Eritrea: «Il regime ruba i ricavi delle miniere» Come era prevedibile non appena passati gli effetti del trauma causato dal fallimento dei propositi del COIE di portare l’Eritrea di fronte ad una Corte Internazionale perché fosse giudicata per presunti crimini contro i Diritti Umani commessi dal suo governo, gli attivisti anti-eritrei si sono nuovamente mossi nel tentativo riattivare una campagna denigratoria che accompagni e sostenga i lavori dello Special Rapporteur nel corso del prossimo anno. Fra le prime testate ad aver raccolto i prodotti di questa nuova campagna di odio attivata contro l’Eritrea è Avvenire purtroppo non nuova a questo tipo di attività di propalazione di notizie che pur contenendo alcuni dettagli credibili sono totalmente prive di fondatezza e gravemente lesive nei confronti dei diritti dei lettori di essere informati in maniera corretta e completa. Gli eritrei in particolare, essendo una popolazione profondamente religiosa, sono costernati dal dover leggere su una testata di ispirazione cattolica articoli così ingiusti nelle finalità, politicamente orientati e denigratori nei confronti del loro Stato e del loro Governo, e si domandano chi possa indurre in inganno la buonafede della redazione. Eppure a saper ben guardare la trama che caratterizza questa tipologia di articoli è abbastanza evidente. La tematica è sempre la stessa, creare sfiducia e sgomento attraverso il tentativo di dimostrare il teorema di un popolo sano vittima di un solo carnefice colpevole di ogni genere di efferatezze. Lo scopo è quello di rendere auspicabile e giustificabile qualunque tipo di iniziativa mirata alla rimozione del presidente Isaias in modo da poter assecondare l’agenda etiopica e favorirne il reinsediamento a capo dell’Eritrea. Chi potrebbe trarre vantaggio dalla realizzazione di uno scenario di questo genere oltre agli etiopici stessi? Non in molti per la verità, ma pericolosi perché per perseguire i loro interessi non esitano a stringere un patto con il diavolo, l’Etiopia. La liberazione dell’Eritrea avvenuta nel 1991 ha reso felice un intero popolo e ricacciato oltre confine l’invasore che tuttavia per lunghi anni aveva alimentato il benessere di alcuni settori della società che improvvisamente si sono ritrovati tagliati fuori dal loro paradiso privato. I religiosi e i faccendieri hanno vissuto anni d’oro con gli etiopici al potere in Eritrea, poco importa se discapito di un intero popolo. Con gli etiopici si facevano affari, in quel periodo arrivavano ogni settimana interi container di donazioni provenienti dai paesi ricchi e gli aiuti venivano distribuiti attraverso le mani caritatevoli della vasta pletora di organizzazioni che gestivano un traffico con modalità la cui triste memoria è ancora una ferita aperta e dolorosa per gli eritrei che per bisogno dovevano sottostare a ogni genere di ricatto.
L’indipendenza ha portato con se la fine di ogni attività di supporto alla popolazione gestita in proprio e provocato un radicale cambiamento rispetto a quanto rappresenta ancora la normalità in Etiopia, ed ecco dunque riapparire religiosi e faccendieri come sostenitori non dei diritti dell’Eritrea, altrimenti chiederebbero a gran voce il rispetto dei Patti di Algeri, ma solo della criminalizzazione del presidente Isaias. Ultimo della serie il protagonista dell’articolo citato all’inizio, Andebrhan Woldegiorgis, l’ambasciatore dell’Eritrea all’Ue fino al 2006. Andebrhan non è un personaggio comune, ha ricoperto diversi incarichi di prestigio come direttore dell’Università di Asmara e direttore della Banca Eritrea ed altri, prima di essere nominato Ambasciatore presso l’Unione Europea. Tuttavia l’impegno di Andebrhan è sempre stato caratterizzato da una sua particolare incapacità di relazionarsi con i colleghi e da una tendenza individualista che gli faceva anteporre il suo personale benessere all’impegno istituzionale. Non è certamente un caso che il suo sentimento anti eritreo e ferocemente anti Isaias si sia manifestato solo nel 2006 senza alcun segnale premonitore ma guarda caso proprio alla fine del suo mandato quando fu richiamato in patria per passare a nuovo incarico. Esattamente in quel momento sembrò colpito da un tardivo ripensamento di tutti quei principi che pure per lunghi anni aveva strenuamente difeso in seno alla Comunità Europea. Invece di rientrare in Eritrea chiese asilo a Bruxelles e cominciò la sua nuova vita dorata di esule che gli consentiva di mantenere il tenore di vita al quale oramai era abituato e che riteneva consono alla sua personalità. L’idea forse era quella di poter rientrare un giorno in Eritrea dalla porta di servizio con gli etiopici insieme ai golpisti, ai religiosi e quegli scontenti che non sono mai riusciti a stabilire rapporti commerciali per loro vantaggiosi con quella che una volta era la loro madre patria. Andebrhan avrebbe voluto cavalcare l’onda del disagio di alcuni per diventare una specie di riferimento in chiave di oppositore o per meglio dire di anti governativo, ma anche in questo il suo intento si è rivelato fallimentare perché è stato isolato e rifiutato anche dalle frange ostili al GoE come quando si è presentato a Bologna nel 2014 con l’intenzione di prendere la parola nel corso di un comizio tenuto da alcuni giovani oppositori che manifestavano contro il Festival Eritreo del quarantennale ed è stato cacciato via per non aver preso parte alla marcia di protesta preferendo trattenersi fino all’ultimo nel comodo albergo pluri-stellato dove aveva preso alloggio. Nel suo sproloquio pubblicato dall’Avvenire Andebrhan si esibisce in una interpretazione tanto drammatica quanto perfettamente aderente a un copione trito e ritrito che da anni ammorba i media di tutto il mondo, badando bene a non nominare mai l’Etiopia e il suo storico rifiuto a ottemperare a quanto disposto dalla Commissione Confini e a liberare i territori sovrani eritrei che da anni occupa militarmente. Le sue parole non a caso si allineano perfettamente con quelle di Giulio Albanese, sacerdote e fondatore di MISNA, che sempre su Avvenire tuona: “…Non v’è dubbio che Isaias e la sua cricca andrebbero giudicati, senza mezzi termini, da un tribunale penale internazionale, avendo ridotto il Paese a una sorta di prigione a cielo aperto. Ma perché ciò sia possibile è necessaria anche una maggiore collaborazione da parte dell’Unione Africana (Ua)… La recente condanna dell’ex presidente-dittatore del Ciad, Hissène Habré, riconosciuto colpevole di crimini contro l’umanità e condannato all’ergastolo in Senegal, fa ben sperare… Ebbene, in questo caso, il conferimento, da parte della Ua, di un mandato speciale al Senegal per perseguire i crimini commessi da Habré in patria, potrebbe essere applicato nei confronti di Isaias che continua impunemente a fare il bello e il cattivo tempo…”. Questo in poche parole è il programma prossimo venturo; lo spettacolo si terrà sul palcoscenico dell’Unione Africana, attori principali…i soliti ! Stefano Pettini
2 Comments
lamina
4/8/2016 01:03:41 pm
Sentendo cosa dice il papa durante le sue apparizioni sia in Vaticano che in giro per il mondo, è possibile che un giornale di nome Avvenire possa rappresentare il mondo della chiesa scrivendo cose non veritiere.
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Settembre 2024
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