E’ diventato dottore in Scienze Politiche, i prof tutti collegati alla proclamazione: «È stato un plauso accademico da remoto», racconta lui con orgoglio
di Lorenzo Sarra «Quanti anni ho? A forza di stare con i ragazzi me ne sento appena 22, gli altri 50 puoi pure ometterli...». Derres Araia, 72 anni, è ancora emozionato per il risultato raggiunto: nei giorni scorsi ha discusso la sua tesi – in teleconferenza, a causa delle norme anti covid – diventando dottore in scienze politiche. Oltre alla commissione, si sono collegati alla proclamazione di laurea anche i suoi docenti della «Cesare Alfieri», per congratularsi: «È stato un plauso accademico da remoto», racconta lui con orgoglio. Del resto, la storia di questo pensionato di origine eritrea («Ma mi sento fiorentino al 100%») è anch’essa unica. Derres nasce a Massaua, nel 1948: «Mio padre era stato un soldato ascaro, durante il dominio italiano. Quell’Eritrea era un Paese moderno, per l’Africa di allora, grazie anche alle infrastrutture del colonialismo. Purtroppo, a differenza di altre nazioni africane, finita la Seconda guerra mondiale ci è stata negata l’autonomia». Nel 1961, dopo tanti soprusi nel silenzio internazionale, comincia infatti la guerra d’indipendenza eritrea, per liberarsi dall’egemonia etiope: «Dovevamo essere una federazione autonoma. Invece l’imperatore Hailé Selassié organizzò gradualmente un’annessione unilaterale. Volevano cancellare la nostra lingua, la nostra cultura. Praticamente passavamo da un oppressore all’altro: eravamo ancora dei sudditi». Derres è in prima linea: «Collaboravo col fronte per agevolare le attività di guerriglia. Ma non si libera una nazione solo con le armi: così mi impegnavo nella propaganda. Era molto pericoloso. Rischiavi la galera. Mio fratello addirittura fu ucciso per le proteste e l’attività politica. Un dolore immenso, come quello per il sangue versato di 100mila connazionali». Derres è uno degli eritrei della «diaspora», comportata dalla recrudescenza di una lotta armata che durerà trent’anni: «Avevo studiato in scuole italiane ed avevo amici sia italiani che meticci, nati dal legame di sangue con i colonizzatori. La lingua non era un problema. Arrivai a Firenze per diventare medico ed essere utile alla mia gente». È la vigilia di Natale del 1973: «Vivevo in una camera di via San Cristofano, nella zona di Santa Croce. Mi innamorai subito della città». L’Italia non era ancora meta di immigrazione: «Non esisteva il termine clandestino. Mai percepito razzismo: trovai una città aperta. Le uniche diffidenze per il colore della pelle crollavano appena si instaurava un dialogo con le persone». Derres lavora come portiere notturno negli alberghi, per mantenersi agli studi: «Ma dopo poco lasciai medicina, non avevo la vocazione. La mia passione era la politica». Si butta così nell’impegno sociale. Inizia ad aiutare le poche domestiche eritree a Firenze, con pratiche e documenti. Poi, piano piano, diventa un punto di riferimento per tutti gli immigrati che arrivano dall’Africa: «Mi chiamavano il saggio». Nel frattempo, continua la sua missione per l’Eritrea: «Tornavo spesso a casa. Portavo medicine, mandavo denaro. Cominciammo ad organizzarci, come comunità fuori dal Paese: ci autotassavamo per inviare aiuti dall’Europa. A Bologna creammo uno spazio per il congresso mondiale sulla nostra battaglia verso l’autodeterminazione». Derres si fa strada anche a Firenze. Concluso il lavoro negli hotel, arriva quello di direttore della mensa universitaria: «Fu così che conobbi mia moglie Donata. Veniva dalla Basilicata per studiare. Siamo sposati da 38 anni». Successivamente arriva l’occupazione di autotrasportatore sui furgoni e l’avventura imprenditoriale nel settore dell’import-export: «Poi, nel 1998, sono entrato al Ministero dei Beni culturali e lì sono rimasto fino alla pensione nel 2015». Nel mezzo, anche una candidatura per Palazzo Vecchio: «Nel 1990 sono stato il primo nero a partecipare alle elezioni per l’amministrazione cittadina, come indipendente». Nel 2015, il ritorno in aula: «Con l’Eritrea libera e la pensione, ho potuto mettermi in gioco per questa bella soddisfazione personale. Ho trovato docenti favolosi e compagni eccezionali». Con cui si è creata una bella amicizia: «I ragazzi erano curiosi della mia storia, mi hanno sempre trattato alla pari. D’altronde, sei vecchio quando ti ci senti». E Derres ci ha preso gusto: «Mi iscriverò alla magistrale. Conto di farcela in due anni». credit corrierefiorentino
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Settembre 2024
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