Il Primo Ministro etiope ha formato una nuova segreteria stampa.
Abiy Ahmed ha nominato Billene Seyoum come suo Primo Segretario Stampa con l'intento di fornire informazioni tempestive ai media e al pubblico sui lavori del suo governo e delle amministrazioni regionali. Le priorità del suo ufficio sono quelle di garantire che le informazioni dei ministeri e delle amministrazioni regionali raggiungano ai media e al grande pubblico. Billene ha detto che il suo ufficio informerà il pubblico e i media sulla posizione del governo su questioni di interesse nazionale e raccoglierà feedback dal pubblico per il governo. Il segretario stampa ha anche il compito di: "rafforzare il rapporto tra l'ufficio del PM e i media per una rendicontazione migliorata, fattuale e trasparente", secondo una dichiarazione rilasciata oggi dall'Ufficio del Primo Ministro. Billene ha anche presentato la bozza di una pagina denominato "Etiopia: un nuovo orizzonte di speranza", che ha indicato l'attenzione del governo per il prossimo anno nelle aree di buon governo, democrazia e giustizia e nel realizzare, tra le altre cose, un cambiamento economico, . La segreteria stampa sostituirà l'ufficio per gli affari della comunicazione del governo.
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La nostra formazione annuale dei formatori (TOT) si è svolta dal 2 al 4 novembre 2018 a Londra, nel Regno Unito.
L'evento segna il 9° TOT consecutivo che ha raccolto più di 50 giovani leader da tutta Europa. L'evento ha compreso un programma di lezioni di 3 giorni, discussioni interattive e workshop con lo scopo di creare una comprensione comune tra la nostra leadership principale e rafforzare il consolidamento della nostra organizzazione YPFDJ. Inoltre ha fornito le conoscenze necessarie e ha consentito di sviluppare capacità necessarie ai nostri leader nello svolgere la loro missione. E’ partito il 30 settembre. Destinazione Asmara, Eritrea. Con lui anche la moglie Michela e la piccola Sofia di neanche due anni. Yonas Tesfamichael ha 36 anni, è eritreo e in Italia ha vissuto da quando ne aveva 7. L’abbiamo incontrato a San Giuliano Milanese a una settima dalla partenza. La casa piena di valigie e l’atmosfera sospesa di quando si chiude un capitolo. “Sono venuto in Italia con i miei genitori perché mia sorella aveva bisogno di cure particolari.
Poi mio padre è tornato in Eritrea dove avevamo un’agenzia di viaggi. Noi invece siamo rimasti qui”. Con una lunga serie di permessi di soggiorno, dal cameriere al mediatore, di lavori ne ha fatti tanti, fino a quello di video-maker, la sua grande passione insieme a quella per l’Eritrea, dove ha deciso di trasferirsi. “Molti vanno a nord, Londra magari, io ho scelto di andare a sud, non ci vedo nulla di strano”. Nulla di strano se non fosse che il paese in cui ha deciso di tornare negli ultimi anni ha riempito le cronache e i barconi di migranti in fuga. Nel 2017 in Italia ne sono sbarcati 44.765, e anche quest’anno gli eritrei sono il gruppo più numeroso dopo il recente boom di tunisini. Del resto, con un tasso di riconoscimento della richiesta di asilo politico del 93%, gli eritrei sono i “rifugiati per eccellenza”, tra i pochi, insieme a siriani e iracheni, ad essere entrati di diritto nel programma di ricollocamento in Europa. I motivi sono rintracciabili nei rapporti del COI, la Commissione d’Inchiesta del Consiglio sui Diritti Umani dell’ONU che dopo aver intervistato centinaia di rifugiati, ha accusato l’Eritrea di gravi crimini contro l’umanità: servizio militare permanente, dure incarcerazioni, persecuzioni politiche per i renitenti alla leva e un regime militare al potere da 20 anni. “In Eritrea ci sono stato diverse volte - racconta Yonas - e non è il paese che hanno definito una “prigione a cielo aperto” o la “Corea del Nord dell’Africa. Penso poi che i numeri sui fuoriusciti siano gonfiati, molti sono etiopi del Tigrai, parlano la nostra stessa lingua e da stime diffuse in un’intervista all’APA dall’ambasciatore austriaco ad Addis Abeba costituiscono un buon 40% di coloro che si dichiarano eritrei”. Nei video caricati sul suo canale youtube Yonas e la moglie visitano i caffè italiani di Asmara, filmano i palazzi per lo più di epoca fascista dell’ex colonia italiana, passeggiano con i cammelli su un Mar Rosso da cartolina. In pratica l’Eritrea sembra un luogo di villeggiatura. “Tu scherzi ma è così”. Yonas apre la sua pagina facebook e ci mostra le foto scattate ad agosto con la capitale piena di turisti in t-shirt e infradito. “Molti sono stranieri ma tanti sono eritrei” e per chi vive lì questo negli anni è stato un pull factor. “Ci vedono arrivare pronti a spendere in un mese quello che abbiamo guadagnato in un anno, pensano che basti prendere un barcone per trovare l’America. Non è cosi ma vallo a spiegare quando vedono che tra chi torna ci sono anche gli stessi rifugiati”. Il fenomeno non è nuovo. Nel 2016 i media norvegesi scoprono migliaia di eritrei del Nord Europa pronti a volare in Eritrea per festeggiare il 25 esimo anniversario del regime da cui erano scappati. Nel 2017 una sentenza della corte federale svizzera va oltre, prende atto che i rifugiati che tornano in patria per brevi periodi rientrano in Europa senza problemi mettendo dunque in dubbio quel rischio di persecuzioni sulla base del quale era stato concesso l’asilo. I dati discordanti, non finiscono qui. Nel 2015 l’Eritrea entra nella lista di Freedom House sui 12 paesi peggiori del mondo quanto ad esercizio di diritti politici e libertà civili. Eppure solo un anno prima aveva raggiunto i Millennium Goals delle Nazioni Unite, obiettivi che prevedono il rispetto dell’uguaglianza di genere, prerogativa degna dei paesi più avanzati in materia di diritti civili. Le ambivalenze non mancano anche sul capitolo sanzioni. Se da un lato l’ONU accusa l’Eritrea di appoggiare i terroristi di Al Sahabah è poi lo stesso Monitoring Group del Consiglio di Sicurezza a specificare di non avere prove. Gli USA però pongono il veto e le sanzioni rimangono. Un problema non da poco per un paese che con un PIL di neanche 3 miliardi di dollari è tra i più poveri al mondo. Ora però per l’Eritrea sembra aprirsi una nuova pagina. Da quando il 9 luglio, ha firmato la dichiarazione di pace congiunta con l’Etiopia, è scattato un percorso di riabilitazione ricco di colpi di scena. Il Segretario delle Nazioni Unite Antonio Gueterres ha dichiarato che “le sanzioni erano motivate da una serie di fattori che ora non esistono più” lasciando dunque presagire che la revisione del prossimo 15 novembre potrebbe essere storica. Altra grossa sorpresa è arrivata il 12 ottobre quando grazie al voto di 160 paesi l’Eritrea diventa membro proprio di quel Consiglio sui Diritti Umani dell’ONU che per anni l’aveva messa sotto accusa. Per Yonas però, la decisione di tornare in Eritrea non è frutto di questa ondata di “good news”. “L’abbiamo deciso già 4 anni fa ma tra il matrimonio e la gravidanza la cosa è slittata. Certo la pace è un evento grandioso ma è stata causata da un cambiamento in Etiopia, non in Eritrea”. Ad avviare un nuovo corso nel Corno d’Africa è stata infatti, dopo quasi 20 anni, la decisione del Primo Ministro etiope Aby Ahmed di ritirare le truppe dall’area di Badme per rispettare i confini stabiliti nel 2002 dall’Eritrea-Ethiopia Boundary Commission dell’ONU come previsto dai patti di Algeri con cui si era posto fine agli ultimi strascichi di un conflitto finito nel 1991 con l’indipendenza dell’Eritrea dall’Etiopia. Da allora, i due paesi erano rimasti bloccati in una sorta di guerra fredda infinita. Da un lato l’Etiopia, 100 milioni di abitanti, due basi militari americane, dall’altro l’Eritrea, isolata internazionalmente e neanche 5 milioni di abitanti, quanto l’area metropolitana di Roma. Proprio la necessità di difendersi dalla minaccia etiope è il motivo con cui il mono-partito d’impostazione marxista di Isaias Afewerki ha sempre giustificato il mancato processo di democratizzazione. Per il momento però non ci sono ancora elezioni in vista. Hanno invece riaperto i voli e i commerci con l’Etiopia, si cercano investimenti all’estero e alla Fiera del Levante di Bari, gli ambasciatori di Eritrea, Etiopia e Somalia incontrano le aziende italiane per parlare di nuove opportunità d’impresa. “So che per chi fa il video-maker c’è mercato e non potrà che aumentare. Il sogno è lavorare per la TV eritrea ma anche i video dei matrimoni o quelli pubblicitari vanno benissimo” sorride. Intanto, con la visita del Premier Conte ad Asmara, Yonas si è messo già alla prova accreditandosi come fotografo. Poi ci sarà da regolarizzare la propria posizione con l’ufficio immigrazione e magari scoprire di doversi mettere alla pari con chi in questi anni ha servito il paese. La cosa però non sembra spaventarlo anche perché come tanti eritrei all’estero in questi anni ha sempre contribuito devolvendo al governo eritreo il 2% del proprio stipendio. “Il servizio militare prolungato ha riguardato chi non aveva voti abbastanza alti da proseguire gli studi. Questo senz’altro ha logorato tanti giovani che in questi anni si sono trovati a dover difendere i territori occupati. La leva in realtà dura solo 18 mesi e include l’ultimo anno delle scuole superiori. Dubito però che alla mia età debba farlo tutto.” In ogni caso, se anche fosse, sono felice di poter aiutare il mio paese a crescere ed è il messaggio che voglio dare a mia figlia: ogni generazione ha il compito di lavorare perché quella successiva stia meglio”. Osservare quello che succederà ora a Yonas e al suo Paese forse aiuterà a capire che paese è l’Eritrea. Se davvero è vocata alla dittatura e al mancato rispetto dei diritti umani o se forse ha dovuto pagare il prezzo di non aver realizzato il disegno USA che l’ambasciatore americano John Foster Duller aveva delineato già nel 1951 ad Asmara quando spiegava ad una piazza gremita che “sebbene i desideri del popolo eritreo dovessero essere tenuti in considerazione, gli interessi strategici degli Stati Uniti imponevano che il paese fosse legato all’Etiopia alleata americana”. vedi anche l'articolo su Corriere on line da Sirach Muzollo
La storia a cui ci riferiamo ha per pietra miliare l’accordo di pace sottoscritto ad Asmara lo scorso 9 luglio tra Etiopia ed Eritrea: un trattato che mette fine a una guerra di confine durata 20 anni e che ha prodotto più di 70mila morti, congelando di fatto il destino di una vasta e strategica area geografica e, soprattutto, quello di decine di milioni di persone. Dopo anni di stallo, alla firma dell’accordo di pace si è arrivati solo dopo la caduta ad Addis Abeba della leadership della minoranza tigrina, al potere da decenni, e l’ascesa di Abiy, un giovane e promettente statista, già definito il nuovo Mandela, salito al potere in rappresentanza della maggioranza Oromo. Un cambiamento decisivo, senza il quale non si sarebbe arrivati al nuovo promettente corso di oggi. I tigrini infatti, anche per comuni origini etniche, erano gli antichi alleati dell’Eritrea. Cugini di sangue e compagni di rivoluzioni poi però divenuti i peggiori nemici di Asmara per conclamate ragioni di diffidenza ed interesse. La caduta del TPLF (Tigray People Liberation Front) e la contemporanea ascesa di Abiy hanno dunque sbloccato una situazione incancrenita da decenni, portando in poche settimane all’epocale accordo di pace di Asmara. Ed qui entrano in gioco le personalità e le capacità di Abiy e di Afewerki, il dettaglio che ha fatto la differenza. La storia dei due uomini è radicalmente diversa. Curriculum imparagonabili, sensibilità e caratteri dissimili di persone che tuttavia hanno trovato subito un accordo partendo dalla medesima felice intuizione: spiazzare tutti, facendo subito la pace. Un’intuizione politica e una velocità di esecuzione risultati vincenti. Ad aprire le danze del cambiamento è stato Abiy. Lo ha fatto prima a casa sua. Nel giro di soli due mesi ha abrogato lo stato di emergenza, scarcerato i prigionieri politici, rimosso i capi dell’esercito e avviato riforme volte a liberalizzare l’economia e a ridefinire il ruolo della donna. Messo mano alle questioni domestiche il giovane leader si è poi concentrato sul bersaglio grosso, la pace nell’intero Corno d’Africa a cominciare con l’Eritrea. Cari amati seguaci e clienti, siamo lieti di condividere con voi i nostri nuovi tag che troverete sulle nostre camicie e altri capi: Dolce Vita Asmara.
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La Gran Bretagna ha fatto circolare una bozza di risoluzione al Consiglio giovedì che chiede di revocare l'embargo sulle armi e tutti i divieti di viaggio, il congelamento dei beni e le sanzioni mirate sull'Eritrea, secondo il testo visto da AFP. Il consiglio deve votare la proposta di risoluzione il 14 novembre. I diplomatici hanno dichiarato che si aspettavano che la misura fosse adottata dopo il cambio di posizione degli Stati Uniti. L'Eritrea e l'Etiopia hanno firmato un accordo di pace a luglio, ma gli Stati Uniti, sostenuti da Francia e Gran Bretagna, hanno insistito affinché l'Eritrea avrebbe dovuto prima di tutto mostrare progressi sul rispetto dei diritti umani prima che le sanzioni potessero essere revocate. Questa posizione tuttavia è cambiata di recente, un cambiamento che alcuni diplomatici hanno detto è stato deciso dal consulente della sicurezza nazionale statunitense John Bolton, che ha affrontato il conflitto Eritrea-Etiopia quando è stato ambasciatore delle Nazioni Unite. Il consiglio ha imposto le sanzioni contro l'Eritrea nel 2009 per il presunto sostegno ai jihadisti di Al-Shabaab in Somalia, ma la bozza di risoluzione ha riconosciuto che i monitori delle Nazioni Unite "non hanno trovato prove conclusive che l'Eritrea supporti Al-Shabaab". Il governo eritreo ha negato a lungo il sostegno del gruppo e il ministro degli Esteri Osman Mohammed Saleh nel suo discorso all'Assemblea generale di settembre ha definito le sanzioni come "ingiustificate" . Le sanzioni e l'embargo sulle armi si concluderanno il giorno dell'adozione della risoluzione, secondo il testo. La dichiarazione di pace firmata a luglio dai primi ministri dell'Eritrea e dell'Etiopia pose fine a due decenni di ostilità e innescò un disgelo nei rapporti con Gibuti e la Somalia che consolidarono la stabilità nel Corno d'Africa. Nel suo discorso alle Nazioni Unite, il ministro degli Esteri dell'Eritrea ha affermato che è "sbalorditivo" che alcuni paesi al Consiglio di sicurezza volessero prolungare le sanzioni "alla luce della pace ampiamente acclamata". Le sanzioni hanno causato "danni economici considerevoli" all'Eritrea e "inutili difficoltà", ha affermato il ministro degli Esteri, che ha chiesto la loro immediata fine. L'Etiopia e la Somalia hanno appoggiato l'appello dell'Eritrea per porre fine alle sanzioni. fonte da Horndiplomat - Il governo dell'Etiopia ha lanciato ufficialmente l'emissione del visto all'arrivo per tutti i cittadini africani, in occasione di un evento organizzato giovedì (1 novembre) presso la sede dell'Unione africana.
L'evento è stato onorato dal Ministro degli Esteri di Stato, la signora Hirut Zemene, Presidente della Commissione dell'Unione Africana, Moussa Faki Mahamat, Ministro della Pace dello Stato, Zeynu Jemal, CEO di Ethiopian Airlines, Tewolde Gebremariam, altri funzionari governativi, corpo diplomatico e invitati. In questa occasione, la signora Hirut ha dichiarato che il governo dell'Etiopia sotto la guida del Primo Ministro Dr. Abiy ha deciso di offrire servizi di visto all'arrivo ai cittadini africani al fine di realizzare la visione dei "nostri padri fondatori" -Vedere un'Africa pacifica e integrata, dove menti, idee e mercati sono aperti al commercio. "L'emissione di visti all'arrivo per tutti i santi africani dimostrerà chiaramente la nostra risoluzione agli ideali e agli obiettivi dell'UA e le decisioni per continuare a svolgere ruoli legittimi verso la libera circolazione delle persone e la realizzazione del nostro programma di integrazione", ha aggiunto. Come è stato chiaramente affermato nell'Agenda 2063, lo sviluppo dell'Africa dipende dal potenziale della sua popolazione, in particolare delle donne e dei giovani. In linea con questo, il Ministro di Stato ha sottolineato che il Primo Ministro etiope ha stabilito una pietra miliare importante nello sforzo dell'Africa per l'emancipazione delle donne e un accesso equo alla posizione di alto livello politico-decisionale nominando un gabinetto equilibrato nel genere. Hirut ha inoltre sottolineato che la libera circolazione delle persone migliora l'integrazione continentale, dato il suo potenziale nel promuovere scambi, investimenti e turismo. Il Presidente della Commissione dell'Unione Africana, Moussa Faki Mahamat si è congratulato con il governo dell'Etiopia per aver fatto un passo così grande. E ha aggiunto che "Questa misura dimostra l'impegno dell'Etiopia per l'adempimento dell'Agenda 2063 dell'AU", secondo il Ministero degli affari esteri etiopico Dopo l'elezione storica di una donna alla presidenza del Paese del Corno d'Africa, il primo ministro Abiy Ahmed, attraverso il suo capo di Gabinetto Fitsum Arega, ha annunciato un'altra nomina senza precedenti. Meaza Ashenafi è la prima donna presidente della Corte Suprema federale.
"Il Parlamento etiopico ha approvato all'unanimità la candidata. La marcia dell'Etiopia verso la parità di genere nelle posizioni chiave di leadership continua senza sosta. Congratulazioni! #Etiopia - scrive Arega - Meaza Ashenafi è uno degli avvocati più esperti del Paese e un' importante attivista per i diritti delle donne. È stata la fondatrice dell'Associazione etiopica delle donne e ha ricoperto il ruolo di giudice. Reca con sé un record di competenza ed esperienza, rilevanti per il ruolo che ricoprirà". Ashenafi nel 2012 ha creato insieme a 11 donne etiopiche una banca appositamente pensata per sostenere finanziariamente le donne. In un'intervista a una tv locale, la presidente ha attribuito alla sua famiglia il merito di essere diventata quello che è oggi: "La mia lotta per la parità di genere mi è stata insegnata dalla mia famiglia. I miei genitori hanno sempre sostenuto l'importanza dell'educazione e della cultura. Anche delle donne. Grazie a mia madre, grande lavoratrice, al suo sostegno e incoraggiamento, io oggi sono una donna indipendente". Era il 2012 e nessuno si aspettava che le cose sarebbero cambiate a una tale velocità come in questi ultimi sette mesi. E' solo di una settimana fa la notizia dell'elezione storica di Sahle-Work Zewde a presidente dell'Etiopia. Sahle-Worke ha ricoperto incarichi da dirigente all'Onu e nel suo primo discorso dopo l'elezione da parte del parlamento ha evidenziato la necessità di "mantenere la pace e sostenere le donne e la parità di genere". La sua nomina è seguita a un rimpasto di governo voluto da Abiy, in cui alle donne è stata riservata la guida di metà dei dicasteri, tra cui quello della Difesa. |
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Marzo 2024
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