di Luca Peretti
27 febbraio 2021 Il progetto del collettivo Tezeta con interviste e passeggiate nel quartiere di Roma dove le vie si chiamano Asmara, Libia, Eritrea, Massaua. Per risignificare le strade, ricordare il nostro passato coloniale e raccontare il presente delle migrazioni. «Roma è l’unica città mediorientale che non possiede un quartiere europeo», recita una citazione variamente attribuita e vagamente orientalista. Ma ha un Quartiere Africano, con le sue belle vie e piazze coloniali, viale Libia, Etiopia, Eritrea, Somalia ma anche via Cheren, Makallè, Tripoli, Bengasi, Massaua, Stirpe, Amba Alagi, ricordi ormai lontani di massacri e esplorazioni. Non sono le uniche, a Roma e altrove, come dimostra piazza dei Cinquecento (quella davanti a Termini, che prende il nome dai cinquecento soldati italiani morti nella battaglia di Dogali del 1887) o il rione Cirenaica a Bologna – le cui strade però sono in larga parte dedicate a eroi della resistenza. E mentre all’estero qualche statua viene giù, in Italia almeno vengono sanzionate con vernice rossa e altrove azioni di guerriglia odonomastica mettono in discussione i toponimi coloniali, le vie e le piazze di questo quartiere bene di Roma rimangono sornionamente al loro posto. Del resto questa zona, parte del più ampio quartiere Trieste, per un curioso twist della storia nel dopoguerra è diventato una roccaforte della destra neofascista romana – la più grande croce celtica a forma murales presente a Roma si trova proprio a piazza Gondar (antica capitale imperiale dell’Etiopia). Che fare allora per provare a risignificare queste strade, per dargli un senso nuovo e diverso? È quello che si sono chieste le ragazze del collettivo Tezeta di Roma (Riccardo Preda, Elena Maraviglia, Yodit Estifanos Afewerki, Giulia Zitelli Conti), che hanno deciso di intervistare uomini e donne eritree camminando per queste vie, associando i loro ricordi e suggestioni ai nomi di vie e piazze. «Tezeta – racconta a Dinamo Press Riccardo del collettivo – è una parola in tigrigna e in amarico che vuol dire memoria, ricordi, anche con un’accezione verso nostalgia, melanconia. Quindi unisce questi aspetti con varie sfumature». È infatti un progetto di storia orale che ha avuto il suo momento di restituzione attraverso le visite guidate chiamate “Trekking UrbAfricano. Narrazioni eritree attraverso le vie del quartiere africano di Roma”. Nel corso delle passeggiate, si ascoltano spezzoni delle interviste e i componenti del collettivo che contestualizzano e raccontano pezzi di storia eritrea e del colonialismo italiano. Grande successo e partecipazione nel corso di gennaio e febbraio, tutto esaurito e lunghe liste d’attesa. Il progetto (supportato da ARCS Culture Solidali e Archivio Memorie Migranti nell’ambito del progetto Pinocchio) si concentra sull’Eritrea, la colonia primogenita come veniva chiamata, il territorio africano dove gli italiani rimasero per più tempo. Quella tra Eritrea e Italia è una storia comune, come nota lo storico Sandro Triulzi in una chiacchierata informale alla fine dell’ultima passeggiata organizzata dal collettivo a metà febbraio. «Il progetto – ci dice ancora Riccardo – nasce con delle passeggiate molto spontanee, quasi a braccetto, con gli eritrei nel quartiere, lasciandoli raccontare a ruota libera in base alle suggestioni delle vie e anche dei simboli che troviamo per la strada, come una sbarra. Il percorso invece è una restituzione pubblica che è costruita e va contestualizzato tutto quello che loro raccontano, perché non si sa davvero nulla della storia dell’Eritrea, che è travagliata e complessissima». Si nota però come i racconti vadano oltre il colonialismo, alcuni degli intervistati sono giovani migranti, per estendere appunto questa storia comune ben oltre il 1947 (anno della fine ufficiale dell’esperienza coloniale italiana in Eritrea): «I racconti non sono tutti focalizzati sul colonialismo, cerchiamo comunque di parlarne per toccare questo argomento, però non si può racchiudere le loro storie solo su questo aspetto perché altrimenti li silenziamo di nuovo creando un rapporto di subalternità». La volontà del collettivo, oltre a quella di poter continuare le visite guidate creando anche nuovi percorsi nel quartiere, è di portare il loro lavoro nelle scuole, in classe e fuori con le passeggiate. Il Collettivo Tezeta sarà tra i relatori del corso sul colonialismo italiano organizzato da Dinamo Press. Il corso si terrà dal 22 marzo al 19 aprile. Per iscrizioni e informazioni scrivere a [email protected]. Questo articolo fa parte di una serie di articoli sul colonialismo e i suoi resti che Dinamo Press pubblica in preparazione e in contemporanea al corso. Nella foto di copertina Elena e Yodit del Collettivo Tezeta e una delle testimoni del progetto durante la tappa della passeggiata a Via Asmara. Foto di Luca Peretti. credit Dinamo Press
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