di Daniel Wedi Korbaria Toc toc! Chi è? Sono un africano senza l’osso al naso. Cosa? Un africano istruito. Che cosa vuoi? Beh, vengo a spogliarti dell’Africa. Come? Sì, voglio riprendermi la mia Africa per questo ti busso alla porta. Ma io mi occupo dell’Africa, se non lo faccio io chi altri racconterà di quel continente dimenticato da Dio? Non preoccuparti di questo. Ora alzati e abbandona la trincea dietro al tuo computer. È giunto il momento di svestirti dell’Africa. Devi sloggiare da questa stanza e dal web. Ti ordino di uscire allo scoperto e di mostrare il tuo vero volto, adesso! Conterò fino a tre e poi sfonderò questa porta! Hai capito? Uno, due… Oh mio Dio, sapevo che eri un occidentale ma non credevo fossi così brizzolato e con tutte queste rughe. È incredibile, sei invecchiato facendo questo lavoro! Accidenti! “Ma io sono un Africanista!” Tu cosa? Africanista? E chi ti ha dato questo appellativo? Te lo sei cucito addosso da solo per ribadire quella tipica superiorità da occidentale, della serie: “Io conosco l’#Africa meglio degli africani”? Africanista, eh? Africanista1 ossia esperto d’#Africa, storico e studioso, stratega di geopolitica, economo, missionario, specializzato in Africa, etnologo africanista, antropologo africanista, pedagogista, africanista di formazione, vocazione africanista, africanista puro, filo-africanista, l’africanista convinto, aspirante africanista, un autorevole noto e celebre africanista, “come storico nasco africanista”, africanista fine, africanista esperto di questioni arabe, africanista orientalista, ecc… Scusi lei è europeista? No, sono africanista e mi chiamo: Massimo, Mario, Martin, Dan, Vincent, Fabrizio, Enrico, Dania, Cornelia, Mirjam… Ah, capisco! Il colonialismo così come lo conosciamo non è mai finito. Il furto, perché di furto si tratta, si è modernizzato diventando più veloce, ora spacca i minuti e i secondi. Adesso, mentre sto scrivendo questo articolo, l’Africa viene depredata alla vecchia maniera ma con mezzi più veloci. Ad ogni mio battito di ciglia le sue risorse di terra e di mare vengono caricate e portate via nell’Occidente globalizzato, che comprende indistintamente Europa, America e Asia. Ogni prezioso secondo aerei e navi occidentali caricano merci africane e si dirigono in tutte le direzioni facendo a gara a chi farà per primo un altro carico. No, non si tratta di un’attività legale di Import ed Export dove i prezzi sono decisi dal mercato, qui è diverso, la merce viene solo caricata e trasportata in tutta fretta in cambio di spiccioli, peggio del commercio “equo e solidale”. Ma quanto sono ingenui gli africani, basta una bottiglia di birra perché assistano impotenti alla magia occidentale di far volatilizzare le loro risorse naturali! Per esempio, in Madagascar le aragoste vengono impacchettate vive e fatte sparire in un baleno così che gli stessi malgasci non ne trovano più da comprare al mercato. In Europa affollano gli acquari dei ristoranti e delle pescherie a prezzi esorbitanti. [i] http://www.treccani.it/enciclopedia/africanismo_(Enciclopedia_delle_scienze_sociali)/ Dallo stesso paese, di notte, vengono disboscate le foreste di Bois de Rose, prezioso legname per parquet che viene trasportato sulle acque di un ruscello e caricato sulle navi di tutto il mondo. L’avidità plateale delle compagnie di trasporto ha causato numerosi incidenti dovuti all’eccessivo carico che ha fatto arenare o incagliare le navi, costrette a scaricare il legname in mare. Per anni c’è stato lo sfruttamento del Teak ganese o del cacao della Costa D’Avorio o del petrolio nigeriano. In Senegal, il cui mare è ricco di pesce, molte compagnie straniere, specializzate nella pesca industriale ed indiscriminata, costringono i piccoli pescatori senegalesi a spingersi fino in Ghana per trovare pesce. Il cotone dell’Etiopia destinato ad H&M è prodotto su migliaia di ettari di terreno rubati alla etnia Oromo con il metodo del #LandGrabbing2. Lo sfruttamento del Coltan per i nostri smartphones e Personal Computer viene estratto nella Repubblica Democratica del Congo ma tutti ignoriamo la disumanità con cui ciò avvenga. Il colonialismo dell’Africa, lo ritroviamo anche nei social media nei quali esiste un’eccessiva esposizione mediatica del continente africano gestito esclusivamente da occidentali. Ce ne sono fin troppi che vivono disquisendo o scrivendo dell’#Africa che dovrebbe essere, a mio parere, priorità degli africani. Sfruttando il suo nome molti occidentali continuano a raccontare la loro versione che è ben diversa da quella degli africani. Gli addetti ai lavori approfittano di questo nome associandolo convenientemente ai loro “valori” quali: libertà di religione e di stampa, diritti umani, giustizia, democrazia, rifugiati, terrorismo, ecc. I pochi africani che la descrivono come fanno gli occidentali sono quelli che Malcolm X definiva “negri da cortile”, ossia gente senza un’identità che ha venduto la propria anima per una misera “gratificazione” occidentale: “Oh, quanto sei bravo, così a modo! Non sembri neanche africano!” I negri da cortile, per il semplice fatto che il padrone li abbia scelti per farsi servire in casa sua, da subito si sono sentiti bianchi e hanno cominciato a maltrattare i loro fratelli rimasti a lavorare nei campi. Purtroppo, questi negri da cortile esistono ancora e sono coloro che vendono l’Africa e i loro fratelli africani per pochi spiccioli e permettono agli occidentali di prendersi tutte le loro risorse. Nel mucchio ci sono anche quelli istruiti che scrivono per raccontare un’#Africa piena di cannibali e di torturatori così vinceranno un premio messo in palio dai loro stessi padroni! Beh, costoro sono i peggiori. L’unica speranza di salvezza per l’Africa è che i “negri da campo” tentino una qualche rivoluzione il prima possibile. Nel frattempo gli occidentali inventano ONG o associazioni umanitarie senza scopo di lucro usando nomi di fantasia e associandogli la parola #Africa, così da poter iniziare a raccogliere fondi “umanitari” per garantirsi lauti stipendi assieme ai propri “volontari-impiegati”. Così ci sono sempre loro dietro a: buongiorno africa, esperti africa, africa70, africa news, l’africa chiama, africa.com, donate to africa, africa e affari, ottobre africano, africa blog, foundation for africa, mama africa, amani for africa, porta il tuo cuore in africa, all africa, urban africa, per l’africa, africa unite, missionari d’africa, medici con l’africa, all together for africa, africa home, africa mission, africa progress panel, innovation africa, rainbow for africa, africa oil, africa rivista, power africa, time for africa, this is africa, la nostra africa, festa d’africa, lighting africa, africa center, africa spectrum, medicina africa, africa country, africa check, demo africa, africa style, africa express, africa portal, fair trade africa, expert africa, highway africa, everyday africa, books for africa, africa confidential, overland africa, forbes africa, farm africa, selfhel africa, ripple africa, africa gathering, africa report, grow africa, africa rice, per l’africa, africa’s voices, african arguments, africa careers in africa, africa overview, advance africa, health care africa, happy africa foundation, africa in need, free minor africa, hope for africa, change africa, africare, africa files, heal africa, ecc, ecc, ecc. Tutte con il proprio conto corrente bancario in prima pagina. Ora, svestendo del nome #Africa tutte queste Organizzazioni rimarrebbero solo delle parole vuote e senza senso che non darebbero alle stesse alcun motivo di esistere. Chi mai donerebbe un solo euro a exPress, advance, voices, files, highway, chiama, esperti, ottobre, e via discorrendo? Quando ho bussato alla porta di ExPress il brizzolato uomo bianco che da anni vive “di #Africa”, mi ha risposto da razzista, da uomo di razza superiore, con un tono che voleva prendermi in giro dicendo: “grande Daniel, non te ne avere a male, dai fai il bravo... Gli ho replicato: “Intuisco dal suo tono sarcastico e dal suo sentirsi autorizzato a darmi del tu la pochezza di argomentazione e la classica superiorità che un vecchio colonialista ha verso un africano.” E lui: “Sai qual è, caro Daniel, la differenza? A differenza di te credo che il rispetto non è qualcosa di formale, tu o lei, ma di sostanziale e si conquista sul campo.” Il suo campo avevo intuito perfettamente quale fosse: l’#Africa. E continuò a darmi del tu irrispettosamente. “A differenza di te odio la censura. Comunque complimenti per il tuo italiano.” A quel punto intitolai la mia risposta: “Zi badrone, io conoscere bene taliano!” Successivamente, non solo ha rimosso dal suo sito il mio commento ma mi ha anche bannato per sempre così da poter, indisturbato, raccontare dall’esterno il mio paese. É stato veramente un grande insegnamento per me, grazie a questo gentiluomo ho capito cosa significhi la parola democrazia ma soprattutto mi ha aperto gli occhi sul colonialismo nei social media. Egli rappresenta simbolicamente tutti gli “africanisti” che finora hanno campato raccontando la “loro #Africa” per la “loro gente” offrendo una versione lontana dalla verità. Hanno vissuto sulla pelle degli africani imbrogliando e dipingendo la realtà con i loro colori, puntando il dito contro i fratelli africani e gridandogli: “Assassini, selvaggi, ladri, corrotti!” Hanno urlato ai quattro venti la loro sentenza da Inquisitori nascondendosi dietro un monitor e mentre parlavano di morti, di pulizia etnica e di genocidio masticavano panini e sorseggiavano vino. Per loro era solo un lavoro come un altro. D’ora in poi mi rivolgerò a costoro dandogli del tu perché, ipse dixit, “questo rispetto l’ho conquistato sul campo.” Quindi mio caro africanista, sappi che tu non conoscerai mai l’Africa quanto me, io ci sono nato e cresciuto in Africa, qui è sepolto il mio cordone ombelicale, qui sono sopravvissuto mangiando terra e respirando polvere. Sono stato un bambino dalle labbra screpolate, scalzo e con le unghie rovinate, assetato e affamato in quei pomeriggi assolati e afosi degli anni ottanta. Sono stato quello che cacciava e schiacciava le mosche ronzanti per non finirne divorato. Ho fatto estenuanti file con una scodella di plastica in mano in attesa che qualche missionario la riempisse di latte in polvere sciolto nell’acqua riscaldata al sole. A quei tempi non avevo nemmeno la forza di rincorrere un pallone, il mio gioco preferito era la caccia al cibo, gioivo solo quando ne rimediavo un po'. Te lo dice mio padre, un africano della diaspora, tornato da morto dopo esser vissuto nel tuo paese per 40 anni, anni di duro lavoro fisico che gli hanno spaccato la schiena, anni di sacrifici passati sognando di arrivare alla pensione e di tornare nella sua città natale per coltivare un orticello e passare il tempo con i suoi amici a ridere e a bere il tè. Quando lo colse un infarto la diaspora fece una colletta per riportare la sua salma in Africa pagando il prezzo del biglietto aereo dieci volte superiore rispetto a quello che avrebbe speso se fosse stato ancora vivo. Lui, che ha vissuto sognando di tornare a casa e non ci è riuscito, ti avrebbe chiesto di uscire dalla tua tana con le mani alzate: “Vai via dalla mia terra delinquente” ti avrebbe gridato stramaledicendo la tua età. Te lo dice anche mia madre quando racconta: “Guarda come sono ridotti i miei piedi uomo bianco, sono stata a diretto contatto con la terra d’Africa più di qualunque altra creatura al mondo, è da quando sono nata che ogni giorno cammino con la brocca in testa per portare l’acqua al mio villaggio. Ho creato profondi solchi per terra con le mie orme e le mie lacrime, la mia terra serba nella sua memoria persino il mio esile peso. Sono sfuggita alle grinfie dei babbuini, ai morsi dei serpenti e ho strillato per lo spavento alle risate delle iene. Mi sono ingobbita anzitempo sotto il carico della legna da ardere. Come madre ho pianto e pregato il Signore per il mio piccolo delirante per la febbre, l’ho visto correre e cadere con la scodella in mano per fare la fila davanti agli aiuti occidentali, poi appena cresciuto l’ho visto sparire per andare a combattere contro l'oppressione del vicino finanziato dagli occidentali. Per mesi ho fissato quella porta sperando nel suo ritorno. Ho saputo che aveva scavalcato le montagne del Sahel, proprio quelle montagne bombardate dal Napalm del colonnello Menghistu Hailemariam e sono stata maledetta dal cielo quando non ho potuto seppellire nemmeno il suo corpo. Quando c’è il vento sento riecheggiare proprio la sua voce confusa con quella degli altri eroici martiri della Liberazione. Dice che il suo sacrificio è stato ripagato quando nel 1993 la nostra bandiera ha volteggiato per la prima volta a New York davanti al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite. Eravamo finalmente liberi da oltre un secolo di colonialismo e di schiavitù. Non insistere uomo bianco, te lo chiede un ragazzo di oggi che rischia di combattere una nuova guerra che tu fomenti con il solito prepotente vicino, addestrato e armato fino ai denti dai marines di AFRICOM3, un’organizzazione d’oltreoceano che pratica un colonialismo di tipo militare. E forte di quest’alleanza atlantica il vicino vuole opprimerci come fece nel passato e obbligare anche le nuove generazioni a parlare la sua lingua. Un ritorno ad un infausto passato, lo stesso passato che ha già causato strazi e sofferenze ai nostri genitori, ai nostri fratelli maggiori, ai nostri zii e ai nostri nonni. Io ho giurato ai nostri martiri che avrei seguito il loro esempio e difeso la mia terra e la mia bandiera, io combatterò uomo bianco. Te lo giura anche mio fratello che invece è scappato dal suo Paese e ora si trova in uno di questi campi recintati dell’Alto Commissariato per i Rifugiati, gestito da attivisti umanitari occidentali, con la partecipazione di ONG occidentali, fotoreporter e giornalisti che, dopo avergli fatto firmare una scheda già precompilata con domande e risposte, gli hanno dato un documento per farlo uscire dalla loro prigione a cielo aperto e fargli attraversare il deserto e il mare. “Vai a costruirti un futuro”. L’unica via d’uscita per il proprio futuro e tentare la fortuna, alimentando cioè l’esodo di uomini, donne e bambini organizzato dai trafficanti di esseri umani. Perché? Chiunque abbia tentato quella via si è poi pentito ma oramai non ha scelta, è troppo lontano da casa per tornare indietro. Si consola pensando: “L’ho fatto per aiutare la mia famiglia, per fare un’esperienza lavorativa all’estero e tornare al mio paese con un po' di soldi in tasca.” In un mondo normale questo sarebbe comprensibile. Invece si strumentalizza questo antico fenomeno migratorio e lo si rende illegale, impensabile ed inaccettabile l'immigrazione economica. Eppure, più dei rifugiati, le attuali potenze mondiali devono la loro fortuna proprio all’immigrazione economica. Caro Africanista, perché agli africani non viene data la possibilità di frequentare le università migliori del mondo le stesse che invece tuo figlio può frequentare? Grazie all’#Africa ogni mese hai guadagnato uno stipendio che ti ha permesso di crescere i tuoi figli senza avergli mai fatto mancare nulla, li hai mantenuti fino all’università nei migliori atenei. Loro non hanno certo problemi di visti, invece ad un ragazzo africano che sogna di proseguire il suo percorso scolastico con un master nell’Università di Yale, di Oxford o di Roma, anche se ha parenti all’estero disposti ad ospitarlo e mantenerlo, non gli viene concesso il visto. Le nuove disposizioni delle ambasciate occidentali negano questo diritto così da incoraggiare i viaggi illegali. Infatti non sarebbe un’assurdità pensare che questo meccanismo di chiusura delle frontiere alimenti i viaggi illegali e clandestini e arricchisca i trafficanti. Non deve poi sorprendere nessuno il fatto che qualcuno possa riuscire a fare quel viaggio a piedi e non ce la faccia a sopravvivere. Quanti africani universitari sono morti attraversando il mare? E di coloro che invece sono riusciti a sbarcare, quanti hanno potuto scoprire che quel pascolo non era poi così verde perché sono finiti a dormire sui marciapiedi delle stazioni o nei palazzi-uffici occupati abusivamente? Quanti sono stati i laureati africani finiti sotto il sole nei campi di pomodori o nei frutteti italiani? E quante africane sono finite sulle strade consolari delle grandi città ad aspettare la sosta di qualche automobile per riscattare i suoi debiti? In un mondo normale e legale anche gli africani avrebbero potuto concorrere assieme agli occidentali per una borsa di studio! O no? Tu trasudi umanità da tutti i pori e anche un certo odore di santità! Ti viene però ripetuto: “Lascia l’#Africa e vattene!” invece tu, sciacallo, non vuoi mollare l’osso, non intendi far raccontare l’Africa da noi, fai orecchie da mercante all’idea che l’Africa può essere salvata solo dagli stessi africani. “Ma io sto aiutando l’#Africa perché sono veramente buono!” rispondi convinto. Sentirsi migliori è una diffusa malattia occidentale che serve per giustificare la propria esistenza, “boot on ground”. La verità è che si vuole imporre agli altri la propria presenza solo perché si vuole aiutare se stessi. Se l’aiuto umanitario non fosse un’arma del neocolonialismo non staremmo ancora oggi a parlare di fame nel mondo, di sfruttamento e di furto delle risorse altrui. Io provengo dall’Eritrea, un paese che per la prima volta nella storia africana, sta riuscendo a vincere questa sfida dell’auto sostentamento con la sua filosofia del self-reliance. Non più “aiuti umanitari” che hanno peggiorato la situazione del continente in questi ultimi cinquant’anni ma una cooperazione e partenariato equo e alla pari. Provengo da un piccolo ma testardo paese africano che da decenni è alle prese con la costruzione delle sue dighe nei luoghi dove scarseggia l’acqua per raggiungere la sicurezza alimentare e lentamente arrivano i primi risultati. Quella terra arsa e marrone si sta colorando di verde, l’agricoltura comincia a soddisfare il fabbisogno dell’intera popolazione nonostante il fenomeno climatico chiamato El Nino che dal 2015 sta funestando tutto il Corno d’Africa bruciando raccolti, prosciugando corsi d’acqua e minacciando animali e persone. L’Africa può farcela senza gli aiuti umanitari è la lezione che l’Eritrea vuole trasmettere agli altri Stati africani con forza di volontà e molta determinazione. Ma questo minaccia il proseguimento del neo colonialismo e, prima che l’Eritrea diventi un cattivo esempio per gli altri, l’Occidente scatena una guerra mediatica nei social media per demonizzarla davanti agli occhi degli africani e del mondo intero. L’Eritrea è attualmente il paese africano più citato e demonizzato nei social media. Per farlo sono stati coinvolti ONG e attivisti dei diritti umani, politici e giornalisti. Inventando una bugia dopo l’altra e amplificandola all'ennesima potenza. In questi anni l’Eritrea ha subito due sanzioni Usa-Onu, l’isolamento diplomatico, le minacce di nuove guerre dai suoi vicini e la fuga dei suoi giovani4 (la strategia più grave) inventando ad hoc per loro lo status di rifugiato prima facie. Ma l’Eritrea non demorde e continua la sua solitaria battaglia per la verità sperando che prima o poi gli Stati africani aprano gli occhi e la seguano. La minaccia diretta le arriva attraverso l’Etiopia, un paese servile ai diktat occidentali che, nonostante violi da 14 anni le decisioni inappellabili della Commissione Confini delle Nazioni Unite5, continua ad occupare militarmente i territori sovrani eritrei nell’indifferenza degli stessi personaggi che accusano di ogni cosa l’Eritrea nei social media. Ma l’Etiopia è il paese protagonista della strategia del War on Terror e per questo, nonostante la sua etnia minoritaria abbia vinto alle elezioni col 100% dei seggi, viene definito un paese democratico dal Presidente degli Stati Uniti. Il governo di Addis Abeba da ottobre ad oggi ha soffocato nel sangue la rivolta degli studenti di etnia Oromo6 uccidendone oltre 200 con colpi di fucile in testa ad opera dei suoi cecchini. L’etnia maggioritaria degli Oromo, stufa degli espropri e del land grabbing che da anni vede i suoi terreni più fertili concessi agli occidentali per circa 10$ annuali per ettaro, da mesi sta protestando per i suoi diritti umani violati. A complicare la situazione è arrivato El Nino. Secondo le previsioni delle Nazioni Unite7 infatti il 2016 sarà l’anno peggiore per l’Etiopia perché la siccità minaccia la vita di oltre 10 milioni di etiopici. La comunità internazionale dovrà organizzare la spedizione di aiuti umanitari come successe negli anni ottanta. E risiamo da capo! L’Etiopia è il paese che riceve più aiuti umanitari occidentali destinati all’#Africa ma lo stesso è uno dei paesi più poveri del mondo. L’Africa è diversa dalla tua Africa, lei è il calore umano, è il sorriso, è l’ospitalità, è l’indebitarsi con i vicini per offrire un pranzo all’ospite. L’Africa è la cooperazione armoniosa del villaggio, vecchi, donne e ragazzi che lavorano insieme per mettere al sicuro il raccolto di una stagione. L’Africa è l’allegria dei bambini che corrono con coloratissime divise scolastiche, è la musica del tamburo durante le feste folcloristiche, è la sobrietà del pellegrinaggio dei cristiani all’alba o la voce del muezzin che chiama i musulmani alla preghiera del tramonto. L’africano non è come tu lo vuoi rappresentare. Non è un essere malvagio come viene descritto nelle tue narrazioni, non violenta abitualmente le donne ma le rispetta, tutela le altrui religioni, partecipa con il suo lavoro alle feste popolari e sorride sempre. L’unica sua colpa è l’essere fin troppo generoso ed ingenuo, ed è questa sua innata generosità e ingenuità che lo ha reso vittima dei colonialisti che invece erano dei veri ex galeotti. L’africano, credulone per sua natura, si è fatto fregare fin da subito. Come dice Jomo Kenyatta8: “Quando i missionari giunsero, gli africani avevano la terra e i missionari la Bibbia. Essi ci dissero di pregare a occhi chiusi. Quando li aprimmo, loro avevano la terra e noi la Bibbia.” Da allora, sempre più nuove religioni hanno spaccato villaggi e diviso comunità tra buoni e cattivi attuando quell’idea criminale del “dividi et impera”. Per farli ammazzare tra di loro, gli scudi e le frecce sono stati trasformati in kalashnikov, carri armati, mig, missili e droni. Così da un secolo l’#Africa è in perenne guerra fratricida. Oggi è diventata una gigantesca tendopoli per rifugiati e una base militare per esperimenti occidentali sull’efficacia letale dei nuovi armamenti. Ma tu levati di dosso quell’abito d’Africa, l’hai infangato e sporcato di sangue dipingendo quotidianamente scenari di violenza, barbarie, corruzione, prigioni, torture, tagliagole, genocidi e persino cannibalismi ad opera degli africani, ovviamente. È questo che ti piace raccontare, no? Oramai abbiamo capito dai tuoi ragionamenti che da un africano ci si aspetta che faccia le cose più orribili del mondo. L’africano usa il machete per commettere crimini contro i suoi stessi fratelli e rende i suoi figli dei bambini soldato. È capace di tutto l’africano! E tu sei quello che conta i suoi morti, ma solo i morti che ti fanno comodo e servono al tuo Occidente. Il filone che non ti stanca mai è quello dei dittatori che odiano i loro popoli e li perseguitano creando così rifugiati politici e religiosi. Non saresti “Africa” se vedessi un leader africano che invece protegge il suo paese e il suo popolo dallo sfruttamento Occidentale. Lascia pure lì il tuo lurido vestito e vattene da dove sei venuto. Gli africani laveranno igienizzandolo il tuo cencio e ripuliranno la tua #Africa del suo hastag. Ridaranno dignità al suo nome affinché la Nuova Africa sia capace di affrontare e di combattere il tuo neocolonialismo. Mio caro africanista, oramai il tuo gioco è finito, gli africani si stanno risvegliando dall'incantesimo, appena il tuo malefico fumo che appesantiva le loro palpebre si disperderà, apriranno gli occhi. E ti vedranno. Anche quelli a cui avevi pagato da bere si desteranno e non ti lasceranno più andar via con la carriola piena d’oro. Mai più. Ti basta aver mangiato a quattro ganasce per tutti questi anni impedendo che le tue briciole arrivassero alle loro bocche mentre lottavano a pancia vuota per la sopravvivenza e camminavano con le catene ai piedi come schiavi. Levati di mezzo e non ti scomodare, gli africani ce la faranno da soli, troveranno la tua chiave e si libereranno dalle catene. Sarà l’Africa stessa a liberarsi della schiavitù, a liberarsi di te! Per te sarà la capitolazione, non potrai più commerciare il nome dell’Africa. L’Africa e il suo destino saranno in mano agli africani liberi finalmente di godersi l’Africa, la ricchissima Africa! Daniel Wedi Korbaria [i] Ethiopia at centre of land grab https://www.youtube.com/watch?v=CFl6HUh6yKI
[i] US Africa Command, This is AFRICOMhttps://www.youtube.com/watch?v=3vuy9kAqgp8&nohtml5=False [i] Video: Obama Admits US Involvement of Human Trafficking in Eritrea http://www.eastafro.com/2013/10/12/video-obama-admits-us-involvement-of-human-trafficking-in-eritrea- lampedusa-a-case-against-president-obama/ [i] (EEBC)http://www.peaceau.org/en/article/decision-of-the-eritrea-ethiopia-boundary-commission-eebc-regarding-the-delimitation-of-the-border-between-the-state-of-eritrea-and-the-federal-democratic-of-ethiopia [i] #OromoProtesthttp://www.telesurtv.net/english/opinion/Ethiopias-Oromo-Protest-Development-Displacement-and-Death-20160406-0003.html [i] Ethiopia: $50 million needed to tackle food insecurity caused by El Niño-induced drought, says UN http://www.un.org/apps/news/story.asp?NewsID=53017#.Vw5qG9R95dg [i] https://it.wikiquote.org/wiki/Jomo_Kenyatta“When the missionaries arrived, the Africans had the land and the missionaries had the Bible. They taught us to pray with our eyes closed. When we opened them, they had the land and we had the Bible.” Jomo Kenyatta (1889 – 1978)
1 Comment
3/7/2018 09:05:28 am
Carissimo Daniel Wedi Korbaria vorrei contattarti. Vorrei poterti parlare. Perché ? Chi Sono? Puoi provare a cercare in rete il titolo del libro di cui sono stato il curatore.
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