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Crisi nel Corno d’Africa, l’Eritrea accusa gli Emirati Arabi Uniti di alimentare l'instabilità regionale

28/7/2025

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Tra tensioni sul Mar Rosso, mire espansionistiche e destabilizzazione regionale, l’Eritrea accusa gli Emirati Arabi Uniti di alimentare i conflitti nel cuore dell’Africa

di Marilena Dolce

Nel cuore dell’Africa Orientale, una regia nascostaIl Corno d’Africa attraversa una fase di profonda instabilità. Ma, secondo diversi osservatori, il vero regista non si troverebbe né ad Asmara né ad Addis Abeba, bensì nella scintillante capitale degli Emirati Arabi Uniti: Abu Dhabi. Dietro le tensioni che infiammano le sponde del Mar Rosso, si profilerebbe l’ombra lunga degli Emirati, sempre più attivi nella regione in chiave geopolitica, militare e commerciale.

La pressione dell’Etiopia: “vogliamo il nostro porto”

Negli ultimi due anni, il primo ministro etiope Abiy Ahmed ha dichiarato più volte che l’accesso diretto al Mar Rosso è una “questione essenziale” per il suo paese. Con 120 milioni di abitanti e senza sbocco al mare dal 1991, in seguito all’indipendenza dell’Eritrea, l’Etiopia ha sollevato con forza la necessità di un accesso al mare. Pur potendo contare da anni sull’utilizzo del porto di Gibuti e, a rotazione, su altri scali regionali, il premier Abiy si è spinto a dichiarare che l’Etiopia potrebbe ricorrere a “tutti i mezzi possibili” per ottenere un porto sul proprio territorio. Più che un’esigenza logistica, un messaggio politico e militare, secondo molti analisti. Le dichiarazioni hanno suscitato reazioni immediate. La Somalia ha ricordato che “le questioni territoriali non sono oggetto di negoziazione” Gibuti ha ribadito che la propria “integrità territoriale non è negoziabile” mentre l’Eritrea, inizialmente silente, ha preso in questi giorni posizione attraverso le parole del presidente Isaias Afwerki.

Isaias accusa: “dietro tutto questo c’è Abu Dhabi

In una lunga intervista trasmessa dalla televisione di Stato, il presidente eritreo ha puntato il dito contro Abu Dhabi: “è Mohamed bin Zayed a volere il porto di Assab”, ha dichiarato, riferendosi all’attuale presidente degli Emirati Arabi Uniti. Isaias ha indicato un netto contrasto con la politica del padre di Mohamed bin Zayed, fondatore degli Emirati, descritto come mediatore equilibrato e non catalizzatore di conflitti. Quella attuale invece, secondo Isaias, persegue una strategia di influenza espansionistica lungo le coste del Mar Rosso e dell’Oceano Indiano.

Una strategia silenziosa di espansione

Non si tratterebbe, dunque, di un'iniziativa isolata dell’Etiopia ma di un tassello di una strategia più ampia messa in atto dagli Emirati, già coinvolti, spesso attraverso attori terzi, nella militarizzazione di porti e avamposti in Yemen e Somalia (Berbera). Ora l’obiettivo si sarebbe spostato verso il porto di Assab, in Eritrea. Il piano sarebbe quello di costruire una rete di infrastrutture marittime sotto controllo diretto o indiretto, offrendo in cambio protezione navale, investimenti e influenza politico-economica.

Un’agenda destabilizzante per l’intera regione

Il presidente eritreo ha denunciato il ruolo degli Emirati come fattore destabilizzante non solo per il Corno d’Africa, ma per l’intero Sahel. Accuse che vanno oltre l’Etiopia toccando Somalia, Sudan, Chad, Repubblica Centrafricana e Libia. “Monitoriamo un continuo via vai di aerei provenienti dagli Emirati, carichi di armi e droni”, ha dichiarato Isaias, affermando che tali forniture sarebbero destinate a gruppi armati e milizie locali.

Il caso Sudan: una guerra alimentata dall’esterno

Soffermandosi sul conflitto sudanese, il presidente eritreo ha affermato che “non si tratta di una guerra civile o di uno scontro tra generali, ma di un conflitto alimentato da interessi esterni”, con risorse infinite che arrivano da Abu Dhabi. Una posizione simile è stata espressa anche dal leader sudanese Abdel Fattah al Burhan, che ha accusato apertamente gli Emirati di crimini di guerra, fornendo documentazione agli organismi internazionali competenti. E proprio sull’attuale situazione in Sudan il presidente Isaias, durante l’intervista, ha spiegato il motivo per cui l’Eritrea non può ignorare l’instabilità di una situazione che peraltro ricade sull’intera regione.

La rivolta del 2019 e il fallimento della transizione

Secondo Isaias, questi eventi hanno costituito lo sfondo della rivolta popolare sudanese del 2019, animata da richieste di riforme e giustizia sociale. “Noi eritrei, ha detto, avremmo voluto sostenere negli scorsi tre anni un governo di transizione che rispondesse alle aspirazioni dei sudanesi, ma ciò non è stato possibile a causa dell’interferenza di potenze straniere, in primis gli Emirati.”

Il silenzio occidentale

Isaias ha infine criticato con forza l’inerzia dell’Occidente, che assisterebbe in silenzio al traffico di armi verso l’Africa organizzato da Abu Dhabi. “Nessuna sanzione, nessuna indagine internazionale, nessuna presa di posizione ufficiale.” Un’accusa che scuote, considerando che l’Etiopia gode di piena legittimazione internazionale nonostante i conflitti interni, e che gli Emirati sono spesso percepiti dall’Occidente come attori “neutrali” o “modernizzatori”.


Controllo strategico, non solo rivendicazioni

​L’intervista del presidente eritreo chiarisce che la questione del Mar Rosso sollevata dall’Etiopia non è soltanto una rivendicazione territoriale, ma un progetto di controllo degli snodi marittimi strategici. E, in un mondo che guarda altrove, la guerra potrebbe essere già stata programmata dietro le quinte, con un regista che non indossa la divisa, ma la candida kandura degli Emirati.

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