Prof. Asmarom Legesse Per conto dei Cittadini per la Pace in Eritrea Asmara, Eritrea, 11 gennaio 1999 Antefatto Una crisi dei diritti umani si profila in modo preoccupante all’orizzonte nel Corno d’Africa, a seguito dell’effetto del conflitto di confine fra l’Etiopia e l’Eritrea: dallo scoppio delle ostilità nel maggio 1998, cittadini etiopici di origine eritrea ed Eritrei residenti in Etiopia sono stati e sono tuttora deportati in Eritrea in ragione di circa 7000 persone al mese. Lo scopo di questo studio è di esaminare se e che tipo di violazioni di diritti umani sono state commesse nel corso di quelle deportazioni. La causa immediata della guerra è stata una disputa di confine in cui entrambi i paesi hanno rivendicato territori lungo una linea di frontiera internazionale, stabilita nella prima parte di questo secolo da una serie di trattati fra i governi di Etiopia ed Italia – la potenza coloniale che allora aveva il controllo dell’Eritrea. Intensi negoziati sono ora in corso all’interno dell’Organizzazione dell’Unità Africana che sta conducendo tentativi di mediazione per portare entrambe le parti a concordare sui termini in base a cui il confine internazionale può essere demarcato sul terreno. Deportazioni di massa illegali dall’Etiopia. Il trattamento dei civili in situazioni di guerra è regolato da patti e convenzioni delle Nazioni Unite. Le deportazioni di massa dall’Etiopia sono il frutto di una politica deliberata e dichiarata che fu chiaramente enunciata dal Primo Ministro Melles Zenawi come diritto incontestabile del suo governo . Comunque, i nostri dati rivelano che la deportazione degli Eritrei e il modo in cui viene condotta viola la Carta delle Nazioni Unite sui Diritti Umani, la Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici (ICCPR), la Convenzione sui Diritti del Bambino e le Convenzioni di Ginevra. In contrasto con le deportazioni di massa da parte dell’Etiopia, l’Eritrea segue una politica dichiarata di non vessazione ed espulsione della numerosa popolazione etiopica che vive sul suo territorio. Quando l’Etiopia ha imposto un embargo ai porti eritrei nel maggio del 1998 - porti che rappresentavano, fino ad allora, i principali sbocchi al mare dell’Etiopia - la numerosissima popolazione etiopica che viveva nel porto di Assab si trovò ad essere disoccupata e cominciò a ritornare in Etiopia. Poiché alcuni di questi rientrati nel loro paese dichiaravano, mentendo, che erano stati vessati, derubati, violentati ed espulsi con la forza dall’Eritrea, il paese chiese al Comitato Internazionale della Croce Rossa (ICRC) di indagare sull’ intera procedura in base a cui gli Etiopici si allontanano volontariamente dall’Eritrea. Tale procedura è in atto da parecchi mesi, dall’agosto 1998. L’ Etiopia successivamente ha dichiarato che una simile procedura veniva attuata da parte etiopica ma l’ICRC, in un messaggio rivolto all’ambasciatore eritreo ad Addis Abbeba, affermò che non c’era nessuna procedura del genere che era stato consentito loro d’indagare. L’Eritrea ha aderito al suo rigoroso codice di condotta durante tutta l’attuale “crisi di confine”. Ha invitato o consentito ad osservatori indipendenti come l’ICRC, Amnesty International, Africa Watch, gli organismi delle Nazioni Unite in Eritrea, la rappresentanza dell’Unione Europea in Eritrea e la Commissione delle Nazioni Unite per i Diritti Umani di verificare la situazione degli Etiopici in Eritrea e di stabilire se sono oggetto di vessazioni e deportazioni forzate oppure no. L’ EPLF, cioè il fronte che ha liberato l’Eritrea e ha instaurato lo stato indipendente, ha aderito al suo consolidato codice di condotta per quanto attiene agli standard etici da mantenersi in tempo di guerra. Oggi il governo dell’Eritrea mantiene tali standard non perché vincolato dalla pressione internazionale o a causa delle convenzioni internazionali a cui partecipa, ma perché le antiche e al contempo rivoluzionarie tradizioni della norma di legge lo spingono verso questo tipo di condotta. Le prove raccolte finora.
Nel campo dei diritti umani le prove contro l’Etiopia si stanno accumulando.Tra i molti rapporti che confermano le nostre prime scoperte sui deportati c’è uno studio di Natalie Klein, un’avvocato della Suprema Corte Australiana , e delle relazioni da parte dei rappresentanti di Amnesty International , del Human Rights Watch World Report 1999 , della rappresentanza in Eritrea dell’Unione Europea, del Dipartimento di Stato Americano , dell’UNICEF in Eritrea , e del capo dell’UNDP ad Asmara che rappresenta tutte le organizzazioni delle Nazioni Unite. Questi hanno tutti documentato diversi aspetti di violazioni dei diritti umani nella recente campagna di deportazione etiopica. Quasi tutti questi rapporti hanno stabilito che non ci sono ampie e significative prove di violazioni di diritti umani da parte eritrea e che la maggior parte degli Etiopici che hanno lasciato l’Eritrea sono partiti volontariamente o a causa di sopraggiunti cambiamenti nel mercato del lavoro. Di fronte a questa quantità di prove, risulta immorale da parte di alcuni diplomatici o agenzie di stampa affermare, ripetutamente, che “entrambe le nazioni stanno deportando i cittadini dell’altra” senza esaminare le prove disponibili citate sopra o verificando in modo indipendente le dichiarazioni dei due paesi. Mary Robinson – l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani – ha coraggiosamente condannato l’Etiopia sulla base delle prove a sua disposizione. La reazione al suo commento da parte dell’Etiopia è stato arbitraria e aspra. Un esempio è dato dall’intervista rilasciata il 9 luglio 1998 dal Primo Ministro Melles Zenawi il quale ripetutamente mette in dubbio la competenza dell’Alto Commissario e si riferisce a lei come “quella donna”. (Vedi Appendice 4). A differenza di alcune parti della comunità diplomatica, comunque, lei non si è piegata di fronte alla condanna etiopica. Il governo dell’Etiopia dovrebbe sapere che non è possibile nascondere le violazioni dei diritti umani quando si deportano decine di migliaia di Eritrei, perchè presumibilmente rappresentavano “rischi per la sicurezza”. In tutte le nostre inchieste, non abbiamo trovato un solo esempio in cui le autorità etiopiche siano riuscite a dimostrare queste presunte accuse in tribunale, come la legge internazionale richiede loro di fare. Gli sradicati, Parte I, dati qualitativi e interviste approfondite Il nostro primo rapporto sui deportati, intitolato “Gli Sradicati,” è stato basato su approfondite descrizioni qualitative delle esperienze dei singoli deportati. I dati sono stati accompagnati da trascrizioni parola per parola della loro testimonianza. Sulla base delle illuminazioni ottenute da questi profili, abbiamo costruito uno strumento di analisi –un questionario con 152 variabili precodificate che rappresentano diversi tipi e misure di violazioni dei diritti contenute nella Dichiarazione dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, la Convenzione sui Diritti Civili e Politici, e i Diritti del Bambino. In questa seconda fase della nostra ricerca abbiamo anche esaminato le violazioni della Convenzione di Ginevra. Gli sradicati, Parte II: indagine quantitativa e metodo scientifico impiegato Mentre il nostro primo rapporto consisteva di profili di singoli individui le cui esperienze non potevano essere mostrate come rappresentative della più ampia popolazione di deportati, la nostra attuale ricerca si basa su un campione scientifico adeguatamente ‘randomizzato’, cioè ad indirizzo calcolato, e così ottiene lo scopo di essere rappresentativa. Risulta pienamente rappresentativa di 6880 unità familiari da cui il campione è stato tratto e, così, le caratteristiche del campione descrivono le caratteristiche della popolazione con un margine noto di errore. L’entità del campione oggetto è stata di 370. Questo è il minimo campione richiesto per raggiungere un ambito di confidenza, cioè un margine di sicurezza, del 95% su una popolazione di un massimo di 10.000 casi. Per avere la possibilità di portare avanti analisi affidabili, anche laddove ci siano dati mancanti relativi a particolari variabili, abbiamo analizzato un campione più ampio del minimo richiesto. Il campione finale è stato di 413 individui selezionati da una popolazione di 6880 casi che rappresentavano principalmente unità familiari. Di conseguenza, potremmo avere fino a 43 osservazioni mancanti (“niente dati” nelle nostre tavole) su qualunque variabile ed ottenere tuttavia risultati affidabili, cioè raggiungeremmo ancora l’ambito di confidenza del 95% -il livello che abbiamo fissato come obiettivo per l’intero studio. La procedura di campionatura è discussa più accuratamente nell’Appendice 1. Tenuto conto di questo approccio, è dunque possibile considerare il campione come rappresentativo della popolazione e trarre conclusioni sulle caratteristiche della popolazione basate sulle caratteristiche determinate in modo empirico del campione. Presentazione dei dati Passiamo quindi al contenuto principale della nostra ricerca e presentiamo ciascun gruppo di variabili sotto diverse intestazioni: Chi sono i deportati? Quali sono i loro diritti di cittadinanza? Chi autorizza le deportazioni? Che cosa accade alle proprietà dei deportati? Quali sono la formazione e il ruolo del personale addetto alla deportazione? Ha il potere giudiziario ruolo alcuno nelle deportazioni? Quali diritti dei deportati si stanno violando? Chi sono i deportati? In termini di cittadinanza, la popolazione eritrea dell’Etiopia consiste di due gruppi: cittadini eritrei e cittadini etiopici. Entrambe le popolazioni rientrano anche in due altre categorie: Comunità rurali collocate vicino al confine etio-eritreo, che sono state sfrattate dalle loro fattorie e vivono ora addentrate nel territorio eritreo come rifugiati interni. Comunità urbane appartenenti ad alcuni centri in Etiopia e principalmente impegnate in attività produttive, economiche, professionali e tecniche, che sono ora deportate in Eritrea. Il punto focale di questo studio è interamente rappresentato dalle popolazioni urbane. Queste rientrano in quattro grandi categorie: quelli che sono stati deportati, quelli che aspettano di essere deportati (molti di loro con le valigie pronte), quelli che credono che non saranno deportati e quelli che sono in varie prigioni e campi di concentramento, con nessuna speranza di essere deportati. Il nostro studio ha fornito dati sistematici sui primi e informazioni di tipo aneddotico sui secondi. Abbiamo poche informazioni sulle ultime due categorie, soprattutto per l’impossibilità di avere accesso alle prove. Speriamo e confidiamo che le nostre controparti etiopiche nel campo dei diritti umani raccolgano e pubblichino informazioni concernenti la situazione di questa popolazione e la condizione degli Etiopici che sono ritornati in Etiopia dall’Eritrea per qualunque motivo. La zona (killil) dell’Etiopia da cui sono venuti i deportati Risulta chiaro, dal grafico che segue, che la maggior parte dei deportati provengono da Addis Abeba e che il resto viene dal Tigray, e dalle zone Amhara e Oromo. Essi sono prevalentemente di provenienza urbana e concentrati nella capitale. Poiché i cittadini eritrei dell’Etiopia non hanno una zona propria di appartenenza, gravitano intorno ad Addis Abeba, una città multi-etnica. Il fatto che il secondo gruppo per numero provenga dal Tigray ha ragioni etniche, linguistiche, storiche e geografiche. I Tigrini e gli Eritrei dell’altopiano sono vicini di casa, parlano la stessa lingua e hanno una storia comune. Comunque si differenziano decisamente l’uno dall’altro per cultura e per carattere. La loro divergente evoluzione non è semplicemente il risultato dell’esperienza coloniale dell’Eritrea: tale divergenza risale al quattordicesimo secolo quando l’Eritrea cominciò a scrivere le leggi costituenti il suo diritto consuetudinario e a sviluppare le proprie istituzioni democratiche a livello popolare. La profonda antipatia che alcuni Tigrini hanno ora sviluppato verso gli Eritrei è, comunque, un fenomeno nuovo e probabilmente si smorzerà una volta che la campagna di odio si placherà. Profilo sociale dei deportati I deportati che sono venuti in Eritrea sono in uno stato di disorganizzazione e non è possibile presentare di loro un normale quadro sociologico. Le loro case e la loro vita familiare sono state distrutte. Essi stanno ora tentando di raccogliere i pezzi e ricominciare da capo. La popolazione adulta che abbiamo analizzato è composta per il 70% di maschi e per il 30% di femmine. Queste persone sono per la maggior parte capifamiglia che sono venuti in Eritrea da soli o con parte della loro famiglia. Ora vivono come ‘persone a carico’ aggregati ad altre famiglie. La distribuzione per genere della popolazione è corretta dall’età, nel senso che c’è una preponderanza femminile nei gruppi più giovani e una preponderanza maschile nei gruppi d’età più avanzata. Tale differenza è statisticamente altamente significativa . Questa differenza è in parte dovuta al fatto che il governo dell’Etiopia spesso espelle giovani donne mentre mette in carcere i giovani che si presume siano impegnati in attività ritenute una minaccia per la sicurezza. Allo stesso tempo essi espellono anche un numero sproporzionatamente grande di maschi in età di pensionamento o pensionati che rappresentano un carico economico per il regime. Sono uomini (e donne) che hanno trascorso una vita lavorando per il governo etiopico o strutture parastatali e che ora per convenienza sono scacciati dal paese. Lo status familiare dei deportati può essere meglio descritto in termini della struttura familiare che si sono lasciati dietro in Etiopia piuttosto che facendo riferimento alle strutture instabili e solo parziali che esistono oggi nelle loro case eritree. Prima della loro deportazione il74.8% dei deportati erano capifamiglia, il 9.9 % erano a carico e il 14.8% erano adulti che vivevano da soli, inclusi quelli non sposati, i divorziati e i vedovi. Prima del loro arrivo in Eritrea circa un terzo dei deportati (34.4%) possedeva una casa e molti avevano case di sicuro valore. Il resto viveva in abitazioni in affitto. Situazione abitativa in Etiopia percentuale n° di casi Casa di proprietà 34.4 142 In affitto 56.9 235 Altro 8.0 33 Dato non acquisito 0.7 3 Totale 100.0 413 Queste famiglie, che conducevano una vita stabile in case di proprietà o in affitto, sono ora sparse nelle città eritree e vivono in un contesto precario. A parte una piccola percentuale (4.4%) che possiede una casa in Eritrea, la maggior parte delle famiglie rimanenti e dei ‘single’ hanno ottenuto una sistemazione temporanea presso i loro genitori (6.0%), parenti (48.9%) o amici (1.3%). Alcuni hanno acquistato una o due stanze nei fabbricati altamente sovrappopolati di Asmara. Altri stanno in pensioni o ricoveri. Come si può vedere nel grafico seguente, la configurazione abitativa è rappresentata dal tipo più stabile al più precario. Le vie d’accesso I deportati sono entrati in Eritrea attraverso quattro punti d’ingresso che sono collocati lungo l’intera ed estesa linea di confine che misura 1000 chilometri (620 miglia): Assab, Zalambessa, Mereb e Humera. Recentemente Assab è diventata il principale se non addirittura l’unico punto d’entrata, in contrasto con quanto si è verificato precedentemente quando le persone arrivavano attraverso tutti e quattro i punti. La spigazione logica di questo cambiamento è che la via di Assab è la più difficile per i deportati e per le loro famiglie, in particolare i bambini. Se si vuole che le deportazioni siano una forma di punizione ed umiliazione allora la via di Assab raggiunge in pieno lo scopo. E’ anche la via meno controllabile. Il deserto della Dancalia attraverso cui i deportati viaggiano per giorni per raggiungere Assab è così insopportabilmente caldo e così lontano dai maggiori centri abitati che migliaia di persone possono viaggiare in carovane di venti o venticinque autobus senza essere notati dalla stampa internazionale. Quando hanno completato questo difficile percorso, devono affrontare un altro arduo viaggio che dura dalle 24 alle 36 ore sul ponte di navi da carico aperte. Queste navi li conducono da un porto eritreo all’altro, cioè da Assab a Massawa dove arrivano esausti. All’arrivo di ogni gruppo, alcune persone sono portate in ambulanza all’ospedale o a ricevere i primi soccorsi. Alcuni bambini sono esposti per così tanto tempo ai raggi ustionanti del sole che la loro pelle si ricopre di vesciche e si infetta cosicché sono costretti a rimanere in piedi per la maggior parte del viaggio. Alcuni non ce la fanno ad affrontare il viaggio sulla nave da carico e vanno in aereo da Assab ad Asmara. Figura 1: 1500 deportati che arrivano su una nave chiamata ‘Pace’. Figura 2 : Attraversando la terra di nessuno La cittadinanza dei deportati I deportati sono per la maggior parte cittadini etiopici che si trovano ad essere di discendenza eritrea. Molti di loro sono nati in Etiopia, alcuni sono sposati ad etiopici, alcuni sono figli di questi matrimoni misti, molti hanno vissuto in Etiopia per la maggior parte della loro vita. Fra loro c’è una piccola minoranza di cittadini eritrei che si sono trasferiti in Etiopia da quando l’Eritrea è diventata indipendente nel 1993. Non hanno diritti di cittadinanza in Etiopia a meno che vere e proprie procedure di naturalizzazione non siano state portate avanti. Lo stato di cittadinanza dei deportati si può descrivere abbastanza semplicemente attraverso le carte d’identità ufficiali di cui sono muniti. Un’ampia maggioranza dei deportati, l’83%, è in possesso di carte d’identità etiopiche rilasciate ai cittadini dell’Etiopia. Di tutti i deportati, il 70.7%avevano carte d’identità con scritto “cittadinanza: etiopica” sebbene il loro posto di nascita è spesso in Eritrea. Soltanto il 9.5% non avevano tali carte principalmente perché sono emigrati recenti che sono andati in Etiopia dopo che l’Eritrea è divenuta indipendente nel 1993. Poiché l’Eritrea e l’Etiopia consentivano una quasi totale libertà di movimento di cittadini fra i due paesi, ai visitatori eritrei in Etiopia era consentito di usare le loro carte d’identità eritree per tutti gli scopi ufficiali, incluse entrate e uscite. Carta d’identità etiopica percentuale n° di casi SI 83.3 344 No 9.5 39 Non rilevante: Anziani 0.7 3 Minori 5.6 23 Visitatori 0.2 1 Dato non acquisito 0.7 3 Totale 100.0 413 La confisca ufficiale delle carte d’identità durante il processo di deportazione è uno degli atti più illegali subiti dalle vittime. In questi casi, la burocrazia etiopica ha tentato di privare gli Eritrei della loro cittadinanza non attraverso un atto del parlamento o attraverso una nuova legislazione ma semplicemente togliendo loro i documenti impedendo così che andassero via con una prova della loro cittadinanza. In alcune occasioni, gli ufficiali hanno proprio strappato i documenti alla presenza del deportato. Comunque, quasi un quinto (19.6%) dei deportati sono ancora in possesso delle loro carte d’identità e molti altri (14%) le hanno lasciate in Etiopia con amici e parenti etiopici per tenerle al sicuro. I loro passaporti etiopici sono pure un altro tipo di documento che mostra che molti di loro erano effettivi cittadini etiopici, non semplici residenti legali. Un passaporto è un documento internazionale che risente dei regolamenti internazionali. E’ una richiesta ufficiale da parte di uno stato agli altri stati di concedere ai sui cittadini di entrare o passare attraverso il loro territorio. E’ un’indicazione di cittadinanza altrettanto chiara di qualsiasi altro documento. Non meno del 21.8% dei deportati sono detentori di passaporto etiopico. Quella percentuale nel campione corrisponde a 1500 individui nella popolazione totale di 6880. Questo è uno degli importanti elementi di prova che indicano che il regime etiopico sta deportando i suoi stessi cittadini in gran numero, solamente a causa della loro origine etnica. Si tratta di cittadini innocenti che si sono trovati in mezzo al fuoco incrociato fra i due stati. I governanti etiopici non hanno giustificazione allorché sostengono che questi uomini e queste donne non sono cittadini dell’Etiopia e che possono essere deportati liberamente (Appendice 4, pp. 48-49) In possesso di passaporto Percentuale n° di casi SI 21.8 90 No 78.0 322 Visitatori 0.2 1 Totale 100.0 413 Sequestro del passaporto Percentuale n° di casi Sequestrato 5.8 24 Con sé 5.6 23 Lasciato in Etiopia 9.2 38 Perduto 0.2 1 Altro 0.2 1 Non rilevante: Senza passaporto 78.9 326 Totale 100.0 413 Insieme con la carta d’identità, gli ufficiali etiopici hanno cercato di privare i deportati della loro cittadinanza confiscando i loro documenti. Comunque, un gran numero di persone (14.8%) ancora sono in possesso dei loro documenti o li hanno lasciati ad amici e parenti etiopici. Questi documenti possono servire come prova dei loro diritti di cittadinanza. Il fatto che così tante carte d’identità o passaporti siano stati confiscati da ufficiali etiopici durante la procedura di deportazione e non siano mai stati restituiti ai loro legittimi proprietari ha assai poco fondamento legale. A meno che lo stato etiopico non conduca un’azione legale costituzionalmente valida per privare gli eritrei della loro cittadinanza, le confische si possono considerare atti inutili e arbitrari. Ci sono riferimenti a quelle carte d’identità e passaporti in molti altri documenti che i deportati possiedono. La prova della loro cittadinanza, quindi, non può essere facilmente cancellata. I diritti degli Eritrei in Etiopia Secondo l’attuale costituzione etiopica, nessun Etiopico può essere privato della sua cittadinanza o deportato fuori del suo paese in nessun caso. Se dei cittadini commettono un crimine, possono essere puniti in altri modi legalmente istituiti ma non attraverso la deportazione. Nell’articolo 33 (1), l’attuale (1995) costituzione dell’Etiopia afferma che “ nessun Etiopico (uomo o donna) può essere privato della sua cittadinanza senza il suo consenso.” In occasione del referendum del 1993, uno stato, l’Etiopia, si è scisso in due stati, l’Etiopia e l’Eritrea. A quel punto nella storia, l’Eritrea ha permesso la doppia cittadinanza mentre l’Etiopia no. L’Etiopia allora aveva l’obbligo di concedere agli Eritrei una possibilità di scelta: si sarebbe dovuto chiedere loro di rinunciare all’una o all’altra nazionalità. Il parlamento etiopico sotto la guida di Sua Eccellenza Tamrat Laine, che era allora Primo Ministro, dibatté il problema e arrivò alla conclusione che la faccenda andava approfondita.* Altre nazioni di fronte a un simile dilemma hanno trovato una soluzione molto più umana di quella adottata dall’Etiopia. Nel 1975, chi scrive viveva in Olanda e si è trovato a testimoniare un evento che è significativo per questo discorso. In quell’anno, il Suriname ha ottenuto la sua indipendenza dai Paesi Bassi. Agli abitanti del Suriname fu quindi data la possibilità di scegliere di mantenere la loro cittadinanza olandese o di assumere la cittadinanza del Suriname. Migliaia di Surinamesi che avevano scelto di essere cittadini olandesi arrivarono in Olanda per nave e furono quindi portati in autobus nelle molte comunità presenti nei Paesi Bassi, che dettero loro il benvenuto nelle loro nuove case. Ecco come una società civile e democratica ha affrontato questo problema. Ci pare di capire che la burocrazia etiopica stia progettando di ricorrere ad un articolo presente nella costituzione del 1931 dell’Imperatore Haile Sellassie, in cui si afferma che qualunque Etiopico (uomo o donna) che assuma un’altra cittadinanza automaticamente perde la sua cittadinanza etiopica. Questa idea, comunque, non è valida perché quella costituzione è stata sostituita da altre due, nel 1955 e nel 1995, e in nessuna delle due viene mantenuto questo particolare articolo. Inoltre, l’assunto che gli Eritrei che hanno votato nel referendum tramite cui l’Eritrea è divenuto uno stato indipendente, e la probabilità che abbiano votato per l’indipendenza eritrea e fossero forniti di carta d’identità eritrea, costituisca il presupposto della cittadinanza eritrea e, ipso facto, una rinuncia alla cittadinanza etiopica non ha alcun fondamento costituzionale. Il Primo Ministro, un Amhara e capo del partito Amhara (l’ANDM all’interno della coalizione dell’EPRDF) è ora in prigione perché accusato di corruzione. L’importante articolo fu prima enunciato nell’”Ethiopian Nationality Law,” Berhanena selam Newspaper, Vol.6, No.30, 24 luglio, 1930 articolo 11, e poi incorporato nella costituzione del 1931. Perché il parlamento etiopico sotto Tamrat Laine ha lasciato senza soluzione la questione della cittadinanza eritrea dopo il referendum? Sembra chiaro che la faccenda fu lasciata nell’ambiguità per ottime ragioni politiche. In quegli anni, l’EPRDF – il partito di coalizione che è al potere oggi in Etiopia – combatteva per assicurarsi una propria vita politica. Era impegnato in una campagna elettorale che doveva determinare il carattere della nuova Etiopia e il ruolo che le forze vincitrici del Fronte di Liberazione del Popolo del Tigray e dei loro alleati nell’EPRDF avrebbero avuto nello stato emergente. Il partito di coalizione mobilitò la popolazione eritrea dell’ Etiopia così da avere il loro voto. Gli Eritrei risposero con grande entusiasmo perché il loro stesso destino era legato a quello dell’EPRDF – il partito che con maggiore probabilità avrebbe protetto i loro diritti come cittadini etiopici. Agli Eritrei furono consegnate schede elettorali ed essi votarono in gran numero. Alcuni di loro concorsero per ottenere cariche locali e furono eletti come membri delle assemblee del Distretto (Wereda). Alcuni furono eletti a far parte dei comitati professionali dell’EPRDF. Molti di loro contribuirono finanziariamente ad assicurare la sopravvivenza e la vittoria finale del partito. Alcuni ebbero persino le funzioni di addetto elettorale. Tutto questo accadde in 1996, tre anni pieni dopo il referendum del 1993. Gli Eritrei in Etiopia non avrebbero potuto prendere parte a tali decisive attività politiche in 1996, se avessero, di fatto, perso la loro cittadinanza nel 1993. In relazione ai contributi politici della popolazione dei deportati alla campagna elettorale dell’EPRDF, i nostri dati rivelano che il 6.8% di loro erano membri del partito, il 19.6% dettero contributi finanziari alla campagna di raccolta fondi del partito e il 45.2% votò per eleggere il partito. Si tratta di una porzione di votanti molto notevole che qualunque politico vorrebbe conquistarsi. Anche prima di questi sviluppi politici della metà degli anni ’90, gli Eritrei in Etiopia ebbero un ruolo importante nel dare stabilità al governo dell’Etiopia dopo che i tre decisivi fronti di liberazione nella regione avevano destituito la giunta militare comunista che aveva governato il paese nelle decadi precedenti. I fronti di liberazione in questione erano l’EPLF (il Fronte di Liberazione del Popolo Eritreo) in Eritrea e il TPLF (il Fronte di Liberazione del Popolo del Tigray), l’EPDM (il Movimento Democratico del Popolo Etiopico, formato soprattutto da Amhara) e l’OLF (il Fronte di Liberazione degli Oromo) in Etiopia. Questi fronti hanno collaborato ad abbattere la giunta ultrarmata, che era sovraccarica di materiale bellico russo del valore di 12 miliardi di dollari americani, che si era andato accumulando negli anni (1975-91). Nel 1991, le brigate meccanizzate eritree hanno marciato per tutto il percorso fino ad Addis Abeba fianco a fianco con le forze di liberazione etiopiche e si sono servite delle loro unità di artiglieria pesante altamente efficienti per infrangere la resistenza della giunta e il suo cospicuo esercito. Tali forze hanno aiutato a sconfiggere il dittatore Mengistu Hailemariam e a insediare il Primo Ministro Melles Zenawi e il suo partito di coalizione nel posto che ora occupano. I mesi e gli anni che seguirono il crollo della giunta furono molto precari. C’erano grandi masse di soldati etiopici che improvvisamente erano stati mandati alla deriva. Bande insubordinate di soldati usavano i loro fucili “per procurarsi da vivere”. L’Etiopia viveva un momento di passaggio o un interregno che, in latino, significa che “ un governo era caduto e l’altro non si era ancora stabilizzato” – una specie di temporanea terra di nessuno. In quello stato di transizione, il TPLF ha armato molti Eritrei e li ha indotti a prestare servizio come membri della “Forza di Stabilizzazione e Pacificazione”, conosciuta in Amarico come selamnna merregagat. Il loro compito era usare le armi che venivano date loro per evitare ogni tentativo di destabilizzazione del governo appena installato. La nostra inchiesta dimostra che il 7% dei deportati prestarono servizio in questa forza. Un certificato rilasciato ad un cittadino eritreo dell’Etiopia, allo scopo di rendergli onore per il suo “grande contributo” alla Campagna di Stabilizzazione e Pacificazione a cui offrì il suo servizio dal 1991 al 1993 (dal 1983 al 1985 secondo il calendario etiopico). Si tratta di uno dei 481 deportati nella popolazione che abbiamo esaminato, che hanno aiutato a dare stabilità all’Etiopia dopo la liberazione del 1991. La maggior parte di loro hanno tali certificati o una carta d’identità con la scritta “un kalashnikov” rilasciata per la campagna di liberazione. Sette anni più tardi, le case di quegli Eritrei che hanno aiutato a dare stabilità al paese, subirono irruzioni da parte degli ufficiali addetti alla sicurezza del TPLF e loro stessi furono deportati fuori del paese col pretesto che si trattava di “stranieri”, “nemici estranei” e un “rischio per la sicurezza”. Questa è una delle crudeli contraddizioni che prevalgono oggi nella vita politica etiopica e che fanno capire che il paese si trova in uno stato di profondo diniego dei suoi principi. I governanti etiopici si sono rivoltati in modo violento contro coloro che li hanno sostenuti e difesi nell’ora del bisogno. La politica etnica e le sue conseguenze sociali La nuova Etiopia non solo ha creato una federazione etnica ma muove anche le sue guerre politiche lungo linee etniche. Il “federalismo etnico” recentemente escogitato è uno dei più pericolosi esperimenti di politica etnica che sia finora emerso nel continente africano e probabilmente non ha equivalenti in Africa. Gli stati etnici etiopici sono stati creati sulla spinta di intenzioni umanitarie, ma le sue conseguenze sono state sfortunate. Ci sono, per esempio, tendenze esplosive nel rapporto dell’attuale regime etiopico con tutti quei fronti etnici di liberazione o partiti politici degli Oromo (OLF), degli Ogaden Somali (ONLF), degli Afar (ALF) e degli Amhara (AAPO). Questi sono alcuni dei fronti e dei partiti locali che sono stati violentemente soppressi dalla coalizione dell’EPRDF e soppiantati da partiti politici etnici creati o alimentati dal regime. Dobbiamo ora porre la politica etnica etiopica sotto il microscopio perché ha avuto un grosso impatto sull’attuale crisi e sul processo di deportazione. Essa si riflette nella condotta di quelli che stanno effettuando raccolte, imprigionamenti, espropri e la deportazione di Eritrei dall’Etiopia. La campagna contro i civili eritrei in Etiopia è etnica nella sua fonte d’ispirazione ed è etnica nei suoi obiettivi, nonostante miri a rivestirsi della copertura della “sovranità e sicurezza nazionale.” E’ motivata dal bisogno di umiliare gli Eritrei, in risposta alla sensazione che i Tigrini, e in particolare la gente dell’Est Tigrai, sono visti con disprezzo dagli Eritrei. Questo è il tema principale che ne alimenta molti altri. E’ discusso sulla stampa locale, nei vari dialetti, ma non sulla stampa internazionale in inglese. Se i capi decidono di parlarne o no, gli “anziani” dell’O.U.A. che stanno mediando il conflitto non possono ignorarlo. Nessuna mediazione può riuscire a meno che non sappia scoprire “le motivazioni segrete” dell’una o dell’altra parte o di entrambe, come “gli anziani” in Africa, che sono quotidianamente impegnati nel lavoro di mediazione e ristabilimento della pace, sanno molto bene. Il ruolo della politica etnica nel dramma della deportazione: i protagonisti Ci sono molti personaggi che sono protagonisti nella campagna di deportazione. Questi sono l’informatore segreto, l’informatore-vicino di casa, il razziatore, il ‘deportatore,’ il carceriere e il guardiano dell’autobus. Il ruolo di ciascuno di questi attori sarà esaminato in diverse parti di questo scritto. L’informatore segreto Un importante ma oscuro protagonista nell’attuale campagna di deportazione è l’informatore segreto, che fa il suo interesse nel dare la caccia agli eritrei e nel denunciarli alla polizia. Egli è responsabile, più di qualsiasi altro, dello stato di terrore in cui si trova oggi la comunità eritrea in Etiopia. E’ talmente grande l’ansia generata da questa minaccia sconosciuta che molti eritrei aspettano nelle loro case-con le valigie pronte- il giorno in cui l’accetta cadrà. Molti dormono sul pavimento, dopo aver venduto I mobili e il letto. Alcuni tentano di lasciare il paese volontariamente, dopo aver sistemato i loro affari, ma sulla loro strada ci sono molte restrizioni burocratiche. Verrà loro concesso di partire quando il regime riterrà che sia il momento. Partiranno quando lui lo deciderà, non loro. Abbiamo molte informazioni ma pochi dati statistici sugli informatori ingaggiati. La loro esistenza è nota ai deportati poichè spesso sono loro ad accompagnare gli ufficiali nelle loro incursioni a casa di un eritreo, a consegnare le loro vittime agli ufficiali della sicurezza per poi ritirarsi frettolosamente. Sono mercenari pagati dall’apparato della sicurezza per i loro servizi. Non esitano a dare informazioni false sulle loro vittime per poter incrementare i loro affari. L’informatore-vicino di casa A lato dell’informatore segreto che lavora di nascosto, gli altri tipi di informatori sono ben conosciuti dalle loro vittime. Il tipo più comune è un vicino di casa che è stato abbastanza vicino alle sue vittime da essere in grado di descrivere le loro storie, le loro appartenenze politiche e la rete sociale: il 20% dei deportati afferma essere stato un vicino a denunciarli all’organizzazione di sicurezza e a raccomandare che fossero cacciati dal paese. E’ comunque importante sottolineare che non tutti i vicini sono informatori. Molti sono preoccupati delle deportazioni. Essi si prendono cura dei bambini e delle proprietà lasciate dai deportati e offrono il loro aiuto in molti modi poco evidenti, come dare informazioni ai genitori deportati sullo stato dei loro figli, delle loro case e delle loro proprietà. Per forza di cose questo ruolo di buon samaritano deve rimanere nascosto per non provocare le ire del regime. Altri immediatamente diventano ostili ai loro vicini e fanno loro pressione affinchè vendano le loro case, auto e ciò che hanno a prezzi sfacciatamente stracciati. Sono motivati da una disgustosa ingordigia. A una donna eritrea venne chiesto di vendere un televisore che valeva 10000 Birr (1500 USD) per 400 Birr (50 USD). Essa prese il televisore, lo appoggiò sul pavimento di cemento, lo fece a pezzi e disse:” Adesso potete raccogliere i pezzi senza pagare niente”. Nel mondo degli informatori il fattore di Giuda è più evidente nel caso di colleghi di lavoro (6,8%) e amici (4,1%) che si appoggiano ai loro colleghi eritrei. Queste sono persone di cui gli eritrei si fidano e che rispettano, persone che per anni hanno condiviso gioie e dolori, matrimoni e funerali. Tra questi c’è un piccolo numero ( 0,7%) rappresentato da amici d’infanzia dei deportati. L’identità etnica degli informatori Nelle primissime fasi del conflitto tra Etiopia ed Eritrea, il Primo Ministro Melles Zenawi dichiarò che non c’è niente di etnico nella guerra che il suo regime ha dichiarato all’Eritrea. Disse che il suo governo non è “contro la gente” ma si oppone al regime che è ora al potere in Eritrea. (Appendice 4) . Il che si è rivelato essere molto lontano dalla verità. Sta emergendo chiaramente che gli abitanti del Tigray sono l’avanguardia della guerra di deportazione che è diretta in modo specifico contro i cittadini eritrei . Ovviamente non è una campagna esclusivamente dei Tigrini dal momento che comprende i tre maggiori gruppi etnici del paese. Il ritorno di fiamma della campagna etnica In tutto ciò è particolarmente interessante la posizione degli Oromo. Sono di gran lunga il più grande gruppo etnico in Etiopia ( qualcosa come 18,8 milioni di anime contro i 3,1 milioni di Tigrini secondo il censimento del 1994). Gli Oromo, ovviamente, non stanno partecipando con molto entusiasmo alla campagna di deportazione. Il loro movimento fu sconfitto dall’esercito del Tigray all’inizio del 1990. Fu impedito al loro fronte nazionale (OLF) di prendere parte alla politica nazionale e i loro capi furono mandati in esilio. Essi sono comunque spaventati perchè ci si può aspettare che loro giochino un ruolo dominante in ogni sistema di governo apertamente democratico che potrebbe essere stabilito nel paese. Gli Oromo chiaramente non sono incantati dalla campagna di odio etnico lanciata dai leaders del Tigray e hanno assestato un colpo di grazia di loro invenzione. In alcuni casi hanno deportato gente del Tigray dal loro territorio (Oromia) insieme a cittadini eritrei con la spiegazione che non possono distinguerli. Dicono che entrambe parlano la stessa lingua incomprensibile, il tigrino, ed entrambe sono conosciuti come “Tigre”. Hanno le deportazioni autorità legale? Chi le autorizza? In molti casi il compito di portare avanti la procedura di deportazione è stato affidato agli ufficiali di polizia. Tuttavia il loro ruolo in questa campagna di pulizia etnica non deve venire esagerato. Il capo di una stazione di polizia ha affermato che gli eritrei portatigli non possono essere detenuti a meno che non abbiano violato la legge e che il fatto di essere eritrei non è motivo sufficiente per un loro imprigionamento. Questo è uno strano comportamento di rispetto della legge nel mezzo del trambusto illegale che circonda le deportazioni. Al contrario, tutti gli altri tipi di ufficiali che hanno avuto un ruolo nelle deportazioni è molto improbabile che si pongano domande su questi punti delicati della legge riguardanti la colpevolezza o l’innocenza. Il partito dominante, l’ EPRDF, ha dichiarato guerra agli eritrei e loro stanno semplicemente eseguendo il mandato dato loro dal partito. Gli amministratori locali (Kebele) sono parti operative dell’ EPRDF come gli apparati della sicurezza e e gli ufficiali dell’esercito. Questi non chiedono giustificazioni nell’imprigionare o deportare un eritreo se viene stabilita la discendenza eritrea di una persona. Spesso è sufficiente la dichiarazione di un informatore e non viene neppure chiesto alla vittima di identificarsi secondo la sua origine etnica. Vi sono occasioni in cui anche delle vittime Amhara vengono deportate, sebbene non abbiano una goccia di sangue eritreo . La procedura di deportazione è talvolta così casuale e indiscriminata che molte vittime non volute vengono mandate in Eritrea. Per esempio c’è la prova che due persone che stavano visitando i loro parenti in prigione, sono stati gettati dentro un autobus e spediti con i detenuti. Nè le proteste delle vittime, nè quelle dei loro parenti imprigionati, poterono persuadere i carcerieri dell’errore che stavano commettendo. L’episodio rivela la mancanza di rispetto, da parte delle autorità della deportazione, del diritto di ogni individuo di essere trattato come” una persona di fronte alla legge”. E’ coerente col caso precedente che abbiamo presentato nel nostro primo rapporto intitolato “Gli sradicati”, che riguardava una famiglia eritrea che fu deportata mentre stava visitando un’altra famiglia eritrea. Violazione della legge etiopica e della costituzione I matrimoni tra cittadini eritrei ed etiopici sono diventati una considerevole fonte di problemi nell’attuale campagna di deportazione. Un intero 12% dei deportati sono eritrei sposati con etiopici che hanno dovuto lasciare i loro coniugi e i loro bambini. Sorprendentemente le autorità della deportazione violano la legge etiopica deportando talvolta etiopici sposati con eritrei. L’articolo 33 (1) della costituzione del 1995 afferma: Che il matrimonio con un non etiopico non invalida la sua cittadinanza etiopica In pratica lo fa. L’accusa incompleta fatta a questi matrimoni misti è che sono famiglie Shabiya (appartenenti all’ EPLF ). In tali situazioni talvolta entrambe i coniugi vengono deportati. Ognuna di queste coppie che vengono quindi deportate costituisce una doppia violazione della legge etiopica e, nel caso del coniuge nativo, anche l’edificio legale tremolante che è stato costruito per legittimare le deportazioni è irrilevante. Il potere dell’esercizio della procura: preludio alla confisca Niente dimostra in modo più efficace l’illegalità che sta avanzando in Etiopia se non il modo in cui la proprietà dei deportati viene trattata. Le autorità etiopiche insistono che non “confiscano” la proprietà e che le case e le attività dei deportati vengono semplicemente tenute sotto il controllo del governo etiopico, fintanto che la legge potrà disporre di esse. Per assicurare i deportati che le disposizioni sulle proprietà saranno condotte legalmente, viene loro chiesto di scrivere una procura che autorizzi una persona di loro scelta a rappresentarli per quanto riguarda le disposizioni sulle proprietà. Il fatto è, comunque, che la procedura è alquanto inutile. La procura che è stato loro chiesto di preparare è solo una nota su un foglio bianco non autenticata da un tribunale. Nella maggior parte dei casi non veniva nemmeno chiesto ai procuratori designati di dare il loro consenso. Venivano autorizzati “in absentia”. Potevano anche non essere consapevoli della responsabilità a cui erano chiamati e potevano facilmente declinare l’offerta . In questa situazione molto incerta solo il 50% dei deportati fu d’accordo nel dare la procura a chiunque, sebbene fossero consapevoli che la procedura era in violazione del Codice Civile Etiopico e serviva solamente a legittimare la confisca delle proprietà. Altri, il 7,7%, non prepararono alcuna procura perchè si rifiutarono. Al 24% non fu neanche chiesto ,dal momento che non possedevano proprietà per le quali fosse richiesto l’intervento di un procuratore. Rapporto tra il procuratore e il deportato Rapporto Percentuale Coniuge 24.2 Parente 13.3 Collega di lavoro 2.4 Amico 4.6 Vicino di casa 4.6 Altro 0.9 Totale (di coloro che hanno nominato un procuratore) 50.0 Coloro che prepararono il documento fecero fatica a trovare un procuratore mentre si trovavano in custodia. Non in grado di pensare a qualcun altro, molti di loro designarono le proprie mogli (24%) o i parenti (11%) come procuratori, solo per scoprire che anche loro venivano deportati subito dopo, lasciando le proprietà completamente abbandonate, senza nessuno che se ne occupasse. Circa un terzo degli intervistati (33,5%) capì di aver dato la procura ad una persona scelta frettolosamente sotto costrizione. Ciò che rende questo esercizio della procura così sospetto, è il fatto che molti deportati dissero a chi li aveva catturati che avevano dei loro procuratori, con la procura regolarmente autenticata da un giudice o da un funzionario autorizzato. I loro carcerieri, tuttavia, respinsero questi procuratori legittimi e fecero pressione sulle loro vittime affinchè esercitassero il loro diritto, insistendo che i fogli di carta su cui avevano scritto le istruzioni per la procura sarebbero stati legalizzati in un momento successivo. Non c’è nessuna indicazione che a qualcuno di questi procuratori così designati siano stati dati appositi documenti autorizzati, in nessun momento da quando il conflitto è iniziato. LA CONFISCA DELLE CASE PRIVATE La casa di un deportato viene comunemente presa dal governo dell’Etiopia. Ci sono comunque diversi fattori che ci rendono difficile documentare statisticamente l’entità di questa pratica. La nostra ricerca è stata condotta immediatamente dopo le deportazioni. In altre parole ogni gruppo è stato intervistato o preso in esame al suo arrivo in Eritrea. In quel momento la maggior parte della gente non sapeva qual era lo status delle loro case in Etiopia per quanto riguardava gli sfratti, i sigilli, la confisca ecc. Ci vuole anche del tempo perchè le autorità della deportazione completino le procedure di confisca e ancora di più perchè i deportati vengano a conoscerle. Quindi i dati che abbiamo devono essere aggiornati nei mesi successivi alla deportazione per permettere un’adeguata valutazione della situazione.. Perciò quel che presentiamo qui è la situazione delle case che furono confiscate mentre la deportazione stava avvenendo o immediatamente dopo. Il processo di confisca consiste nel fatto che le autorità che si occupano della deportazione fanno tutte o solo alcune delle cose seguenti: sfrattare i proprietari dalle loro case concedendo loro di stare nei servizi—se parte della famiglia resta là dopo che il capofamiglia è stato deportato—impedendo alla famiglia di avere accesso all’interno della casa; consegnare la casa a dei funzionari che ci vanno a vivere; “sigillare” la casa. L’atto di “sigillare” la casa (masheg in amarico), significa semplicemente che le porte vengono chiuse a chiave e un pezzo di carta attestante che la proprietà è sotto il controllo del governo, viene messo sulla porta principale. Fintanto che le autorità non preparano un inventario delle proprietà sigillate o non danno una ricevuta al deportato, non si può evitare che il personale della deportazione entri nella casa attraverso una delle entrate non sigillate e si serva di ciò che vi è contenuto. La procedura invita alla corruzione e al vandalismo. Sorprendentemente, la giunta dittatoriale militare dei decenni precedenti era solita preparare un inventario e dare una ricevuta prima di confiscare una casa, ma la Repubblica Democratica Federale dell’Etiopia oggi non lo fa. Ci sono prove che dimostrano come, di tutte le case di proprietà dei deportati eritrei, il 27% fu immediatamente sigillato dalle autorità, cioè durante le procedure di deportazione o subito dopo. Questi proprietari che hanno perduto le loro case costituiscono il 9,7% del campione, o una stima di 646 proprietari su una popolazione di 6880 capifamiglia. Sebbene non abbiano ricevute per le proprietà confiscate, molte famiglie hanno documenti che dimostrano il valore delle proprietà e il modo in cui furono acquistate. Alcuni hanno dettagliati inventari. Dati sulle case di proprietà dei deportati e la loro confisca da parte delle autorità etiopiche Vendita della casa di proprietà % n° di casi Venduta 9.4 39 Occupata dal resto della famiglia* 29.3 121 Non se ne conosce lo stato 24.7 102 Non rilevante: Inquilini la cui casa non è stata venduta, ma affittata ad altri 24.9 103 Persone a carico 9.9 41 Visitatori 0.2 1 Dato non fornito 1.4 6 Totale 100.0 413 *Sia in affitto che di proprietà Delega alla vendita % n° di casi Ordine di vendita al proprio procuratore 7.0 29 Non messa in vendita 15.3 63 Non si conosce la situazione della casa 8.7 36 Non rilevante: Inquilini e persone a carico 66.8 276 Dato non fornito 2.2 9 Totale 100.0 413 Limite di tempo assegnato per vendere la casa Tempo assegnato % n° di casi 1 mese 4.4 18 2 mesi 1.5 6 3 mesi 0.2 1 Non sa 9.9 41 Non rilevante: Non ha ricevuto l’ordine di vendere 3.2 13 Inquilini e persone a carico 66.8 276 Dato non fornito 14.0 58 Totale 100.0 413 Resto della famiglia deportato prima della scadenza % n° di casi Deportati prima della scadenza 3.4 14 Non deportati prima della scadenza 11.9 49 Non si sa 9.0 37 Non rilevante: Non ha ricevuto l’ordine di vendita 66.8 276 Inquilini e persone a carico 8.7 36 Dato non fornito 0.2 1 Totale 100.0 413 Vendita della casa % n° di casi Il procuratore ha venduto la casa 0.5 1 Il procuratore non ha venduto la casa 29.2 121 Il proprietario non ha ricevuto l’ordine di vendere 0.5 2 Non sa se i familiari rimasti hanno ricevuto l’ordine di vendita 0.7 3 Non rilevante: Inquilini e persone a carico 62.8 260 Dato non fornito 6.3 26 Totale 100.0 413 Il proprietario ha venduto la propria casa? % n° di casi Ho venduto la mia casa 1.7 7 Non ho venduto la mia casa 31.0 128 Mi è stato ordinato di vendere, ma non ho venduto 0.5 2 Non rilevante: Inquilini e persone a carico 66.8 276 Dato non fornito 0.0 0 Totale 100.0 413 Durante le settimane in cui gli altri membri della famiglia erano in questo stato precario, fu loro spesso ordinato di vendere la casa se non era ancora sigillata. Fu loro dato un tempo limite da uno a tre mesi. Alla maggior parte fu dato solo un mese. Qual era il significato di questa scadenza? Come fa una famiglia a vendere una casa in un mese? Alla maggior parte delle famiglie serve un anno per completare il processo di inserzioni pubblicitarie, per trovare compratori che facciano delle offerte, vendere e autenticare i documenti di trasferimento della proprietà. Quindi la scadenza è molto ridicola. Ma diventa ancora più ridicola quando vediamo che non viene rispettata. Nella maggior parte dei casi i membri della famiglia che restano dopo la deportazione del capofamiglia, venivano deportati prima della scadenza stabilita. Essi furono deportati entro 4 settimane dalla deportazione del capo famiglia (5%). In questa situazione molti proprietari si sono ridotti a dover vendere le loro case in meno di 4 settimane. Alcuni di loro ( 5% ) vendettero le case a prezzi stracciati. Molti dovettero affidarsi alle procedure di affidamento della procura avviate dalle autorità della deportazione. Alcune vittime dissero a chi li aveva catturati, che le procedure erano in violazione del codice civile etiopico e che non avevano alcuna validità in nessun caso. Fu loro detto che il governo avrebbe legalizzato i documenti successivamente. Comunque noi non abbiamo trovato una singola prova che indicasse che ciò è stato fatto nei 6 mesi tra l’inizio delle deportazioni e il momento in cui abbiamo completato questa inchiesta. Di tutto questo periodo abbiamo solo una testimonianza riferita ad un agente che ha venduto legalmente una casa per conto di una famiglia di deportati. Quell’agente aveva una procura legalmente autorizzata dal tribunale preparata molto prima che le deportazioni iniziassero. In altre parole non è emerso nessun caso, in questa inchiesta, che dimostri che una sola casa è stata venduta sulla base di una procura preparata mentre i deportati erano in custodia. Perciò l’intera procedura sembra un piano molto grezzo disegnato per dare una parvenza di legalità. Non ha chiaramente lo scopo di raggiungere l’apparente obiettivo per cui la procedura fu stabilita . E’ anche importante comprendere che la confisca delle proprietà di cui stiamo parlando riguarda solo le case private. Ciò è coerente con il nostro obiettivo di studiare solo fenomeni ampiamente diffusi tra la popolazione. Il nostro studio non ha niente a che fare con le proprietà possedute da uomini d’affari eritrei, imprenditori, banche, società, impianti industriali e la grande associazione di auto-trasportatori eritrei che gestivano tra l’80% e il 90% del trasporto via camion in Etiopia. Tutto ciò sarà l’obiettivo di altri studi. Ciò è stato, in larga misura, documentato nel censimento e nei data base dell’ ERREC . TRACCE DI NORME DI LEGGE In tutte le attività descritte sopra c’è una mancanza di legalità sottilmente mascherata. Sorprendentemente comunque, c’è una parte della comunità per l’applicazioine delle leggi che ha dimostrato alcune esitazioni su questa condotta illegale. Come indicato prima, le forze di polizia non hanno abbandonato del tutto la loro etica professionale. Dal momento che essi sono in grado di resistere alle pressioni dell’apparato di sicurezza qualche volta, insistono che persino gli eritrei sono protetti dalla legge. Per esempio un capo di una stazione di polizia insisteva che i detenuti dovevano avere infranto la legge se erano in custodia e che il solo fatto di essere un eritreo non è un motivo adeguato per essere imprigionato. Perciò le autorità della deportazione dovevano improvvisare per trovare dei luoghi dove tenere le loro vittime. Essi hanno usato un vasto assortimento di edifici quali garages, scuole, case private come centri di detenzione. Una volta, a Mekele, non furono in grado di trovare uno spazio adeguato per la detenzione. Semplicemente mandarono in frantumi le porte di una casa che era vuota perchè appartenente ad un deportato—un insegnante di nome Memhir Hadgu—e la usarono come prigione improvvisata . Il lettore dovrebbe ricordare che la ragione addotta per prendere e sigillare la casa di un deportato eritreo e il suo contenuto, era una ragione di sicurezza, finchè non ci fosse stata una disposizione legale con l’aiuto dell’agente designato. Esempi come questo fanno capire il ridicolo di questa procedura. Di tutti i funzionari responsabili delle deportazioini il 27,1% erano ufficiali di polizia. La maggior parte degli altri, come gli amministratori dei Kebele (17,9%) o gli ufficiali della sicurezza ( 16,2%) e dell’esercito (3,9%), erano attivisti dell’ EPRDF o avevano collegamenti diretti con il partito al governo che aveva dichiarato guerra all’Eritrea e agli Eritrei. Dal loro punto di vista tutti gli eritrei rappresentavano una minaccia alla sicurezza del paese. Loro sono, secondo quanto dicono i funzionari del partito, la quinta colonna degli Shabiya in Etiopia. (Appendice 4, paragrafo 13). Si ritiene che essi usino la loro considerevole ricchezza per fornire all’esercito eritreo soldi, mezzi e informazioni. E’ stato detto che loro sono indirettamente responsabili dei bombardamenti delle città del Tigray ( un fatto che avvenne dopo che le forze aeree etiopiche bombardarono Asmara). ASSENZA DELL’AUTORITA' GIUDIZIARIA NELLE DEPORTAZIONI Non è difficile stabilire che la sezione giudiziaria del governo etiopico non sta avendo alcun ruolo importante nelle deportazioni. Tranne gli ufficiali di polizia, il personale delle deportazioni non ha motivo per essere particolarmente a conoscenza delle leggi nazionali dell’Etiopia o per essere consapevole che queste leggi sono comunque applicabili ai deportati. Inoltre, tutto il personale che ha avuto a che fare direttamente con i deportati in ogni fase del processo di deportazione, dei quali abbiamo prove, sembra essere largamente inconsapevole delle leggi internazionali che regolano la posizione dei civili nelle guerre tra stati. PRESUNTI CRIMINI COMMESSI CONTRO LA SICUREZZA NAZIONALE DELL’ETIOPIA Nello sradicare un’intera parte della società etiopica dalle loro case, dai loro quartieri, attività e affari, il governo dell’Etiopia afferma che lo ha fatto per ragioni di sicurezza nazionale. Noi non abbiamo trovato alcun deportato che fosse stato accusato di spionaggio, sabotaggio o altre attività che costituissero una minaccia allo stato etiopico. E poi , se loro fossero stati presumibilmente coinvolti in tali attività, sarebbero stati imprigionati e non deportati. Questo è stato lo schema seguito fino ad ora dell’azione ufficiale etiopica . Ci sono molti eritrei che sono stati messi in prigione per infrazioni molto meno gravi di quelle di spionaggio o sabotaggio. Dal punto di vista della popolazione deportata, la giustificazione della sicurezza nazionale quindi non ha alcun fondamento. I veri criteri per la deportazione Quali sono i veri criteri che sono stati usati per prelevare gli eritrei per la deportazione? Sono: 1. Il fatto di aver votato nel referendum Eritreo 2. Essere membro dell’Associazione della Comunità Eritrea abbreviata in Com 3. Avere un ruolo di leader nella Com 4. Essere membro del PFDJ, il partito politico al governo in Eritrea 5. Avere un ruolo di leader nel PFDJ 6. Avere dato dei contributi finanziari ad associazioni eritree o all’Eritrea come stato 7. Avere partecipato al servizio militare in Eritrea 8. Aver partecipato ai programmi estivi di sviluppo in Eritrea 9. Possedere armi da fuoco 10. Avere effettuato visite in Eritrea Gli ultimi criteri, invocati quando tutti i precedenti non sono sufficienti per incriminare Dopo aver applicato i suddetti 10 criteri, se il funzionario non riesce ad incriminare il potenziale deportato, fa queste 2 o 3 ultime domande critiche. 11. Luogo di nascita 12. Luogo di nascita del padre 13. Luogo di nascita del nonno Se viene fuori che la persona è nata in Etiopia, allora le viene chiesto dove è nato il padre. Se questa produce la giusta risposta, per esempio Eritrea, il funzionario dichiara:- Bene allora stai per tornare al tuo paese!- o altre parole del genere. In caso contrario l’interrogatorio continua con la domanda circa il luogo di nascita del nonno. In breve, il criterio che è ultimamente stato usato per espellere gli eritrei, è un criterio etnico. Quel criterio viene applicato sia che si tratti di un cittadino eritreo sia che si tratti di un cittadino etiopico. Il paradosso è che ciascuna di queste 10 attività che ora sono giudicate incriminanti dal regime etiopico erano legalmente permesse e politicamente incoraggiate fino allo scoppio delle ostilità nel maggio 1988. Negli anni che hanno seguito la liberazione (1991-1998) non c’erano leggi che proibissero quelle attività. Se vuole mettere al bando le associazioni il governo ha il diritto di farlo . L’essere membro di quelle associazioni diventa un crimine solo dopo la loro messa al bando. Non è legale delegittimare le associazioni e le attività dopo il fatto. Fare ciò significa violare il principio di non retroattività della legge, che è gelosamente custodito nella Dichiarazione dei Diritti Umani, art. 11 (2) e nella Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici, art. 15 (1). Gli eritrei che sono satti deportati in così grande numero non sono criminali che volevano distruggere lo stato etiopico. Al contrario essi hanno contribuito in modo significativo alla costituzione del nuovo stato dopo la sconfitta della giunta militare comunista super armata, il Dergue. Quella giunta fu sconfitta grazie ad una azione militare congiunta tra le forze di liberazione eritree ed etiopiche. In seguito molti eritrei in Etiopia furono armati dal nuovo governo per prestare la loro opera come membri della “Forza di Pacificazione e Stabilizzazione”. Essi ebbero un ruolo chiave nel processo di pacificazione. Il partito di coalizione, l’ EPRDF, che andò al potere come partito di governo in Etiopia, ebbe questa carica in parte grazie al grosso sforzo che i cittadini di origine eritrea fecero per assicurargli il successo. Essi contribuirono finanziariamente al partito, parteciparono alle assemblee locali ( Kebele) e alle associazioni professionali del partito e votarono in gran numero per il partito. La nostra inchiesta rivela i seguenti fatti: 1. Il 7% dei deportati era attivo nella Campagna di Pacificazione e Stabilizzazione 2. Il 19% ha dato contributi finanziari nella campagna di raccolta fondi dell’ EPRDF 3. Il 5% era membro di associazioni professionali dell’ EPRDF 4. Il 45% ha votato per eleggere l’ EPRDF e lo ha aiutato a diventare il partito di governo in Etiopia. E’ molto importante sapere che le stesse persone che erano attive nel PFDJ o nella Associazione della Comunità Eritrea erano anche attive nella campagna per far sì che l’ EPRDF andasse al potere. Questo era un modo naturale di collaborare dal momento che i due partiti o i loro predecessori, l’EPLF e il TPLF erano stati alleati nella guerra che aveva eliminato la giunta militare comunista. E’ falso per il regime etiopico adesso dire che la popolazione che lo aiutò ad andare al potere è una minaccia alla sua esistenza. Anche qui il fattore di Giuda è evidente. Non solo le accuse incomplete contro cittadini di origine eritrea sono senza fondamento, ma l’ostilità del regime verso quella popolazione sta assumendo il carattere di una campagna di odio ed è altamente discriminatoria secondo ogni standard di legge umanitaria. CRUDELE ED INUMANA CONDOTTA: dividere le famiglie L’area in cui il fattore etnico diventa chiaro in modo lampante riguarda i matrimoni e l’organizzazione familiare. Le autorità etiopiche hanno in modo spietato e sprezzante smembrato le famiglie per spingere la campagna anti eritrea al suo limite logico ma assurdo. Se il nuovo ordine dice che tutti gli eritrei devono essere sradicati dall’Etiopia e se molti eritrei sono sposati con etiopici, la logica ma assurda conclusione è che queste coppie siano smembrate e la metà indesiderata deportata. Come detto precedentemente, non meno del 12% dei cittadini di origine eritrea in Etiopia che sono stati deportati negli ultimi 6 mesi erano e ancora sono sposati con etiopici. Nella grande maggioranza di quei casi le famiglie sono state smembrate e il membro eritreo della coppia deportato. Un’altra variante di questa procedura assurda è il deportare entrambe i coniugi e i loro bambini. La ragione sufficiente per i funzionari, gli informatori o i vicini è dichiararli come una famiglia Shabiya. Lo smembramento delle famiglie eritree In aggiunta, lo smembramento delle famiglie di matrimonio misto e comunque lo smembramento della famiglia eritrea e della vita comunitaria è uno degli aspetti più inumani della campagna. i nostri dati rivelano che il 45% dei deportati furono obbligati a lasciare là il loro consorte . Madri sono state strappate ai loro bambini neonati, genitori ai loro figli, genitori anziani ai ragazzi adulti che si prendevano cura di loro, membri infermi della famiglia alle persone che li assistevano, monaci e suore alle loro comunità monastiche, preti alle loro congregazioni. La piena portata delle atrocità commesse contro le famiglie e le comunità eritree non possono essere documentate adeguatamente in questa fase. Stiamo ancora raccogliendo dati qualitativi approfonditi e storie di vite che verranno inserite in una inchiesta scientifica più avanti. Ciò che abbiamo documentato statisticamente ora dà solo una veduta parziale. Bambini lasciati là dai genitori deportati La maggior parte dei genitori implorò e implorò affinché fosse data loro la possibilità di portare via i figli minori, ma le loro preghiere caddero su orecchi di sordi. Come è chiaramente evidente nelle seguenti tabelle, la situazione dei bambini è commovente: il 19% di loro fu abbandonato con i loro fratelli, vicini, domestici o con nessuno. Questo corrisponde a 3989 bambini abbandonati su una popolazione di 6880 famiglie. E’ importante notare che 1412 di quei 3989 bambini furono lasciati senza nessuno che potesse prendersi cura di loro. Questo rappresenta il 6,8% delle famiglie di deportati che lasciarono i loro bambini in quello stato. Separazione dei coniugi Percentuale n° di casi Coniuge rimasto in Etiopia 45.0 186 Coniuge deportato 21.1 87 Non rilevante: Non sposati 10.7 44 Persone a carico (spesso minorenni) 9.9 41 Coniuge in Eritrea prima della crisi 2.2 9 Vedovo o divorziato 4.1 17 Coniuge residente all’estero 1.2 5 Visitatore 0.2 1 Dato non fornito 5.6 23 Totale 100.0 413 Minori lasciati alle cure di: Percentuale n° di casi Nessuno 6.8 28 Fratelli 5.3 22 Personale di servizio 1.0 4 Vicini di casa 0.5 2 Altro 5.6 23 Totale parziale 19.2 79 Parenti 2.7 11 Madre 24.7 102 Padre 0.5 2 Non rilevante: senza bambini 47.0 194 Dato non fornito 6.0 25 Totale 100.0 413 Bambini sfrattati dopo la deportazione dei genitori Percentuale n° di casi Sfrattati 7.3 30 Imprigionati 2.4 10 Altre atrocità 15.0 62 Non rilevante: Senza bambini 47.2 195 Bambini non sfrattati 17.7 73 Non conosce la situazione dei bambini 1.0 4 Dato non fornito 9.4 39 Totale 100.0 413 Le atrocità si accumulano una sull’altra quando il regime etiopico sfratta i bambini lasciati dai deportati dalle loro case che i genitori hanno affittato dall’amministrazione locale (kebele) . Non meno del 6,8% dei deportati hanno saputo che i loro bambini erano stati sfrattati così. Un altro gruppo di deportati ha saputo che i bambini erano stati messi in prigione (2,4%) o che erano stati soggetti ad altri tipi di atrocità (8,4%). In questo contesto per “altre atrocità” si intendono atti di ostilità come maltrattamenti, ingiurie e pestaggi. I bambini che stanno subendo molestie sembrano essere al di fuori della campagna di odio etnico, che loro vedono e sentono regolarmente attraverso i mass media etiopici. I genitori che arrivarono in Eritrea dopo aver lasciato i loro figli, furono profondamente sconvolti quando seppero che le comunicazioni telefoniche tra Eritrea ed Etiopia erano estremamente complicate e loro non erano in grado di conoscere in quali condizioni fossero i loro bambini. Le tariffe telefoniche erano state aumentate vertiginosamente dal regime etiopico e le linee telefoniche controllate. Molti genitori erano costretti a chiamare i loro parenti all’estero ( America del Nord, Europa o Medio Oriente) e chiedere loro di scoprire qualcosa sulla sorte dei loro figli. Di tutti i deportati il 12,8% fece telefonate molto costose attraverso altri paesi, il 12% comunicava attraverso terze persone in Etiopia e il 9% nascondeva la propria identità per evitare i funzionari che spiavano, se solo riuscivano a parlare con amici e vicini Un intero 30% dei genitori perse completamente il contatto con i propri figli. Nella prima parte di “ Sradicati” ci siamo appellati all’UNICEF di New York chiedendo loro di dare delle direttive all’UNICEF in Etiopia e all’UNICEF in Eritrea, affinché intraprendessero un’azione comune per trovare una soluzione umana alla condizione di questi bambini. E’ vergognoso per queste organizzazioni trascurare i bambini e lasciarli nei guai nelle strade delle città etiopiche—migliaia di bambini resi senza casa dalle azioni ufficiali di uno stato che è membro della famiglia delle Nazioni Unite e coinvolto nella Convenzione sui Diritti del Bambino. La crudele e inumana condotta nel processo di deportazione Dal momento in cui uomini armati hanno fatto irruzione nella casa di una famiglia eritrea ad un’ora assurda, finché la famiglia non ha attraversato il confine con l’Eritrea, il deportato è esposto ad uno sporadico terrore e ad una prolungata umiliazione. Lo sconvolgimento nella vita di una famiglia eritrea inizia quando un certo numero di uomini armati arrivano, nella maggior parte dei casi tra le 2 e le 5 del mattino, e picchiano forte alla porta o al cancello. Ogni esitazione da parte della famiglia nell’aprire la porta—potrebbero dopotutto essere dei ladri—provoca violente reazioni. La porta o il cancello viene fatto a pezzi o scavalcano la recinzione e piombano sulla famiglia. Spesso l’intera casa viene perquisita per essere sicuri che la famiglia Shabiya non abbia armi. I membri della famiglia che sono scelti per la deportazione sono poi portati in un centro di detenzione. Nel 54% dei casi non viene loro detto che saranno deportati Nel 92,5% dei casi non viene detto loro come viaggeranno Nel 96,1% dei casi non vengono informati sulla durata del viaggio Invece, alla maggior parte di loro ( 53%) viene detto che c’è bisogno di loro alla stazione di polizia o all’amministrazione locale (Kebele) solo per pochi minuti e che poi torneranno direttamente nelle loro case. La maggioranza di questi uomini e donne non vedranno mai più le loro famiglie. Loro affrontano un lungo viaggio in uno stato di impotenza spesso indossando ciò che stavano indossando la notte. Se c’è un autobus pronto per portarli in Eritrea cominceranno il loro viaggio in questo stato. Questo tipo di comportamento ipocrita crea meno confusione ed umiliazione se il potenziale deportato viene tenuto in un centro di detenzione per alcuni giorni e la famiglia ha il permesso di visitarlo/a. Durante questo tempo la famiglia ha la possibilità di accettare il fatto che il processo di sradicazione ha avuto inizio e di fare alcuni preparativi necessari.. Ma come vedremo più avanti la famiglia spesso non ha alcun diritto di vederlo. DETENZIONE O INTERNAMENTO I centri di detenzioni sono grandi campi di raccolta, la maggior parte localizzati ad una certa distanza dai centri urbani e dagli occhi dei curiosi. La maggioranza dei detenuti (52%) sono tenuti in custodia da 1 a 6 giorni ma essa può durare fino a 27 giorni . L’obiettivo della detenzione è in parte raccolta, in parte interrogatorio e in parte umiliazione. Gli interrogatori erano abbastanza metodici nelle prime fasi del conflitto ma sono ora diventati molto più sbrigativi o vengono interamente tralasciati. L’affermazione di un informatore è adesso sufficiente per deportare un cittadino di origine eritrea dall’Etiopia. La violazione dei diritti dei prigionieri nei centri di detenzione Dopo che sono stati messi sotto custodia i cittadini eritrei e i cittadini eritrei dell’Etiopia, sono trattati in modo tale che i loro diritti di essere visitati, di avere cibo, bevande, vestiti e accesso ai bagni,vengono violati . I nostri dati mostrano che nel 39% dei casi i parenti non avevano il permesso di visitarli. Il 23,6% dei deportati ha detto che i loro parenti non potevano portare loro cibo. Perfino quando i detenuti volevano usare il loro denaro per comperare cibo e bevande veniva loro proibito, rispettivamente nel 33% e 36% dei casi. Vale la pena ricordare che ai detenuti raramente venivano dati cibo e bevande dai loro carcerieri. Spesso non c’erano bagni e la gente doveva usare per questo le stesse stanze in cui viveva e dormiva. Nel 26% dei casi alla gente non veniva dato il permesso di usare i bagni per lunghi periodi di tempo. Durata delle privazioni I deportati hanno sofferto diverse forme di crudeltà durante il viaggio in Eritrea. La maggior parte era privata di cibo dalle 12 alle 36 ore ma alcuni per 4 giorni. In media erano privati dell’acqua dalle 12 alle 48 ore ma alcuni per 5 giorni. Erano normalmente privati dell’accesso ai bagni dalle 12 alle 24 ore ma alcune volte per 5 giorni. Uno dei casi peggiori registrati è avvenuto in un autobus nel quale ai deportati fu detto di usare l’autobus come toilet. Disperati e con una guardia sensibile che fece finta di non vedere, gli uomini poterono usare un tanica vuota come urinale. La situazione era così terribile da causare la morte di uno dei deportati. Ore di deprivazione durante il viaggio Ore senza accesso ai servizi igienici Ore Percentuale 0-12 58.8 13-24 27.5 25-36 0.0 37-48 6.9 49-60 0.0 73-84 4.9 85-96 1.0 109-120 1.0 Totale 100.0 Ore senza bere Ore Percentuale 0-12 36.9 13-24 34.5 25-36 3.6 37-48 16.7 49-60 0.0 73-84 6.0 85-96 1.2 109-120 1.2 Totale 100.0 Ore senza cibo Ore Percentuale 0-12 50.6 13-24 34.4 25-36 11.7 37-48 1.3 49-60 0.6 73-84 0.6 85-96 0.6 Totale 100.0 Altri tipi di condotta inumana e crudele Ancora un’altra forma di crudeltà è il costringere i viaggiatori a stare tutto il giorno nell’autobus e chiedere loro di dormire costretti nella stessa posizione la notte. Di tutti i deportati il 54,6% dovette stare giorni e notti nell’autobus. Perfino le persone anziane sofferenti di gotta o artrite, le cui articolazioni erano particolarmente vulnerabili ad ogni abuso, dovettero stare fino a 4 giorni e 4 notti negli autobus. Quando raggiunsero il confine non erano in grado di muoversi e dovettero essere trasportati attraverso esso. Sia che fossero spediti via in modo affrettato o tenuti in detenzione per alcuni giorni, ai deportati non veniva permesso di prendere ciò di cui avevano bisogno per il viaggio. Il viaggio in autobus può durare da 1 a 11 giorni senza contare le fermate lungo la strada in altri centri di raccolta. Il 62% dei deportati non poteva portare niente di ciò che sarebbe loro servito per il viaggio. Il 59% non ha potuto portarsi del cibo, il 58,5% non ha potuto portarsi da bere, il 57% non ha potuto portarsi vestiti e il 65,9% non ha potuto portarsi medicine. Forse uno degli aspetti più crudeli di queste privazioni è il fatto che le persone più anziane con malattie croniche non hanno potuto prendere le medicine con loro. Non meno del 26% dei deportati aveva malattie di questo genere. Di tutti i deportati il 15% aveva informato chi li aveva catturati che avevano malattie croniche ma ciò non fece nessuna differenza. Furono anch’essi spediti in viaggio senza le medicine. Il viaggio come forma di prigionia e le guardie responsabili Circa quasi tutti gli intervistati (97,8%) dissero che durante il viaggio non c’era un momento in cui non fossero sotto diretta sorveglianza delle guardie armate. La grande maggioranza di loro (91%) ha detto che era stato loro detto che erano prigionieri. Le guardie che erano negli autobus con loro erano poliziotti (44,6% ), soldati (34% ) e uomini della sicurezza (8,2%). C’erano dalle 2 alle 4 guardie per ogni autobus. Il capo delle guardie, che spesso aveva un dispositivo radio per comunicare,era nella grande maggioranza dei casi (72,7%) uno del Tigray. Egli era in contatto con funzionari più anziani che erano nei fuoristrada per accompagnare i gruppi di autobus. Questi funzionari avevano grandi antenne sulle loro macchine per comunicare con le più alte autorità. Il gruppo etnico di appartenenza degli altri capi guardie erano: per il 14% Amhara, per il 3,9% Oromo e per l’1,0% Debub. Abbiamo anche chiesto ai nostri intervistati di dirci quali guardie si comportavano crudelmente e in modo inumano e di identificarle secondo il gruppo etnico. Il risultato fu di nuovo simile ma ancora più pronunciato. Un medico in ogni autobus e un camion della Croce Rossa in ogni convoglio? I deportati erano felicissimi di sapere che il governo aveva piazzato “un medico” in ogni autobus perchè si prendesse cura di loro nel caso fosse necessario. Ma, quando il medico non fu in grado di offrire alcun aiuto ad un anziano diabetico che aveva seri problemi, capirono che si trattava di una crudele beffa. Il medico chiese la sua valigetta che doveva essere piena di medicine ma che era stata caricata in cima all’autobus e le guardie a bordo dissero che non si poteva prenderla per ragioni di sicurezza. Questo tipo di azione era stata intrapresa per salvare le apparenze: il 6,7% dei deportati disse che c’erano degli operatori sanitari là durante il viaggio ma solo il 4,3% ebbe accesso alle medicine nell’autobus. Ancora più importante, l’ ICRC avrebbe dovuto dare assistenza ai deportati durante il loro viaggio attraverso l’Etiopia. I nostri dati sull’attività dell’ ICRC sono inutili perchè i deportati non erano in grado di distinguere le ambulanze delle società nazionali e internazionali della Croce Rossa. Dal momento che le organizzazioni nazionali e internazionali stavano collaborando tra di loro non fa alcuna differenza. In ogni caso i nostri dati ci dicono che il 13,5% dei deportati ha affermato che c’era un veicolo con un’insegna della Croce Rossa che viaggiava con il gruppo di autobus ma essi raramente hanno visto un aiuto da parte loro ai deportati durante il viaggio attraverso l’Etiopia. Sul lato eritreo del confine il ruolo dell’ ICRC è sostanziale dal momento che si fanno carico di vitto e alloggio in Assab e coprono il costo del trasporto da Assab a Massawa.. TERRORE LUNGO IL VIAGGIO E AL CONFINE Al primo gruppo di deportati che arrivarono ad Humera fu detto, a metà del viaggio, “Vi troverete in prima linea quando raggiungerete la Zona 1 o la Zona 2” . Durante la seconda metà del viaggio essi viaggiarono con questa ghigliottina sulle loro teste. Quando raggiunsero una zona montagnosa, prima di scendere verso Humera, vennero fermati da soldati che chiesero venissero loro consegnati i deportati. Le guardie nell’autobus rifiutarono e le due squadre discussero per diverse ore mentre i passeggeri ascoltavano, da lontano, in uno stato di terrore. Questo è solo uno dei tanti modi escogitati dalle autorità etiopiche per terrorizzare e umiliare i deportati. Quando raggiunsero il confine vennero tenuti in attesa finché fu buio fitto prima di dare loro il permesso di attraversarlo. Fu loro detto di non usare torce o altre luci. Quindi la loro odissea era iniziata nel buio quando le squadre armate avevano fatto irruzione nelle loro case e finiva nel buio quando attraversavano il confine. Ciò fu fatto in parte perchè non si voleva che la deportazione avvenisse davanti agli occhi attenti della stampa nazionale e internazionale o in presenza di cittadini etiopici curiosi che avrebbero potuto avere dubbi sulla giustizia di tutto ciò. Per la stessa ragione agli autisti degli autobus era stato severamente ordinato di non fermarsi nelle città lungo la strada. Se necessario dovevano fermarsi subito prima o subito dopo. Oppure fu loro detto di andare veloci attraverso le zone popolate. C’erano altri pericoli, abilmente preparati, al confine. Ai deportati fu detto che c’erano mine in entrambe i lati della strada e che dovevano stare sulla strada sempre. Come è possibile nel buio pesto? Come c’era da aspettarsi un bambino andò al di là e fu ucciso. In alcuni dei momenti più spietati di questa odissea, i soldati etiopici salutarono i deportati sul confine e poi aprirono il fuoco dalle retrovie. La speranza era chiaramente di provocare un fuoco di reazione dall’altra parte e lasciare le loro vittime cadere come prede di un fuoco amico da parte delle truppe eritree. In più di un’occasione essi obbligarono i deportati a camminare verso le trincee eritree nella totale oscurità o ad attraversare il fiume Mereb quando era in piena e pericoloso. In questi e molti altri esempi gli ufficiali etiopici si fermarono prima di uccidere, sperando di esporre i deportati a ciò senza in realtà compiere loro l’atto. Non sappiamo dove questo porterà e quale sia lo scopo. Di sicuro non accresce la sicurezza dell’Etiopia o la sua condizione tra le nazioni civili. DEPORTATI IN ERITREA La nostra inchiesta non riguarda la situazione dei deportati dopo il loro arrivo in Eritrea. Qui sotto c’è un breve riassunto sul loro arrivo e sull’accoglienza da parte della gente e delle istituzioni. L’attraversamento del confine per entrare in Eritrea è un momento di grande ansia. Quando iniziano ad attraversare la terra di nessuno tra le trincee degli eserciti etiopico ed eritreo, l’ICRC assume il suo ruolo storico per effettuare il trasferimento. Dopo aver attraversato il confine con l’Eritrea i deportati vengono accolti come eroi. La gente aspetta lungo le strade per dare il benvenuto ai gruppi di autobus. Salutano, cantano e danzano con sfida. Portano loro cibo, bevande e qualche volta vestiti. L’ ERREC, il Comitato Internazionale della Croce Rossa e la Croce Rossa Eritrea danno loro tutta l’assistenza di cui hanno bisogno: un luogo in cui stare, cibo, primi soccorsi e cure mediche. Altri gruppi umanitari come le Sorelle della Carità sono anch’essi là con una parola gentile per dare una mano. Il caldo opprimente del deserto della Dankalia che hanno attraversato in autobus, quell’autobus chiuso e soffocante in cui hanno trascorso la notte al confine, e la camminata di 4 km attraverso la terra di nessuno è un’esperienza debilitante per i più anziani, gli ammalati e i bambini. Per alcuni è anche un’esperienza di terrore. Spesso i deportati più deboli devono essere portati con urgenza in una clinica per ricevere i primi soccorsi. Alcuni sono in uno stato tale che devono essere portati in aereo negli ospedali di Asmara. Tutti gli altri viaggiano sul ponte di navi da carico dal porto di Assab al porto di Massawa, un viaggio che dura dalle 24 alle 36 ore, nel caldo infuocato, esposti al sole del Mar Rosso. Le navi più grandi chiamate “Selam” o “Pace” trasportano 1500 passeggeri. E’ lo stesso numero di persone che erano sul Titanic nel suo ultimo viaggio, ma stipate sul ponte di una nave molto più piccola. Non appena la nave attracca a Massawa invariabilmente i deportati scoppiano in un applauso—un momento sorprendentemente gioioso alla fine del loro esodo terribile. Poi vanno in un centro di accoglimento dell’ ERREC appena fuori Massawa, un villaggio chiamato Emkullu. Vengono fotografati, registrati dai funzionari dell’ ERREC, vengono date loro le carte di rifugiati, 500 Nakfa a testa (70USD), indipendentemente dalla loro età e dal loro status. Vengono dati loro anche degli utensili. Da lì vanno in autobus ad Asmara e alle loro rispettive città e comunità nelle quali vengono ancora una volta accolti come eroi. Poi trascorrono alcuni mesi nelle città eritree cercando un luogo in cui stare e cercando di mettere insieme i pezzi frantumati delle loro vite. Foto: una madre con il suo bambino dopo l’arrivo ad Assab che riceve i primi soccorsi e si lava la polvere e la sporcizia-- brutti ricordi di questo viaggio straziante. CONCLUSIONI Rilevanza degli Accordi e delle Convenzioni delle Nazioni Unite per la nostra Inchiesta I dati che abbiamo presentato sono stati raccolti per rispondere specificamente a domande riguardo la violazione dei diritti umani che sono protetti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, dalla Convenzione dei Diritti del Bambino, dall’ Accordo Internazionale sui Diritti Civili e Politici. Oltre a questi accordi e convenzioni, le autorità etiopiche potrebbero anche stare violando le convenzioni di Ginevra, un insieme di leggi vasto e complesso. Lasciamo agli esperti di legge il compito di stabilire se gli atti che abbiamo descritto e documentato costituiscano tali violazioni, ed eventualmente quali convenzioni ed articoli siano applicabili, tenendo presente che l’Eritrea, pur non avendo firmato le convenzioni di Ginevra, ha volontariamente seguito le prescrizioni di tali convenzioni sia per quanto riguarda i civili che i militari. In questo senso sia l’Eritrea che l’Etiopia sono probabilmente legate dalle convenzioni. Questa conclusione si basa sull’Articolo 2 della Convenzione di Ginevra, riguardo la “Protezione dei Civili in Tempo di Guerra”, che afferma: Sebbene una delle Potenze in conflitto non aderisca alla presente convenzione, le Potenze che vi aderiscono rimarranno legate ad essa nelle loro reciproche relazioni. Esse inoltre rimarranno legate dalla Convenzione in relazione a detta Potenza, se quest’ultima accetta e applica i termini delle convenzioni. Le specifiche violazioni che abbiamo fino ad ora identificato sulla base di tutte le prove che abbiamo prodotto e presentato sono le seguenti: Garanzie minime nei procedimenti penali La Convenzione Internazionale dei Diritti Civili e Politici (ICCPR), Articolo 3, specifica i termini legali a cui attenersi nel caso di persone accusate di reati, come il diritto di essere informati sulla natura delle accuse contro di loro, di avvalersi di un legale di loro scelta, di essere giudicati senza ritardi, di confrontarsi con i testimoni a carico. L’Articolo 14 (2) dell’ICCPR specifica anche un altro diritto cruciale: il diritto di ogni individuo di essere ritenuto innocente fino a che la colpevolezza non sia provata. La maggior parte dei prigionieri nella nostra ricerca sono stati accusati di reati contro lo Stato Etiopico, ma sono stati privati di questi diritti e incarcerati senza processo. Diritti dei prigionieri accusati di reati penali Anche dopo essere stati incarcerati, i prigionieri hanno dei diritti che sono protetti dalle leggi internazionali. Come prigionieri o internati, ci sono condizioni minime che devono essere garantite, per quanto riguarda le visite, il cibo, l’acqua, i vestiti e i servizi igienici. Queste condizioni sono specificate nelle Convenzioni di Ginevra riguardanti la “Protezione dei Civili in Tempi di Guerra”, Sezione IV sui “Regolamenti per il trattamento degli internati” . Diritti dei cittadini e non-cittadini riguardo detenzioni arbitrarie e la protezione delle proprietà Eritrei senza cittadinanza Etiopica, ma legalmente residenti nel paese, sono stati privati del loro diritto di essere tutelati rispetto ad arbitrarie detenzioni e del diritto di trasferire guadagni, risparmi e altre proprietà all’estero. I codici di riferimento sono contenuti nella Convenzione di Ginevra, “Dichiarazione dei Diritti Umani degli Individui non Nazionali del Paese in cui Vivono” Articolo 5 (1) (a), 5 (1) (1g) a Articolo 9 . Gli stessi diritti sono garantiti anche ai cittadini, come indicato nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, Articolo 16 (2) rispetto alle proprietà, e nell’ICCPR, Articolo 9 (1) rispetto alla detenzione o all’arresto arbitrario. Diritto di essere riconosciuto come persona davanti alla legge Il diritto di tutti i deportati, siano essi cittadini o non-cittadini, di essere riconosciuti ovunque come “persone di fronte alla legge” (ICCPR Articolo 16) è ripetutamente violata durante gli arresti di massa. Nelle retate quotidiane una persona è scambiata per un’altra, gli adulti di una famiglia sono presi insieme come una “famiglia di Sha’biya (EPLF)” e deportati, persone sono arrestate e deportate senza averne accertato l’identità, solo perché sono stati denunciati come nemici dai vicini o da informatori. Principio di non-retroattività della legge Gli Eritrei di cittadinanza etiopica hanno anche il diritto di partecipare alla vita politica dell’Etiopia. Sono state costituite associazioni politiche e sociali per favorire tali attività. Fino all’insorgere delle ostilità nel Maggio 1998, queste associazioni erano legalmente autorizzate e incoraggiate dal governo etiopico. Nonostante ciò, la maggior parte dei deportati è stata imputata di reato in quanto membri di queste associazioni. Questo atto viola il principio di non-retroattività ed è proibito dall’ICCPR, Articolo 15 (1) e dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, Articolo 11 (2). Quest’ultimo afferma che “Nessuno può essere imputato di reati sulla base di qualsiasi azione o omissione che non costituiva reato secondo la legislazione nazionale od internazionale, nel momento in cui è stata commessa” Diritti dei bambini Le autorità etiopiche nelle deportazioni hanno diffusamente e spietatamente violato i diritti dei bambini contenuti nella Convenzione sui Diritti dei Bambini, in particolare l’Articolo 9 (1) che afferma che “un bambino non può essere separato dai genitori contro la loro volontà”, e l’Articolo 10 (1) che richiede che gli Stati coinvolti assicurino la riunificazione delle famiglie in tal modo separate. Protezione contro la discriminazione basata sulla nazionalità o di origine sociale Sono state presentate molte prove che dimostrano che la campagna di deportazioni dell’Etiopia è diretta contro Eritrei di cittadinanza etiopica o legalmente residenti nel paese e perciò viola l’Articolo 26 dell’ICCPR, che afferma che la legge deve proibire qualsiasi discriminazione basata sulla nazionalità o di origine sociale. Legge contro la privazione della nazionalità Il tema legale di gran lunga più importante che è sorto nella attuale crisi Etiopico-Eritrea è il fatto che l’Etiopia sta deportando suoi cittadini. Nel fare ciò ha privato i deportati della propria nazionalità. Questa azione è proibita dall’Articolo 15 (2) della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, che afferma che “Nessuno sarà arbitrariamente privato della sua nazionalità”. Post Scriptum Sulla verificabilità e trasparenza Le prove che abbiamo presentato in questa ricerca sono soggette a controlli e verifiche rigorose. Per quasi tutte le persone del nostro campione abbiamo registrato due indirizzi: l’indirizzo attuale e quello permanente di un parente, incluso il numero di telefono della famiglia o dei vicini. Qualsiasi organizzazione internazionale che si occupi di diritti umani o agenzia delle Nazioni Unite che desideri controllare il nostro lavoro potrà accedere ai nostri questionari, agli elenchi e agli indirizzi dei deportati e alla lista nazionale dalla quale abbiamo estratto il nostro campione, con criterio casuale . In altre parole la nostra ricerca è trasparente e riproducibile. Soprattutto è non anonima . Nel ricavare, analizzare, interpretare i nostri risultati ci siamo attenuti alla più alta etica professionale ed accademica che è stato possibile attuare nel corso delle correnti ostilità. La nostra controparte etiopica dovrebbe attenersi agli stessi standard di verificabilità e trasparenza. Appendice 1 Una nota sulle procedure-campione Gli aspetti principali delle procedure campione usate in questo studio sono state descritte nella parte principale dello scritto. Tuttavia alcuni aspetti particolari della procedura devono essere aggiunti qui. Per cominciare, abbiamo usato il censimento effettuato dall’ ERREC sui deportati come struttura del campione. L’approccio dell’ ERREC e il nostro erano simili in un punto: entrambe abbiamo registrato famiglie davanti ai loro capi famiglia, ma abbiamo registrato anche individui da soli separatamente che erano stati deportati separatamente. Dal punto di vista dei diritti umani le esperienze di ogni individuo o famiglia sono importanti fonti di informazione. Nel censimento dell’ ERREC il capo famiglia è nella maggior parte dei casi un uomo ma, occasionalmente, è una donna. Il capo famiglia avrà fatto la lista dei bambini e dei familiari a carico. I familiari a carico possono essere vecchi o giovani, o giovani adulti che non hanno ancora una casa per conto loro siano essi sposati o no. Abbiamo impiegato due diverse procedure di randomizzazione in due diversi stadi della nostra ricerca. Tavole di randomizzazione fatte col computer furono la base per selezionare la prima parte da una popolazione di 4000 capi famiglia secondo la lista del censimento dell’ ERREC. Abbiamo fatto un grosso sforzo per trovare ed intervistare tutte le persone che furono scelte come campione. Dopo aver completato questa fase della nostra ricerca, scoprimmo di non essere in grado di trovare 20 persone del campione poiché non avevamo gli indirizzi o avevano cambiato residenza. Sostituimmo queste persone con altre che furono selezionate seguendo le stesse tecniche di randomizzazione. Per compensare gli errori che avremmo potuto fare in questa procedura, in seguito delle 20 sostituzioni, abbiamo impiegato una seconda strategia per estrarre un campione da altri 2880 capi famiglia. Questa volta decidemmo di portare i campioni e somministrare i questionari nei centri di ricezione dove i deportati stavano per essere registrati invece di aspettare che venissero registrati e dispersi nelle loro varie comunità in tutta l’Eritrea. Scegliemmo ogni 16 individui (o 6,25%) da quelli che i funzionari dell’ ERREC stavano registrando. Il rapporto fu poi mantenuto allo stesso livello attraverso l’intera popolazione sotto studio. In questo secondo approccio non ci furono casi mancanti e non dovemmo operare alcuna sostituzione. Le due procedure campione contengono diversi tipi di errori e ciascuna procedura compensa l’altra. Il primo punto debole nella strategia sorge dalla mancanza di individui che erano stati selezionati ma poi furono introvabili. La seconda strategia comprende del tutto la popolazione da cui abbiamo preso Il campione ma non abbiamo preso campioni da ogni gruppo arrivato ai centri di ricezione. L’abbiamo fatto con la maggior parte dei gruppi ma non con tutti. In ogni caso non pretendiamo che il nostro campione sia rappresentativo di tutti i deportati ma solo dei 6880 capifamiglia da cui abbiamo tratto il campione. Tuttavia questa popolazione di 6880 famiglie costituisce la maggioranza dei deportati dall’Etiopia appartenenti ad aree urbane. Appendice 2 AMNESTY INTERNATIONAL A: Mr. Haile Wolde-Tensae Ministro degli Affari Esteri Asmara, Eritrea Da: Direttore di Africa Program Data: 5 agosto 1998 Caro Ministro, Grazie per la comunicazione del Ministero degli Affari Esteri datata 26 luglio 1998. Essa si riferisce alle lettere da parte dei membri di Amnesty International in vari paesi che hanno espresso la loro preoccupazione su notizie di etiopici detenuti in Eritrea senza imputazioni o processo o deportati dall’Eritrea. Accogliamo con piacere l’assicurazione contenuta nella vostra lettera sul fatto che l’Eritrea non ha una politica di deportazione di etiopici residenti e che gli stessi continueranno ad avere il diritto di vivere e lavorare in Eritrea. Teniamo conto dell’informazione sul ritorno in Etiopia di 46 studenti dell’università di Asmara e di 80 insegnanti da Assab. E’ incoraggiante sapere che il governo ha invitato i rappresentanti del Comitato Internazionale della Croce Rossa (ICRC) e dell’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani in Eritrea e ha chiesto loro di investigare sulle presunte detenzioni. Sarà molto rassicurante per la comunità internazionale se l’ ICRC è in grado di fornire i suoi servizi al Governo dell’Eritrea al fine di assicurare il rispetto della Convenzione di Ginevra in rapporto all’attuale conflitto con l’Etiopia, e se le viene dato accesso, secondo il suo mandato, ai prigionieri di guerra e ai detenuti per ragioni di sicurezza. Allo stesso modo, la presenza in Eritrea di funzionari dell’Ufficio dell’Alto Commissario per i Diritti umani sarà un passo positivo per la protezione dei diritti umani nella regione nei tempi a venire. Per quanto riguarda la situazione degli Eritrei in Etiopia, molti dei quali di nazionalità etiopica, Amnesty International è stata molto preoccupata di fronte alle migliaia di detenzioni e deportazioni arbitrarie e i maltrattamenti di uomini, donne e bambini di origine eritrea. Da quando queste gravi violazioni dei diritti umani sono incominciate, a metà giugno 1998, i nostri membri hanno ripetutamente protestato con il governo dell’Etiopia circa gli arresti, in particolare quando gli eritrei sembrano essere detenuti politici incarcerati solamente per la loro origine eritrea e senza alcuna prova che abbiano commesso alcun atto criminale. Noi abbiamo chiesto il loro immediato e incondizionato rilascio se non sono imputati di alcun crimine. Abbiamo chiesto il rispetto degli elementari diritti umani dei detenuti e che siano trattati umanamente mentre sono incarcerati, compreso l’accesso ai loro parenti, legali e alla Croce Rossa Internazionale. Inoltre abbiamo chiesto che le deportazioni non avvengano in violazione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani che proibisce l’esilio arbitrario o la privazione della nazionalità e che afferma il diritto alla libertà di movimento. Noi chiediamo che non siano deportati senza chiare e giuste procedure, che venga dato loro il diritto di sfidare l’ordine di deportazione attraverso giusti e aperti procedimenti giudiziari. Vorremmo chiarire che, sebbene le questioni della detenzione e deportazione in Eritrea ed Etiopia abbiano delle similarità, il grado degli abusi che sono stati provati è molto diverso per quanto riguarda il numero delle persone interessate: le detenzioni in Etiopia sono alcune migliaia e le deportazioni sembrano aver superato i 12000, mentre le cifre presunte riguardanti l’Eritrea sono molto più basse. Le autorità etiopiche non hanno risposto agli appelli di Amnesty International o non hanno fermato le detenzioni e le deportazioni. Non sembra che la Croce Rossa Internazionale abbia avuto pieno accesso ai detenuti. Apprezziamo l’immediata risposta del Governo dell’Eritrea che stiamo comunicando ai nostri membri. Grazie a questa risposta positiva del governo dell’Eritrea chiederemo ai nostri membri di cessare di inviare lettere all’Eritrea per il momento. Noi continueremo ad investigare e a portare all’attenzione delle autorità ciò che riguarda le detenzioni arbitrarie. Confidiamo nelle autorità eritree affinché controllino severamente tutte le affermazioni che hanno un fondamento. Distinti saluti Gill Nevins Direttore del “Acting Africa Program “ APPENDICE 3 NAZIONI UNITE Agenzia stampa 1 luglio 1998 L’Alto Commissario per i Diritti Umani esprime profonda preoccupazione per le continue espulsioni di Eritrei dall’Etiopia La seguente dichiarazione è stata rilasciata oggi dall’Alto Commissario per i Diritti Umani Mary Robinson. “Sono seriamente preoccupata per la violazione dei diritti umani dei cittadini di origine eritrea che sono stati espulsi dall’Etiopia e in particolare per il fatto che sui loro passaporti è stato messo il timbro, ‘ espulso, non potrà mai più tornare. Ad altri che hanno cercato di partire sono state confiscate le carte d’identità. Ci sono serie violazioni dei diritti e delle libertà espresse nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani così come nella Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici a cui l’Etiopia ha aderito. Appendice 4 Intervista del Primo Ministro Melles Zenawi a Radio Etiopia 9 luglio 1998, ore 20,30 tradotta letteralmente dall’amarico -25- 1. Domanda: Per salvaguardare la sicurezza della nazione il Governo Federale ha sospeso alcuni eritrei dai servizi governativi e ne ha espulsi altri dal paese. In relazione a ciò è stata rilasciata una dichiarazione dall’Alto Commissariato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite. Questa dichiarazione ci impedirà di intraprendere altri passi appropriati per rispettare la nostra sicurezza nazionale? 2. Risposta: (Primo Ministro Melles) Prima di tutto credo sia importante stabilire la relazione tra diritti umani e la situazione degli stranieri con cittadinanza che vivono in un paese. Le persone non possono essere messe in prigione per il fatto di essere stranieri senza un procedimento giudiziario. Non possono essere picchiati o battuti, non possono loro venire confiscate le proprietà, non possono venire uccisi al di fuori della legge; non si può impedire loro niente, non possono essere puniti. 3. Questo è un punto. Il secondo punto è questo: uno straniero può vivere in un altro paese quando quel governo ritiene che lo straniero gli sia utile. Uno straniero con la cittadinanza, per esempio un etiopico, può vivere negli Stati Uniti quando il Governo degli Stati Uniti lo permette. Nessun etiopico ha diritto di vivere negli Stati Uniti. Egli vive lì quando il governo degli Stati Uniti lo permette. Oltre a questo egli non può dire che ha il diritto di vivere negli Stati Uniti. Questo non c’entra con i diritti umani. Questo è diritto di cittadinanza. Gli eritrei vivono in Etiopia grazie alla buona volontà del governo etiopico. E’ diritto del governo etiopico espellere in qualsiasi momento gli eritrei che vivono in Etiopia. 4. La stessa cosa vale per il Governo Eritreo che ha il diritto di dire agli etiopici che vivono in Eritrea di lasciare il paese ed espellerli per qualsiasi ragione. Il Governo Eritreo non ha il diritto di imprigionare illegalmente gli etiopici. Non ha il diritto di confiscare le proprietà degli etiopici illegalmente. Non ha il diritto di condannarli a morte senza una sentenza giudiziaria. Non ha il diritto di picchiarli in nessun caso. Lo stesso in Etiopia. 5. Da questa prospettiva, qual è l’atteggiamento del governo etiopico, quali i passi intrapresi per quanto riguarda i diritti umani? Nessuno è stato trattato così; nessuno lo sarà. Esistono delle proprietà che abbiamo preso illegalmente al di fuori della legge? 25 A questa traduzione, preparata dallo scrittore dall’originale amarico, viene dato molto risalto qui. Essa è stata pubblicata per la prima volta su Eritrea Profile, l’8 agosto 1998. 6. Come è stato fatto in ogni situazione di guerra, abbiamo messo nei campi per prigionieri di guerra sia funzionari Shabiya che soldati Shabiya che vivono in Etiopia. Questo è conforme alla legge internazionale. Perchè fosse accertato che questo è stato fatto secondo la legge internazionale di volta in volta li abbiamo fatti visitare dall’ ICRC. Abbiamo concesso all’ ICRC di visitare il luogo dove si trovavano queste persone. 7. Ciò che abbiamo fatto è stato di rispettare i diritti dei nazionali stranieri al cento per cento. Al contrario, se vediamo la situazione in Eritrea, non solo sono stati espulsi eritrei da là (sic), ma li hanno picchiati, confiscato le loro proprietà, espulsi e torturati illegalmente. Li stanno torturando in una situazione in cui nessuno, compresa l’ ICRC, ha il permesso di vederli. E’ il governo eritreo che sta violando i diritti umani. Noi, d’altra parte, abbiamo rispettato i diritti umani dei nazionali stranieri. 8. Essendo questa la verità, la dichiarazione fatta dalla persona responsabile dell’Alta Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ci ha lasciati attoniti, non solo noi ma possiamo dire molti organismi delle Nazioni Unite. Prima di prendere una tale posizione e di fare una tale dichiarazione, una persona dovrebbe per lo meno fare qualcosa per verificare l’informazione. Noi ci siamo opposti alle azioni intraprese dal governo eritreo che viola i diritti del nostro popolo. Questo era accompagnato da prove. Noi l’abbiamo fatto prima che quella donna [ Mary Robinson, Commissario per i Diritti Umani delle Nazioni Unite] facesse la sua dichiarazione. Allo stesso modo il governo eritreo può aver presentato [il suo caso] a lei. Lei avrebbe dovuto confrontare entrambe i documenti, sarebbe dovuta andare in Eritrea per accertarsi di ciò che l’Etiopia afferma, sarebbe dovuta venire in Etiopia per accertarsi di quanto detto dagli eritrei. Dopo di questo lei può prendere una posizione. E’ stupefacente fare una dichiarazione senza cercare quali siano i fatti e mentre stava viaggiando. Questo significa inaffidabilità secondo il mio punto di vista. Questa è una procedura poco usuale. Il modo in cui tu e altri hanno fatto questa domanda non centra la questione. La nostra posizione è ben conosciuta. La nostra azione è ben conosciuta. La nostra condotta è nota. L’ ICRC sta seguendo questo caso. Molte organizzazioni delle Nazioni Unite stanno seguendo la nostra azione su questa faccenda. 9. Quindi, per venire alla seconda domanda (punto) “ Le azioni che abbiamo intrapreso per salvaguardare la nostra sicurezza, potrebbero impedirci di intraprendere azioni peggiori in futuro?” Che cosa significa? Fintanto che un qualsiasi nazionale straniero è in Etiopia, ogni nazionale straniero in Etiopia, ogni nazionale straniero , sia esso eritreo o giapponese ecc…vive in Etiopia per la buona volontà del governo etiopico. Se diciamo ‘ Vai perchè non ci piace il colore dei tuoi occhi loro devono andare. 10. La sicurezza è una cosa diversa. Perchè ogni nazionale straniero che vive in Etiopia è là per la buona volontà del governo. Quindi possiamo dire “vai” ed espellerlo in modo onorevole. Non c’è nessuno che ci possa impedire di espellerli senza picchiarli, senza confiscare le loro proprietà illegalmente, senza ucciderli. Possiamo farlo solo dicendo “ Non ci piaci, non ci piace stare con te”. Non possiamo imprigionare, non possiamo punire al di fuori della legge. Nessuno ci può impedire di espellerli perchè non ci piacciono. E’ un nostro diritto. E’ il diritto di ogni paese. C’è il diritto di vivere in un certo paese. Questo è il diritto di cittadinanza. Noi non possiamo espellere un cittadino etiopico dall’Etiopia. Non possiamo espellerlo qualsiasi cosa faccia. Ma possiamo espellere un non- cittadino etiopico per qualsiasi ragione. Qualsiasi sia la ragione. Questo non ha nessun rapporto con i diritti umani. Non fanno gli Stati Uniti delle retate di messicani che attraversano il confine a destra o a sinistra e li rispediscono a casa perchè dicono “ non ti vogliamo”? 11. Quindi abbiamo un diritto illimitato di espellerli. Come usiamo questo diritto illimitato? Come ho detto, possiamo espellerli collettivamente? Impossibile. Non c’è niente di tutto ciò. Perchè questo governo non è contro la gente. Perchè non odia nessuna persona. Sebbene ne abbia il diritto non è la sua posizione. Poiché non è la sua posizione può raccogliere ed espellere la quinta colonna Shabiya (EPLF) per salvaguardare la sua sicurezza. E’ stato fatto in passato e sarà fatto in futuro e questo è fuori discussione. 12. Al di fuori di questo, essi hanno l’opportunità di vivere in Etiopia fintanto che rispettano le leggi del paese, sebbene noi abbiamo il diritto [ di espellere], perchè la nostra posizione non si basa sull’odio nei confronti della gente. La posizione che ha assunto quella donna [Mary Robinson] non ha niente a che vedere con le azioni intraprese sul terreno della sicurezza. Non ha nessun nesso con i diritti umani. Può centrare con i diritti umani solo se vengono battuti, uccisi al di fuori della legge, se le loro proprietà vengono confiscate illegalmente, se vengono imprigionati illegalmente, allora sarà possibile dire che è stato fatto fuori legge e al di là dei diritti umani. 13. E’ diritto di ogni governo dire “ lascia il nostro paese”. Mentre questo diritto resta fermo, noi come popolo e come governo non abbiamo una posizione che ha lo scopo di creare odio e conflitti tra i popoli, ma sviluppiamo fratellanza tra i popoli. Per questa ragione noi faremo ciò che abbiamo fatto prima, identificare i membri della quinta colonna Shabiya (EPLF) uno ad uno e intraprendere delle azioni contro di loro. Appendice 5 COMITATO INTERNAZIONALE DELLA CROCE ROSSA Lettera al sig. Girma Asmerom, Ambasciatore Eritreo in Etiopia Per conto del Comitato Internazionale della Croce Rossa dell’Etiopia, vi porgo i miei più caldi saluti, e colgo l’occasione per farvi conoscere quanto è contenuto in una dichiarazione del Ministro degli Esteri Etiopico, datata 24 giugno 1998, che ha bisogno di chiarimenti. Nel paragrafo 27 di questa dichiarazione si dice che i circa 1045 civili internati trasportati al confine con lo Stato dell’ Eritrea erano “ accompagnati da rappresentanti della Croce Rossa Internazionale”. L’ ICRC vuole evidenziare che i rappresentanti dell’ ICRC non furono coinvolti nel trasferimento di questi civili internati e non li accompagnarono nel loro trasferimento verso il confine con lo Stato dell’ Eritrea. L’ ICRC continuerà nello sforzo di portare avanti il suo mandato in relazione ai civili internati e ai prigionieri di guerra come riconosciuto dalla Convenzione di Ginevra e dal Protocollo Aggiunto, in relazione a entrambe le parti in questo conflitto. Inoltre l’ ICRC è pronto ad offrire il suo contributo alle parti, come intermediario neutrale per la protezione di coloro che non sono coinvolti nel conflitto. Ringraziandovi per il vostro sostegno all’ ICRC per le sue attività umanitarie, distinti saluti. Firma illeggibile Georges------- Capodelegazione [ Pubblicato nell’Eritrea Profile, 8 agosto 1998, pag. 8] Appendice 6 HUMAN RIGHTS WATCH WORLD REPORT 1999 Fatti del dicembre 1997- novembre 1998 New York, Washington, Londra, Bruxelles Etiopia Sviluppi sui diritti umani La stretta alleanza politica e strategica tra Etiopia ed Eritrea crollò all’inizio di maggio quando una piccola disputa di confine scoppiò in brevi violenti confronti. Centinaia furono uccisi da ambo le parti, principalmente civili. i combattimenti fecero spostare migliaia di abitanti dei villaggi in entrambe i lati del confine. I combattimenti cessarono a metà giugno dopo intensi sforzi di mediazione ma un massiccio incremento militare da entrambe le parti continuò come un’amara propaganda di guerra e la ricerca di un’escalation da parte degli estremisti di entrambe, ha ridotto le possibilità di una soluzione negoziata. Entrambe le parti si scambiarono accuse di maltrattamenti nei confronti dei loro cittadini che il conflitto aveva trovato nel lato sbagliato del confine. L’Eritrea negò di aver espulso etiopici deliberatamente e disse che la sua politica sarebbe rimasta una politica di benvenuto e di protezione degli etiopici desiderosi di rimanere, ma in una dichiarazione del Ministero degli Esteri Eritreo del 26 settembre il numero degli etiopici che erano “volontariamente ritornati al loro paese” era di 6600. Prove convincenti indicarono una deliberata campagna da parte delle autorità etiopiche di espulsione di Eritrei e di Etiopici di origine eritrea, verso l’ Eritrea. Alla fine di ottobre, circa 30000 persone, la maggior parte di loro cittadini etiopici che non avevano preso la nazionalità eritrea in seguito alla secessione eritrea dall’Etiopia nel 1991, furono deportate senza alcun rispetto dei loro diritti umani. La campagna degenerò velocemente verso deportazioni indiscriminate. Una dichiarazione del governo dell’11 giugno disse che i “550000 eritrei residenti in Etiopia” potevano continuare a vivere e lavorare in pace là. Comunque, come “misura precauzionale”, in quella dichiarazione fu ordinato ai membri delle organizzazioni comunitarie e politiche degli eritrei di lasciare il paese, per il sospetto che essi sostenessero lo sforzo bellico, e fu dato un mese di licenza agli eritrei che occupavano posti “importanti”. Mentre all’inizio le autorità suggerirono una partenza volontaria per le suddette categorie, dopo iniziarono a fare retate di persone per il solo fatto che erano eritree o di origine eritrea, e senza fare uno sforzo di distinzione tra le due categorie. Non tutti quelli che caddero in questa rete furono deportati. Quelli in età militare furono mandati in campi di detenzione dove un numero sconosciuto rimase dalla fine di ottobre senza imputazioni o processo. Altri furono trasportati nei camion, dopo brevi detenzioni, verso lontani posti di confine e venne loro ordinato di attraversare il confine eritreo a piedi. Tra i detenuti e gli espulsi c’erano molti cittadini anziani che erano vissuti e avevano cresciuto i loro figli in altre province dell’Etiopia mentre l’Eritrea combatteva per la propria indipendenza. Il governo ordinò di bloccare le loro proprietà e revocò le loro licenze, spogliando loro e le loro famiglie dei loro mezzi di sostentamento. Durante le deportazioni molte famiglie furono separate dai figli minori ai quali non fu permesso di partire con loro o, in alcuni casi, da bambini che erano deportati senza essere accompagnati. -1- Il Primo Ministro Melles Zenawi in un’intervista a Radio Etiopia del 9 luglio disse che i deportati erano “stranieri”, aggiungendo che…” ogni nazionale straniero , che fosse eritreo o giapponese….. vive in Etiopia per la buona volontà del governo etiopico. Se noi diciamo ‘Vai perchè non ci piace il colore dei tuoi occhi’ essi devono andare”. 1 enfasi aggiunta dallo scrittore. Appendice 7 STATI UNITI D’AMERICA-DIPARTIMENTO DI STATO Ufficio del portavoce Per immediata diffusione 6 agosto 1998 Dichiarazione di James B. Foley, sostituto portavoce Etiopia: Espulsione degli Eritrei. Il governo degli Stati Uniti è molto preoccupato dal crescente impatto sulle popolazioni civili del conflitto che sta continuando tra Eritrea ed Etiopia. Gli Stati Uniti vedono con profonda preoccupazione la detenzione e l’espulsione dei cittadini di origine eritrea in e dall’Etiopia. Il governo dell’Etiopia ha il diritto legittimo di garantire la sicurezza e la salvaguardia della sua gente contro potenziali minacce. Ci sono tuttavia preoccupazioni per quanto riguarda i diritti umani fondamentali, dovute alla separazione forzata delle famiglie, alle eccessive sofferenze di coloro che sono detenuti o espulsi in Eritrea, alle perdite finanziarie causate dalle improvvise espulsioni. Noi sollecitiamo il governo dell’Etiopia a rispettare le norme e gli standard internazionali sui diritti umani e a seguire procedimenti appropriati per quanto riguarda il problema della sicurezza. Inoltre noi sollecitiamo il governo dell’Etiopia a permettere a coloro che sono stati espulsi erroneamente di tornare, e a stabilire una commissione per l’indennizzo che investighi e solleciti il risarcimento per le eccessive perdite finanziarie e le sofferenze risultanti dalle rapide e forzate espulsioni. Noi chiediamo ai governi di Etiopia ed Eritrea di assicurare il pieno accesso ai detenuti e ai prigionieri di guerra, di permettere agli studenti di ritornare in patria e di facilitare il ritorno dei nazionali che vogliono rimpatriare. Noi accogliamo con piacere la decisione di entrambe i governi di garantire l’accesso all’ ICRC e sollecitiamo una piena collaborazione con l’ ICRC secondo le sue procedure standard. Noi sollecitiamo entrambe le parti ad accogliere missioni delle apposite organizzazioni delle Nazioni Unite. La storia ha dimostrato che le deportazioni, le detenzioni e il massiccio spostamento di civili innocenti, ovunque e in qualsiasi momento avvengano, creano sofferenze ed amarezze che alimentano incomprensioni e diffidenza che dureranno a lungo. In ultimo, una pace durevole è la migliore garanzia del diritto dei rispettivi nazionali in Eritrea ed Etiopia. Gli Stati Uniti sollecitano Etiopia ed Eritrea a raddoppiare i loro sforzi nel ricercare una soluzione pacifica all’attuale guerra di confine e noi ci impegniamo a sostenere tali sforzi. Appendice 8 Amnesty International-Annuncio- AFR 25/02/99, 29 gennaio 1999 Etiopia/Eritrea Amnesty International testimonia la crudeltà delle deportazioni di massa “ Fui prelevato di notte, gettato in prigione, senza la possibilità di preparare le mie cose. Chiesi qual era il mio crimine. Mi dissero ‘Tu sei Eritreo’”. I rappresentanti di Amnesty International, di ritorno dalle loro ricerche in Etiopia ed Eritrea, oggi hanno avvertito che la forzata deportazione di massa ora minaccia chiunque sia di origine eritrea in Etiopia, causando sofferenze indicibili a migliaia di famiglie ogni settimana. La scorsa settimana in Eritrea, i rappresentanti di Amnesty International testimoniarono l’arrivo di 1280 donne, uomini e bambini di origine eritrea che erano stati raccolti e deportati dalle autorità etiopiche. La maggior parte di coloro con i quali Amnesty International parlò, avevano il passaporto etiopico, o erano nati e avevano trascorso tutta la vita là e si consideravano etiopici. La politica dell’Etiopia di deportare la gente di origine eritrea dopo che è scoppiata la guerra tra i 2 paesi nel maggio 1998, si è ora sviluppata in una sistematica operazione in tutto il paese per arrestare e deportare chiunque sia anche solo in parte di origine eritrea. 52000 eritrei sono stati arbitrariamente deportati dall’Etiopia negli ultimi 7 mesi , 6300 fino ad ora nel solo gennaio 1999. I rappresentanti di Amnesty International hanno detto che “Donne, alcune di loro in stato di gravidanza, bambini e anziani—addirittura ricoverati in ospedale--, stanno per essere arrestati e venire detenuti in piena notte”. “Persone di ogni età, dai neonati ai pensionati, sono imprigionate in durissime condizioni per molti giorni prima di essere caricate di forza sugli autobus sotto controllo di guardie armate, solo con un bagaglio, se c’è, e vengono scaricate al confine. Arrivano affamate ed esauste, spesso ammalate, dopo il viaggio di tre giorni”. Le famiglie sono state divise, il maschio di solito deportato per primo e la moglie, i genitori e i bambini settimane o mesi dopo. Ai molti etiopici che hanno sposato eritrei viene impedito di partire e devono stare a guardare impotenti mentre i loro coniugi e i loro bambini vengono deportati. I deportati hanno dovuto abbandonare le loro case, le loro proprietà , le loro attività senza alcuna garanzia di poter riaverle. Chi ha protestato è stato minacciato o picchiato. Ai deportati è stata tolta arbitrariamente la cittadinanza etiopica senza alcun avviso, processo o diritto di appello. Il Primo Ministro etiopico Melles Zenawi ha detto che i deportati rappresentavano una minaccia alla sicurezza nazionale e che pagavano con la perdita della loro cittadinanza etiopica il fatto di avere votato nel referendum per l’indipendenza dell’Eritrea nel 1993. I rappresentanti di Amnesty International visitarono l’Etiopia nell’ottobre 1998 e l’Eritrea nel gennaio 1999 per esaminare le accuse di abusi di diritti umani da ambo le parti, iniziate con il conflitto del maggio 1998. Incontrarono funzionari del governo e intervistarono persone tornate da entrambe i paesi. Almeno 22000 etiopici sono ritornati in Etiopia dall’Eritrea da maggio, la maggior parte dopo aver perso il proprio lavoro ed essendo senza mezzi di sostentamento come conseguenza delle ostilità, e alcuni per paura di rappresaglie. Non è stata trovata alcuna prova per sostenere le affermazioni dell’Etiopia secondo le quali 40000 dei suoi cittadini sono stati maltrattati seriamente e deportati di forza dall’Eritrea sin da maggio. Furono fatte anche delle inchieste sul bombardamento eritreo della scuola di Mekelle, nord Etiopia, nel giugno 1998. Il governo eritreo ha ammesso che la morte di 48 civili compresi donne e bambini fu un errore ma non ha organizzato ricerche indipendenti sui bombardamenti. Un aereo etiopico bombardò e uccise una persona all’aeroporto di Asmara, la capitale eritrea, lo stesso giorno. Amnesty International sta ribadendo il suo appello al governo etiopico di fermare immediatamente le deportazioni e il maltrattamento dei deportati così come le detenzioni arbitrarie di migliaia di altri eritrei, compresi i 38 studenti nel campo militare di Blattein. Essi contravvengono alle leggi etiopiche e alla costituzione, così come ai trattati internazionali sui diritti umani che l’Etiopia ha ratificato. Nel caso di ulteriori combattimenti, le organizzazioni per i diritti umani esortano entrambe le parti a rispettare la Convenzione di Ginevra, che l’Eritrea dovrebbe immediatamente ratificare. Dovrebbero anche assicurarsi che i civili non diventino obiettivi o vittime della guerra e che nessun eritreo in Etiopia o etiopico in Eritrea, sia vittima di rappresaglie a causa della sua origine. “ La comunità internazionale—in particolare i rappresentanti dei governi che sono in Etiopia—deve rompere il suo silenzio e porre una grossa resistenza contro le deportazioni e le altre violazioni dei diritti umani”, ha detto Amnesty International. Antefatto Le deportazioni degli eritrei dall’Etiopia cominciarono il 12 giugno, un mese dopo che la guerra era scoppiata nel maggio 1998 tra questi due stretti alleati che avevano fatto la guerriglia insieme per rovesciare il governo del Dergue in Etiopia nel 1991, quando l’Eritrea divenne uno stato indipendente. Ciò che iniziò come una guerra di confine portò ad alcuni combattimenti di terra. Poi attacchi aerei da parte di entrambe, e scambi occasionali di artiglieria lungo il confine. Mediazioni da parte dell’Organizzazione dell’Unità Africana (OAU), delle Nazioni Unite, degli Stati Uniti e di altri governi stanno continuando per evitare una guerra totale che sarebbe devastante per entrambe. Ogni parte ha riarmato e mobilizzato forze massicce lungo il confine e i combattimenti hanno già provocato più di un quarto di milione di profughi. L’Etiopia è uno Stato che fa parte della Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici, della Carta Africana sui Diritti Umani dei Popoli, della Convenzione sui Diritti dei Bambini e della Convenzione di Ginevra. Fonte: Amnesty International, Segretariato Internazionale, Easton Street 1, WC1X 8DJ, Londra, Gran Bretagna.
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