuno nega che ci siano stati combattimenti in corso, ma affermare che questo video dimostra ciò che stanno affermando mostra quanto si stanno aggrappando alla paglia per portare avanti il loro programma. Fatto n. 4 Il rapporto afferma: "I sopravvissuti hanno costantemente identificato le truppe eritree dai veicoli con targhe eritree, le loro uniformi distintive, il dialetto parlato del tigrino e le loro scarpe di plastica" congo ", indossate dalle forze eritree sin dalla lotta di liberazione". Ancora una volta HRW sembra aver fatto i compiti e corretto la versione dei precedenti rapporti secondo cui i sopravvissuti identificavano le forze eritree perché parlavano arabo. HRW ora afferma che stavano effettivamente parlando il tigrigna anche se un "dialetto parlato". Mentre sembra strano chiamare dialetto una lingua principale (una delle lingue di lavoro dell'Eritrea), tuttavia solo perché le forze parlavano un "dialetto" del tigrigna non significa che fossero forze eritree. Per quanto riguarda le "scarpe di plastica" congo "che apparentemente identificavano le forze eritree, HRW non si rendeva conto che nel suo sforzo senza fine di simulare e essere all'altezza dell'EPLF, il TPLF arrivò persino a copiare il "congo " e persino stabilire una fabbrica nel Tigray che produce questi sandali fino ad oggi? Chiunque sia stato nel Tigray vedrà gente andare in giro indossando questi sandali. Allora come possono essere presi come prova? In effetti, in uno dei video pubblicati in questo report di HRW, c'è una persona tigrina che indossa proprio questi sandali. Meno si parla delle uniformi, meglio è perché non solo i due eserciti hanno uniformi dall'aspetto molto simile, ma è un fatto ben documentato che il TPLF ha prodotto uniformi simili alle forze eritree proprio per questo scopo di attribuire le atrocità che hanno commesso, agli eritrei. . Per quanto riguarda le targhe eritree, ebbene come è diventato così difficile fornire materiale fotografico o video anche di almeno un camion militare con targhe eritree ma era apparentemente facile riprendere il combattimento vero e proprio? Non è stato un solo camion eritreo danneggiato nei combattimenti o bruciato che non riusciamo nemmeno a trovare una singola foto di una targa eritrea? O forse, solo forse, non erano lì in primo luogo! Infine, anche se l'elenco potrebbe continuare all'infinito, Fatto n. 5: il rapporto afferma inoltre: “Watch stima che più di 200 civili siano stati probabilmente uccisi solo il 28-29 novembre. Human Rights Watch ha anche ricevuto un elenco di 166 nomi di vittime presumibilmente uccise ad Axum a novembre, 21 dei quali corrispondono ai nomi delle persone uccise il 28 e 29 novembre forniti da testimoni intervistati". Se HRW è davvero interessato alla verità, allora sarebbe bene esaminare questo video della celebrazione - anche se molto sommessa - della festa di Santa Maria di Sion, ad Aksum, il 30 novembre 2020, un giorno dopo di quando si suppone che si sia verificato un orribile massacro e la gente sarebbe andata in giro a seppellire i propri morti. Poi gli avvoltoi e le iene che mangiavano i cadaveri... Com'è possibile umanamente che nessuna delle persone che partecipano a questo festival religioso, a parte lamentarsi del fatto che il numero di partecipanti era molto inferiore rispetto agli anni precedenti, non abbia nemmeno menzionato di aver visto cadaveri in giro per la città? È perché non ce n'erano. L'intera storia del massacro è stata creata dal TPLF e dai suoi tirapiedi per attaccare semplicemente l'Eritrea e creare una divisione tra Etiopia ed Eritrea. Un tema comune nei rapporti è la tendenza a scagionare l'esercito etiope e ad attribuire la colpa alle forze eritree e amhara - divide et impera al meglio del TPLF! In chiusura, l'autore del rapporto, una certa Laetitia Bader, che ha fatto di vivere della miseria altrui una professione, ha incluso due lettere che HRW ha scritto ai governi eritreo ed etiope chiedendo, tra le altre cose, le regole di ingaggio delle loro forze. nel conflitto del Tigray. O questa donna soffre di una sorta di "Complesso Tarzan-Jane" in cui pensa che come donna bianca nel mezzo della giungla dell'Africa, anche gli animali saranno a sua completa disposizione o soffre di illusioni di grandezza e pensa che HRW sia una ONG così rispettata e venerata [che vive di donazioni e donazioni politiche, compreso il sostegno sostanziale dell'ormai defunto TPLF] che Addis Abeba e Asmara risponderanno persino alla sua lettera arrogante e razzista. Spacciare e rigurgitare le stesse bugie non le rende vere. Le persone potrebbero crederci, ma non significa che siano vere. Ma poi di nuovo, organizzazioni come HRW e il loro direttore non sono realmente interessati alla verità. La verità non genera entrate per pagare i loro stipendi e mantenere lo stile di vita che conducono. Come sempre, la verità prevarrà! di Sara Isaias credit EritreaCompass |
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Settembre 2024
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