Scritto da Leonardo Debbia il 05.01.2017 Un gruppo di ricerca internazionale di archeologi, provenienti da diverse Università italiane (Firenze, Padova e Torino) e da alcune Università straniere (Poitiers, Tarragona, Toulouse), sotto la guida dell’Università della Sapienza di Roma, ha scoperto una serie di impronte fossili, risalenti a circa 800mila anni fa, lasciate da antichi antenati umani. La scoperta è avvenuta ad Aalad-Amo, nella regione orientale di Buia, in Eritrea. L’attribuzione ad Homo erectus sembra la più probabile, dato che quella popolazione di ominidi era l’unica a frequentare quell’area, in quel periodo della storia dell’umanità. Si trattava, tuttavia, come vedremo di seguito, di una specie chiave nell’evoluzione umana. Le impronte fossili -.come sottolineato anche in precedenti casi analoghi – sono estremamente rare. “In Africa ne sono state trovate, finora, solo a Laetoli, in Tanzania, attribuibili a 3,7 milioni di anni fa e a Ileret e Koobi Fora, due siti in Kenia datati su 1,5-1,4 milioni di anni fa”, afferma il paleoantropologo della Sapienza, Alfredo Coppa, che ha coordinato le operazioni di scavo. “Ma nessuna era riconducibile alla transizione tra Pleistocene antico e medio”. Le impronte rinvenute in Eritrea hanno una somiglianza notevole con quelle umane moderne e possono fornire precise indicazioni sull’anatomia del piede e sul modo di locomozione di questi nostri lontani progenitori. L’arcata mediana del piede e l’alluce addotto sono caratteristiche umane distintive, che testimoniano un’andatura efficiente, sia nella camminata che nella corsa. Dal loro esame, si possono desumere inoltre informazioni uniche sulla statura, la massa corporea e la biomeccanica dell’apparato locomotore. Le orme sono state impresse, molto verosimilmente, da più individui che si spostavano su una superficie di circa 26 metri quadrati costituita da un sedimento di limo indurito ed evidentemente soggetto a inondazioni d’acqua. L’orientamento delle tracce è nord-sud, in allineamento con altre orme attribuibili ad animali, probabilmente antilopi, oggi estinte. Prove geologiche suggeriscono che l’area, oggi desertica, sia stata, all’epoca, una zona lacustre circondata da praterie. “L’area dello scavo – afferma Coppa – è caratterizzata da una lunga successione di strati geologici, depositatisi nell’arco di centinaia di migliaia di anni, la cui tipologia ha caratteristiche idonee alla preservazione di resti scheletrici e di superfici fossili. I frammenti umani emersi indicano trattarsi di 5 o 6 individui”. E’ da mettere in evidenza che il periodo di appartenenza di queste impronte, vale a dire il periodo di transizione tra il Pleistocene antico e il medio, riveste particolare rilevanza nell’evoluzione umana, dal momento che da Homo erectus si svilupparono specie umane con cervelli più grandi e corpi più moderni; da cui si evince il ruolo-chiave di questa specie, cui si accennava sopra. La documentazione fossile umana tra 1,3 e 0,5 milioni di anni, in Africa è oltremodo scarsa, particolarmente per quanto riguarda lo scheletro post-craniale. I fossili eritrei, datati sul milione di anni, sono pertanto molto preziosi per colmare questa lacuna. Le caratteristiche anatomiche degli scheletri rappresentano un insieme di tratti antichi e moderni. L’aumento di capacità del cranio, collegato chiaramente con un aumento delle dimensioni del cervello, insieme ad alcuni aspetti più moderni dell’anca costituiscono un indicativo trait d’union con il più moderno Homo Heidelbergensis. da Gaianews.it
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