Torniamo a parlare di Eritrea a distanza di molto tempo, ma con buone motivazioni. Alcuni temi, come il Coronavirus o le politiche in materia religiosa, hanno infatti destato anche nel nostro paese importanti polemiche: è bene, in tal senso, inquadrare i fatti ricollocandoli nella loro giusta dimensione. Di Filippo Bovo - 2 Mar 2020 Proprio oggi giunge la notizia, riportata da varie fonti italiane, a cominciare dalle principali testate nazionali, di sei insegnanti italiani costretti alla quarantena forzata una volta giunti ad Asmara, capitale dell’Eritrea. Secondo quanto riportato dai vari articoli, si sarebbero visti imporre la quarantena pur senza provenire dalle aree di contagio, ovvero la famigerata “zona rossa”. La denuncia è stata fatta per prima dalla UIL Scuola per l’Africa, a nome della sua rappresentante Rossana Di Bianco, che ha raccontato di come i sei docenti, insieme al figlio di uno di loro, siano stati trasportati appena giunti in Eritrea in una struttura sanitaria fuori dalla città, insieme anche a cittadini d’altri paesi, in una struttura fatiscente e peggio ancora in condizioni di promiscuità. La descrizione fornita da Di Bianco alla Adnkronos è infatti la seguente: “Sabato mattina, sull’aereo proveniente dall’Italia c’erano sei docenti e il figlio di una di loro, di rientro da una settimana di vacanza in Italia. Tra loro anche la preside della scuola italiana di Asmara, nessuno proveniente dalle ‘zone rosse’ del nostro Paese. Secondo quanto stabilito dalla autorità eritree dal 29 febbraio, i nostri connazionali sono stati bloccati appena scesi dall’aereo e trasportati in ambulanza in un presidio sanitario fuori dalla città per effettuare la quarantena. Una quarantena ben lontana dagli standard occidentali”, perché avvenuta “in una struttura fatiscente, con camere a tre letti e un solo bagno, con acqua ‘razionata’ e in una situazione di promiscuità con cittadini provenienti da altri Paesi. Oltretutto a nessuno di loro è stato fatto il tampone”. Per tali ragioni, la UIL ha chiesto al Ministero degli Esteri italiano “efficaci risposte alle criticità presenti in molteplici realtà estere e che sia garantita al nostro personale scolastico all’estero l’applicazione di disposizioni sullo stato di quarantena che non abbiano impatto sulla dignità e sui diritti fondamentali dei nostri connazionali”. E’ però anche vero che lo stesso nostro Ministero degli Esteri aveva avvisato i diritti interessati, al pari di chiunque altro, di rimandare un eventuale viaggio o ritorno in Eritrea, proprio perché la situazione attuale legata alla diffusione del Coronavirus non ha quella chiarezza tale da consentire scelte o comportamenti più sicuri. L’avviso era stato dato con un’e-mail dove si chiedeva, esplicitamente, di prolungare il periodo di permanenza in Italia in attesa che la situazione si chiarisse o comunque migliorasse, ed in questo senso non si può certo dire che fosse un’idea avventata o caratterizzata da un eccessivo allarmismo. Del resto, in questo momento, molti paesi nei confronti di chi proviene dall’Italia stanno adottando protocolli e trattamenti a dir poco severi, spesso anche proprio ingiustificati: si va da paesi africani come la Nigeria a paesi mediorientali come Israele fino a nazioni dell’Est Europeo ed altre ancora. Quindi, perché scandalizzarsi se lo fa anche l’Eritrea, che oltretutto in caso di contagio esteso si troverebbe a dover affrontare quel problema da sola, senza contare sul serio o credibile aiuto di nessuno, e con mezzi che sono pur sempre lungi dal potersi considerare infiniti (e magari anche con le ironie gratuite di qualcuno)? Ciò non significa che il governo italiano non abbia sbagliato: il Ministero degli Esteri, tanto per cominciare, avrebbe dovuto mantenere a proprie spese il prolungamento del soggiorno di quei docenti in Italia, ed al contempo attivarsi costruttivamente con l’Ambasciata dello Stato di Eritrea in Italia e con le autorità eritree ad Asmara per predisporre un loro facile e sicuro ritorno non appena la situazione l’avesse consigliato. Il non averlo fatto, in questo senso, denota un’impreparazione ed un dilettantismo molto gravi da parte del nostro governo, anche se a sua parziale discolpa possiamo pur dire che la situazione interna del nostro paese, dovuta sempre al Coronavirus dilagante, lo metta non poco sotto pressione.
Per il resto, l’Eritrea ha fatto parlare di sé, nei nostri giornali, per un altro tema d’ancor più grave serietà. Negli ultimi mesi, da Asmara, ha fatto sicuramente discutere ed ha destato molte preoccupazioni la notizia che il governo intendesse porre sotto il proprio controllo le varie strutture religiose, a cominciare da quelle attive nell’istruzione e nella sanità. E’ passato diverso tempo da quando cominciarono a giungere le prime notizie in merito, ma ancora ovviamente se ne parla. Avendo seguito la storia di questo paese per anni, ed avendola anche riassunta sia pur sommariamente in una piccola monografia andata alle stampe ormai già diversi anni fa (“Eritrea, Avanguardia di un’Africa Nuova”), so che non è certo una novità ma che come al solito la si vuole interpretare in maniera malevola ed interessata. Appena divenuta indipendente, nel 1993, l’Eritrea si dovette difendere dai tentativi degli uomini di Osama bin Laden, stanziati in Sudan, di penetrare nel suo territorio per stabilire una nuova base ed un nuovo caposaldo che divenisse lo Stato teocratico che avevano sempre agognato. Il paese, ancora molto fragile e debilitato da una trentennale guerra d’indipendenza contro l’Etiopia, riuscì a respingere quella guerriglia che costituiva un’anticipazione di quelle che anni dopo si sarebbero viste in paesi come la Libia o la Siria, o in aree come il Sinai, il Caucaso o la ex Jugoslavia. La sconfitta subita in quella occasione da al Qaeda costrinse quest’ultima a dirigersi in Afghanistan e nelle aree tribali dell’alto Pakistan, dove trovò la protezione dei Talebani che nel frattempo a Kabul avevano rimpiazzato i Mujaheddin. Sempre pochissimo tempo dopo, l’Eritrea salì agli onori della cronaca internazionale per i provvedimenti adottati nei confronti dei Testimoni di Geova e di gruppi cristiani estremisti che non riconoscevano l’autorità dello Stato, mettendone a repentaglio la sicurezza in un momento in cui l’accerchiamento internazionale a suo danno stava cominciando a farsi sempre più forte a causa della sua politica economica contraria ad aprirsi al Fondo Monetario Internazionale ed anche la guerra con l’Etiopia era ormai un dato di fatto. Questi episodi dimostravano come, in Eritrea, si considerasse la salvaguardia della laicità dello Stato e della società un valore da difendersi ad ogni costo: in un paese formato da nove etnie e da diverse confessioni religiose, tale imperativo dovrebbe essere più che comprensibile e non abbisognare quindi d’ulteriori spiegazioni. Nessun gruppo etnico o religioso dovrebbe mai avere una predominanza sugli altri, al punto da far coincidere se stesso con lo Stato. Il caso della Chiesa Cattolica, e del pari anche di quella Copta, era quindi inevitabile. In Eritrea la sanità e l’istruzione devono essere a beneficio di tutti, diritto di tutti, e non solo di un particolare gruppo etnico o religioso. In tal senso, l’autorità dello Stato sulle istituzioni preposte a fornire tali servizi è fondamentale e non dev’essere giudicata negativamente, perché del resto ciò è quanto avviene da sempre anche in molti paesi europei e che anche molte persone e gruppi politici, nella nostra Italia, a loro volta reclamano (pur lamentandosi, al tempo stesso, perché invece lo fa l’Eritrea, quando invece dovrebbero coerentemente con quanto professano farle gli applausi). Del resto, in questo momento l’Eritrea, al pari di molti altri paesi a cominciare da quelli del Corno d’Africa, sta vivendo una sfida importante contro un cataclisma storico, una delle note “piaghe bibliche”, ovvero l’arrivo delle cavallette. Per un paese che ha estremamente a cuore l’ottenimento e la salvaguardia dell’autosufficienza alimentare, quella contro le locuste è una guerra tutt’altro che da prendere sottogamba. In questo senso, un modo per ritrovare o migliorare il dialogo con Asmara potrebbe essere, per noi italiani ed europei, quello di fornire un aiuto su questo tema. S’è notato, per esempio, come le migliori armi contro le cavallette non siano i pesticidi, ma quelle di tipo biologico, naturale; la Cina, che ha visto le cavallette apparire anche nella sua regione più interna, lo Xinjiang, non a caso ha fatto ricorso alle anatre, mettendone in pista ben centomila. Si ritiene che una sola anatra, animale effettivamente robustissimo, possa mangiare anche più di duecento locuste in un sol giorno. Introdurre le anatre in modo esteso e massiccio anche nel Corno d’Africa potrebbe fornire un aiuto, anche se parliamo di un animale che ha pur sempre bisogno di una quantità di acqua e che quindi non potrebbe essere introdotto in ambienti troppo aridi, come invece ce ne sono sia in Eritrea che in Etiopia o in Somalia. Ma, laddove fosse effettivamente possibile introdurle, ci sarebbero vantaggi consistenti non soltanto per quanto riguarda la lotta alle cavallette, ma anche in termini di contributi alla locale zootecnia e quindi al fabbisogno alimentare locale. Insomma, se vogliamo riguadagnare una stima da parte dell’Eritrea (dopo i promettenti esordi del 2018, quando il premier Conte e l’allora viceministro Del Re visitarono Asmara, i rapporti italo-eritrei si sono nuovamente arenati, alimentando altre inaspettate delusioni), forse è anche il caso di tirar fuori qualche buona idea e di far seguire, alle belle parole e ai buoni propositi, anche fatti onesti e concreti. da L'Opinione Pubblica
1 Comment
Lamina
15/3/2020 05:34:30 pm
Corretta osservazione.
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