E’ partito il 30 settembre. Destinazione Asmara, Eritrea. Con lui anche la moglie Michela e la piccola Sofia di neanche due anni. Yonas Tesfamichael ha 36 anni, è eritreo e in Italia ha vissuto da quando ne aveva 7. L’abbiamo incontrato a San Giuliano Milanese a una settima dalla partenza. La casa piena di valigie e l’atmosfera sospesa di quando si chiude un capitolo. “Sono venuto in Italia con i miei genitori perché mia sorella aveva bisogno di cure particolari.
Poi mio padre è tornato in Eritrea dove avevamo un’agenzia di viaggi. Noi invece siamo rimasti qui”. Con una lunga serie di permessi di soggiorno, dal cameriere al mediatore, di lavori ne ha fatti tanti, fino a quello di video-maker, la sua grande passione insieme a quella per l’Eritrea, dove ha deciso di trasferirsi. “Molti vanno a nord, Londra magari, io ho scelto di andare a sud, non ci vedo nulla di strano”. Nulla di strano se non fosse che il paese in cui ha deciso di tornare negli ultimi anni ha riempito le cronache e i barconi di migranti in fuga. Nel 2017 in Italia ne sono sbarcati 44.765, e anche quest’anno gli eritrei sono il gruppo più numeroso dopo il recente boom di tunisini. Del resto, con un tasso di riconoscimento della richiesta di asilo politico del 93%, gli eritrei sono i “rifugiati per eccellenza”, tra i pochi, insieme a siriani e iracheni, ad essere entrati di diritto nel programma di ricollocamento in Europa. I motivi sono rintracciabili nei rapporti del COI, la Commissione d’Inchiesta del Consiglio sui Diritti Umani dell’ONU che dopo aver intervistato centinaia di rifugiati, ha accusato l’Eritrea di gravi crimini contro l’umanità: servizio militare permanente, dure incarcerazioni, persecuzioni politiche per i renitenti alla leva e un regime militare al potere da 20 anni. “In Eritrea ci sono stato diverse volte - racconta Yonas - e non è il paese che hanno definito una “prigione a cielo aperto” o la “Corea del Nord dell’Africa. Penso poi che i numeri sui fuoriusciti siano gonfiati, molti sono etiopi del Tigrai, parlano la nostra stessa lingua e da stime diffuse in un’intervista all’APA dall’ambasciatore austriaco ad Addis Abeba costituiscono un buon 40% di coloro che si dichiarano eritrei”. Nei video caricati sul suo canale youtube Yonas e la moglie visitano i caffè italiani di Asmara, filmano i palazzi per lo più di epoca fascista dell’ex colonia italiana, passeggiano con i cammelli su un Mar Rosso da cartolina. In pratica l’Eritrea sembra un luogo di villeggiatura. “Tu scherzi ma è così”. Yonas apre la sua pagina facebook e ci mostra le foto scattate ad agosto con la capitale piena di turisti in t-shirt e infradito. “Molti sono stranieri ma tanti sono eritrei” e per chi vive lì questo negli anni è stato un pull factor. “Ci vedono arrivare pronti a spendere in un mese quello che abbiamo guadagnato in un anno, pensano che basti prendere un barcone per trovare l’America. Non è cosi ma vallo a spiegare quando vedono che tra chi torna ci sono anche gli stessi rifugiati”. Il fenomeno non è nuovo. Nel 2016 i media norvegesi scoprono migliaia di eritrei del Nord Europa pronti a volare in Eritrea per festeggiare il 25 esimo anniversario del regime da cui erano scappati. Nel 2017 una sentenza della corte federale svizzera va oltre, prende atto che i rifugiati che tornano in patria per brevi periodi rientrano in Europa senza problemi mettendo dunque in dubbio quel rischio di persecuzioni sulla base del quale era stato concesso l’asilo. I dati discordanti, non finiscono qui. Nel 2015 l’Eritrea entra nella lista di Freedom House sui 12 paesi peggiori del mondo quanto ad esercizio di diritti politici e libertà civili. Eppure solo un anno prima aveva raggiunto i Millennium Goals delle Nazioni Unite, obiettivi che prevedono il rispetto dell’uguaglianza di genere, prerogativa degna dei paesi più avanzati in materia di diritti civili. Le ambivalenze non mancano anche sul capitolo sanzioni. Se da un lato l’ONU accusa l’Eritrea di appoggiare i terroristi di Al Sahabah è poi lo stesso Monitoring Group del Consiglio di Sicurezza a specificare di non avere prove. Gli USA però pongono il veto e le sanzioni rimangono. Un problema non da poco per un paese che con un PIL di neanche 3 miliardi di dollari è tra i più poveri al mondo. Ora però per l’Eritrea sembra aprirsi una nuova pagina. Da quando il 9 luglio, ha firmato la dichiarazione di pace congiunta con l’Etiopia, è scattato un percorso di riabilitazione ricco di colpi di scena. Il Segretario delle Nazioni Unite Antonio Gueterres ha dichiarato che “le sanzioni erano motivate da una serie di fattori che ora non esistono più” lasciando dunque presagire che la revisione del prossimo 15 novembre potrebbe essere storica. Altra grossa sorpresa è arrivata il 12 ottobre quando grazie al voto di 160 paesi l’Eritrea diventa membro proprio di quel Consiglio sui Diritti Umani dell’ONU che per anni l’aveva messa sotto accusa. Per Yonas però, la decisione di tornare in Eritrea non è frutto di questa ondata di “good news”. “L’abbiamo deciso già 4 anni fa ma tra il matrimonio e la gravidanza la cosa è slittata. Certo la pace è un evento grandioso ma è stata causata da un cambiamento in Etiopia, non in Eritrea”. Ad avviare un nuovo corso nel Corno d’Africa è stata infatti, dopo quasi 20 anni, la decisione del Primo Ministro etiope Aby Ahmed di ritirare le truppe dall’area di Badme per rispettare i confini stabiliti nel 2002 dall’Eritrea-Ethiopia Boundary Commission dell’ONU come previsto dai patti di Algeri con cui si era posto fine agli ultimi strascichi di un conflitto finito nel 1991 con l’indipendenza dell’Eritrea dall’Etiopia. Da allora, i due paesi erano rimasti bloccati in una sorta di guerra fredda infinita. Da un lato l’Etiopia, 100 milioni di abitanti, due basi militari americane, dall’altro l’Eritrea, isolata internazionalmente e neanche 5 milioni di abitanti, quanto l’area metropolitana di Roma. Proprio la necessità di difendersi dalla minaccia etiope è il motivo con cui il mono-partito d’impostazione marxista di Isaias Afewerki ha sempre giustificato il mancato processo di democratizzazione. Per il momento però non ci sono ancora elezioni in vista. Hanno invece riaperto i voli e i commerci con l’Etiopia, si cercano investimenti all’estero e alla Fiera del Levante di Bari, gli ambasciatori di Eritrea, Etiopia e Somalia incontrano le aziende italiane per parlare di nuove opportunità d’impresa. “So che per chi fa il video-maker c’è mercato e non potrà che aumentare. Il sogno è lavorare per la TV eritrea ma anche i video dei matrimoni o quelli pubblicitari vanno benissimo” sorride. Intanto, con la visita del Premier Conte ad Asmara, Yonas si è messo già alla prova accreditandosi come fotografo. Poi ci sarà da regolarizzare la propria posizione con l’ufficio immigrazione e magari scoprire di doversi mettere alla pari con chi in questi anni ha servito il paese. La cosa però non sembra spaventarlo anche perché come tanti eritrei all’estero in questi anni ha sempre contribuito devolvendo al governo eritreo il 2% del proprio stipendio. “Il servizio militare prolungato ha riguardato chi non aveva voti abbastanza alti da proseguire gli studi. Questo senz’altro ha logorato tanti giovani che in questi anni si sono trovati a dover difendere i territori occupati. La leva in realtà dura solo 18 mesi e include l’ultimo anno delle scuole superiori. Dubito però che alla mia età debba farlo tutto.” In ogni caso, se anche fosse, sono felice di poter aiutare il mio paese a crescere ed è il messaggio che voglio dare a mia figlia: ogni generazione ha il compito di lavorare perché quella successiva stia meglio”. Osservare quello che succederà ora a Yonas e al suo Paese forse aiuterà a capire che paese è l’Eritrea. Se davvero è vocata alla dittatura e al mancato rispetto dei diritti umani o se forse ha dovuto pagare il prezzo di non aver realizzato il disegno USA che l’ambasciatore americano John Foster Duller aveva delineato già nel 1951 ad Asmara quando spiegava ad una piazza gremita che “sebbene i desideri del popolo eritreo dovessero essere tenuti in considerazione, gli interessi strategici degli Stati Uniti imponevano che il paese fosse legato all’Etiopia alleata americana”. vedi anche l'articolo su Corriere on line
0 Comments
Leave a Reply. |
Archivi
Settembre 2024
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 3.0 Italia. |