di Alessandro Pellegatta Grande successo per la conferenza tenutasi a Lucca lo scorso venerdì 1 marzo, all'insegna del dialogo e della collaborazione fra Italia ed Eritrea, con un occhio alle prospettive future così come ai grandi legami che a distanza di decenni ancora accomunano i due Paesi. Estremamente importanti gli ospiti e i conferenzieri, e profondi e chiarificatori gli interventi. Italia – Lucca – Eritrea: un dialogo da riprendere. Grande successo ha avuto l’incontro sull’esperienza lucchese ad Asmara e Massaua tenutosi il 1° marzo u.s.. L’iniziativa curata dalla Fondazione Banca del Monte di Lucca e della Fondazione Lucca Sviluppo, in collaborazione con l’ufficio scolastico territoriale e con le associazioni “Lucca Massawa un lungo ponte”, ha ricevuto l’alto patrocinio dell’Ambasciata dello Stato dell’Eritrea, del Miur e della città di Lucca. In un auditorium, quello del Palazzo delle Esposizioni, gremito con il pubblico delle grande occasioni, in tanti sono accorsi per ascoltare le esperienze di scambio, anche culturale, tra Lucca, Asmara e Massaua. Al tavolo dei relatori si sono alternati (nell’ordine di presentazione): Oriano Landucci, presidente della Fondazione Banca del Monte di Lucca; Alberto Del Carlo, presidente della Fondazione Lucca Sviluppo; il sindaco di Lucca (che ha confidato l’origine asmarina dei suoi genitori); Alessandro Tambellini e la provveditore Donatella Buonriposi; Pietros Fessahazion, Ambasciatore dell’Eritrea a Roma; Giuseppe Mistretta, Direttore centrale dell’Africa Sub-Sahariana del Ministero degli esteri; il sottoscritto (Alessandro Pellegatta); Vilma Candolini, preside Iiso Asmara oltre ai professori Marchi e Grossi e Francesco Paolo Bello, console onorario dell’Eritrea di Bari. Al convegno era presente il meglio dell’Italia e dell’Eritrea, un paese a cui mi sento profondamente legato, intellettualmente ed affettivamente. Ognuno si sceglie il suo paese di elezione. Io ho scelto l’Eritrea e il suo popolo, per quella sua straordinaria eleganza e capacità di resilienza. Di Lucca erano originari due grandi personaggi della nostra storia coloniale africana: Carlo Piaggia e Alberto Pollera. Carlo Piaggia era figlio di mugnai e morì di sfinimento a Karkogi dopo aver esplorato il Nilo Azzurro e il lago Tana. Alberto Pollera dedicò alle popolazioni indigene dell’Eritrea un bellissimo volume, che conservo gelosamente nella mia libreria. Fu un grande funzionario coloniale e ai suoi funerali ad Asmara parteciparono migliaia di indigeni eritrei che arrivarono a piedi e a dorso di mulo percorrendo centinaia di chilometri. I capi locali suonarono i tamburi chitet dicendo ad alta voce: “Sentite! E’ morto il nostro grande amico!”. Fu tra i pochi ad opporsi alle leggi razziali del fascismo e contro il meticciato. Ho iniziato a occuparmi del Corno d’Africa dal 2014. Il mio primo libro è stato sull’Etiopia storica (La terra di Punt). Uscì nel giugno 2015 e ad ottobre 2015 fu presentato dal compianto Alfredo Castiglioni, che dopo pochi mesi ci ha lasciato improvvisamente. Resta il fratello gemello Angelo e la sua squadra di archeologi e architetti per riscoprire i segreti di Adulis, “la porta di Aksum”. Dopo 8 anni i lavori proseguono, e vedono collaborare italiani ed eritrei per la realizzazione di un grande progetto: la creazione di un importante parco archeologico. Nel luglio 2017 usciva un mio nuovo libro sull’Eritrea (Eritrea. Fine e rinascita di un sogno africano), dove descrivevo questo paese come, appunto, la “rinascita di un sogno africano”. In quei giorni una cappa di negatività soffocava ancora questo meraviglioso paese, che i più continuavano a definire offensivamente come “la Corea del Nord d’Africa”. L’Eritrea era ancora assediata, colpita dalle inique sanzioni dell’ONU (per ragioni assurde e mai provate), e i poteri forti dell’Occidente facevano di tutto da anni per farla cadere, alimentando le migrazioni dei giovani eritrei. Nel maggio 2018 fui invitato dal Console Avv. Bello a Bari presso la libreria Laterza, ed ebbi l’onore di vedere alla presentazione del mio libro l’Ambasciatore eritreo in Italia. Quello che era ancora un sogno poteva essere finalmente realizzato. La storia ci ha dato ragione. Asmara è entrata nel luglio 2017 nel patrimonio dell’Unesco. Nell’estate 2018 è avvenuta una svolta storica. Dopo decenni di conflitti Etiopia ed Eritrea hanno firmato un nuovo trattato di pace, e poi sono cadute anche le ingiuste sanzioni dell’ONU. Oggi tutti vogliono tornare nel Corno d’Africa ad investire. Il coraggioso e giovane premier etiopico ha chiesto all’Italia di intervenire per realizzare una nuova linea ferroviaria che colleghi Addis Abeba a Massaua, che torna così ad essere “la porta dell’Etiopia”. E’ partito il “marketing della pace” e stiamo entrando in un momento molto importante e delicato. Ai sogni e alle speranze devono ora subentrare i fatti e le cose concrete. Il mio approccio resta comunque lo stesso. Senza capire la storia e la memoria non si va mai da nessuna parte. E noi italiani questa memoria l’abbiamo persa. Ho così deciso di scrivere un nuovo libro (che è uscito pochi giorni fa) sulla storia dell’esplorazione italiana in Africa e su Manfredo Camperio, questo grande nostro patriota risorgimentale che insieme alla Società Geografica Italiana ci introdusse all’Africa (quando l’Africa ce l’avevamo in casa, con un Mezzogiorno poverissimo). Un anno di faticoso lavoro mi ha impegnato nella scoperta di fonti inedite, e in particolare dei diari di viaggio di Camperio (ancora sconosciuti).Walter Benjamin diceva che anche i morti, se li sappiamo ascoltare, continuano sempre a parlarci, e insistono sempre nel loro dialogo coi viventi nel quale la storia non si conclude mai. Essa è sempre ora. Camperio era influenzato, come Leopoldo Franchetti, dal mito risorgimentale delle colonie agricole e commerciali in Africa, e tentò di insediare colonie agricole in Eritrea, osteggiato dal generale Baratieri (quello della sconfitta di Adua del 1896). E alla storia ho dedicato un nuovo libro sul Mar Rosso e Massaua, che da sempre appartengono a una geografica variabile. Lo spazio eritreo si presenta infatti fin dall’antichità come molto complesso e articolato, con proiezioni economico – sociali non solo verso l’interno dell’Etiopia ma anche verso l’Arabia, il Sudan, l’India e il Mediterraneo. Sono in pochi a saperlo ma l’Eritrea ha da secoli un suo rilevante spazio geo – strategico che va ben al di là dei suoi attuali confini, in quanto ha combinato tra loro dimensioni territoriali diverse nell’ambito di una macroregione (il Corno d’Africa) già di per sé complessa. Oggi Massaua ha bisogno di urgenti interventi di tutela, valorizzazione culturale e rilancio economico-sociale. Non si tratta ovviamente di “espropriare” il progetto su Massaua alle Autorità eritree, bensì (com’è stato fatto egregiamente con Asmara), di sensibilizzarle e aiutarle in questo momento fondamentale della vita economico, sociale e culturale dell’Eritrea, che vede la necessità di coniugare sviluppo economico e tutela delle bellezze naturalistiche, storiche ed archeologiche. La tutela e la valorizzazione di Asmara e Adulis testimoniano l’eccellenza del lavoro italiano già effettuato in Eritrea, ma il percorso è ancora lungo. L’area archeologica di Adulis da esplorare è ancora immensa, così come tutte ancora da esplorare sono le cittadine dell’altopiano (e Metera in particolare). L’arcipelago delle isole Dahlak ha bisogno di essere tutelato. Non è tuttavia irrealistico ipotizzare l’istituzione in tempi brevi di parchi archeologici e naturalistici, che potrebbero costituire una fonte rilevante di risorse per le popolazioni eritree. Se la creazione di grandi porti è una delle condizioni necessarie per la crescita economica attraverso il canale delle infrastrutture di trasporto, la parola chiave per far sì che la presenza di tali infrastrutture sia anche una condizione sufficiente per la crescita è intermodalità. Per massimizzare le potenzialità delle infrastrutture portuali occorre connettere le stesse al territorio circostante attraverso adeguati collegamenti terrestri, tendenzialmente di natura ferroviaria (per poter movimentare via terra i container). Tutto questo per il territorio eritreo si trasformerà inevitabilmente in una grande sfida economica, progettuale e culturale, posto che le sue attuali infrastrutture ferroviarie e stradali risalgono al colonialismo italiano. Senza la memoria il Corno d’Africa, e con esso il Mar Rosso e Massaua, resteranno tuttavia in balia delle macro-dinamiche del momento. Solo penetrando le prospettive storiche e la conoscenza della ricchezza culturale e umana di questa regione e dell’Eritrea potremo in avvenire tutelarci dagli esiti, spesso imprevedibili, delle contingenze. Oggi, come allora, il Corno d’Africa, così come le sub-regioni del Canale di Suez, del Mar Rosso, del Golfo di Aden, del Bab el-Mandel e della costa somala, sono realtà tra loro estremamente differenti ma accumunate da alcuni quid e soprattutto dai flussi marittimi. Ora che finalmente l’Eritrea è tornata protagonista del suo futuro dopo anni di resilienza, non resta che sperare che lo sviluppo sostenibile dei suoi porti (tra cui quello di Massaua) e del suo territorio diventi un motore di crescita per questo martoriato paese, che è tornato ad essere crocevia degli interessi globali e continua a posizionarsi strategicamente con le sue coste sul Mar Rosso. Comunque vadano le cose, noi italiani saremo comunque sempre in Eritrea. Non lasceremo mai questa terra difficile, meravigliosa e complessa. Ci lega ad essa un profondo, inspiegabile e indissolubile legame. Più solido delle convenienze economiche, delle difficoltà, dei pregiudizi e degli egoismi. Anche quando arriveranno le strade e le ferrovie moderne, noi viaggeremo ancora sui tracciati immaginari e impossibili dei nostri primi esploratori che percorsero questi territori, verso gli orizzonti sognati e i miraggi che ci appartengono da sempre. E come gli “insabbiati” descritti da Tommaso Besozzi saremo sempre alla ricerca del nostro settimo viaggio. E non ripeteremo più gli errori del passato. Si apre una nuova pagina della cooperazione italo-eritrea basata sul reciproco rispetto e la fiducia nel domani. Il faticoso (ma gioioso) pellegrinaggio storico e letterario che mi ha condotto in Eritrea e poi a Massaua e nel Mar Rosso in realtà non è stato altro che un semplice ritorno alla terra dei miei sogni, e che in fondo i sogni (come le nuvole) sono molto più reali dei piani del nostro intelletto. E nei miei sogni rivedo il Palazzo del Governatore di Massaua, oggi ancora orrendamente mutilato dalle bombe dell’aviazione etiopica, rinascere e risplendere nel suo antico fascino, con la sua bella volta, la sua scalinata e il suo portone intarsiato nelle prime luci dell’alba, con la luna che tramonta. Nelle sale di questo splendido edificio i cittadini di Massaua e del mondo intero apprendono la storia straordinaria del Mar Rosso e di questa città, del litorale eritreo e dell’antica Adulis. E ringrazio di aver vissuto le gioie e i dolori di questa città, Massaua, alla quale ci sentiamo legati da un debito di riconoscenza. di Gianfranco Belgrano
Occhi profondi, sguardo deciso, modi gentili. Mehret Tewolde la incontri e ti dà subito l’idea di una donna che guarda senza paure alla vita e che affronta le questioni con un coraggio naturalmente celato sotto questo strato di genuina gentilezza. Una carriera ventennale come dirigente bancaria alle spalle, un presente di impegno come direttrice esecutiva dell’Italia-Africa Business Week, piattaforma di incontri, ma anche di formazione e informazione, ideata insieme a Cleophas Adrien Dioma con il preciso obiettivo di far incontrare il mondo imprenditoriale e istituzionale dell’Italia e dei Paesi africani attraverso la diaspora. Un percorso cercato con caparbia e dove hanno contato anche gli insegnamenti di un insospettabile maestro, il grande Eduardo De Filippo. “Avevo 13 anni quando ho lasciato Asmara e l’Eritrea per trasferirmi a Roma. Mia mamma viveva in Italia già da qualche tempo e, dopo un anno dal mio arrivo in Italia, iniziò a lavorare come domestica proprio per Eduardo. È stato l’incontro che ha cambiato la mia vita, un nonno che mi dava consigli di vita che ancora oggi hanno senso e che hanno contribuito a rendermi la persona che sono, a riconoscere l’Altro come essere e non come un fenomeno o un numero. A rispettare se stessi e gli altri. Questo mi ha insegnato Eduardo, è riuscito a darmi una iniezione di fiducia che dura ancora adesso”. Così la giovane Mehret studia e poi lavora per 27 anni nella banca del Vaticano (lo Ior) dove è la prima dirigente donna e dove riceve, tiene a precisare, “uno stipendio pari a quello dei colleghi uomini”. Essere di origine straniera ed essere donna, in un contesto come quello italiano può costituire un problema. Ma il problema, sottolinea spesso Mehret, è nel non riconoscere nell’Altro una persona: “il riconoscimento reciproco è il fondamento sul quale costruire una relazione e anche la base per una sana inclusione”. Proprio su questo concetto di riconoscimento reciproco, di conoscenza, di condivisione di informazioni è stata costruita l’esperienza dell’Italia-Africa Business Week che ha, appunto, l’obiettivo di facilitare la conoscenza tra il mondo economico, commerciale e finanziario africano e italiano. “Un modo nuovo di fare cooperazione – aggiunge Mehret – che contribuisce a migliorare le relazioni e a favorire la creazione di reti, arrivando in questo modo a una crescita condivisa e reciproca”. Un percorso in cui la diaspora è chiamata a giocare un ruolo di primo piano e in cui le donne imprenditrici hanno a loro volta un palcoscenico importante benché più complesso da far valere. “Emergere in Italia come donna è complesso – dice ancora Mehret – come donna immigrata lo è ancora di più”. Secondo i dati dell’Osservatorio per l’imprenditorialità femminile di Unioncamere e InfoCamere (aggiornati al giugno del 2018) le imprese gestite da immigrati sono 596.000 e di queste 142.738 sono a conduzione femminile, ovvero il 23,9%. Su base nazionale, la componente straniera guidata da donne rappresenta il 10,7% delle quasi 1 milione 335 mila imprese rosa in Italia. Sanità e assistenza sociale (62,6%), servizi alla persona (57,3%), istruzione (50,9%) sono le attività dove le capitane d’impresa immigrate incidono maggiormente nel tessuto imprenditoriale straniero. Ma in termini assoluti il commercio resta di gran lunga il settore con la presenza più consistente di imprese femminili straniere (33,6%), seguito da servizi di alloggio e ristorazione (12,4%) e manifatturiero (11%). Lombardia, Lazio e Toscana – si sottolinea ancora nel documento – sono le regioni con il numero più elevato di iniziative femminili straniere in Italia, oltre 57.000 imprese ovvero il 40% di quelle complessivamente fondate da imprenditrici immigrate. Interessanti anche gli elementi che emergono nel Rapporto Immigrazione e Imprenditoria pubblicato nel 2017 dal Centro Studi e Ricerche Idos e in particolare in un’analisi firmata da Maurizio Ambrosini, noto sociologo dell’Università di Milano. A fronte di una classifica che, per numero di imprese condotte, vede al primo posto le donne cinesi, il rapporto di Idos ma anche quello di Unioncamere mostrano la presenza al secondo e al terzo posto di donne rumene e marocchine con rispettivamente 11.827 e 8.705 titolari d’impresa (le cinesi sono invece 24.458): “una smentita – scrive Ambrosini – della passività e dipendenza delle donne originarie da Paesi a dominante musulmana”. Rumeni, marocchini e cinesi, in valori assoluti, occupano rispettivamente il primo, il terzo e il quarto posto nella classifica delle comunità straniere più numerose residenti in Italia al 2018 (il secondo posto è occupato dagli albanesi). Sono profili inediti quelli che vengono fuori dalla ricerca compiuta da Idos, perché danno l’idea di un fenomeno – quello della partecipazione delle donne immigrate alle attività indipendenti – che ha assunto dimensioni significative pur essendo stato messo, finora, solo parzialmente in evidenza. Un fenomeno che può essere letto quasi come una reazione a un dato preoccupante che viene invece dal Dossier Statistico Immigrazione del 2018, anch’esso realizzato dal Centro Idos. Nel Dossier si sottolinea il fenomeno dei giovani non più inseriti in un percorso scolastico/formativo e neppure impegnati in un’attività lavorativa. Ebbene, relativamente alle giovani straniere di 15-29 anni, l’incidenza di coloro che si trovano in questa condizione fa segnare un divario con le giovani italiane superiore ai dieci punti percentuali (quando invece il divario è nullo se la comparazione viene fatta tra maschi italiani e stranieri). Quindi, se facciamo un bilancio di quanto sta avvenendo, dobbiamo considerare che le donne immigrate tendono ad avere meno opportunità delle coetanee italiane; allo stesso tempo, il fenomeno delle donne imprenditrici tra chi è immigrato in Italia è cresciuto, assumendo dimensioni significative. Un aiuto a dare dei volti a questo fenomeno ci viene dal Moneygram Award, il premio assegnato ogni anno a imprenditori di origine straniera che hanno eccelso nelle rispettive attività. Nelle ultime due edizioni, il premio principale è stato assegnato a due donne. Nel 2017 a vincere è stata Yafreisy Berenice Brow Omage, della Repubblica Dominicana: trasferitasi in Italia nel 2012, Yafreisy con grande sforzo e determinazione ha rilevato un supermercato e un panificio diventando quindi la fornitrice di decine tra negozi e ristoranti. Nel 2018 invece il premio è andato a Marie Terese Mukamitsindo: giunta in Italia in fuga dal Rwanda – erano gli anni del genocidio – Marie Terese nel 2004 riesce a dare vita a una propria cooperativa sociale con cui prendono il via progetti di accoglienza anche per minori non accompagnati. La cooperativa è inoltre attiva in Africa con corsi di formazione per giovani in Ghana e Rwanda. Una storia simile a quella di Prisca Ojoc, fuggita invece dalle violenze che negli anni ‘80 avevano fatto del nord dell’Uganda un campo di battaglia. Prisca, che oggi vive a Bassano del Grappa, ha fondato l’associazione Mar Lawoti che in lingua acholi significa “amatevi gli uni agli altri”. In un’intervista all’agenzia di stampa Dire, Prisca ha raccontato del progetto ‘Donne per le donne’ e degli sforzi condotti per creare lavoro, grazie a donazioni italiane e in Uganda, a giovani donne e madri, scampate a schiavitù e violenze e impiegate ora in un atelier di moda ugandese. D’altra parte, è la stessa Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo a fare tanto in Africa e in altre regioni proprio a favore delle donne e della loro formazione con progetti specifici come il programma di ‘Upper Step Etiopia’, che va a supporto della formazione e dei processi di trasformazione di piccole-medie imprese ed enti governativi. E pochi sanno che un volto noto per il suo passato di attrice, come è quello di Zeudi Araya, è oggi una imprenditrice di successo, in grado di rilanciare insieme a Massimo Cristaldi le attività della Cristaldifilm acquisendo nel 1996 la Lux Film e consentendo in questo modo la creazione di una delle più importanti Library di film classici italiani, composta da più di 300 film tra cui, oltre ai tre premi Oscar ‘Divorzio all’italiana’, ‘Amarcord’ e ‘Nuovo Cinema Paradiso’, anche titoli come ‘I soliti ignoti’, ‘Il Nome della Rosa’ e ‘Siamo uomini o caporali?’, solo per citarne alcuni. “Eritrea come me – racconta ancora Mehret Tewolde – Zeudi Araya è un esempio di imprenditrice, di cui molti ricordano le incursioni cinematografiche, ma di cui pochi conoscono le capacità che è riuscita a esprimere come produttrice. E noi abbiamo bisogno di esempi, perché è da questi che si trae forza: per me, vedere negli anni ‘80 sulla Rai la rubrica del Tg2 Nonsolonero condotta dalla giornalista di origine capoverdiana Maria De Lourdes Jesus, fu un esempio e un messaggio di possibilità. Perché mi dicevo: se lei ce l’ha fatta, anche io posso farcela”. da Oltremare |
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Settembre 2024
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