Gli incontri in corso a Roma tra Italia e Paesi africani daranno contenuto al Piano Mattei. Sul seguito delle proposte, i prossimi mesi saranno la "prova del 9"
di Marilena Dolce (Affaritaliani.it) Roma, il Vertice Italia-Africa consacra ufficialmente il via della guida italiana alla presidenza del G7 Si sono spente le luci sul Vertice Italia-Africa, “un ponte per una crescita comune”, andato in scena a Roma domenica e lunedì scorso. Più che spente però bisognerebbe dire che si sono abbassate, perché i lavori tra delegazioni africane e governo italiano sono ancora in corso. Il Vertice infatti è stato solo l’inizio o, come si è detto, la “cornice” per dare un contenuto al “Piano Mattei per l’Africa”. Ricapitolando, la scorsa settimana sono arrivati a Roma, accolti domenica sera a cena al Quirinale, 13 capi di Stato, 9 capi di Governo, 5 vice presidenti, con i rappresentanti di 25 organizzazioni internazionali, molte con sede in città. A loro vanno aggiunti ministri e ambasciatori dei 46 Paesi africani che hanno aderito al Vertice: Algeria, Angola, Benin, Botswana, Burundi, Camerun, Capo Verde, Ciad, Comore, Repubblica Del Congo, Costa D’Avorio, Egitto, Eritrea, Eswatini, Etiopia, Gambia, Ghana, Gibuti, Guinea Bissau, Guinea Equatoriale, Kenya, Leshoto, Libia, Madagascar, Malawi, Marocco, Mauritania, Mauritius, Mozambico, Namibia, RCA, RDC, Ruanda, Sao Tomè e Principe, Senegal, Seychelles, Sierra Leone, Somalia, Sud Sudan, Sudafrica, Tanzania, Togo, Tunisia, Uganda, Zambia, Zimbawe. La mattina di lunedì 29 la premier Giorgia Meloni, ha accolto in Senato capi di Stato e di Governo, nonché rappresentanti di Unione Europea, Unione Africana, e organizzazioni delle Nazioni Unite. Perché in Senato e non alla Farnesina? “Perché”, spiega la premier Meloni, questa conferenza che “in passato si è sempre tenuta a livello ministeriale” quest’anno è stata elevata a Vertice, con capi di Stato e di Governo. “Anche questa una scelta che ribadisce la centralità e la rilevanza che l’Italia attribuisce al rapporto con le Nazioni africane”. Un Vertice che avvia di fatto l’anno di presidenza italiana del G7, durante il quale “l’Africa avrà un posto d’onore”. Una scelta dell’Italia che crede nel proprio ruolo di “ponte” tra Europa e Africa. Nella presentazione del Piano Mattei ritornano molto spesso parole come cooperazione da pari a pari, condivisione, partnership. Uno sforzo e una ricerca di vocaboli per scacciare l’ombra predatoria colonialista e post colonialista, che l’Africa non ha certo dimenticato. Del resto, nel suo saluto agli ospiti il Presidente Sergio Mattarella ha citato il proverbio africano che dice, “se vuoi andare veloce corri da solo, se vuoi andare lontano corri in gruppo”. Un gruppo, Africa e Europa che vuole fare scelte condivise, senza carità che, com’è ormai noto, fa del bene più a chi dà che a chi riceve. Tornando al Piano al centro della strategia italiana per l’Africa, perché il richiamo a Mattei fondatore di ENI? Perché Enrico Mattei “vedeva opportunità dove gli altri vedevano difficoltà.” E nel caso attuale le difficoltà, o per meglio dire, le sfide, certo non mancano. Al “Piano” però non sono mancate critiche, anche in questi giorni. Ci si chiede cosa preveda, se non sia una scatola vuota e fumo negli occhi. Un punto sul quale il Vertice ha dato una risposta, anche se certamente non conclusiva. Rivolgendosi ai rappresentanti dei Paesi africani, dopo il saluto del presidente del Senato, Ignazio La Russa, Giorgia Meloni ha detto che il Piano Mattei per l’Africa comincia da cinque punti cruciali: istruzione e formazione, salute, agricoltura, acqua ed energia, cui si affiancheranno gli investimenti per le necessarie infrastrutture. Per avviare il Piano sono previsti 5, 5 miliardi di euro “tra crediti, operazioni a dono e garanzie, di questi, circa 3 miliardi verranno destinati dal Fondo italiano per il clima, mentre gli altri 2 miliardi e mezzo arriveranno dalla cooperazione allo sviluppo. Inoltre ci sarà l’appoggio fornito da istituti finanziari, banche e, per l’Italia, Cassa Deposito e Prestiti che aiuterà gli investimenti privati. Punto centrale del Piano sono gli obiettivi concreti stabiliti con i singoli Paesi. Non è “calato dall’alto”, così come il metodo di lavoro che lo accompagna che prevede la stretta collaborazione con le Nazioni africane coinvolte nei diversi progetti. Cardine del Piano Mattei è la condivisione. Ecco perché per dargli forma e riempire il vuoto della scatola sono necessari tavoli di lavoro allestiti dopo l’arrivo delle delegazioni. Colloqui a latere del Vertice. Un primo gruppo di incontri bilaterali si è svolto ieri, altri sono ancora in corso. La promessa italiana è che alle parole seguiranno i fatti su quanto deciso insieme. Per il momento da Palazzo Chigi le notizie su tali incontri sono scarne. Va anche detto che tutto il Vertice è stato circondato da un alone di “riservatezza” che non ha reso semplice interpretare gli accadimenti. In alcuni casi il Vertice è stata anche l’occasione per incontri tra Paesi. Per esempio il presidente dell’Eritrea, Isaias Afwerki ha avuto colloqui con il presidente del Kenya, William Ruto e della Somalia, Hassan Sheikh Mohamud. Quest’ultimo tra l’altro è uno dei pochi presidenti africani ad aver rilasciato diverse interviste soprattutto sulla spinosa questione del Mar Rosso, per il recente accordo tra Etiopia e Somaliland (autoproclamatasi indipendente nel 1991). “Non so spiegarmi cosa sia successo” ha detto il presidente somalo a Repubblica. “L’Etiopia non ha la capacità da sola di costruire un porto” per conquistare l’agognato accesso al mare, agitando così le acque di un mare in una regione peraltro già in fermento, ha aggiunto, riferendosi alla guerra in Yemen, alle azioni degli Houti, e alla crisi del Sudan. Quanto al premier etiopico Abiy Ahmed, anch’egli presente al Vertice di Roma, ha sorpreso che abbia ricevuto dalla Fao, Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, la Medaglia Agricola, “per la visione, la leadership e l’impegno del suo governo nei confronti della sicurezza alimentare e della nutrizione, nonché per il proseguimento di soluzioni innovative nell’autosufficienza del grano”. Un’autosufficienza aleatoria però, sia per i due anni di guerra nella regione del Tigray, sia per la successiva crisi nella regione Amhara, dove ancora si combatte. Per questo motivo si stima che circa 20 milioni di persone abbiano bisogno di aiuto alimentare. Il World Food Programme teme per il Paese “una lunga marcia verso la fame”. In questi anni nelle regioni del nord, molte persone sono morte per fame, per la mancanza di fertilizzanti che ha decimato i raccolti, per la guerra e gli scontri che hanno reso impossibile il passaggio e lo spostamento delle merci. Solo negli ultimi sei mesi la carestia ha ucciso 400 persone in queste aree. Comunque per Abiy la medaglia FAO non è l’unico “premio”. Il ministro della difesa Guido Crosetto ha restituito all’Etiopia un aereo della flotta imperiale costruito nel 1935, requisito dai fascisti nel 1936. Esposto fino al 1941 nelle sale del Museo dell’aeronautica, l’aereo successivamente è stato trasferito al Museo storico dell’Aeronautica Militare. Ora, restaurato, torna a casa. “È un giorno di grande orgoglio per gli etiopi che celebrano la restituzione ufficiale di 'Tsehay' da parte del governo italiano", ha scritto il premier Abiy su X. Durante l’incontro a Palazzo Madama, dopo la Presidente del Consiglio e il Ministro degli Esteri Antonio Tajani, ha preso la parola il Presidente della Commissione dell’Unione Africana, Moussa Faki. Nel suo intervento, ha detto, “avremmo voluto essere consultati” per le modalità di attuazione del Piano. Inoltre la speranza, ha aggiunto, è che il Piano non resti lettera morta, che passi dalle parole ai fatti. In chiusura ha ripetuto che, per eliminare la povertà è necessario lavorare per la prosperità. Quello di cui l’Africa non ha bisogno invece è della carità, “perché non siamo mendicanti”, ha concluso. La risposta alle sue parole è stata duplice. La prima mediatica. Alcuni giornali italiani hanno parlato di “flop” e “bilancio deludente”, quando non di fallimento del Vertice, attribuendo al Presidente della Commissione dell’Unione Africana il merito di aver seppellito il Piano prima del suo inizio. In realtà una replica alle parole di Moussa Faki è arrivata da Giorgia Meloni e Azali Assoumani presidente delle Comore e pro tempore Presidente dell’Unione Africana, durante la conferenza stampa in chiusura dei lavori. La premier ripete che quello Mattei non è un Piano chiuso. I colloqui in corso in questi giorni gli daranno forma e sostanza, “dopo i lavori di scambio e condivisione” con i singoli Paesi. Solo allora sarà convocata una “cabina di regia” sia per la stesura del Piano stesso sia per renderlo operativo. La necessità di concretezza, richiesta da tutti i partecipanti, è considerata prioritaria. Rispondendo a una domanda sul mancato coinvolgimento dei Paesi africani, come detto in mattinata da Moussa Faki, Azali Assoumani ha detto che, per quanto lo riguardava, riteneva il “Piano molto buono”, aggiungendo che è da attuare, non da contestare. Vedremo tra qualche mese mesi se i colloqui e le promesse di questi giorni avranno un seguito, soprattutto con i Paesi che hanno un forte legame anche storico con l’Italia. credit Affaritaliani
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Settembre 2024
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