n questi giorni il Tigray è nuovamente al centro di una serie di tensioni, che dividono il TPLF e lo oppongono al Governo Federale etiopico; quest'ultimo, a sua volta, sconta una serie di problemi interni e manifesta una sempre maggior polemicità coi suoi confinanti. In tutta questa situazione l'Eritrea, spesso destinataria d'ingiuste polemiche che ne fanno un "capro espiatorio" per i problemi interni del suo vicino etiopico, non intende ritrovarsi coinvolta.
Di Filippo Bovo 14 Mar 2025 In questi ultimi giorni destano crescenti preoccupazioni le rinnovate tensioni tra il Governo Federale etiopico e l’amministrazione dello stato settentrionale del Tigray. Prima di tutto, sono da smentire le voci spesso circolanti in questi casi di truppe straniere o pronte ad intervenire nel Tigray, in primis truppe eritree: la questione infatti è tutta interna all’Etiopia, tra il governo del PP (Prosperity Party) di Abiy Ahmed e una fazione del TPLF (Tigray People’s Liberation Front) che guida il Tigray, e prova la sostanziale e prevedibile impotenza degli Accordi firmati a Pretoria che chiusero proprio il conflitto tra Governo Federale e TPLF del 2020-2022. Quegli Accordi, sottoscritti dal Governo Federale etiopico e dal TPLF, con Sudafrica, Stati Uniti ed Unione Africana come garanti ed osservatori, hanno purtroppo incontrato numerosi ostacoli, che ne hanno vanificato in buona parte l’applicazione; ma probabilmente farli rispettare potrebbe costituire ancora oggi un’ancora di salvezza per la stabilità della regione e, indirettamente, della stessa Etiopia. L’Eritrea, e così pure altri ancora, non hanno certo alcun interesse a farli fallire, preferendo semmai che le parti chiamate ad applicarlo s’impegnassero in tal senso anziché speculare politicamente e mediaticamente per internazionalizzare le loro rinnovate conflittualità interne. Per prima cosa va spiegato che il TPLF, che guida il TPLF, è prevalentemente diviso in due grosse fazioni, una capeggiata dal leader Getachew Reda (TPLF-G), presidente ad interim del Tigray, e l’altra dal leader Gebremichael Debretsion (TPLF-D), che può contare soprattutto della forza militare, stimata in circa 200mila combattenti. La fazione TPLF-G guida il Tigray secondo un compromesso con Addis Abeba sorto proprio con gli Accordi di Pretoria, con la fazione TPLF-D che intanto mira a portare avanti una strategia tesa ad impedire che possa dotarsi di una propria credibile forza militare, oltre a guadagnare una maggior influenza politica interna. Nel Tigray, così come in seno allo stesso TPLF, albergano poi anche altre fazioni relativamente minoritarie. Negli ultimi giorni la fazione TPLF-D sta scalzando con una serie di colpi di mano varie amministrazioni controllate dalla TPLF-G nel Tigray; fin qui sarebbe un problema interno al Tigray, se non fosse che la fazione TPLF-G è quella allineata al Governo Federale del PP, oggi più che mai ostile all’Eritrea, contro cui nella vana ricerca di un capro espiatorio viene lanciata l’accusa ovviamente non provata d’aver mosso la mano della fazione TPLF-D. Già soltanto queste accuse hanno ampiamente colonizzato il web, assommandosi ad altre di estranee all’area del TPLF ma comunque pur sempre riconducibili ad altre fazioni interne o internazionali, non ultimo occidentali, note per la loro ostilità al governo di Asmara: tutte fasulle, spesso vecchie accuse rimasticate e ripescate dal passato, ma che testimoniano comunque il forte attivismo anti-eritreo conosciuto da certi ambienti politici e mediatici in questi giorni. E’ un vecchio copione a cui il pubblico occidentale, meno “vaccinato”, può ancora facilmente dar credito; ma davvero, dopo tutti questi anni, sarebbe il caso di non lasciarsene troppo influenzare. Perché se i contrasti e le conflittualità in seno alle compagini politiche etiopiche esistono, e così pure quelle etiopiche nei confronti dei paesi confinanti, a maggior ragione è allora preferibile inquadrarli in una più corretta lettura politica, anziché dar adito a narrazioni decisamente poco costruttive o persino fuorvianti. La fazione TPLF-D non vuole che il Tigray sia nuovamente trasformato in una linea del fronte in un eventuale scontro militare tra il Governo Federale etiopico e l’Eritrea, visto che Addis Abeba negli ultimi tempi ha minacciato tutti i suoi confinanti nel Corno d’Africa per ottenere un accesso al mare. In precedenza fu con la Somalia, firmando con lo stato non riconosciuto del Somaliland un MoU per stabilire una base navale e militare presso l’area di Berbera, in cambio del riconoscimento come stato indipendente; e col Sudan, dove ugualmente sostenendo le RSF contro il governo di Khartum uno degli auspici etiopici era pure quello di crearsi, attraverso la deflagrazione del proprio vicino, un accesso a Port Sudan. Chiusa la pagina in Somalia, su cui restano accese le attenzioni degli Emirati Arabi Uniti e di Israele, nonché degli USA, e ormai quasi chiusa anche la guerra civile in Sudan con la sconfitta delle RSF (Rapid Support Forces), sostenute sempre con Emirati Arabi Uniti ed Israele, l’Etiopia è tornata ultimamente a polemizzare con l’Eritrea proprio per l’accesso al porto di Assab, a cui prima del conflitto del 1998-2000 aveva avuto sempre accesso a titolo gratuito. Un accesso, quello ad Assab, che Addis Abeba s’è voluta giocare per sua scelta, muovendo contro l’Eritrea l’immotivata guerra d’aggressione del 1998, conclusasi nel 2000 con una pesante sconfitta per le forze etiopiche “addolcita” dal pronto intervento diplomatico e dai successivi 18 anni di violazione delle aree frontaliere, contro quanto asserito dalla commissione ONU UNMEE e dagli Accordi di Algeri. In sostanza, se con l’alleata fazione TPLF-G per il Governo Federale etiopico sarebbe più facile confrontarsi militarmente con l’Eritrea dato il relativamente maggior controllo politico che gli assicurerebbe nel Tigray, con la più ostica fazione TPLF-D sarebbe invece più probabile che proprio il Tigray diventi teatro di un nuovo conflitto civile tra TPLF e Governo Federale. L’Eritrea non intende ritrovarsi immischiata in una questione interna riguardante il suo vicino etiopico, preferendo semmai portar avanti il suo sviluppo interno e i suoi rapporti coi vari partner regionali ed internazionali, come attestato ad esempio proprio dall’accordo multimiliardario firmato in questi giorni con l’Arabia Saudita per lo sviluppo del porto di Assab. Il Governo Federale etiopico è in preda ad una grave crisi economica e finanziaria aggravata dalle liberalizzazioni imposte dal FMI e dalla fine dei fondi USAID, di cui l’Etiopia era tra i massimi dipendenti nel Continente, con un’inflazione che sta divorando il birr il cui valore nel frattempo continua a scivolare; con crescenti rivalità tra i gruppi che lo compongono, oltre che con quelli che a vario titolo guidano o gli contendono il controllo di varie aree del paese, dal FANO in Amhara all’ONLF in Oromia, fino poi a nuove tensioni nell’Afar e nell’Ogaden, una zona finora relativamente più tranquilla delle altre. Soprattutto la guerra civile che in questo momento oppone il Governo Federale al FANO, che continua ad avanzare in varie aree del paese, sta creando nell’Amhara continue e gravi sofferenze alla popolazione, costituendo per il premier Abiy Ahmed ben più che una spina nel fianco ed un’ipoteca sulla stabilità del proprio potere. Di conseguenza, che il Governo Federale etiopico cerchi nella conflittualità con l’esterno una via di fuga alle sue tante e crescenti contraddizioni interne appare più che comprensibile; ma proprio per tale ragione nessun serio e responsabile attore regionale od internazionale vedrebbe mai il perché di dargli corda, fomentandone ulteriormente l’instabilità e conseguentemente anche le sofferenze di molti suoi cittadini. Semmai, quel che tutti ci dovremmo augurare è che l’Etiopia possa presto ritornare a conoscere momenti migliori, per il bene dei tanti popoli che la abitano e così pure dei suoi vicini, con cui preferirebbero stabilire una politica d’integrazione e buon vicinato e non certo di sospettosa conflittualità; e che ancor meno vorrebbero sentirsi additati a consueti “capri espiatori” di problemi su cui non hanno alcuna responsabilità.
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