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ERITREA ETIOPIA

Andre Vltchek: "Questa è l'Eritrea"

7/12/2018

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Di Andre Vltchek con la collaborazione di NAOM CHOMSKY

Bye Bye Uncle Sam non tanto per attaccare un nemico, ma per liberare un territorio occupato, in modo che un giorno si possa costruire…
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Sanzioni, guerra psicologica, propaganda, finanziamento delle opposizioni, sostegno ai vicini ostili – l’Occidente ha provato ogni cosa per colpire l’Eritrea. Ma è ancora qui, indefessa e orgogliosa, in marcia.

Qualcuno la chiama “Cuba d’Africa”, o potrebbe anche essere chiamata “Vietnam d’Africa”, ma la verità è che l’Eritrea è come nessun’altra nazione della Terra, ed è felice di rimanere così, unica.

“Non vogliamo essere etichettati” mi viene detto ripetutamente ogni volta che chiedo se l’Eritrea sia una nazione socialista.

“Guarda ad Amìlcar Cabral del Guinea Bissau”, mi dice Elias Amare, uno dei maggiori scrittori e pensatori in Eritrea che è anche Senior Fellow al “Centro per la costruzione della pace nel Corno d’Africa”. “Cabral diceva sempre: ‘Giudicateci per ciò che facciamo concretamente’. La stessa cosa può essere applicata per l’Eritrea.”

La maggioranza dei leader dell’Eritrea e la maggioranza dei suoi pensatori sono marxisti o almeno i loro cuori sono molto vicini agli ideali socialisti. Ma c’è molto poco da parlare di socialismo qui e non ci sono quasi bandiere rosse.

La bandiera nazionale dell’Eritrea è al centro di tutto ciò che accade, mentre l’indipendenza, l’autosufficienza, la giustizia sociale e l’unità dovrebbero essere considerati come pilastri di base dell’ideologia nazionale.

Secondo Elias Amare:
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“L’Eritrea ha registrato un successo, un obiettivo sostanziale, in ciò che le Nazioni Unite definiscono “Obiettivi di sviluppo del Millennio”, in primo luogo garantendo a tutti un’educazione primaria; assicurando l’emancipazione femminile e l’eguaglianza delle donne in tutti i campi.

Per quanto riguarda la sanità, è stata raggiunta una drastica diminuzione della mortalità materna. A riguardo l’Eritrea è considerata d’esempio in Africa; poche altre nazioni hanno ottenuto così tanto. Quindi, al di là di tutti gli ostacoli che la nazione incontra, il quadro generale è positivo”.

“L’Eritrea continua sul percorso dell’indipendenza nazionale. Ha una idea progressiva della costruzione della sua unità nazionale. L’Eritrea ha una società multietnica e multireligiosa. Al suon interno ha nove gruppi etnici e due religioni principali: cristianesimo e Islam.

Le due religioni coesistono armoniosamente e ciò è principalmente dovuto alla cultura tollerante che la società ha costruito. Non ci sono conflitti o animosità fra i gruppi etnici o religiosi. Il governo e le persone vogliono mantenere questa unità nazionale”.
Ma è davvero l’Eritrea una nazione socialista? Lo voglio sapere e insisto. “Cercalo da te”, mi viene detto ripetutamente. Vado. Mi è stato permesso di venirci e vedere. Vengo introdotto nei luoghi che voglio comprendere. Mi faccio degli amici qui; determinati, educati e ben informati.

La propaganda che proviene dall’Occidente definisce l’Eritrea come uno Stato eremita, “pariah”, chiuso al resto del mondo, militarizzato ed oppresso. Ma dopo sei anni in cui ho lavorato e vissuto in Africa, ho velocemente realizzato che è vero l’esatto contrario.

In Eritrea vedo grande speranza per la nazione e per il continente; vedo istruzione, lavoro, pianificazione meticolosa per un futuro migliore, vedo un nuovo e solido modello di sviluppo. Ci sono nuove scuole e università, ambulatori medici nelle campagne, cliniche per i tumori e per il cuore, strade che attraversano le montagne con tanto di energia elettrica. Ci sono dighe utilizzate per l’irrigazione, elemento importante nel progetto “sicurezza del cibo”.

L’Eritrea è povera ma con dignità. Ed è chiaro come stia migliorando, i suoi indicatori sociali sono in crescita. L’alfabetismo è aumentato dal 20% appena dopo l’indipendenza del 1991 (solo il 10% delle donne), fino al previsto 80% nel 2015. L’aspettativa di vita, secondo il dottor Misray Ghebrehiwet, consigliere del Ministero della Salute, è cresciuta dai 49 ai 63 anni, un valore molto alto per gli standard africani. C’è un programma gratuito ed obbligatorio di vaccinazione e tutti gli Eritrei usufruiscono di un sistema sanitario quasi gratuito, medicinali inclusi.

Mi sembra subito chiaro che queste siano le ragioni per le quali l’Eritrea sia emarginata, demonizzata e anche temuta da parte dell’Occidente: sta realmente lavorando “troppo bene” per il suo popolo e troppo poco o per nulla per le compagnie multinazionali e per l’Impero.

Si rifuta di accettare “aiuti” e rigetta prestiti. Ciò che vuole è il rispetto, la cooperazione e un trattamento equo. Vuole investimenti, anche nel settore strategico delle miniere, ma solo se lo Stato mantiene il controllo delle azioni, almeno del 40% o 50%, della produzione delle miniere. Quando alla fine della mia permanenza la “ERI-TV” mi ha intervistato, ho sottolineato come l’Eritrea sia per l’Occidente come un virus pericoloso, “un’Ebola ideologica e antimperialista”.

Ed è semplice dire perché. Questa parte dell’Africa è al momento sotto l’assoluto e brutale controllo dell’Occidente: la Somalia e Gibuti, l’Etiopia, il Kenya, l’Uganda, il Ruanda, la Repubblica Democratica del Congo come anche il Sudan del Sud. Principalmente perché questa è una delle parti più ricche del mondo, in termini di materie prime, una delle più ricche e conseguentemente una delle più devastate.

Solo negli ultimi due decenni i Paesi occidentali e le loro compagnie multinazionali, principalmente attraverso i loro alleati (Stati-clienti come Ruanda, Uganda e Kenya) sono riusciti ad uccidere circa dieci milioni di persone. E invece in termini di standard di vita, la gente in questa parte d’Africa è evidentemente la più povera della Terra.

Quindi arriviamo all’Eritrea, che ha combattuto decenni per la sua indipendenza e che richiede che le sue risorse vengano utilizzate per nutrire, curare, istruire e dare un’abitazione al suo popolo. Insiste anche perché l’intero Corno d’Africa goda di libertà ed autodeterminazione.
E’ “pericoloso” vero?

Che succederebbe se le popolazioni delle vicine Etiopia, Somalia, Repubblica Democratica del Congo iniziassero a prestare attenzione e a richiedere un simile tipo di società e di governo? Cosa accadrebbe se richiedessero una rete sociale? Cosa se insistessero che, come succede in Eritrea, i membri del governo girino per la strada, senza scorta?

Il dottor Mohamed Hassan, un ex diplomatico etiope a Washington, Pechino e Bruxelles, e parlamentare del combattivo Partito Belga del Lavoro, durante il nostro ultimo incontro ad Asmara mi ha spiegato: “L’Eritrea non è uno Stato neo-coloniale. L’Eritrea è uno Stato indipendente. L’Eritrea non ospita basi militari, nessuna forza straniera. L’Eritrea ha una determinata visione, non solo per se stessa, ma per l’intera regione.

Sta anche promuovendo l’autosufficienza e l’integrazione regionale. Si basa sull’ideale ‘lasciateci usare le nostre risorse e lasciateci costruire la nostra indipendenza’. Significa migliorare il livello di vita degli Eritrei, in particolar modo coloro che vivono nelle campagne. Questo approccio è stato considerato in Occidente, come ha detto Chomsky, come una ‘mela marcia’.”

Gli ho chiesto: è la cosa che più teme l’Occidente, un effetto domino? Mi ha risposto prontamente: “Naturalmente! L’Africa ha circa il 50% delle risorse naturali del mondo. Considera questo: il governo di questa nazione non ruba. Vivono una vita normale, quella delle persone normali. Nessuna classe dirigente in nessuna altra nazione dell’Africa vive a questo modo. Vai dai vicini – il Primo Ministro dell’Etiopia, appena deceduto, ha lasciato alla sua famiglia circa 8 miliardi di dollari.”

Tutto ciò, naturalmente, è altrettanto pericoloso. La corruzione è uno degli strumenti utilizzati dalle potenze straniere per porre in schiavitù le nazioni. Leader corrotti sono facili da manipolare e come regola essi fanno davvero poco per la propria gente e qualsiasi cosa per la propria famiglia e per l’Impero.

Elias Amare conferma:

“Le grandi potenze non vogliono che l’esempio eritreo venga replicato in Africa. Lo ripeto, l’Africa ha vaste risorse naturali. Le grandi potenze vogliono provare ad appropriarsi di queste risorse. Cosa accadrebbe se altre nazioni in Africa provassero a seguire l’esempio eritreo? A loro di certo non converrebbe”.

Per mancanza di motivazioni più realistiche le nazioni Occidentali accusano l’Eritrea di “sostenere il terrorismo”, particolarmente i somali di ‘al-Shabaab’ che si presume stiano operando anche in Kenya. Ma l’Eritrea non ha forze aeree capaci di trasportare armi e tra i suoi porti e la Somalia c’è uno dei più avanzati sistemi di sorveglianza del mondo, quello di Gibuti, nazione che ospita basi militari statunitensi e francesi.
Come conseguenza delle sue politiche l’Eritrea sta ricevendo continui attacchi ideologici e di propaganda dall’estero; è chiaramente nella “hit list” compilata dall’Occidente, nella stessa lista in cui erano e si trovano nazioni come l’Irak, la Libia, la Siria.

L’Occidente usa la sua propaganda tossica al massimo, al fine di macchiare la nazione, per confondere la sua gente e per forzare i più istruiti all’esilio, mischiando i dati e dipingendo la nazione come l’inferno in terra. Gli Stati Uniti periodicamente concedono anche il visto ad eritrei che non sono in possesso di un passaporto.

Sta anche sistematicamente spingendo, finanziando e creando “l’opposizione”, qui come nel resto del mondo nelle nazioni che sono considerati “ostili”. Oltre ai soliti strumenti politici e di propaganda, l’Occidente ha anche fatto nascere in Eritrea dei movimenti religiosi pentecostali di estrema destra. Periodicamente vaste campagne giornalistiche della BBC o di Al-Jazeera puntano direttamente il dito contro Asmara, provando a scatenare una ribellione: il presidente, un rispettato combattente per la libertà, sta “costantemente morendo” e “il governo è regolarmente abbattuto”.

False notizie sono diffuse, continuamente e senza alcuna vergogna. Milena Bereket mi ha detto che nel momento del “Colpo di Stato che mai ebbe atto” (a gennaio 2012), ‘Strategie Africane’, il suo think-thank politico con sede ad Asmara, ha lavorato come forza di difesa per aiutare i patrioti eritrei sparsi per il mondo a contrastare la raffica di disinformazione diffusa dai cosiddetti “esperti”.

Era il periodo in cui i canali di informazione Occidentali e Al-Jazeera raccontavano della “ribellione” nella capitale eritrea. Il mio videoperatore in loco Azmera, ha così riassunto l’evento: “Mentre il “colpo di Stato” stava avvenendo, mi trovavo proprio a lasciare il complesso presidenziale, dopo aver lavorato lì per un pò. Uscii e pranzai. Poi alle 16 fui chiamato e mi fu detto: ‘Al-Jazeera ha detto che c’è stato un golpe ad Asmara!’ Ignorai la cosa e tornai a casa”.

Gli attacchi all’Eritrea sono sfrontati, ma raramente ottengono risultati. “Si può capire quanto abbiamo ottenuto leggendo i rapporti specializzati delle Nazioni Unite”, spiega Misray Ghebrehiwet. “Ma i mass media non citano mai questi rapporti e così l’opinione pubblica straniera circa il nostro Paese recepisce principalmente le manipolazioni e la propaganda negativa.”
L’Eritrea lavora duramente per costruire la sua nazione e per un solido modello di sviluppo alternativo per il resto d’Africa. E’ solo una delle nazioni che sta affrontando, con coraggio e dignità, il più grande avversario sulla faccia della terra.

Sebbene l’Eritrea sia abituata a grandi prove, merita il sostegno di nazioni più grandi che attualmente affrontano le stesse sfide. Perché gli Eritrei non stanno combattendo solo per loro stessi, ma per tutti noi che non vogliamo arrenderci all’Imperialismo!

credit Sirach Muzollo


André Vltchek è un analista politico, giornalista e cineasta americano nato nell'URSS. Vltchek nacque a San Pietroburgo, ma in seguito divenne un cittadino americano naturalizzato. Ha vissuto negli Stati Uniti, in Cile, in Perù, in Messico, in Vietnam, in Samoa e in Indonesia. 

Ha coperto i conflitti armati in Perù,  Kashmir, Messico, Bosnia, Sri Lanka, Congo, India, Sud Africa, Timor Est, Indonesia, Turchia e Medio Oriente. Ha viaggiato in oltre 140 paesi,  e ha scritto articoli per Der Spiegel, Asahi Shimbun, The Guardian, ABC News e Lidové Noviny.  Dal 2004, Vltchek è stato Senior Fellow all'Oakland Institute. 

È apparso in vari programmi televisivi e radiofonici, inclusi quelli su France 24, RT, China Radio International,  The Voice of Russia, Press TV, CCTV, Ulusal Kanal (Turchia), Al-Mayadeen (rete panaraba), Radio Pacifika, Radio Cape, tra gli altri. Vltchek è stato intervistato da pubblicazioni tra cui People's Daily,  China Daily  e Tehran Times. 

Commentando il libro di Vltchek Oceania, pubblicato nel 2010, il linguista statunitense Noam Chomsky ha detto che evocava "la realtà del mondo contemporaneo" e che "Non ha omesso di tracciare il dolore - e specialmente per l'Occidente, realtà vergognose del loro passato storico".
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