Eritrea, 25 anni di indipendenza tra deficit di attenzione internazionale e Italia grande assente31/5/2016 (Il Senatore Aldo Di Biagio con il Presidente dell’Eritrea Isaias Afewerki durante un incontro nel cantiere di costruzione di una vasta diga, che servirà ad ottimizzare il rifornimento d’acqua cittadina, in prossimità della città di Asmara) da Huffington Post Fa riflettere come sia passato, fondamentalmente in sordina, il giubileo commemorativo dei 25 anni di indipendenza dello stato di Eritrea celebratosi lo scorso 24 maggio. Un evento che meriterebbe un approfondimento multi-livello in grado di lasciare emergere in maniera chiara le correlazioni sussistenti tra lo status sociale, economico e politico di Asmara con lo scenario entro il quale è incastonata e come questo potrebbe essere rettificato se solo si riuscisse a rivedere il substrato di pregiudizio e di "generalismo" con i quali si continua a gestire l'affaire Eritrea. Un'analisi che non può più permettersi il lusso di essere contaminata da posizioni pregiudizievoli o da valutazioni di parte, ma che deve rimettere in discussione il punto di vista dell'Italia verso un paese nei cui confronti c'è qualcosa in più di un semplice debito con la storia. In questa prospettiva ho colto con particolare attenzione il contributo pubblicato proprio su queste pagine dalla collega Lia Quartapelle, di cui ho apprezzato non poche volte la lucidità e la competenza su tematiche afferenti le relazioni internazionali. E anche in questa occasione, l'argomentazione prediletta, sicuramente non di pubblico dominio, evidenzia una volontà di approfondimento che deve essere guardata con plauso. Ed è già un primo passo per riportare nel dibattito italiano, l'immagine dell'Eritrea non solo limitata alle valutazioni di Freedom of House. Infatti concordo circa il valore evocativo degli anniversari come momento di bilancio e proprio questa consapevolezza mi porta a evidenziare alcune riflessioni prendendo spunto proprio dal contributo della collega Quartapelle, caratterizzato da una mancata completezza delle informazioni che merita di essere, in un certo senso colmata, proprio per attuare quell'auspicato e condiviso proposito di offrire al dibattito italiano tutti gli elementi per una piena comprensione di cosa, come e verso quali prospettive tende il governo di Asmara, da cosa sono condizionate le relazioni di questo con l'intera regione e in che modo queste possono evolvere in chiave costruttiva e potenzialmente fattiva nelle dinamiche di stabilizzazione dell'area. Senza trascurare, in questa cornice, i limiti gradatamente sedimentati dalla postura politico-diplomatica italiana verso cui bisogna tendere con spirito sicuramente critico e introspettivo. Lungi dal voler entrare in un dibattito di tipo culturale o afferente metodologie di analisi politica, l'obiettivo è fornire più elementi possibili per dare un'immagine quanto più veritiera dell'Eritrea, per questo invito la collega a fare un viaggio ad Asmara per vivere in prima persona di cosa stiamo parlando.
Ciò che emerge dalla suddetta analisi e che sembra condizionare in maniera generalizzata l'immagine che si ha in occidente del governo di Asmara, va ricercato nella presunta determinatezza di questo sul versante delle ostilità con l'Etiopia, oggetto di una vivace discrezionalità interpretativa da parte della comunità internazionale. Infatti l'immagine dell'Eritrea, le sue difficoltà e le sue debolezze ruotano intorno a questo conflitto che sulla carta è stato risolto attraverso il meccanismo democratico dell'arbitrato internazionale, ma nella realtà non è si mai sopito a causa del rifiuto di Addis Abeba e all'incapacità, proprio della comunità internazionale, di fornire gli strumenti di risoluzione e di garantirne il rispetto. Ricordo che l'Eritrea dopo una lunga serie di violazioni dei propri confini e l'uccisione dei sette membri di una commissione inviata a verificarne la gravità, ha subito il conflitto 1998-2000 scatenato il 13 maggio 1998 dall'Etiopia con un pronunciamento del parlamento nazionale che ha proclamato lo stato di guerra in maniera assolutamente unilaterale in assenza di una condivisione o di una qualsivoglia velleità da parte di Asmara. Le speranze "naufragate" sono quelle che l'Etiopia, liberata dagli eritrei dal giogo del totalitarismo di Menghistù, riuscisse finalmente a imboccare la strada di una identità nazionale basata non più sulla divisione della società secondo diversificazioni su base etnica, religiosa e di genere, e desse luogo a quella fraterna collaborazione che avrebbe rilanciato le economie dei due paesi. Infatti, è emersa una postura totalmente diversa da parte di Addis Abeba ben distante dalle originarie premesse e nel contempo distante da una reale rappresentatività della popolazione. Lo scenario di impasse con Addis Abeba rappresenta un limite profondo nel percorso di evoluzione socio-politica di Asmara, ma non perché vi sia un assedio semplicemente "percepito", che dunque indurrebbe a credere che nella realtà non esista nulla di equiparabile, ma perché di contro vaste aree di territorio sovrano eritreo sono occupate militarmente e amministrate dalle autorità etiopi in spregio alle norme internazionali e al verdetto della commissione confini nominata dalle Nazioni Unite in occasione degli Accordi di Algeri, sottoscritti come testimoni e garanti anche dal rappresentante italiano della Ue. Ricordiamo infatti che nell'aprile 2002, la commissione confini Eritrea-Etiopia (Eebc) sotto l'egida della Corte permanente di arbitrato, ha emesso una sentenza sulla demarcazione del confine tra i due paesi a seguito del suindicato conflitto, che è stata immediatamente accettata dall'Eritrea ma respinta dall'Etiopia nonostante il verdetto fosse "definitivo e immodificabile", innescando in tal modo quella situazione di impasse che non sembra risolversi ma di cui, nel contempo, la comunità internazionale sembra ignorarne le reali dinamiche. La comprensione della reale conditio che caratterizza le relazioni tra Asmara e Addis Abeba appare la grande assente di qualsivoglia dossier Eritrea segnatamente sul versante italiano, e la mancata comprensione di tale scenario rappresenta il limite per eccellenza per una valutazione imparziale e lucida. Uno degli aspetti che conferma il deficit di approfondimento va ricercato nel caso del presunto mancato rilascio del visto a Sheila B. Keetharut inviato speciale sulla situazione dei diritti umani in Eritrea, nominata nel 2012 dal Consiglio Onu dei diritti umani. In realtà, e questo sembra sfuggire a buona parte dei commentatori, Sheila B. Keetharut e gli altri membri della commissione hanno apertamente intrattenuto rapporti con gli etiopi evidenziando in quelle circostanze una posizione di parte concretizzatasi nel palesare l'opinione secondo cui fosse auspicabile che per l'Eritrea avvenisse un cambio alla guida del paese. Ne è emersa, come è facilmente intuibile, la sussistenza di un conflitto di interessi, premessa per una carenza di auspicata quanto indeclinabile obbiettività, tale da compromettere irrimediabilmente i rapporti di collaborazione con il governo di Asmara. A oscurare ulteriormente l'immagine dell'Eritrea contribuisce l'affermazione di un mancato varo della costituzione e dal cui vulnus ne deriverebbe un governo autocratico. Per completezza di informazione sarebbe il caso di segnalare che l'Eritrea ha ratificato la costituzione nel 1997, immediatamente prima dell'invasione Etiope che, come evidenziato in precedenza, ha contribuito ad innescare uno scenario di ostilità capace di compromettere la completa attuazione del dispositivo costituzionale, non sussistendo l'integrità del territorio sovrano, e il rispetto dell'indipendenza del paese, precondizioni imprescindibili per l'applicazione di una costituzione. Il punto però di maggiore enfasi che sembra condizionare l'immagine dell'Eritrea e che la catapulta in maniera violenta nelle dinamiche geopolitiche che condizionano il mediterraneo resta quello dell'equazione "regime autoritario-fuga di migranti", che rappresenta quasi un mantra a livello europeo. Tale aspetto rappresenta uno dei punti più drammatici dell'intero dossier Eritrea soprattutto perché da nessuna parte è mai stato sollevato il dubbio che i numeri a nostra disposizione siano in qualche modo "falsati" segnatamente perché gli stessi soggetti che approdano sulle nostre coste si dichiarano eritrei, pur non essendolo, al fine di accedere alla richiesta dello status di rifugiati. Secondo i dati dell'Unhcr sarebbero circa 40 mila gli eritrei, o presunti tali, approdati in Italia nel 2015 ma paradossalmente le richieste di asilo sono 475 (Fonte Eurostat, Ministero dell'Interno). Una discrepanza così eloquente lascia emergere il dubbio che la ragione di queste migrazioni vada ricercata non in una istanza di tipo umanitario ma in quella più banalmente "economica" che rappresenta forse l'input storicamente per eccellenza alla base della volontà di lasciare la propria terra di origine, e noi italiani ne sappiamo qualcosa. Si fa un gran parlare di diritti umani violati e di critiche condizioni di vita, additando in maniera grossolana e strumentale le difficoltà di un paese che tenta di risollevarsi e che lo accomunano a tante altre realtà africane, come indicatori di un paese "Worst of the worst" per usare la definizione di Freedom of House. Tra queste si è soliti elencare, l'assenza di infrastrutture per la comunicazione digitale, il difficile accesso ad internet o il numero di giornalisti in carcere. Elementi che, a un'occhiata anche poco approfondita, si rinvengono in buona parte non solo dei paesi africani ma anche in quelli considerati in via di sviluppo. Pertanto l'eccesso di strumentalizzazione che si è soliti fare di queste debolezze strutturali del paese, giustificabili in ragione di una molteplicità di variabili, appare al momento controproducente poiché funzionale ad un certo posizionamento anti-eritrea e ben lontano dall'inquadrare realmente la situazione del paese, che consentirebbe invece di avviare politiche di cooperazione capaci non solo di imprimere un input di sviluppo al paese ma anche di consentire una normalizzazione delle relazioni nell'area. Si addita in particolare il "servizio di leva nazionale" svolto in ambito militare o civile - che può essere di durata indeterminata, che risulterebbe insostenibile per le giovani generazioni, come una delle principali cause di "fuga" dai territori dell'Eritrea, ma di contro si ignorano due fattori che dovrebbero essere strettamente correlati a qualsivoglia affermazione su questo versante: in primis il servizio di leva è attuato nella sua formula straordinaria, se non emergenziale, in ragione del permanere dell'impasse militare con l'Etiopia essendo quest'ultima inadempiente sotto il profilo giuridico internazionale e dunque configurandosi come una sorta di costante minaccia all'integrità territoriale di Asmara. In secundis, quella che però non viene riferita è l'assoluta situazione di privilegio sociale, economico e formativo riservato ai giovani militari, qualora meritevoli, durante la fase di addestramento. A questi è concessa anche la formazione universitaria gratuita oltre che una serie di agevolazioni di tipo economico e la possibilità di accedere ai vertici operativi. Pertanto, allo stato dei fatti, il fuggire dalla propria terra di origine per l'insostenibilità della carriera militare afferisce ad una scelta discrezionale non motivata da condizioni ostative o di incolumità oggettive. I 25 anni di indipendenza di Asmara devono essere l'occasione per rimettere al centro dell'attenzione italiana prima, ed internazionale poi, un paese di cui in Occidente conosciamo ancora poco e quel poco è ancora contaminato da pregiudizi talvolta distorti e distanti dal reale scenario storico-politico entro i quali sono maturati e alimentati. Ma parlare di "bilancio negativo" a 25 anni dalla proclamazione dell'indipendenza e a ben 14 dalla sentenza inapplicata della commissione confini, sembra estremamente riduttivo soprattutto se si intende mettere sul banco degli imputati il governo Eritreo, ignorando di fatto tutto quello che vi ruota intorno. Sussiste un palese deficit di attenzione in capo alla comunità internazionale che protende verso una sorta di etichettatura forzata dei limiti di Asmara: in questo scenario un ruolo potenzialmente rivalutabile sarebbe proprio quello dell'Italia, che detenendo un vantaggio comparato sotto il profilo storico, potrebbe ambire ad acquisire lo status di interlocutore privilegiato dell'Eritrea. Malgrado siffatte premesse di favore che potrebbero elevare e rendere di certo più strategica la posizione dell'Italia in Eritrea, ciò che colpisce profondamente è l'esatto contrario, vale a dire, la totale assenza di Italia sul territorio. Di contro invece non si può non notare, come altri paesi europei abbiano fatto valutazioni diverse: in occasione delle celebrazioni del 25 maggio ad una rappresentanza istituzionale italiana pressoché assente e limitata alla mia persona, ha fatto da contraltare una rappresentanza parlamentare articolata e vivace del Bundenstag tedesco. Una presenza che non si è limitata alla sola partecipazione alla cerimonia commemorativa, ma che è andata ben oltre, con il dono da parte della Germania di un concerto della Filarmonica di Lipsia come simbolo di una collaborazione che investe versanti ulteriori rispetto a quelli meramente politico-economici. La presenza della Filarmonica di Lipsia si erige simbolicamente a consacrazione degli errori commessi dal nostro paese sul fronte diplomatico che non hanno consentito un'emancipazione delle relazioni tra Roma e Asmara ad un livello successivo, capace di innescare virtuosismi propositivi sia semplicemente sul fronte bilaterale che su quello regionale ed europeo. La presenza tedesca, scandita da cicliche missioni istituzionali che si qualificano dunque come una presenza strutturata, invade ogni settore operativo eritreo, da quello afferente il versante della cooperazione e dell'assistenza sociale - soprattutto sul fronte delle politiche migratorie - fino ad approdare a quello prettamente industriale e commerciale, in uno scenario di quasi totale schiacciamento delle potenzialità eritree sulle opportunità tedesche, a cui l'Italia dovrebbe guardare con spirito critico ma nel contempo propositivo. Va altresì notato che a quella tedesca si sono aggiunte le visite di alte delegazioni di molti altri Paesi quali: Danimarca, Norvegia, Regno Unito, Svizzera, Svezia, Paesi Bassi, Austria, Canada, ecc, e da varie agenzie delle Nazioni Unite e numerose organizzazioni internazionali, e in maniera quasi speculare ciò che emerge è la quasi totale inerzia del nostro paese, che si limita a proclami, a demagogia e a promesse mai mantenute, non facendo seguito con atti di pragmatismo sia sul versante delle missioni italiane di cooperazione culturale e sanitaria, sia nella determinazione di strategie future per lo sviluppo del paese. L'individuazione di un dialogo più strutturato e dunque più maturo con Asmara da parte di Roma, potrebbe consentire la definizione di un percorso di cooperazione fattivo in grado di stimolare un'evoluzione socio-economica interna attraverso l'esportazione di know-how e di supporto nelle dinamiche riorganizzative sociali ed economiche in generale. Anche perché, ed è utile sottolinearlo, Asmara tende proprio a questo: non c'è mai stata chiusura da parte dell'Eritrea, nel contempo continua ad esserci una costante tensione verso l'apertura di un canale di dialogo con le autorità italiane, finalizzato a far conoscere come realmente stanno le cose nel paese e verso cosa esattamente si tende, al di là del facile schiacciamento sotto le posizioni e le ragioni di Addis Abeba che sembrano predominare in questo momento e dunque compromettere la visione e la posizione maturata nei confronti di Asmara. L'avvicinamento tra Roma e Asmara ha subito una spinta evolutiva nel luglio 2014 con il ripristino di un confronto ufficiale in occasione della missione ad Asmara dell'ex Viceministro Pistelli, che ha rappresentato un momento certamente simbolico a decorrere dal quale sembrava si volesse collocare le relazioni con Asmara in un scenario storico e geopolitico nuovo, capace di astrarsi dalle contaminazioni post colonialiste ancora vivide in Eritrea e nel contempo capace di bypassare il pesante pregiudizio internazionale che ancora influenza le relazioni multilaterali del paese. Sarebbe stato prioritario a decorrere da quel momento, avviare un processo di ri-contestualizzazione delle relazioni seppur nelle evidenti difficoltà dettate dalla contingenza, e in questo uno sforzo in più lo dovrebbe compiere proprio l'Italia. Purtroppo al momento questo trend non è riuscito ad attuarsi così come si credeva, ma ora appare chiaro che esistano le condizioni per riprovare ad intraprendere quella strada. Pertanto, al momento, l'Italia deve avere l'ambizione di riappropriarsi di quelle premesse ed assumere un ruolo determinante nella bilaterale, capace di riflettersi in maniera fattiva ed efficace sia sul fronte nazionale eritreo sia su quello internazionale in una prospettiva di normalizzazione delle relazioni a livello regionale e di stabilizzazione dell'area che al momento risulta indispensabile per poter avviare strategie di politica migratoria e di sostegno allo sviluppo alternative a quelle fallimentari avviate finora.
1 Comment
Liliana Cortese
6/6/2016 09:10:33 pm
Isaias è solo un dittatore che non dà libertà al proprio popolo
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