di Daniel Wedi Korbaria Perché parlare di Avvenire, il quotidiano della CEI (Conferenza Episcopale Italiana) e il suo preminente giornalista “esperto del Corno d’Africa” Paolo Lambruschi, in relazione al fallito colpo di Stato al Primo Ministro etiopico Abiy Ahmed della scorsa settimana? Basta indagare un po’ per avere la risposta. Ed è per fugare ogni dubbio che ho deciso di raccontarvi questa storia che inizia con l’omicidio di un famoso cantante etiopico deceduto a circa seimila chilometri dall’Italia. Il mio sarà un raccontare diverso da quello di certi giornalisti occidentali che si spacciano per “africanisti esperti” che non hanno fatto altro che stilare un semplice trafiletto di cronaca nera senza neppure provare a spiegarne il movente. Questa mia inchiesta è basata su ore e ore di ascolti e letture in lingua amarica e tigrigna di articoli, documentari, estenuanti dirette Facebook, dichiarazioni di attivisti, di politici, di giornalisti, di ufficiali del governo e delle opposizioni, un lavoro con materiali originali che non tutti sono in grado di cogliere, non solo per la scarsa conoscenza delle lingue africane ma, soprattutto, per la buona dose di pazienza necessaria a sbobinare ore e ore di discorsi e filmati. Il giorno lunedì 29 giugno, alle ore 21:30, nella periferia di Addis Abeba nel quartiere conosciuto come Condominium Ghela, appena sceso dalla sua automobile viene ucciso sotto casa a colpi di arma da fuoco l’artista Haacaaluu Hundeessa, un giovane di 34 anni padre di tre figli, dei quali uno adottivo. Haacaaluu, di etnia Oromo, l’etnia più popolosa della Repubblica Federale d’Etiopia, era diventato un’icona e un modello di libertà durante i terribili anni dell’Oromo Protest. Fu lui, infatti, che con le sue canzoni di protesta aveva motivato il Movimento dei Quero che, pagando con numerosi sacrifici umani, era riuscito a cacciare, dopo 27 anni di potere, i TPLF ossia i Weyane. Questo Movimento diede un importante contributo al cambiamento che vide poi l’insediamento di Abiy Ahmed come Primo Ministro al Governo di Arat-Chilo. Alla notizia della sua uccisione gli Oromo si sono ribellati alle norme sulla pandemia Covid-19 e, incuranti della quarantena, si sono riversati a migliaia per le strade. In seguito sono iniziati i disordini che sono poi continuati per i giorni seguenti e hanno portato alla devastazione di mezzi ed edifici e costretto alla chiusura di tutte le attività commerciali e allo shot down di internet. Con l’intervento della polizia federale il bilancio delle vittime sfiorerà in pochi giorni il centinaio di morti e di altrettanti feriti. L’ultima stima delle autorità parla di 156 morti. Nonostante l’Etiopia sia un importante partner commerciale dell’Italia, la stampa italiana non ha colto nessun segnale importante dalla tragica fine di questo cantante etiopico e infatti gli ha dedicato pochissimo spazio con articoli brevi e poco approfonditi quasi da lancio di agenzia stampa: Etiopia, ucciso cantante e attivista Oromo. Dolore e rabbia in tutto il Paese: Almeno 7 morti. oppure Etiopia, proteste e decine di vittime per l'uccisione del cantante-simbolo degli Oromo. Avvenire non pervenuto. Perché? Forse per una svista, per una dimenticanza? O per non aver saputo valutare le conseguenze dell’uccisione di un cantante morto a seimila chilometri di distanza? Oppure per la volontà di omettere la notizia che potrebbe essere un po’ “scomoda” per la sua strategia editoriale? Ma chi ha ucciso Haacaaluu e cosa c’è dietro alla sua morte? È qui che entrano a far parte i media etiopici, i giornalisti precedentemente imprigionati dai TPLF ma che per bramosia di potere stanno collaborando con i loro carcerieri per rovesciare chi li ha liberati, il Primo Ministro Abiy Ahmed. In questa assurda storia della morte di Haacaaluu, secondo le indagini presentate alla popolazione dalle forze dell’ordine, dalle forze di sicurezza federale, dalla polizia federale e dalla polizia della regione Oromo, emerge subito un quadro organizzato e ben architettato da parecchio tempo che non lascia dubbi su chi siano i mandanti. Sono gli attivisti dei diritti umani, i giornalisti, i nuovi e vecchi politici e gli oppositori al cambiamento. Il primo ad uscire allo scoperto è stato il giornalista Dawit Kebede, proprietario della testata Awramba Times molto vicino ai TPLF, con un messaggio social del 27 giugno alle ore 02:23 poi ripostato alle ore 12:39 in cui scrive: “Domani aspettatevi una nuova agenda che potrebbe far cambiare l’agenda della Diga, scommettiamo.” Come per una sorte di sindrome di Stoccolma, molti giornalisti ed attivisti ex carcerati e perseguitati di terrorismo dai TPLF, oggi sono schierati con loro per ostacolare Abiy Ahmed. Tra questi c’è Jawar Mohammed, attivista Oromo, cofondatore del movimento Quero e proprietario di una televisione satellitare OMN (Oromia Media Network) con base negli USA. Jawar ed altri sono stati tra i primi beneficiari delle riforme apportate da Abiy che hanno visto la liberazione di tutti i prigionieri politici e dei giornalisti e il rientro dall’estero di attivisti rifugiati, la maggior parte dei quali ha scelto di crearsi un partito politico per partecipare alle prossime elezioni. La notte in cui arrivò la notizia della morte di Haacaaluu io ero online e uno dei primi profili che sono andato a vedere per approfondire la notizia è stato proprio quello di Jawar Mohammed che seguo da anni. Non aveva fatto nessun Twitt ma su Facebook aveva già cambiato la sua foto del profilo con quella dell’artista e scritto un breve post “Non hanno solo ucciso Hachalu. Hanno sparato al cuore della nazione Oromo, ancora una volta! (…) Puoi ucciderci tutti ma non ci fermerai mai!” Con chi c’è l’aveva Jawar? Il giorno della morte di Hacaaluu in una conferenza stampa il Primo Ministro Etiopico, visibilmente scosso, ha annunciato: “Nel giorno in cui la nostra totale attenzione era focalizzata al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per la controversia con i nostri vicini dove eravamo stati chiamati a dibattere per salvaguardare i nostri interessi, la morte di un giovane ci ha portato un enorme dolore”. Quel giorno infatti si discuteva sulla sorte della diga “Grand Reinasence Dam”, di oltre 70 miliardi di metri cubi d’acqua che il Governo Etiopico intende iniziare a riempire già quest’estate ma che l’Egitto ostacola minacciando gravi conseguenze. Abiy ha voluto ricordare anche gli eventi successi sempre a giugno degli anni passati: “Giugno dovrebbe essere il mese dedicato alla nostra agricoltura, invece per tre anni consecutivi puntualmente qualcuno ci vuole imporre troppi lutti”. A giugno del 2018, appena eletto, in Piazza Mesqel in Addis Abeba, durante il suo primo discorso pubblico, furono gettate delle granate che fecero vittime e ferirono centinaia di persone tra la folla acclamante. L’anno successivo, il 2019, ha visto invece la morte di ufficiali dell’esercito tra cui il Generale Seare Mekonnen ucciso dalla sua stessa guardia del corpo a colpi d'arma da fuoco assieme al generale Gezai Abera. Entrambi volevano impedire il Colpo di Stato. Da ulteriori ricerche ho scoperto che il “contrasto politico” tra i due personaggi Oromo famosi, Hacaaluu e Jawar, era di dominio pubblico. Quest’ultimo, rientrato in Etiopia dagli Stati Uniti come un vincitore, aveva aperto una sede in Addis Abeba alla sua OMN, creato il suo partito (Oromo Confederalist Congress) convinto di avere tutti gli Oromo dalla sua parte. Alla fine lo stesso Movimento dei Quero fu diviso in due gruppi distinti tra chi era favorevole al governo del moderato Abiy e chi seguiva le posizioni e visioni di Jawar a dir poco estremiste. I sostenitori di Jawar accusarono l’artista Hacaaluu di aver tradito il Movimento per schierarsi dalla parte di Abiy. Hacaaluu rilasciò la sua ultima intervista1 il 22 giugno 2020, una settimana prima della sua uccisione, al giornalista dell’OMN che con domande incalzanti lo accusava di aver preso soldi da Abiy e dal suo partito Prosperity Party e che per questo si era schierato dalla sua parte. L’artista non solo negò categoricamente ma passò a contrattaccare il proprietario della redazione stessa rilasciando le seguenti dichiarazioni. “Come si suol dire c’è sempre chi nascondendo il proprio preferisce parlare degli altri. Se avessi voluto soldi, i Weyane me ne avevano promesso molti di più ma io non sono un venduto (…) l’arte ha bisogno di libertà, diversamente se chiunque ti ordina di salire lì e cantare e tu esegui i suoi ordini beh, allora tu non sei più un artista (…) i Weyane non sono mai stati buoni con gli Oromo (…) potevano dirci: in 27 anni abbiamo sbagliato molto con gli Oromo, vi abbiamo uccisi, vi abbiamo torturati (…) invece senza che ci chiedano perdono come facciamo noi a sederci assieme a loro? Dopo averci chiesto perdono sono loro che devono venire da noi e non noi che abbiamo vissuto nella morte (…)” e riferendosi a Jawar disse: “Puoi essere uno scienziato politico, puoi essere un intellettuale, però se sei un Oromo e vai a Mekele (capoluogo del Tigray) a pensare di collaborare assieme ai Weyane, per me questa è solo un’umiliazione”. Il giorno seguente all’omicidio Jawar Mohammed verrà arrestato assieme ad altre 35 persone, non per l’omicidio di Hacaaluu ma per aver tentato di fermare il feretro del cantante diretto ad Ambo, sua città natale, dove i familiari volevano dargli una degna sepoltura. L’ordine dei sostenitori di Jawar era quello di riportare la salma ad Addis Abeba e di farlo seppellire lì nonostante andasse contro la cultura ed i desideri della sua famiglia. In seguito a questi tafferugli è stato ucciso un poliziotto e la polizia federale è riuscita a disarmare i rivoltosi armati di otto kalashnikov, cinque pistole e nove walkie-talkie. Il feretro, costretto a far rientro ad Addis Abeba, ripartirà ad Ambo con un elicottero dove l’artista verrà sepolto assieme allo zio rimasto ucciso da una bomba lanciata dai Quero durante i tafferugli. Il ruolo dei media, così come successe nel genocidio del Ruanda attraverso Radio Télévision Libre des Mille Collines2 (poi conosciuta come Radio Machete) si rivela fondamentale. Ed è qui che inizia il tamtam online in cui giornalisti-attivisti mandano messaggi che fomentano l’odio etnico dicendo: “Oromo sollevati!”, “Sollevati Amhara!” Le versioni su chi avesse ucciso l’artista Oromo si susseguivano velocemente cambiando di volta in volta il nome degli assassini. I primi ad essere accusati furono gli Amhara soprattutto dalla redazione di OMN che incitava i Quero ad una rivolta estrema. Difatti l’idea di rimandare la salma ad Addis Abeba, come si scoprì in seguito, era stata una mossa per creare il caos nella Capitale. Il disordine sarebbe iniziato con lo scaraventare a terra la famosa e già contestata statua di Menelik, considerato dagli Oromo l’imperatore degli Amhara con l’unico intento di provocare un conflitto etnico mirato a deporre Abiy Ahmed. Il motto era: “Tutto inizia ad Addis Abeba e tutto finisce ad Addis Abeba!”. In seguito a questi incidenti in pochissimi giorni l’ondata di violenza, partita dalla Capitale, è arrivata a Harerghe, Arsi, Sheshemanne, Ambo, Dire Dawa, Bale, Zuway, Asella, Asosa, Adama, Mojo dove sono state date alle fiamme e distrutte diverse abitazioni, automobili e attività commerciali, fabbriche e scuola private, che hanno provocato un centinaio di vittime e altrettanti feriti e la fuga dei civili dalle loro case e quartieri. La città di Sheshemanne, la stessa che Haile Sellasie aveva popolato con i rastafariani giamaicani, a detta degli analisti etiopici, è stata trasformata in una “piccola Siria”, facendola diventare uno scenario di vera guerra urbana dove sono stati appiccati fuochi ad edifici alberghieri tra i quali anche quello del maratoneta Haile Gebreselassie andato distrutto. Per incrementare ancora il disordine, da Mekele arriva puntuale la prima dichiarazione dell’ex ministro dell’Informazione Getachew Reda che accusa il Primo Ministro di aver venduto la diga agli egiziani unicamente per distrarre l’attenzione dall’omicidio di Haacaaluu. Durante l’ultima seduta del Consiglio, trasmessa in amarico dalla televisione pubblica etiopica, il Primo Ministro Abiy Ahmed non si è presentato con la sua solita giacca e cravatta ma con indosso l’uniforme militare e il giubbotto antiproiettile. Ha poi esordito con una preghiera per ricordare le vittime e ha ascoltato attentamente il resoconto delle indagini della polizia federale e del Procuratore che hanno presentato le prove in loro possesso. Da queste prove emergerebbe chiaramente un secondo colpo di stato ordito dai TPLF. I suoi leader nei mesi precedenti ripetevano: “Torneremo ad Arat-Chilo senza sparare un solo colpo”. A sentire gli ufficiali delle varie forze di sicurezza, nazionali e regionali e del Procuratore, le indagini sono continuate senza sosta per mettere al sicuro la Nazione. Nel frattempo, pronti per fare altri attentati, ad Addis Abeba sono stati arrestati in una retata oltre mille agenti segreti conosciuti come Liyu Squad (squadra speciale con membri provenienti da diverse etnie), gli stessi che durante i terribili anni dell’Oromo Protest avevano seminato il terrore nella Capitale. Tra gli armamenti sequestrati nelle loro case c’erano granate, kalashnikov Akm47, fucili sniper, machete e coltelli. Le autorità stanno ancora cercando altre armi nascoste in città. Inoltre sono stati arrestati migliaia di giovani già pregiudicati per reati di destabilizzazione. Oggi la situazione in molte zone dell’Oromia, a fatica sta tornando alla normalità nonostante molti giovani chiedano il rilascio di Jawar Mohammed e degli altri arrestati. Da sabato 4 luglio Addis Abeba ha riaperto le sue attività commerciali e i mezzi di trasporto che lentamente hanno iniziato a riempirsi ma ancora non sono stati ripristinati i viaggi sulle strade che dalla Capitale vanno verso altre zone dell’Oromia. Fondamentale è stata l’interruzione dei tamtam dei social media con la chiusura di internet che ha impedito ai rivoltosi ogni collegamento con la televisione satellitare OMN e con i suoi incitamenti alla violenza, ruolo che è stato poi gestito dalle diverse televisioni del Tigray come Dimtsi Weyane (la voce dei Weyane). Dopo aver chiuso i loro uffici nella Capitale l’Autorità dell’Ethiopian Broadcasting ha avvisato queste emittenti del Tigray minacciandole di un blackout satellitare. E ieri lunedì 6 luglio, ad una settimana dall’uccisione di Haacaaluu, l’Autorità della vigilanza televisiva ha tolto la licenza, cancellandole dall’etere, sia a Tigray Television che a Dimtsi Weyane.3 Nonostante la chiusura la OMN di Jawar Mohammed continua la sua campagna che incita alla violenza trasmettendo da oltreoceano. Negli ultimi decenni i TPLF sono riusciti, grazie anche alla complicità di attori e istituzioni occidentali, a far sbarcare in Italia, e poi trasferire in Europa, migliaia di attivisti denominati “Digital Weyane”, ovviamente accolti ovunque per aver dichiarato di “essere eritrei” visto che non sono stati fatti i dovuti controlli sulla loro identità. Ciò sta già portando conseguenze nefaste non solo all’Etiopia ma a tutto il Corno d’Africa. E le conseguenze di un conflitto, che prima o poi vedremo sulle televisioni italiane ed europee, sarà il risultato di questa collaborazione, cosciente e meno cosciente, dell’industria dell’accoglienza esercitata dagli immigrazionisti di tutti i colori politici. Il compito principale dei Digital Weyane, con lo status da rifugiato a prima facie in tasca, è quello di spargere fake-news creando appositamente profili con nomi usati dagli eritrei per confondere gli eritrei stessi o con nomi amarici o oromo per seminare zizzania e paura. Tra le ultime loro false notizie c’è stato l’annuncio della morte del Presidente Isaias Afewerki, la carcerazione del Ministro della Difesa etiopico Lemma Megersa, fedelissimo di Abiy, e l’avvelenamento dell’acqua in tutta l’Etiopia per destabilizzare la popolazione rinchiusa in casa per la quarantena. L’esempio più eclatante dell’ultima false flag, dopo quella di aver accusato gli amhara dell’omicidio di Hacaaluu, è quella di uno pseudo avvocato Tzegaye Ararssa4 legato ai TPLF che da Melbourne dichiara ad una televisione: “Io so chi siano gli assassini, che tipo di personale militare abbia partecipato, non sono nemmeno etiopici, gli esecutori sono eritrei e sono stati assoldati da Abiy”. Ovviamente l’intento è stato quello di mettere a rischio la vita di migliaia di eritrei che vivono in Addis Abeba. Ma, fortunatamente, numerosi attivisti etiopici hanno mandato dalla diaspora i loro messaggi di smentita alle forze di sicurezza del Paese chiedendo la protezione degli eritrei da eventuali attacchi etnici poiché in un momento di rabbia generale una piccola bugia può provocare danni irreparabili. La false flag è sempre stata la strategia del caos a cui ci hanno abituato i TPLF e noi eritrei siamo grati a Julian Assange per avercelo mostrato nel suo Wikileaks5 dove, nel settembre del 2006, si accusava l’Eritrea per le tre bombe esplose ad Addis Abeba quando dietro agli attentati c’erano le stesse forze di sicurezza del governo. Il resto della loro attività mediatica è quella di predicare l’hate-speech in modalità smart-working per mettere zizzania tra le diverse etnie e fomentare genocidi anche su base religiosa. Per riuscirci al meglio utilizzano la falsa identità di un’etnia per insultarne ed esasperarne un’altra con continui rovesciamenti di alleanze. Ciò permette loro di estendere l’odio e le divisioni di appartenenza etnica in Eritrea ed Etiopia partendo da regionalismi e provincialismi fino ad arrivare a quelli di circoscrizione o di quartiere che si spezzettano in minuscoli gruppi sconosciuti, con l’intento di creare nuovi adepti. Oramai sia gli eritrei che gli etiopici hanno imparato facendo altrettanti tamtam di avvertimento e oggi, quasi da subito, li sanno distinguere con la stessa facilità che avrebbe un italiano nel riconoscere un francese che si spaccia per suo conterraneo, scovando i personaggi veri che si nascondono dietro ai profili falsi. Questa è una guerra online che da anni, quotidianamente, occupa migliaia di “soldati con la tastiera” che combattono nella diaspora etio-eritrea. E, a dimostrazione che il Digital Weyane viene gestito dalla base nel Tigray, in questi pochi giorni di blackout di internet le loro attività sono state ridotte dell’80%. Il Governo di Abiy, per fermare questo loro pericoloso tamtam mediatico che invitava all’attacco intende chiedere a tutti i paesi occidentali, Europa ed USA che hanno dei rapporti bilaterali sul terrorismo, l’estradizione di tutti gli attivisti e dei Digital Weyane che dalla diaspora stanno fomentando un genocidio. Senza questa specifica richiesta le forze dell’ordine occidentali avrebbero dovuto già collaborare in tal senso soprattutto viste le ultime leggi più severe contro l’Hate-speech. Ma le difficoltà sono comprensibili, non sono stati in grado di riuscire a decifrare o identificare questo fenomeno poiché ignorano il contenuto scritto e parlato in lingua tigrigna, amarica, oromo ed altre ancora. Ma perché Avvenire ha omesso di riportare la notizia sul nuovo Colpo di Stato nei confronti di Abiy Ahmed? Eppure sul golpe del giugno 2019 aveva scritto un articolo6. Solo otto mesi fa i toni usati sul vincitore del Premio Nobel per la Pace sembravano entusiasti, Lambruschi titolava: “Può diventare il leader della nuova Africa del terzo millennio.” Cito dai contenuti di quei pochi articoli che ne parlano: “Ebbene questo giovane premier si sta rivelando un vero e proprio statista e un grande riformatore. (…) Abiy è certamente una figura carismatica ed è visto come latore di speranza (…) l’Unione Africana ha estremo bisogno di nuovi leader, del calibro di Abiy, capaci di fare sistema (…) il Premier ha avviato importanti riforme che danno a molti cittadini speranza per una vita migliore ed un futuro più radioso”. Allora che cosa è cambiato in meno di un anno all’Avvenire perché ignori completamente la notizia che sta per far trascendere la situazione in Etiopia? O forse Avvenire non è più in grado, nonostante i suoi valenti africanisti, di valutare che la morte di un giovane cantante Oromo possa essere la goccia che porterà l’Etiopia sull’orlo di una guerra civile che potrebbe coinvolgere tutto il Corno d’Africa? In passato, per salvarlo dalla sua ossessione, ho invitato il giornalista Paolo Lambruschi, la punta di diamante della redazione esteri, ad allargare i suoi orizzonti sul Corno d’Africa non fossilizzandosi unicamente sul fenomeno migratorio eritreo. Su Google associando Paolo Lambruschi + Avvenire + Eritrea si trovano circa 6.940 risultati e se aggiungiamo la parola immigrazione sfioriamo i 28.400 risultati. Ma il buon Lambruschi ha preferito declinare l’invito anche perché i suoi articoli vincevano premi giornalistici e lo facevano passare per paladino dei migranti, “bontà” in cui si crogiolava. Se non ci fosse stato il fenomeno migratorio dall’Africa tanti giornalisti come lui non avrebbero mai vinto nessun premio. Lambruschi nel 2011, l’anno del boom dell’immigrazione, ha vinto il Premiolino, uno dei più antichi e importanti premi giornalistici italiani. Nel 2019 ha pubblicato con il Gruppo Editoriale San Paolo, una casa editrice cattolica, un libro sull’immigrazione, unico argomento oramai imparato a memoria. Per molti, infatti, l’immigrazione si è trasformata in manna piovuta dal cielo ad oltranza. Nell’ultimo suo articolo7 dei primi di giugno, mentre in Etiopia qualcuno stava organizzando il Colpo di Stato contro Abiy, Lambruschi accusava, citando fonti dubbie Made in TPLF, il Governo eritreo di approfittare del lockdown Covid-19 per sterminare l’etnia degli Afar, una delle nove etnie che compongono il popolo eritreo. Un gioco al massacro come nel film Highlander dove si sa che alla fine rimarrà uno solo! E dopo aver fatto fuori gli Afar quale etnia sarebbe stata la prossima? I Bilen, i Kunama, gli Hidareb, i Saho, i Tigre, i Rashaida oppure i Tigrigna? Al giornalista l’ardua sentenza. Che Lambruschi se ne faccia una ragione, il nostro motto rimane sempre “nove popoli un solo cuore”. La verità è che l’Eritrea è uno dei Paesi modello nella gestione della pandemia e finora non ha registrato nessuna vittima. (fonte UNDP8) Piuttosto, bisogna ricordare come l’amministrazione Obama abbia messo a capo dell’OMS Tedros Adhanom Ghebreyesus, un dirigente dei TPLF, che lo stesso Dipartimento di Stato degli Stati Uniti classificò, già nel maggio 1991, come un'organizzazione terroristica a causa delle sue attività violente. Ciò è stato riportato recentemente da Fox News9. Dal 1991 la visione del Governo dell’Eritrea è sempre stata quella di una politica inclusiva di tutte le sue etnie, senza distinzione di fede, sesso e provenienza, a cui sono garantiti gli stessi diritti e doveri che hanno gli altri. Da quando l’Eritrea si è liberata dall’oppressione etiopica, con la vittoria della trentennale guerra, i confini interni coloniali (italiani, britannici ed etiopici) sono stati cancellati e vennero formate 6 regioni (Zoba Centro, Zoba Sud, Zoba Anseba, Zoba Gash Barka, Zoba Mare Settentrionale e Zoba Mare Meridionale) proprio per evitare le vecchie divisioni su base etnica. Anche la scelta di un Governo laico non è stata lasciata al caso. Questo, infatti, era l’unico sistema che garantisse parità ad una società per metà cristiana e per metà musulmana. Ma forse le intenzioni del “Grande Inviato”, che continua a raccontare menzogne sull’Eritrea, erano quelle di nascondere la politica di balcanizzazione attuata invece dai suoi stimati TPLF a qualche chilometro di distanza. Negli ultimi 27 anni in Etiopia è stata adottata una politica di divisione costruita su base etnica, quella del dividi et impera che ha permesso al 6% dei TPLF di governare col pugno di ferro il restante 94% della popolazione. Come ultimo risultato di questo processo l’altro ieri il Kilil (regione) dei Popoli del Sud si è scisso in due per far posto al Kilil numero dieci dei Sidama. E ci sono già altre etnie in attesa di crearsi il proprio Kilil. Secondo il progetto costituzionale dei TPLF in Etiopia qualsiasi Kilil ha il diritto, grazie all’articolo n.39, di diventare persino una nazione indipendente. E i primi ad approfittare di questo pericoloso progetto vogliono proprio essere gli stessi TPLF per portare la loro regione del Tigray alla secessione dall’Etiopia. È sintomatico infatti che, nonostante abbiano governato l’Etiopia per 27 anni, non abbiano mai cambiato il nome alla loro organizzazione, TPLF significa appunto Fronte popolare per la Liberazione del Tigray. Minacciano il Governo Federale di Abiy di fare le elezioni a settembre quando il Primo Ministro a causa della pandemia le aveva posticipate. I TPLF, con le loro dichiarazioni bellicose minacciano di disobbedire alle leggi del Governo Federale. Ovviamente le conseguenze di questi atti ostili e illegali continui sfoceranno in un conflitto armato, è solo questione di tempo. Appoggiando un sistema che ha favorito la balcanizzazione dell’Etiopia Lambruschi e gli altri hanno di fatto offerto collaborazione a chi voleva dividere in mille pezzi una storica Nazione per ridurla in piccole regioni e villaggi fino ad arrivare ad una guerra di vicini contro vicini, una situazione drammatica e irreversibile in cui agli etiopici sarà persino proibito attraversare il confine dell’uno o dell’altro. Da cattolico mi chiedo: è questa una missione cristiana? In quale verso della Bibbia o Parabola di Gesù Cristo è scritto? Per questo un bravo giornalista che si autodefinisce “corrispondente o inviato” come pretende di essere Paolo Lambruschi assieme a tutta la redazione di Avvenire, per deontologia ed onestà intellettuale, e per quella “bontà” riconosciutagli dagli immigrazionisti, avrebbe dovuto scovare e scoprire questo maligno e pericoloso progetto dei TPLF al fine di evitare l’infausto futuro dell’Etiopia e salvaguardare tutte le sue etnie. Che il repentino cambiamento della redazione nei confronti di Abiy sia legato ancora all’immigrazione? Del resto come potrebbe essere il contrario? La decisione di Abiy di non considerare gli eritrei rinchiusi nei campi d’accoglienza del Tigray come rifugiati, offrendogli la possibilità di spostarsi liberamente ovunque in Etiopia, ha allarmato diverse Ong che vivono di quel sistema. In una dichiarazione pubblica, in occasione del 45° anniversario dei leader dei TPLF tenutasi allo stadio di Mekele, Debretsion Gebremichael10 (video 25:23 min), Presidente del Kilil Tigray, dice: “Agli eritrei nostri fratelli che sono rifugiati qui abbiamo offerto loro protezione e aiutati e curati, abbiamo fatto la nostra parte per aiutarli (…) Ma, come se non bastasse già chiudere le strade che erano state aperte, in questi ultimi tempi, con il sabotaggio del nostro Governo Federale si vuole impedire ai nostri fratelli eritrei in difficoltà, chiudendo i campi di accoglienza per gli eritrei presenti nel nostro Tigray, si sta facendo di tutto per non farli arrivare e per impedirci che se ne accolgano di nuovi. Devono sapere che la vita dell’eritreo non è mai stata nei campi d’accoglienza ma assieme al popolo del Tigray. Ai nostri fratelli e sorelle eritrei dico che non c’è nessuna porta che verrà chiusa dalla nostra parte, anche qui è casa vostra e anche questo è il vostro paese. Anche l’esercito eritreo deve sapere che qui è casa sua! Non c’è nessuna forza capace di impedire questo, il vostro problema è il nostro problema, strappiamo tutti assieme questa ragnatela che stanno tessendo, e abbiamo grande fiducia di riuscire ad attraversare questo periodo di prova assieme a voi.” Per realizzare il loro progetto che vuole svuotare l’Eritrea dei suoi giovani e gestire il traffico verso l’Europa di quelli rinchiusi nelle loro tendopoli, è indubbio che i TPLF si siano avvalsi della complicità delle varie Ong, istituzioni e paladini dell’immigrazione che continuavano, su corridoi con tanto di tappeto rosso, a fare la spola tra l’Italia e il Tigray per facilitare il via vai di giovani con scopi precisi. È tutto ben documentato. Così il TPLF, con la complicità di UNHCR e dei suoi programmi di resettlement, è riuscito a mandare la sua gente, direttamente in voli aerei, negli Stati Uniti, in Australia e perfino in Canada. Gli altri con l’aiuto dei vari “arcangeli dei migranti” venivano indirizzati e poi gestiti da Don Mussie Zerai e Alganesh Fesseha che in Italia avevano i contatti con le persone giuste del mondo cattolico quali la Caritas, la Comunità di Sant’Egidio e vari organi di stampa, in primis l’Avvenire. Le istituzioni italiane, dalla politica alle forze dell’ordine, tutti sapevano che la metà degli sbarchi interessavano cittadini etiopici11, tutti lo sapevano ma lo stesso hanno facilitato gli sbarchi e accolto i “falsi eritrei” 12. Evidentemente, interessava più il business nascosto dietro all’accoglienza che l’accoglienza stessa. A Lambruschi non devono essere piaciute le intenzioni di Abiy di chiudere tutti i campi d’accoglienza allestiti nel Tigray dei TPLF che egli stesso visitò in passato. Avvenire e i suoi giornalisti, che oziosamente si scagliano contro la pacifica Eritrea, appoggiano il progetto dei TPLF di accogliere i migranti “Digital Weyane” convincendo l’opinione pubblica italiana, forti del: “Beh, se lo dice l’organo di stampa della Chiesa”. Visto il lucroso business dell’accoglienza non si può escludere che sia questa la loro motivazione per tagliare i ponti con Abiy Ahmed, il guastafeste. Ma perché Avvenire ha scelto di schierarsi tra due paesi che per decenni erano in conflitto proprio con quella decina di leader TPLF, oggi reclusi a Mekele? Gli stessi che hanno rubato 17 miliardi all’Etiopia facendola indebitare per oltre 50 miliardi di dollari e diventati possessori di fabbriche di birra, di grattacieli, alberghi, beni immobili in Asia e di tanti soldi già trasferiti su qualche conto bancario all’estero? Dopo gli accordi di pace del 2018, Avvenire se ne usciva con questo titolo: “Dopo vent'anni tra Etiopia ed Eritrea SCOPPIA la pace”13. Noi eritrei sappiamo che a scoppiare non è mai la pace ma la guerra. E oggi che c’è la pace tra i due Paesi perché Avvenire persiste ad isolare l’Eritrea con continui articoli menzogneri se non per soffiare sul fuoco? Non vuole forse capire che, a seguito degli accordi di pace firmati prima ad Asmara poi a Jeddah c’è la cooperazione su economia, investimenti e sicurezza, un accordo di impegno comune per combattere il terrorismo, l’immigrazione e persino il traffico degli organi. I loro destini sono legati l’uno all’esistenza dell’altro. A dimostrazione di questa salda alleanza, in un momento in cui si vocifera che l’Egitto stia dietro ai disordini attuali in Etiopia per colpa della diga, il Presidente eritreo Isaias Afewerki, proprio nella giornata di domenica 5 luglio si è recato in Egitto per incontrare il Presidente Abdel Fattah al-Sisi. Non è mai troppo tardi per il Direttore Marco Tarquinio e tutta la redazione per fare ancora retromarcia, sappiamo oramai che la loro non è vera informazione ma propaganda. Imparino a comprendere che è inutile intromettersi fra due Paesi alleati se non per minacciare la pace raggiunta. Per fare un esempio facile, la NATO o gli Stati Uniti non permetteranno a nessuna potenza esterna di attaccare un loro Paese membro. Allora perché le alleanze africane per Avvenire non meritano la stessa considerazione di quelle occidentali? Diversamente, la storia ci dirà che gli scritti infamanti prodotti in oltre un decennio per vendere più copie con titoli allettanti rimarranno carta straccia e verranno cancellati persino dal Web. È solo questione di tempo. Quel che è certo è che continueranno a coesistere in armonia e pace due popolazioni lontane dagli sguardi quasi chirurgici di certa stampa abituata a rigurgitare pregiudizi da vecchi colonialisti del passato. Daniel Wedi Korbaria scrittore eritreo, ha pubblicato numerosi articoli in italiano poi tradotti in diverse lingue. Ad aprile 2018 ha pubblicato il suo primo romanzo “Mother Eritrea”. 1 Wellisaa Hacaaluu Hundeessaa turti omn wajjin|Hacaluu With Guyyoo Wariyoo OMN Interview|Wax 22, 2020 https://www.youtube.com/watch?v=4ocHlgJBktU 2 Radio Televisione Libera delle Mille Colline 3 Ethiopia -ESAT DC Daily News Monday 06 July 2020 https://www.youtube.com/watch?v=KqG8v4hbuNI 4 ??????? ??? ???? ????? ?? ???? ??????? ??? ?/? ??? ???? Tsegaye Ararsa On Hachalu Hundessa https://www.youtube.com/watch?v=qoy-yjIdUsk 5 September 15, 2011 Ethiopia Bombs Itself, Blames Eritrea https://www.counterpunch.org/2011/09/15/ethiopia-bombs-itself-blames-eritrea/ 6 Etiopia. Alta tensione dopo il tentato golpe https://www.avvenire.it/mondo/pagine/etiopia-alta-tensione-dopo-il-tentato-golpe 7 Pandemia. Eritrea, il regime sferza l'ex Dancalia. «Noi vessati con la scusa del Covid» Paolo Lambruschi venerdì 5 giugno 2020 https://www.avvenire.it/mondo/pagine/in-eritrea-il-regime-sferza-la-dancalia-noi-vessati-con-la-scusa-del-covid 8 COVID-19: Leveraging on social capital to ‘Flatten the Curve’ in Eritreahttps://www.africa.undp.org/content/rba/en/home/blog/2020/covid-19--leveraging-on-social-capital-to-flatten-the-curve-in-e.html 9 WHO chief's questionable past comes into focus following coronavirus response https://www.foxnews.com/world/who-chief-tedros-questionable-past-coronavirus 10 Dr. Debretsion, either we live united in equality or Tigrai’s destiny is in it's own hands! https://www.youtube.com/watch?v=x6qoHp8WAfU 11 40 Percent of Eritrean Migrants in Europe are Ethiopians: Austrian Ambassador https://www.tesfanews.net/40-percent-of-eritrean-migrants-in-europe-are-ethiopians/ 12 Fausto Biloslavo: L’imbroglio dei finti profughi eritrei https://www.panorama.it/news/limbroglio-dei-finti-profughi-eritrei 3 Paolo Lambruschi mercoledì 11 luglio 2018 https://www.avvenire.it/mondo/pagine/pace-etipia-eritrea
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Settembre 2024
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