Il viaggiatore che giunge nella città portuale di Massaua, dopo aver percorso il lungo camminamento che la unisce alla terraferma, si trova al cospetto di un’opera monumentale composta da tre carri armati dai cui cannoni esce un potente getto d’acqua. I mezzi, preda bellica conquistata dai combattenti eritrei alle truppe di occupazione etiopiche e nominati: Commander, Giaguar e Tigre, parteciparono per molti anni alla guerra di liberazione fino alla Fenkel Operation. Quella che segue è la storia della cattura del Commander, primo mezzo del suo genere a essere sottratto agli etiopici. Premessa A metà degli anni settanta la lotta per la liberazione dell'Eritrea aveva coinvolto ogni strato sociale dell'intero popolo. L'anno 1977 segnò la possibile imminenza dell'indipendenza dell'Eritrea poiché quasi tutto il territorio nazionale era stato liberato dai combattenti dei due Fronti: il Fronte Popolare di Liberazione dell'Eritrea (EPLF) e il Fronte di Liberazione dell'Eritrea (ELF). Rimanevano sotto l'occupazione etiopica soltanto la Capitale Asmara, i due porti di Assab e Massawa, e le città di Addì Keyeh e Barentù. L'Esercito di Liberazione dei due Fronti aveva circondato Asmara e si combatteva per sua liberazione a pochi chilometri dagli ingressi principali. I cittadini dei villaggi circostanti partecipavano attivamente alle varie fasi dei combattimenti dando supporto logistico ai patrioti. Ato Berhane Ogbazghi Tecle fu uno dei tanti giovani di allora che ebbero una parte in quelle battaglie che si consumarono verso la fine del mese di settembre 1977. Il testo che segue descrive attraverso la sua testimonianza gli eventi che precedettero e seguirono la data del 26 settembre 1977 in cui venne catturato il primo carro armato da parte dell'Esercito Popolare dell’EPLF. Testimonianza
La resistenza, che si opponeva all'esercito del Derg sul fronte del sud di Asmara nelle direzioni Addì Ke e Addì Hawishà, era parte della strategia per rompere l'accerchiamento e assicurarsi un raggio di azione aprendo le vie per Decamere e per Mendefera. A tal fine il controllo del villaggio di Ademzemat, che costituiva un avamposto importante per entrambi i contendenti, era fondamentale per ribaltare la situazione militare. Nei giorni che precedettero la data del 26 settembre 1977 l'esercito etiopico aveva subito varie sconfitte e si era ritirato fino all'ingresso di Asmara presso la zona di Godaif, lasciando sul campo di battaglia ingenti perdite umane e vario materiale bellico. In quei giorni presi parte con alcuni compaesani, tra cui Solomom Hannes, alle operazioni di supporto logistico e di soccorso ai patrioti nei pressi della prima linea, spingendoci fino alla collina di Ila Gundì che si trova nelle vicinanze del villaggio di Merhano. Era l'alba del 26 settembre 1977 quando partii dalla mia casa di Ademzemat per raggiungere il lato sinistro dello schieramento di battaglia e consegnare dei viveri ai patrioti. Passai per una località distante di appena mezzo chilometro dal mio villaggio e al sorgere del sole, verso le ore 7, attraversai i campi del Denadel, uno dei punti più avanzati dove i combattenti dell’EPLF avevano improvvisato linee di schieramento. Non passò molto tempo che iniziarono feroci combattimenti. I patrioti erano in numero molto inferiore rispetto massa di soldati del Derg che tentava di avanzare. Ciò nonostante i combattenti si organizzarono per l'assalto. Il lato estremo dello schieramento a sinistra era difeso dai combattenti del Fronte di Liberazione Eritreo (FLE) che cominciava dalla collina di Semharò (che più tardi i combattenti dell’EPLF battezzeranno con il nome Golan per rievocare la durezza dei combattimenti e il sacrificio di tanti compagni di lotta) per finire sulla collina di Addey Hidit che si trova a ovest, oltre la strada principale che porta verso Mendefera. Era già noto che, a cominciare dalle ore pomeridiane della giornata del 25 settembre, le basi militari dell'esercito etiopico di Daero Paulos, di Sembel e Addì Guadad erano in pieno movimento per l'offensiva. Infatti all'alba della giornata del 26 iniziarono i combattimenti su tutto il fronte a sud. L'obbiettivo primario era il controllo di Ademzemat, località che strategica grazie alla sua collocazione geografica, come detto poteva permettere l'apertura della strada per Mendefera. Si era combattuto per circa quattro ore con l’impiego da parte del nemico di armi leggere, carri armati e cannoni di diverso calibro, quando a un certo momento gli spari cessarono. I combattenti del FLE avevano abbandonato le loro postazioni ritirandosi verso villaggi di Shiket e di Addì Txen'ay e l'esercito etiopico aveva preso il controllo della strada asfaltata fino a Selae-Daerò. A quel punto il peso della resistenza era rimasto soltanto a carico dei combattenti del Fronte Popolare. Insieme ai miei compaesani stavo consegnando dei viveri quando iniziò l'offensiva degli etiopici. Le postazioni della resistenza furono arretrate presso i dintorni del mio villaggio e furono rafforzate grazie all'arrivo di un battaglione. La stessa sera e per tutta la notte arrivarono forze aggiuntive di combattenti da luoghi lontani, viaggiando a piedi e con autobus, e il mattino del 27 ebbe inizio il contrattacco. In compagnia di un nucleo organizzato di compaesani, mi muovevo sul fronte di guerra da un luogo all'altro a seconda delle necessità dettate dall'evolversi dei combattimenti. Verso ore 2 del pomeriggio i responsabili al comando del Fronte decisero di spostare in un luogo sicuro il cannone antiaereo (detto Mahta) che quindi venne tirato dalle alture di Resì-Arghihé fin verso le pendici di Messellem. Appena il nostro gruppo finì il compito di sistemare il cannone, incrociò un nucleo di combattenti e si unì a loro per continuare la salita che porta al mio villaggio. In quel momento l'esercito etiopico aveva sfruttato un varco debole dello schieramento dei combattenti per giungere ad appena mezzo chilometro dal villaggio nei pressi di Nahabù. In difesa delle paese erano schierati un nucleo di combattenti della Unità Armi Pesanti (Kebid Beret) e della Unità Logistica (Kiflì Senki). Un carro armato che era la punta più avanzata dell'esercito etiopico, venne attaccato con lancio di fuoco anticarro e, subito il primo danno lieve, il mezzo si diede in ritirata scendendo il pendio di Sereke-Berhan (Ghirat Abboy Tekle). Dopo aver percorso 300 metri circa sul sentiero principale, si fermò verso il lato sinistro, in un punto dei campi che si chiama Harmaz Imnì. Nello stesso pomeriggio del 27 settembre altre unità di combattenti avevano sferrato un contrattacco che aveva spazzato via il nemico da Selae-Daerò e dai territori circostanti, ricacciandolo fino ad Addì Guadad. L'esercito del Derg aveva abbandonato sul campo di battaglia ingente materiale bellico: due carri armati, armi leggere e pesanti, e proiettili a non finire. I cadaveri dei suoi soldati caduti sembravano come foglie che galleggiavano nelle acque dei canaloni e formavano uno scenario agghiacciante. Il nostro gruppo: Yemane Frehiwet, Berhane Ghebretensae, Solomon Hannes e altri che non ricordo, era al seguito dei combattenti per seppellire i caduti, soccorrere i feriti e per raccogliere qualsiasi oggetto che l'esercito nemico era stato costretto ad abbandonare sul campo di battaglia. Girovagando nei territori sgombrati dal nemico ci imbattemmo in un carro armato del tutto moderno. Ci girammo intorno increduli e subito ci accorgemmo del guasto che lo aveva fermato: il tubo che ha la funzione di passaggio del carburante era rotto. Bisognava trovare qualcosa per sostituirlo. Feci un bel chilometro e mezzo per raggiungere casa mia dove trovai un tubo di plastica che usavamo per travasare il petrolio lampante, ma non era sufficientemente lungo. Poi mi ricordai che avevo visto un tubo simile presso la casa del Keshi Abbay Ghebremehin e dopo averlo preso insieme a una pinza, una tenaglia, un cacciavite e qualche spezzone di filo d'acciaio, me ne tornai nel luogo in cui era fermo il carro armato. Presi le misure giuste dai tubi di plastica che mi ero procurato e le inserii stringendo forte con il filo d'acciaio. Una volta accertato che si poteva procedere alla prova d'accensione del motore, il mio compagno Yemane Frehiwet, che era esperto nel guidare macchine pesanti, montò su e dopo un po' mosse le chiave avviando il motore. Lui esperto di motori e io con il diploma delle medie e specializzato nelle riparazioni di auto, ci sentimmo orgogliosi della nostra impresa. Cinque colpi di cannoni vennero lanciati da lontano per colpire noi e il prezioso bottino di guerra, ma per fortuna nostra tutti i colpi caddero senza arrecare danni a noi e al carro armato. Non facemmo in tempo a spostare il mezzo di pochi metri che ci raggiunsero gli addetti ai lavori dei combattenti. Preoccupati dai pericoli costituiti dai bombardamenti aerei, non ebbero il tempo di chiederci se il carro armato aveva guasti o su come eravamo riusciti ad avviarlo. Presero in consegna il bottino e partirono verso Ademzemat scegliendo la via più vicina alla diga ritenendola meno insidiosa dal punto di vista del rischio derivante dai colpi di cannone provenienti da Asmara. Purtroppo il carro armato si impantanò nel terreno fangoso della diga e questo aggiunse altre pesanti fatiche e apprensioni per quello che poteva succedere all'alba del giorno dopo, quando al sorger del sole saremmo stati più esposti ai bombardamenti aerei e alle cannonate. Si riuscì a liberarlo dal fango con supporto tecnico di esperti e di macchinari provenienti da Decamere. Ricordo che a capo dell'equipe tecnica dei combattenti c’era l'infaticabile compagno Micael Fessehaye. Il viaggio iniziò verso le ore 7 di sera dal mio paese per poi proseguire verso Decamere seguendo la strada asfaltata. Per la verità in quella battaglia sul fronte di Selae-Daero del 27 settembre del 1977 che aveva come obbiettivo primario il controllo di Ademzemat, furono catturati non uno, ma due carri armati. Il Commander (così battezzato dai combattenti) venne però considerato il primo perché la sua cattura avvenne sul fronte vero e proprio di Ademzemat dove l'esercito del Derg venne respinto e sconfitto. Fine Da quel momento ricostruire tutti gli spostamenti e le battaglie alle quali prese parte il Commander in lungo e in largo per l’Eritrea dal 1977 al 1990 è un’opera incerta e difficile che andrà affidata alle memorie dei protagonisti. L’unica certezza, e ora storia documentata, è invece l'ultima impresa come strumento di guerra di liberazione del Commander che apparve sul fronte della città portuale di Massawa partecipando attivamente alla Felkil Operation avvenuta nel febbraio del 1990. Ora il Commander, insieme ad altri due carri armati catturati all'esercito etiopico su altri fronti, è stato trasformato in un simbolo di pace e accoglie idealmente chi arriva a Massaua rappresentando con i suoi getti d’acqua la vita e un futuro di prosperità, e nello stesso momento un richiamo alla memoria di coloro che si sono sacrificati per l'indipendenza dell'Eritrea. Stefano PETTINI
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Settembre 2024
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