Intervista a Nicola Pedde, Direttore dell’ ‘Institute for Global Studies’ di Roma
leggere tutto l'articolo alla Fonte ...Dottor Pedde, pensando all’impegno nel processo di pace tra Eritrea ed Etiopia e, in tempi più recenti, ai rapporti tra Italia ed Eritrea – specie dopo l’embargo approvato dall’ ONU del 2009 – come sono cambiati, tenendo conto dei principali interessi italiani nell’area, i rapporti del nostro Paese con l’Eritrea? Il discorso non può essere affrontato senza tenere presente la sua dimensione regionale del Corno d’Africa. Il nostro impegno in tale contesto è stato caratterizzato da un serie di alti e bassi notevoli negli ultimi sessanta anni: diciamo dalla fine dell’ultima Guerra mondiale e, in seguito, dalla ripresa delle nostre capacità diplomatiche nella regione. Di fatto, abbiamo avuto una presenza molto attiva su alcuni fronti, sebbene con un profilo molto basso politicamente, che non ha mai permesso di spendere un’azione più concreta ed efficace nei confronti dei Paesi del Corno, in particolar modo la Somalia e l’Eritrea. Il problema è nato un po’ dalla narrativa post-bellica, quindi dalla narrativa che, nel nostro Paese, ha caratterizzato il dibattito soprattutto accademico dell’africanistica sulle ex-colonie. Alla fine, il dualismo politico è riuscito a riverberarsi anche in quella parte del dibattito creando danni enormi rispetto alla capacità del Paese di essere più esplicito... Qual è la natura di questo dualismo? Detto più esplicitamente, una parte dell’africanistica, qualsiasi cosa si facesse, accusava il sistema politico di neo-colonialismo, mentre dall’altra parte ciò era visto sempre come un’assenza di capacità e di interesse verso quei Paesi, cosa non vera: l’interesse c’è stato ed è stato anche concreto. La linea politica dell’Italia ha risentito di questa ambiguità di fondo con l’effetto di non poter costruire, alla fine, quella visibilità che invece era richiesta anche dai Paesi della regione. L’Eritrea e la Somalia ci hanno più volte accusato di essere assenti o, comunque, di non essere efficaci nel modo in cui si aspettavano, ossia rispetto a una nostra azione politica di collaborazione economica. Come interpreta questa accusa? Per certi versi hanno avuto ragione, soprattutto in merito al non essere efficaci sotto il profilo della narrativa del messaggio che abbiamo trasmesso alle società e alla politica locali. Poi si è inserita una ulteriore complicazione, che ha a che vedere con gli anni bui, inerente al consolidarsi dei regimi autoritari nella regione. La stagnazione economica ha favorito, soprattutto nel caso della Somalia di Siad Barre, una forte verticalizzazione del rapporto con alcune entità, che poi hanno provocato – con la corruzione e la dispersione dei fondi – un risultato disastroso. Questo è un fenomeno che interessa più la Somalia dell’Eritrea, ma in certo modo ha riverberato i suoi effetti sulla capacità di gestione dell’intera regione. Si tratta di un problema enorme. Con l’Eritrea c’è stato un problema di valutazione iniziale, nel senso che il processo che ha portato il Paese all’indipendenza è stato, alla fine, gestito come una crisi militare che andava a concludersi senza, però, trovare una reale soluzione. L’Italia avrebbe dovuto essere molto più incisiva, soprattutto ingaggiando il Paese in modo molto più efficace e diretto negli anni immediatamente successivi all’indipendenza, cosa che, per certi versi, è mancata: è stata minima la capacità di penetrazione commerciale, un fatto che ha contribuito a generare quel senso di isolamento che, in seguito, avrebbe portato alla chiusura progressiva del sistema politico locale. Il Presidente Isaias Akewerfi, senza entrare nel merito di quella che è stata la sua personale concezione della politica nell’evoluzione del Paese, ha visto sempre nell’Italia un attore non presente, un attore che non aveva una sua linea politica chiara né una strategia sull’intero Corno d’Africa. Questa è una tra le cose che, purtroppo, non possiamo negare... leggere tutto l'articolo alla Fonte
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Settembre 2024
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