Animato da questo spirito un gran numero di eritrei, portandosi per mano i loro bambini, già verso le 13 hanno iniziato ad affluire nel Teatro Tendastrisce adornato dalle colorate bandiere dell’Eritrea. Sotto quel tendone si respirava un’aria di festa accompagnato dall’effluvio dell’immancabile zighini e della dolce himbascia, la focaccia eritrea della festa. In un megaschermo ERI-TV trasmetteva in diretta il discorso del Presidente Isaias Afeworki dallo stadio di Asmara gremito per l’occasione. “Conquistare la libertà di una Nazione e costruire una Nazione libera sono complementari, la lotta e il martirio dei nostri eroici combattenti per la libertà saranno stati vani se non si riuscirà a costruire un paese veramente libero”. Ed è sempre emozionante vedere il proprio Presidente unirsi agli studenti festanti per ballare assieme a loro. A Roma, accompagnati dalla musica dal vivo di Maekele O/Michael, Rimdet e Selam Yemane, i padri e le madri della comunità, con indosso gli abiti tradizionali, hanno sfilato e aperto le danze con bandiere e ramoscelli di ulivo in mano, subito dopo il canto appassionato dell’inno nazionale: Eritra, Eritra, Eritra che ha coinvolto anche i bambini.
Molti gli ospiti italiani amici del popolo eritreo in gran parte asmarini per nascita. La madrina della festa è stata, a sorpresa, Yordanos Lulu, un’attrice molto famosa ad Asmara appena arrivata dall’Eritrea per girare un film italiano. Yordanos, infatti, è la protagonista del docfilm Looking for Kadija prodotto da Rai Cinema e vincitore del Premio del Pubblico 2014 al Festival Internazionale del Film di Roma. La modella e attrice eritrea mi ha raccontato della felice coincidenza di ritrovarsi al Teatro Tendastrisce a festeggiare con la Comunità di Roma il 24simo anniversario dell’indipendenza dell’Eritrea. Era felice dell’esperienza a lei nuova e, soprattutto, meravigliata della calorosa accoglienza riservatale dalla comunità degli Eritrei di Roma. Pensava forse di passare inosservata Yordanos Lulu ma alla fine ha dovuto firmare gli autografi a molte bambine. Tra gli altri illustri ospiti anche Carmelo Salimbeni e Tesfalidet Hailom, due leggende del ciclismo eritreo, freschi di un viaggio a Ginevra ad Aprile dove si erano recati per portare solidarietà al Giro Ciclistico per la verità, la giustizia e la pace all’Eritrea, un tour ciclistico di 1700 km che ha visto protagonisti i ciclisti eritrei, campioni di ieri e di oggi, partiti da Goteborg con destinazione Ginevra per consegnare un memorandum alle Nazioni Unite in cui le comunità degli eritrei nel mondo, Eri Global Mekete, chiedevano la revoca delle ingiuste sanzioni comminate all’Eritrea dal 2009 con le motivazioni più false e assurde come quella che accusa l’Eritrea di sostenere i terroristi somali di Al Shabaab. La Comunità degli eritrei nel mondo sa con certezza che il proprio paese è sempre stato contro ogni forma di terrorismo di tipo religioso. La Comunità chiedeva inoltre il rispetto delle regole internazionali sui confini perché l’Etiopia continua ad occupare illegalmente i territori sovrani eritrei stabiliti dalle stesse Nazioni Unite come appartenenti all’Eritrea. Tesfalidet e Salimbeni, quest’ultimo conosciuto meglio dagli eritrei come Salambini, si sono recati a Ginevra per dire “Coraggio ragazzi, siamo con voi” e non solo perché sappiano cosa voglia dire pedalare per 1700 km ma perché condividono le nostre battaglie e sono contrari alle sanzioni che hanno reso più difficile la vita agli eritrei, soprattutto quelli rimasti in Patria. “Sono sanzioni sbagliate e ricadono sulla povera gente. Quando tu sanzioni un paese allontani gli investitori stranieri e fai mancare il lavoro ai giovani e i risultati, purtroppo, li vediamo poi a Lampedusa” spiega Tesfalidet. “Quei ciclisti avrebbero percorso 1700 km per il nostro paese e noi non potevamo far finta di niente, volevamo esserci” dice Salimbeni “Io sono malato di ciclismo e credo che se facessi l’esame del sangue troverebbero dei globuli rossi a forma di cerchioni di bicicletta!” “Come siete stati accolti a Ginevra dalla comunità eritrea?” ho chiesto loro. “Benissimo, credevo fosse stata organizzata una festa a sorpresa per noi due” mi dice Tesfalidet. “Io pensavo che ci avessero dimenticati, chi poteva ricordarsi di un vecchio di 74 anni? Invece, mi hanno fatto un monumento da vivo, di solito lo si fa ai morti. Mi hanno alzato e portato in trionfo. Sono rimasto commosso e non mi è ancora passata” aggiunge Salimbeni. “Quante gare hai vinto nella tua vita, Salimbeni?” “Non saprei…” “Lo so io” dice Tesfalidet famoso per la sua ferrea memoria “più di trecento, calcolando che hai iniziato nel 1956 e hai gareggiato fino al 1980.” “E tu?” “Pochissime, arrivavo secondo o terzo. Eravamo nella stessa squadra ed ero quello che faceva vincere Salimbeni portandolo fino alla volata, ma ero davvero forte in salita” confessa Tesfalidet. “È vero, lui giocava per la squadra ma se non fossi stato fermo dal ’75 al ’79 avrei vinto anche più gare.” Ho chiesto a Salimbeni se fosse stato fermo per un infortunio. “No, per colpa del Dergue[1]! Era convinto che le biciclette fossero i carri armati dei guerriglieri. In effetti, entravano in città in bicicletta e facevano fuori colonnelli o generali e poi sparivano nel nulla. Così Menghistù penso bene di abolire del tutto la bicicletta. Poi nell’80, in fretta e furia, ci ridettero le biciclette per portarci senza allenamento al Tour regionale di Addis Abeba di 100 km. Lo stesso, anche se con molta fatica, fummo classificati terzi. Devo ammettere che fu solo la volontà di non farci sconfiggere da loro a prevalere in noi eritrei.” “Io non c’ero già più” dice Tesfalidet “nel 75, subito dopo la fallita liberazione di Asmara, i guerriglieri scelsero alcuni ciclisti e con un trucco ci fecero uscire da Asmara perché non rappresentassimo più la squadra dell’Etiopia. Così come avevano fatto con i calciatori e i musicisti fecero con noi ciclisti. Mi unii al Fronte Popolare per combattere, dentro di me era maturata e cresciuta la consapevolezza della lotta armata per liberare il nostro paese dal nemico. E abbandonai il ciclismo.” “Poi quel fattaccio del 72 non l’avevi mai dimenticato, no?” dice Salimbeni. “Ma non era solo per quello…” “Cosa è successo nel 72?” “Devi sapere che ho attraversato un brutto momento a livello agonistico” inizia a raccontare Salimbeni e prosegue “quell’anno per punizione non potevo partecipare a gare internazionali perché la federazione mi aveva accusato di non aver fatto bene alle Olimpiadi di Tokyo 64 e di Messico 68. Ero stato tra gli esclusi e avevo pianto perché mi sentivo forte ed ero convinto di fare molto bene. Quindi sono caduto in depressione. Una sera dico a Tesfalidet di accompagnarmi all’allenamento verso Deccamere perché c’era una bellissima luna piena che faceva molta luce. Certo che eravamo dei dilettanti rispetto ai tedeschi dell’Est o agli altri, noi ci allenavamo di notte quando la luce della luna ce lo permetteva altrimenti rimanevamo a fare il solito giro del centro di Asmara. Quella sera, ad un certo punto, dico a Tesfalidet di svoltare a destra per risalire verso Nefasit per tornare ad Asmara, per intenderci quella strada che gli italiani chiamavano strada dei pozzi. Tesfalidet mi dice che poche settimane prima altri ciclisti l’avevano percorsa perciò era una strada sicura e così svoltiamo. Ma subito qualcosa mi avverte che non era poi così sicura e infatti all’improvviso nel buio sentiamo Kuhm![2]” “Conosco il Kuhm dei soldati etiopici” dico “da bambino mi spaventava.” “Ci spararono e vidi che il proiettile toccando l’asfalto si era illuminato proprio davanti a Tesfalidet che mi stava precedendo. Ci bloccammo. Tesfalidet stanno scendendo dalla collina, rimaniamo immobili altrimenti questi ci ammazzano gli dissi. Infatti fummo circondati da decine di loro e subito mi arrivò sul petto il calcio di un fucile ma riuscii ad incassarlo al meglio e caddi a terra come morto.” “A me invece un soldato mi stava per colpire con la canna del fucile” aggiunge Tesfalidet e continua “allora gliel’ho preso di mano e istintivamente lo stavo girando con tutte le mie forze, ed ero forte allora credimi, così capirono che volevo sparagli e a quel punto non ricordo bene quello che mi fecero tutti quanti gli altri…” “Io ho pensato che l’avrebbero finito a calci e a bastonate coi fucili, ho creduto che non avrei più rivisto il mio compagno. Ed era stata tutta una mia idea. Stavo male al posto suo, lo colpirono a morte, non aveva più un volto, camminarono sulle sue gambe, lo fecero a pezzi, era tutto insanguinato. Poi sembrava che avessero finito, lui si era mosso per allungare la mano sulla sua bici caduta a terra e allora tornarono a picchiarlo ancora con più violenza, più forte di prima” dice Salimbeni molto emozionato come se stesse capitando tutto ora. “Hanno creduto che volessi prendere qualche arma, invece volevo solo assicurarmi che la bicicletta non fosse rotta” precisò Tesfalidet. “La scaraventarono il più lontano possibile facendola a pezzi. A me preoccupava lui invece e, a quel punto, cominciai a parlare in italiano ed inglese, dicendo cose insensate tanto per poterli fermare, gli dicevo che eravamo olimpionici, campioni, sportivi, Tokio e Messico, eccetera. Smisero di picchiarlo finalmente e ci fecero alzare e spingendoci ci portarono fin sopra la collina dove avevano il campo. Fummo spinti dentro una tenda. Tesfalidet non capiva più niente, era buttato a terra io parlai in tigrino per farmi capire dai soldati tigrini[3] che erano con loro. Gli feci vedere che avevamo sulle magliette gli stemmi olimpionici.” “Allora che ci fate da queste parti di notte? Anche i banditi[4] girano di notte” ci dissero. “Di giorno lavoriamo per guadagnarci il pane quotidiano” risposi loro “solo di notte possiamo allenarci soprattutto quando la luna brilla forte e ci fa la luce. A questo punto cominciarono a pulire le ferite di Tesfalidet con dell’alcool ma lui oramai non capiva più niente.” “Soprattutto quando mi hanno messo l’alcool volevo solo dormire, mi sentivo stanco.” “Adesso non possiamo mandarvi via, abbiamo sparato e il maggiore che sta in un altro campo qui vicino avrà sentito e vorrà saperne il motivo, dovrete aspettare il suo arrivo per tornare a casa” disse uno di loro. “Non potevamo tornarcene in effetti, le bici chissà come erano ridotte, Tesfalidet era quasi svenuto. Ma oltre il danno la beffa è stato vedere un asino che faceva i suoi bisogni vicino alla testa di Tesfalidet e lui neanche se ne accorgeva, io non avevo né la forza né la voglia di ridere per quell’animale lasciato dentro alla tenda con noi. In altri momenti avrei sicuramente riso.” Il maggiore venne la mattina verso le 10 e dopo averci fatto firmare che non avevamo subito né furti né maltrattamenti e soprattutto minacciandoci di non raccontarlo a nessuno ci lasciò andare via con qualcuno venuto a prenderci da Asmara. Era venerdì e io e Tesfalidet dovevamo andare al lavoro ma non lo facemmo, ovviamente. “Mi sono riposato venerdì e sabato e la domenica sono andato a vincere il giro di Nda Mariam, aggiunge Tesfalidet. “Dopo tutto quello che hai subito come hai fatto a gareggiare?” chiedo. “Volevo reagire e se ho vinto è stato forse per una gara di volontà, di testa.” Tre anni dopo Tesfalidet combatteva contro gli stessi soldati etiopici. Ci sono voluti ben trent’anni di guerra perché ce ne liberassimo e festeggiassimo oggi la nostra Indipendenza. Daniel Wedi Korbaria [1] Junta militare etiopica [2] Altolà [3] Gruppo etnico al potere oggi in Etiopia [4] Guerriglieri
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Settembre 2024
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