I recenti fatti di pace e di integrazione che stanno riguardando l'Africa Orientale pongono l'Italia di fronte a dei chiari doveri, morali e non soltanto materiali. I benefici da entrambe le parti possono essere enormi ed ancora tutti da calcolare. Ma è importante avere coraggio. di Filippo Bovo 8 ottobre 2018 - Pochi giorni fa il Corriere della Sera ha pubblicato una lettera firmata dal Viceministro degli Esteri, Emanuela Del Re. Nella lettera, rivolgendosi direttamente al Direttore del prestigioso giornale milanese, Emanuela Del Re non ha usato mezzi termini nel definire l’accordo fra Etiopia ed Eritrea con l’aggettivo di “storico”. Addirittura, “una svolta epocale, che potrebbe portare enormi benefici” dopo aver “provocato un sussulto nell’Africa intera e nel mondo”. Difficile, in effetti, darle torto.Tutto ciò, come viene fatto correttamente notare dal Viceministro, avrà effetti ancor oggi da valutare nel pieno sulla politica e sulla società di entrambi i paesi; e proprio per questo, in ultima analisi, sarà doveroso e necessario, moralmente prima che in base ad altri concetti, che l’Italia svolga un proprio ruolo di presenza, di accompagnatrice e di propiziatrice nel non facile contesto del Corno d’Africa. Non ci si dovrà quindi lasciar prendere da strane ed antistoriche tentazioni neocolonialiste, dalla vaga idea talvolta molto italiana che in giro ci sia qualcuno a cui poter scroccare qualcosa, e via discorrendo; semmai, sarà necessario rendersi conto che, in quanto antica potenza coloniale presente in quella regione, il nostro paese dovrà assumersi delle ben precise responsabilità, nei confronti di tutte le nazioni dell’Africa Orientale. Come ben sappiamo, il retaggio lasciato dalla presenza italiana in Africa Orientale è profondo e continua a resistere ancora oggi, malgrado il passaggio del tempo e le varie vicende che abbondantemente hanno contribuito a ridimensionarlo o a scalfirlo. La comunità italiana in Eritrea, ad oggi, si attesta per esempio ad 800 persone, concentrate soprattutto nella capitale Asmara, che hanno mantenuto una fortissima identità. Molti, del resto, sono i nomi e i cognomi italiani che si possono rinvenire fra coloro che diedero vita ai primi movimenti per l’indipendenza eritrea ben prima dell’inizio della lotta armata avviata da Idris Hamid Awate nel 1961. Si può girare quindi per l’Eritrea e soprattutto per i centri maggiori incontrando insegne intuibilmente italiane, e si può bere la Birra Asmara che altro non è se non la vecchia Birra Melotti, la cui azienda peraltro produce anche il Fernet, prodotto tipicamente italiano, e lo Zibib, una sorta di sambuca all’eritrea decisamente meritevole di un assaggio.
Per le strade dell’Eritrea, cominciando da Asmara, le automobili italiane, in particolare quelle più anziane, sono facili da incontrare e le vecchie FIAT 600 regnano quasi sovrane, tenute peraltro in condizioni impeccabili dai loro orgogliosi proprietari. In generale il lascito non soltanto culturale dell’Italia all’Eritrea è immenso, ed è testimoniato anche dalle varie bellezze architettoniche futuriste che hanno fatto entrare Asmara nel Patrimonio UNESCO: dal Cinema Impero al FIAT Tagliero, fino a Ghezzabanda, il quartiere della celebre Fontana a scalini, dove peraltro sorge anche il monumento ad un celebre russo che però vantava anche origini eritree: Aleksandr Puskin. La storia coloniale italiana è ricordata anche nella Carta Nazionale prodotta dallo Stato di Eritrea e dal suo movimento guida, il Fronte Popolare di Liberazione Eritreo nel frattempo divenuto Fronte Popolare per la Democrazia e la Giustizia, e proprio in quel documento viene analizzata nel bene e nel male che ha prodotto. Lo stesso trattamento, del resto, viene riservato anche alla successiva dominazione etiopica. All’Italia, in generale, si riconoscono meriti importanti, legati non soltanto alla sua comunità in Eritrea ma anche alle possibilità che la diaspora eritrea ha potuto svolgere nel nostro paese. Non è certamente un mistero che, dopo i primissimi festival svolti nell’allora Germania Occidentale, i successivi si siano tenuti proprio in Italia, soprattutto a Bologna, dove il sostegno dato anche dalle giunte regionali e comunali fu fondamentale per fornire un aiuto ai combattenti e ai sostenitori della causa del FPLE. A ciò, inoltre, andrebbe aggiunto anche il sostegno garantito soprattutto dal Partito Socialista Italiano, che a quel tempo simpatizzava moltissimo per gli eritrei. Anche queste sono ragioni di gratitudine, che paradossalmente la gran parte degli italiani ignorano. Volendo essere pignoli, potremmo ricordare come l’Italia continui ancora ad erogare una sia pur modestissima pensione agli ultimi Ascari ancora in vita. Costoro, leggendari combattenti delle truppe coloniali italiane, somale ed eritree in primo luogo, furono sempre guerrieri fedeli e sorsero dalle ceneri dei cosiddetti “basci-buzuk”, mercenari turchi o egiziani irregolari che gli italiani avevano trovato sul territorio eritreo quando conquistarono il territorio della cosiddetta “Colonia Primogenita”, dopo che era stata evacuata dalle peraltro evanescenti autorità egiziano-ottomane. Agli Ascari veniva dato ogni anno una pensione militare di 150 euro, e quando venne loro proposta una liquidazione di quasi mille euro si rifiutarono, sebbene potesse quasi essere per loro conveniente; e questo perché volevano continuare a presentarsi in Ambasciata ad onorare la loro antica bandiera, ovvero il nostro Tricolore. Dunque, gli elementi che richiamano l’Italia all’Africa Orientale ci sono ed abbondano pure: abbiamo fin troppe buone ragioni per svolgere un ruolo di accompagnamento in quella regione e per facilitare e propiziare i processi di pace e di integrazione che al momento sono sul tavolo e che hanno già il vento in poppa dato il forte sostegno di tutta la popolazione etiopica ed eritrea. E’ la nostra ultima carta: fin troppe volte abbiamo visto delegazioni recarsi in questi paesi a mani vuote, in particolare in Eritrea, promettendo ciò che non poteva essere promesso e rimediando soltanto figure meschine. Dal momento che la credibilità ce la siamo già in buona parte giocata, cerchiamo quantomeno di recuperarla cominciando una volta per tutte a comportarci bene. Il futuro di intere popolazioni, il loro benessere e la loro sicurezza, non possono assolutamente essere barattati con l’approssimazione o l’inconsistenza dei soliti traffichini. La questione migratoria è sicuramente importante: ma proprio per questo motivo deve essere chiaro che non si potrà parlare di simili argomenti, con Asmara o Addis Abeba, e men che meno con Mogadiscio, finché non si capirà quanto perverso sia l’intreccio dove l’Unione Europea è andata a cacciarsi negli ultimi anni per colpa della vecchia Amministrazione Obama. Quest’ultima, ereditando certe posizioni dalla precedente Amministrazione Bush, nel tentativo di criminalizzare a tutti i costi l’Eritrea per non essersi fatta sottomettere dall’Etiopia allora guidata dal Fronte Popolare di Liberazione del Tigray di Meles Zenawi, accusò Asmara di aver fatto strani traffici in Somalia con gli Al-Shabaab. Si scoprì ben presto che non vi era nulla di vero, ma intanto nel 2009 e nel 2011 erano state varate dall’ONU delle sanzioni severissime, peggiori persino di quelle indette contro la Corea del Nord e l’Iran. Così, dovendosi adeguare al mandato americano, Bruxelles avviò una politica del “fare i ponti d’oro” a chiunque uscisse dall’Eritrea per cercare rifugio in Europa. Ciò, però, in un simile contesto ha indotto molti etiopici, somali e sudanesi a venire in Europa a loro volta, spacciandosi per eritrei. Passati i due anni necessari all’identificazione, si scopre poi che il 70% di coloro che in Europa si dichiarano come eritrei sono invece provenienti da questi altri paesi. Pertanto, nessun discorso sul tema migratorio come su tutti gli altri potrà mai essere toccato con questi paesi senza aver prima fatto pubblicamente ed apertamente chiarezza su questo tema, denunciando la stupidità di tale politica comunitaria e al contempo l’insensatezza delle sanzioni varate contro l’Eritrea nel 2009 e 2011, che oltretutto bloccano qualsiasi ipotesi di cooperazione e promozione regionali. In fondo tutti sappiamo, ormai, come l’Eritrea avesse sottoscritto gli Accordi di Algeri che ponevano fine alla guerra con l’Etiopia fin dal 2000, e che non avesse alcun coinvolgimento, nemmeno immaginario, coi terroristi Al-Shabaab in Somalia. E’ quindi giusto che adesso l’Italia manifesti il proprio valore, cominciando ad alzare la voce e chiedendo rispetto per sé come per gli altri. di Filippo Bovo
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