Uno degli aspetti della seconda guerra mondiale, che ha maggiormente colpito la fantasia dei cronisti e degli studiosi, riguarda certamente l’epopea degli ascari eritrei. Le loro notevoli imprese unite ad un leggendario attaccamento alla bandiera italiana sono stati descritti in ogni dettaglio dai maggiori storici di tutto il mondo, e rimarranno per sempre impresse nella memoria storiografica del nostro paese. Purtroppo non si può dire altrettanto della memoria collettiva che al contrario ha voluto rapidamente dimenticare un recente passato storico imbarazzante accomunando in un sol fascio la assai precedente e diversa esperienza coloniale, al fascismo e alla dittatura con i quali francamente poco aveva avuto in comune. La rimozione emotiva, coincisa con la demonizzazione di tutto il periodo compreso fra gli inizi degli anni trenta e la fine della seconda guerra mondiale, ha coinvolto non solo i mitici ascari e tutte le loro imprese, ma l’Eritrea stessa che da colonia amatissima e primigenia finì dimenticata e cadde nell’oblio assoluto. L’Eritrea alla fine del periodo di occupazione da parte degli inglesi nei primi anni cinquanta, priva dell’essenziale aiuto economico e diplomatico dell’Italia, dopo aver rischiato lo smembramento, si ritrovò confinata in una posizione ibrida che la vide federata all’Etiopia del Negus seppur in una condizione di relativa indipendenza. Le mire del Negus erano però diverse e questi ben presto, nella indifferenza generale della comunità internazionale, abolì la bandiera eritrea e la federazione creandosi una quattordicesima provincia che finalmente gli concedeva il tanto desiderato sbocco al mare. L’Eritrea, a causa di vecchi rancori, ma soprattutto per la consapevolezza degli etiopici che mai sarebbe stata realmente domata, fu da allora governata dai rappresentanti di Hailè Sellasie con pugno di ferro e le cose peggiorarono ulteriormente quando al Negus, deposto e fatto sparire, succedette il Derg di Menghistu Haile Mariam che tenne l’Eritrea sotto continuo assedio militare e nel terrore assoluto.
Ogni impresa straniera fu nazionalizzata e moltissimi italiani che fino a quel momento avevano travato il modo di adattarsi alle alterne vicende della loro nuova patria africana, fecero ritorno dai parenti nei loro paesi di origine, abbandonando al suo destino quella amatissima terra che quasi certamente non avrebbero più rivisto. Già dal 1961 gli eredi morali delle fantastiche truppe indigene eritree avevano dato vita a diverse iniziative di contrasto ad un governo che non riconoscevano, divise in vari fronti di liberazione che avrebbero portato a una lunghissima e silenziosa guerra per la indipendenza del paese la quale sarebbe durata trenta anni. Le notevolissime qualità di resistenza dei combattenti eritrei ( Tegadelti nella loro lingua) e la loro quasi ascetica frugalità, si unirono a una ferrea volontà e una spontanea comunità di intenti che li resero virtualmente invincibili nonostante la immensa disparità di forze in campo. Gli etiopici, che da parte loro avevano goduto sotto la guida del Negus di ingentissimi aiuti militari ed economici da parte degli alleati Usa, con l’avvento del Derg di Menghistu abbandonarono gli americani con un cambio di alleanze a favore della Russia che avviò verso il fronte eritreo una nuova e poderosa campagna di fornitura di armi e mezzi, nonché di consiglieri militari. Anche questa mossa tattica non servì a migliorare gli esiti di una guerra che, dopo aver visto il fronte avanzare e arretrare varie volte, si stava avviando verso una straordinaria vittoria degli eritrei e stava costando all’Etiopia non solo centinaia di migliaia di morti, ma la integrità stessa del paese che appariva cedere sempre più ad ogni colpo inferto dai tenacissimi Tegadelai. Menghistu, deciso ora più che mai a dare il colpo finale ai combattenti nemici, fece convergere ingenti forze verso il fronte di Nakfa, città eritrea nei pressi della quale si erano attestate da tempo le forze di liberazione, e alla fine dello spiegamento risultavano pronte all’attacco tre divisioni e quattro brigate meccanizzate disposte attorno al cosiddetto Comando Nadew che faceva parte di una linea fortificata lunga circa cento chilometri costruita nel corso degli ultimi dieci anni e considerata dagli osservatori di tutto il mondo inviolabile e destinata a far capitolare gli eritrei. I mitici eredi delle virtù militari rappresentate tanto degnamente dalle truppe ascare, il 17 marzo 1988 attaccarono e distrussero completamente l’apparato militare etiopico in due soli giorni di battaglia durante i quali inflissero enormi perdite umane ai nemici e catturando migliaia di prigionieri, fra i quali alcuni ufficiali russi. A questa epica battaglia, nel corso della quale gli eritrei si impadronirono anche di enormi quantitativi di materiale bellico che risulterà essenziale nel corso delle ultime fasi della guerra, ne seguirono altre che portarono alla liberazione di sempre più ampie zone dell’Eritrea. Fra queste rimane famosa la cosiddetta Fenkil Operation, nella ricorrenza della quale vengono svolte cerimonie e festeggiamenti, che culminò con la liberazione di Massaua nonostante si ritenesse troppo ben difesa per tentare un attacco a sorpresa via terra o via mare. I Tegadelti idearono una azione arditissima che vide convergere a sorpresa sulla città portuale le forze eritree per mezzo di comuni velocissimi motoscafi opportunamente dotati di cannoni e mitragliatrici, mentre altre truppe con una mossa a tenaglia impegnavano anche via terra le disorientate truppe etiopiche che anche in questa circostanza furono decimate nel corso di una battaglia senza storia che si concluse con una rovinosa rotta degli uomini di Menghistu che subirono ulteriori gravi perdite nel tentativo di rientrare in patria attraversando la infernale regione dankala. L’Etiopia non fu in grado di reggere colpi di questa portata e il 24 maggio del 1991 con la liberazione di Asmara tutta l’Eritrea fu considerata virtualmente liberata mentre le truppe etiopiche in rotta cercavano in tutti i modi di rientrare nel loro paese compiendo lunghissimi percorsi a piedi attraverso il Sudan o la Dankalia, riportando in questo tentativo ulteriori ingenti perdite. Il dittatore Menghistu, all’approssimarsi del disastro finale, abbandonò il paese al suo destino fuggendo in Zimbawe mentre in Addis Ababa prendeva il potere Melles Zenawe, l’alleato di quello che sarebbe diventato il presidente dell’Eritrea Isaias Afwerki. Il 24 maggio 1993 l’Eritrea con un referendum plebiscitario fu proclamata indipendente e rapidamente mise in moto con le proprie forze il meccanismo sociale ed economico che la avrebbe portata a recuperare il tempo perduto, e avviata alla realizzazione di quel programma di emancipazione (o “sogno” come lo chiamano gli eritrei) conseguendo fin dall’inizio notevoli risultati fra i quali un prodotto interno lordo invidiabile. Nel 1997 fu ratificata la costituzione, che conteneva i principi guida del tanto desiderato nuovo corso del paese, e battuta moneta propria che prenderà il nome di Nakfa in memoria della epica battaglia dalla quale prese il via la fase finale della liberazione. Dopo l’indipendenza, finiti i tempi dei mitici Ascari e degli eroici Tegadelti, l’Eritrea si dotò anche di una moderna struttura di reclutamento e addestramento reclute di quelle che diventarono le truppe regolari eritree inquadrate secondo i comuni criteri di divisione in aeronautica, esercito e marina, con il compito di difendere la integrità territoriale e l’indipendenza del paese. Nessuno poteva immaginare quanto presto anche questo esercito avrebbe avuto un terribile battesimo del fuoco, nonostante alcune avvisaglie facessero temere un nuovo voltafaccia del governo etiopico. In Etiopia infatti il governo, che aveva scelto una via completamente diversa accettando ogni tipo di aiuto economico possibile da parte dei paesi ricchi, ben presto si trovò nella scomoda posizione di dover fronteggiare gli stessi irrisolti problemi interni sociali ed etnici che la avevano condotta alla catastrofe non molti anni prima, e le pressanti istanze di quei paesi che prima la avevano foraggiata economicamente e ora pretendevano il loro tornaconto. Non poteva essere infatti accettabile che la piccola Eritrea conseguisse così brillanti risultati in campo commerciale ed economico mentre l’Etiopia pur beneficiando di immense rimesse da parte dei paesi donatori, appariva sempre sull’orlo del tracollo economico e sociale mettendo in serio imbarazzo quei paesi che ora non sapevano più come giustificare quel profluvio di denaro a favore del gigante africano. Occorreva una azione eclatante che distraesse la attenzione degli osservatori stranieri e catalizzasse le forze interne al paese sempre più inquiete e pericolose, e fu così che, dopo una serie di provocazioni lungo il confine con l’Eritrea, il 13 maggio 1998 il parlamento nazionale etiopico dichiarò unilateralmente lo stato di guerra varcando le frontiere con l’Eritrea e dando inizio a una nuova guerra tanto inutile quanto assurda. Le nuove truppe eritree, comandate dagli esperti ex Tegadelti, adottarono subito la vecchia tattica della ritirata strategica verso l’interno del proprio paese raggiungendo posizioni molto più facilmente difendibili e lontane dalle retrovie etiopiche mettendo in difficoltà le forze del supporto logistico di quelle truppe che, convinte di essere protagoniste di una facile vittoria, avanzavano fin troppo velocemente all’interno del territorio eritreo. Gli eritrei avevano pianificato una di quelle tremende mosse a tenaglia che prevedeva, da una parte di far convergere truppe ai lati e dietro alle avanguardie etiopiche impegnandole in una lunga battaglia condotta su un terreno conosciuto e molto favorevole, mentre altre truppe scelte si radunavano nei pressi della città portuale di Assab che, posizionata nell’estremo sud dell’Eritrea, si trovava a pochi giorni di marcia da Addis Ababa. La storia si ripeteva e, come già successo non molti anni prima, le truppe etiopiche sembravano destinate ad una ingloriosa capitolazione, quando improvvisamente all’inizio del 2000 a salvare le sorti di Melles Zenawe intervenne il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che impose il cessate il fuoco e convocò le parti ad Algeri per mediare una ricomposizione della questione dei confini che sembrava fosse alla base del nuovo conflitto. In quella occasione si arrivò alla firma del trattato di Algeri e alla nomina di una commissione denominata Commissione Confini Etiopia Eritrea con il compito di demarcare in maniera definitiva e immodificabile i confini fra i due paesi. Il verdetto definitivo fu emesso dalla commissione nel 2002 e immediatamente accettato dall’Eritrea nel rispetto di quanto sottoscritto ad Algeri, mentre l’Etiopia, dopo un primo momento di euforia durante il quale aveva creduto di aver ottenuto quanto richiesto, oppose un netto rifiuto definendolo inaccettabile senza alcune modifiche in suo favore. L’Etiopia che, dopo aver goduto di immensi privilegi economici grazie al nuovo corso della sua politica estera favorevole agli americani, poteva nuovamente contare sulla alleanza della amministrazione Usa, cominciò da allora anche a beneficiare di speciali trattamenti di favore in campo giuridico come ad esempio l’incredibile circostanza della mancata applicazione delle sanzioni previste per le parti inadempienti dagli Accordi di Algeri o il mancato ritiro delle sue truppe dai confini con l’Eritrea, e addirittura da alcuni territori a sovranità Eritrea, nonostante questo costituisse una grave violazione delle leggi internazionali e un aperto atto di aggressione. A distanza di cinque anni nulla è cambiato e la situazione di “non guerra non pace” sta paralizzando l’Eritrea dove ogni possibile attività risulta condizionata dalla necessità di mantenere una vigile attenzione lungo il confine con l’Etiopia attraverso un tedioso servizio militare a tempo indeterminato che coinvolge la quasi totalità della forza lavoro del paese. I giovani che affluiscono alla scuola militare vengono formati sia dal punto di vista militare, tattico e addestrativo, sia impegnati i corsi di studi fino al livello universitario, prima di essere inviati nei reparti operativi, in modo che quando i tempi e le circostanze lo consentiranno saranno pronti per un rapido e proficuo inserimento nella vita civile. Purtroppo il nuovo conflitto acceso dall’Etiopia in terra somala altre a non aver suscitato alcuno sdegno da parte della comunità internazionale, che appare attonita e incapace di reagire, ha dimostrato chiaramente quanto alto sia il rischio per l’Eritrea di subire nuove “attenzioni” da parte dell’imprevedibile e inaffidabile gigante etiopico. L’unica speranza perché si stabilisca la pace nell’Africa orientale viene quindi dal nuovo corso che potrebbe essere impresso alle Nazioni Unite dall’entrante Ban Ki Moon, con un richiamo forte al ristabilimento della legalità internazionale e al rispetto degli impegni presi. Stefano Pettini marzo 2008
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