Il governo eritreo il 31 marzo 2007, con un comunicato pubblicato sul sito del ministero dell'informazione del governo eritreo che faceva riferimento alla proclamazione 158/2007 pubblicata sulla Gazzetta delle Leggi Eritree il 20 marzo 2007, ha annunciato di aver messo al bando la mutilazione genitale femminile portando a quindici i paesi africani che hanno adottato tale provvedimento. Chi la pratica o vi si sottopone rischia pene severe: da multe salate al carcere. La legge intitolata “Proclamazione per la abolizione della circoncisione femminile” recita: - Considerato che la circoncisione femminile rappresenta un grave rischio per la salute delle donne e, oltre a metterne in pericolo la vita, causa loro considerevole dolore e sofferenza; - Considerato che questa pratica viola gli elementari diritti umani delle donne privandole della loro integrità fisica e mentale, dei loro diritti di libertà dalla violenza e discriminazione, e, in casi estremi, della loro vita; - Considerato che le conseguenze dannose, immediate o a lungo termine, di questa pratica variano a seconda del tipo e modalità di esecuzione; - Considerato che le conseguenze immediate includono forte dolore, emorragie che possono causare svenimenti o morte, ulcerazioni della regione genitale e danneggiamenti dei tessuti adiacenti, ritenzione urinaria e gravi infezioni; - Considerato che le conseguenze a lungo termine includono ricorrenti infezioni alle vie urinarie, infezioni permanenti all’ apparato riproduttivo, complicazioni nel concepimento (sterilità) e formazione di cicatrici così come continui ascessi nelle labbra minori, e ostacolo alle mestruazioni; - Considerato che è una pratica tradizionale e che è prevalente in Eritrea; e - Considerato che il Governo Eritreo ha deciso di abolire questa pratica dannosa che viola i diritti delle donne; Ora, dunque è proclamato quanto segue: Articolo 1. Citazione in breve Questa Proclamazione deve essere citata come “Proclamazione per la Abolizione della Circoncisione Femminile No. 158/2007.” Articolo 2. Definizione In questa Proclamazione “circoncisione femminile” significa: (1) escissione del prepuzio con la parziale o totale escissione della clitoride (clitoridectomia); (2) parziale o totale escissione delle labbra minori; (3) parziale o totale escissione dei genitali esterni (labbra minori e labbra maggiori), inclusi punti di sutura; (4) punti di sutura con spine, steli di paglia, fili o qualunque altra cosa abbia lo scopo di congiungere l’escissione delle labbra, e il taglio della vagina e l’introduzione di sostanze corrosive o erbe nella vagina allo scopo di restringerla; (5) pratiche simboliche che comportino l’incisione e la perforazione della clitoride per il rilascio di gocce di sangue ; o (6) praticare qualunque altra forma di mutilazione genitale femminile e/o taglio. Articolo 3. Proibizione della Circoncisione Femminile Con la presente la circoncisione femminile è abolita. Articolo 4. Sanzioni (1) Chiunque pratichi la circoncisione femminile sarà punito con la detenzione da due a tre anni e una ammenda da cinque a diecimila (5.000 a 10.000) Nakfa. Se la circoncisione femminile provoca la morte la detenzione sarà da cinque a dieci anni. (2) Chiunque richieda, inciti o promuova la circoncisione femminile procurando strumenti o in qualunque altra maniera, sarà punito con una detenzione da sei mesi a un anno e una ammenda di tremila (3.000) Nakfa. (3) Se la persona che pratica la circoncisione femminile è un membro della professione medica, la pena sarà aggravata e la corte potrà sospendere il colpevole dalla pratica della sua professione per un periodo massimo di due anni. (4) Chiunque, essendo a conoscenza che la circoncisione femminile è stata o sarà praticata, manca, senza una valida ragione, di avvisare o informare prontamente le autorità competenti, sarà punito con una ammenda fino a mille (1.000) Nakfa. Articolo 5. Decorrenza Questa proclamazione entrerà in vigore alla data della sua pubblicazione nella Gazzetta delle Leggi dell’Eritrea. Fatto ad Asmara questo 20° giorno di marzo 2007 Governo dell’Eritrea Le agenzie di informazione di tutto il mondo hanno dato ampio risalto alla notizia della nuova legge proclamata in Eritrea sottolineando il grande valore sociale di una iniziativa che è stata unanimemente accolta come un promettente inizio di lungo percorso in direzione della salvaguardia dei diritti delle donne in generale e nella lotta agli abusi in particolare.
In realtà in Eritrea la pubblicazione della legge ha sancito non l’inizio ma il definitivo completamento di un lunghissimo percorso di progresso sociale fortemente voluto dalle donne eritree riunite dal 1979 nella Nuew (Unione Nazionale delle Donne Eritree), trasformata nel 1992 in Ong, le quali fin dai tempi della lotta per l’indipendenza del paese avevano intrapreso il loro lungo impegno in difesa dei propri diritti. Infatti nonostante le donne eritree grazie al loro valore e alla loro abnegazione avessero raggiunto, durante i terribili anni della guerra, una sostanziale parità nei confronti degli uomini conquistandosi un rispetto senza precedenti e di fatto una pari opportunità nel mondo del lavoro, rimanevano quasi immutati alcuni problemi profondamente radicati nella cultura eritrea che richiedevano sforzi straordinari per essere affrontati e modificati. Il più grave e urgente di tutti era quello della pratica delle mutilazioni genitali femminili la cui origine si perdeva nella notte dei tempi e le cui modalità si differenziavano a seconda della etnia, della religione e dell’area geografica di appartenenza della donne. Nel corso di una lunga intervista, che mi è stata rilasciata da Belainesh Seyoum, responsabile delle Relazioni Internazionali della Nuew, per il sito eritreaeritrea.com, è emersa la complessa strategia adottata dalle responsabili della associazione allo scopo di diffondere capillarmente in tutto il paese questo importante cambiamento di tendenza nel pieno rispetto della sensibilità delle donne nei confronti delle quali si voleva evitare qualunque ulteriore vessazione o colpevolizzazione. La prima fase è stata pertanto quella di arrivare alla determinazione che bisognava rimandare nel tempo la adozione di un divieto per legge che avrebbe demonizzato una pratica che appariva ai più come assolutamente legittima e addirittura indispensabile. Non si voleva costringere le donne a subire le conseguenze di una legge che le avrebbe certamente spinte alla clandestinità privandole della indispensabile assistenza medica nei casi frequenti di complicazioni, ma al contrario le si voleva coinvolgere nel processo di emancipazione rendendole parte attiva e responsabile attraverso una completa e sentita presa di coscienza. Grazie all’impegno di moltissime donne è stato possibile realizzare una campagna di diffusione capillare in tutte le città e villaggi attraverso la quale è stato spiegato quanto la pratica delle mutilazioni femminili fosse priva di una qualunque reale motivazione di tipo religioso, medico o sociale, e quanto questa fosse invasiva e pericolosa per le donne. In questa fase oltre alla distribuzione di materiale illustrativo realizzato in tutte e nove le lingue corrispondenti alle nove etnie presenti in Eritrea, si è fatto ricorso alla attiva partecipazione dei rappresentanti delle varie confessioni religiose, dei medici e delle autorità locali che si sono dichiarate contrarie a tale pratica che quindi doveva essere considerata una attività da loro non richiesta e assolutamente non condivisa. In una fase successiva è stato mostrato alle donne un filmato documentario girato nel corso di una operazione durante la quale veniva praticata una mutilazione femminile, contando sulla consapevolezza che la maggior parte delle donne non aveva assistito a un evento del genere e che quando ne erano state soggetto passivo erano troppo piccole per ricordarlo in tutto il suo orrore (in Eritrea la mutilazione si pratica entro il quarantesimo giorno di vita). L’effetto è stato devastante tanto che la maggior parte delle donne ne è rimasta così sconvolta da giurare che da quel momento la sua vita sarebbe cambiata e che per nessuna ragione al mondo avrebbe lasciato fare una cosa del genere a una sua figlia. Questa strategia probabilmente è quella che ha realizzato l’obiettivo di individuare e scardinare un processo che in realtà vedeva poche donne o addirittura una sola donna all’interno di un villaggio o comunità capaci e quindi referenti per la attuazione di tale pratica, dalla quale peraltro traevano il proprio sostegno economico. Le altre donne non erano testimoni dirette di quello che avveniva alle loro figlie e la loro sofferenza veniva impersonalmente considerata un passo necessario e ineluttabile della nuova vita delle bambine. Utilizzando fondi raccolti allo scopo di sostenere le donne più svantaggiate si è potuto arrivare a una forma di aiuto economico a favore di quelle donne che abbandonando la pratica della mutilazione femminile nell’ambito del villaggio, rimanevano prive di mezzi di sostentamento. Il metodo usato è stato quello del micro-credito attraverso il quale hanno potuto avviare piccole attività alternative a garanzia del loro futuro. Vari segnali incoraggianti hanno indicato nel corso di questi ultimi anni che è in corso in Eritrea un forte cambio di tendenza a riguardo delle mutilazioni femminili, ma solo il tempo e accurate statistiche potranno confermare i reali effetti di questo cambiamento epocale che già prima della pubblicazione delle legge aveva fatto registrare negli ospedali un forte calo di ricoveri per le conseguenze derivanti dalla pratica delle mutilazioni. Tutto questo processo ha richiesto anni di lavoro e ingentissime risorse economiche e umane ma ha aperto la strada a una legge che suggella con autorevolezza un fondamentale percorso di emancipazione e giustizia nei confronti di tutte le donne eritree che non mancherà di rappresentare un esempio per tutta l’Africa. La circoncisione femminile è molto diffusa nel Corno d’Africa, sia tra le popolazioni musulmane, che tra quelle cristiane. E non solo nel Corno d’Africa. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha calcolato che le donne infibulate siano 130 milioni, con un ritmo di due milioni all’anno di nuove vittime. Sono diffuse in quaranta paesi, dall’Africa sub-Sahariana (Sudan, Somalia e Mali) alla penisola araba ed anche in alcune zone dell’Asia sud-orientale (Indonesia). L’Italia è stato il paese in Europa con il più alto numero di donne mutilate fra le immigrate, ma lo scorso 9 gennaio è stata approvata dal Parlamento la legge sulle mutilazioni femminili, che punisce con la reclusione da 4 a 12 anni chiunque pratichi la circoncisione con scopi non terapeutici e prevede la sospensione fino a dieci anni dall’Ordine per i medici che compiono queste pratiche. In molte comunità la circoncisione femminile è considerata un rito di passaggio all'età adulta e al tempo stesso un'accettazione dei valori tradizionali. Attraverso la continuazione di questa pratica le comunità riaffermano la loro volontà di rimanere fedeli alla tradizione e alla loro identità culturale. Per questo motivo la donna è spesso soggetta ad una forte pressione sociale. La circoncisione femminile è anche e soprattutto un modo per controllare la sessualità femminile. In Egitto, Sudan e Somalia la circoncisione femminile è considerata come un modo per garantire la verginità e con la verginità della donna l'onore del clan o della famiglia. In Uganda e in Kenya il significato che le è attribuito è ancora diverso: non serve a ribadire la purezza della donna vergine, ma a diminuire il desiderio della donna sposata in modo da consentire al marito di avere più mogli. Sono quattro le tipologie di mutilazioni a cui vengono sottoposte le donne, spesso nei primi giorni di vita: La prima, meno grave, è conosciuta come circoncisione “as sunnah” e consiste nel praticare un taglio sul clitoride affinché fuoriescano sette gocce di sangue che simbolicamente servono a purificare la donna. La seconda, l’escissione “al uasat”, comporta l’asportazione del clitoride e, talvolta, anche il taglio, totale o parziale, delle piccole labbra. La terza è conosciuta come “circoncisione faraonica”, perché trae la sua origine dalle tradizioni dell’Antico Egitto. Alla clitoridectomia si aggiunge l’asportazione delle piccole labbra e di parte delle grandi labbra. Infine, dopo aver cauterizzato la ferita viene ricucita la vulva (“fibulazione”), in modo da lasciare solo un piccolo foro per la fuoriuscita dell’urina e del sangue mestruale. Infine, c’è un quarto tipo, ancora più invasivo, che oltre alle mutilazioni prevede anche degli interventi di varia natura sui genitali femminili. La pratica dell’infibulazione faraonica serve a garantire la verginità al futuro sposo, ma per la donna comporta fortissimi dolori durante l’atto sessuale e, ancor di più, durante i parti. Spesso, inoltre, insorgono anche delle complicazioni, dalle cistiti, alle infezioni vaginali, fino ad arrivare alla setticemia. Le operazioni vengono compiute per lo più senza anestesia e con mezzi di fortuna, raramente sterilizzati: coltelli, rasoi (a volte anche arrugginiti) e perfino pezzi di vetro. In alcune regioni del Corno d’Africa una donna non infibulata viene considerata impura e ha grosse difficoltà a trovare marito. Alcune donne arrivano anche a farsi re-infibulare, cioè cucire nuovamente, dopo i parti, dal momento che questi eventi comportano la scomparsa dei punti. Stefano Pettini
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