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"Il mio primo istinto è stato quello di dire... ሹሽ! Ma a volte è meglio dire ciò che ho veramente in mente... e solo perché questa volta ha oltrepassato il limite." https://x.com/hawelti/status/1915398876481147114 L'incessante disprezzo di Tibor Nagy per l'Eritrea non tradisce una posizione geopolitica informata, ma una profonda inquietudine interiore. La sua fissazione per l'Eritrea, in particolare per la sua leadership, rivela meno del Paese in sé e più del suo disagio nei confronti delle nazioni che si rifiutano di cedere alle pressioni esterne. L'impegno dell'Eritrea per la sovranità, l'autosufficienza e la resistenza basata sui principi è l'antitesi di tutto ciò che Nagy ha cercato, senza successo, di minare nel corso della sua carriera. Non sono uno psichiatra, ma i continui attacchi di Nagy all'Eritrea e al presidente Isaias Afwerki non sono espressione di diplomazia; sono manifestazioni di risentimento personale. Gli eritrei, un popolo coraggioso e dignitoso, si erge a testa alta di fronte alle avversità, indifferenti a sanzioni, calunnie o sabotaggi. La loro libertà non è stata un dono, ma una conquista, la loro unità non è stata imposta, ma una scelta. Queste sono virtù che i piccoli uomini trovano minacciose. L'eredità dell'Eritrea, forgiata nel sangue e in un'incrollabile resilienza, non può essere cancellata da coloro che trafficano con amarezza e revisionismo storico. Queste insicurezze furono più evidenti durante il mandato di Nagy come ambasciatore degli Stati Uniti in Etiopia dal 1999 al 2002, al culmine della guerra tra Eritrea e Etiopia. In quel momento critico, nutriva una silenziosa ambizione: vedere l'Eritrea inginocchiata: isolata politicamente, indebolita economicamente e diplomaticamente annientata. Il suo allineamento con il regime cleptocratico minoritario del TPLF non fu casuale. Fu deliberato. Il loro complesso di inferiorità si sposava perfettamente con la sua superiorità da salvatore bianco. Insieme, scambiarono la posizione di principio dell'Eritrea per ostinazione e il suo silenzio per debolezza. Ma l'Eritrea non si piegò. Si rifiutò di cedere alle prepotenze geopolitiche o ai burattini regionali. Rimase, come sempre, guidata dalla chiarezza d'intenti e dalla fedeltà al suo popolo. Quel rifiuto di conformarsi, di tradire i propri valori in cambio di aiuti, applausi o allineamento, è ciò che continua a tormentare Nagy. La sua amarezza oggi non è quella di uno stratega, ma di un uomo il cui piano d'azione non è riuscito a minare la determinazione di una nazione sovrana. Non c'è da stupirsi che non ci fosse posto per Tibor Nagy e i suoi simili nell'amministrazione Trump. Il suo approccio, radicato nel paternalismo, nella condiscendenza e nei postumi della Guerra Fredda, non aveva posto in un mondo in evoluzione che iniziava a mettere in discussione gli stessi presupposti che avevano plasmato uomini come lui. Mentre la politica statunitense cercava di staccarsi da alcuni dei suoi impulsi più interventisti, il copione obsoleto e le narrazioni stantie di Nagy sono diventati irrilevanti. La sua incapacità di adattarsi lo ha reso obsoleto, una figura relegata a gridare dall'esterno, unendosi al coro di ex agenti e analisti diventati opinionisti. E ora, con il ritorno della stagione dell'EriFluenza, il periodo dell'anno in cui tutti gli elementi anti-eritree si affannano per attirare l'attenzione sui social media, disperati per rimanere al passo con i tempi, anche Nagy torna sotto i riflettori. I loro sintomi sono fin troppo familiari: argomentazioni riciclate, indignazione performativa e un bisogno compulsivo di parlare sopra gli eritrei piuttosto che interagire con loro. Ma il mondo sta cambiando. La voce dell'Eritrea non viene più sussurrata per procura. Si sente chiaramente e parla con convinzione. Contrariamente a quanto si crede, l'America rispetta chi rispetta se stesso. Non ha mai avuto molto bisogno dei collaborazionisti, di coloro che svendono il proprio popolo per l'illusione di una vicinanza al potere. Nel lungo arco dell'impegno degli Stati Uniti, la storia favorisce i risoluti rispetto agli accondiscendenti. L'Eritrea, scegliendo la dignità anziché la dipendenza, ha dimostrato che il rispetto non si elemosina, ma si impone. Oggi, mentre l'ordine globale si sposta verso il multipolarismo e una rinnovata enfasi sulla sovranità nazionale, figure come Nagy vengono sempre più emarginate. Non c'è spazio nella nuova era della diplomazia per coloro che guardano all'Africa attraverso la lente del dominio e del clientelismo. La sua rilevanza è venuta meno, eclissata da una generazione che si rifiuta di scusarsi per aver difeso la propria dignità. Per Tibor Nagy, l'odio è diventato la sua unica stampella, un sostegno vuoto a cui si appoggia per rimanere parte di conversazioni che ormai lo hanno superato. I suoi attacchi all'Eritrea non sono critiche, sono proiezioni. Scambia la forza dell'Eritrea per arroganza perché non riesce a comprendere una dignità che non derivi dalla sottomissione. L'Eritrea, nel frattempo, rimane salda, non con le stampelle, ma con chiarezza. Il suo popolo non ha ereditato la libertà; ha combattuto per essa. Non ha bisogno di conferme da parte di chi non l'ha mai capito. La strada dell'Eritrea non è per i deboli di cuore, e certamente non per coloro la cui unica eredità è la lamentela, non il coraggio. Il presidente Donald Trump sta facendo pulizia, e giustamente. Le nazioni africane meritano un impegno diplomatico di alto livello, competente e rispettoso, proprio come qualsiasi altra regione. L'Africa non dovrebbe essere trattata come un luogo in cui diplomatici più giovani o meno competenti vengono inviati a "farsi le ossa" o a praticare la diplomazia, come se la posta in gioco e le persone coinvolte fossero in qualche modo meno importanti. credit Ghideon Musa Aron Post del Ministro dell'Informazione
Gli avvoltoi sono tornati. Cacciato dal Dipartimento di Stato a malapena a metà del suo contratto temporaneo di sei mesi, l'incapace Tibor Nagy sta freneticamente cercando compensi per i lobbisti e sembra essersi già assicurato un pagamento anticipato da alcune fonti. Motivo per cui ripete maliziosamente le diatribe del RASDO, un oscuro e insignificante gruppo sovversivo creato e incubato dai precedenti regimi etiopi decenni fa. (Aspettatevi di più dalla Lega Eritrea nelle prossime settimane di Eri-Influenza, le storiche settimane del 34° anniversario dell'indipendenza dell'Eritrea. Al Jazeera darà ampio spazio a questi blog sovversivi sul suo sito web, seppur con l'improbabile nota di esclusione di responsabilità, per i propri secondi fini) Yemane G. Meskel Ministro dell'Informazione dello Stato dell'Eritrea New York, 21 aprile 2025
*"...Tuttavia, oggi il multilateralismo è seriamente minacciato. La crescente tendenza a eludere o indebolire il sistema multilaterale attraverso l'unilateralismo, la politicizzazione, le pratiche coercitive e le sanzioni ha eroso la fiducia tra le nazioni. Queste azioni non solo diminuiscono la rilevanza della diplomazia multilaterale, ma violano anche i diritti sovrani degli Stati, in particolare quelli dei Paesi in via di sviluppo del Sud del mondo". *"...Nonostante queste sfide, l'Eritrea continua a credere fermamente nel multilateralismo basato sui principi, inclusivo, rappresentativo e radicato nel rispetto reciproco e nell'uguaglianza sovrana di tutte le nazioni. La sua partecipazione attiva alle piattaforme multilaterali testimonia il suo impegno costruttivo e la sua dedizione a promuovere il benessere delle comunità a livello globale. È impegnata in modo costruttivo nel promuovere la pace e la stabilità in Sudan, Sud Sudan e Somalia, nazioni che continuano ad affrontare sfide complesse. I nostri sforzi si basano sulla convinzione che le soluzioni regionali, fondate sul rispetto reciproco e sulla titolarità nazionale, siano essenziali per raggiungere una pace e una stabilità durature. Tale approccio dà priorità al dialogo autentico, alla non interferenza e alla solidarietà tra gli Stati confinanti, riconoscendo che una pace sostenibile deve essere guidata dal popolo e dalla leadership della regione stessa". *"...Il multilateralismo deve evolversi per riflettere le attuali realtà multipolari. Deve dare centralità alle voci dei paesi in via di sviluppo e dare priorità alle loro aspirazioni. Non possiamo parlare di "diplomazia e pace" tollerando doppi standard, responsabilità selettive e la continua emarginazione dell'Africa e di altre regioni. Corno d’Africa: non la conflittualità, ma una piena sovranità può fare l’interesse dei suoi popoli14/4/2025 Dell'insorgenza delle milizie FANO nello stato etiopico dell'Amhara, a livello internazionale, non si parla ancora a sufficienza; ma la gravità della situazione è tale da richiedere la nostra attenzione, perché testimoniano dinamiche di cui il Corno d'Africa davvero non sente alcuna necessità.
Di Filippo Bovo 14 Aprile 2025 In Etiopia, nello stato del Tigray, le conflittualità tra le fazioni di Debretsion Gebremichael (TPLF-D) e di Getachew Reda (TPLF-G) dentro il TPLF (Tigray People’s Liberation Front) sembrerebbero aver trovato un momentaneo tampone con la sostituzione del secondo, ormai esautorato dal primo, con un nuovo presidente ad interim, il Generale Tedesse Warede scelto dal primo ministro etiopico Abiy Ahmed; ma è solo un risanamento di facciata. Reda, allontanatosi dal Tigray, è probabilmente coinvolto insieme al Governo Federale nell’insorgere di una nuova, inedita rivolta armata nel Tigray contro le autorità del TPLF, ma in tal merito le notizie sono ancora troppo fresche per potersi lanciare in giudizi certi. Certo, solo la fazione di Debretsion dispone nel TPLF di una reale forza militare, e quindi a potervisi opporre non può essere che qualche altro elemento, assistito dall’esterno; e che tra il Governo Federale e quella fazione, la TPLF-D, ci siano al momento vari problemi ad andar d’accordo, non è un mistero. Dopotutto, per ragioni di convenienza politica e tattica, la fazione TPLF-D non ha oggi interesse a farsi cavalcare dal Governo Federale in una guerra contro la vicina Eritrea, per guadagnare uno sbocco sul mare che nessuno, a livello internazionale, sarebbe peraltro disposto legalmente ad avallare. Come avevamo raccontato anche in un precedente articolo, le conflittualità diplomatiche (potenzialmente in grado di sfociare in più aperte conflittualità d’altro genere, e proprio per tale motivo per nulla giustificabili) che oggi Addis Abeba sta manifestando coi suoi vicini, dall’Eritrea alla Somalia fino alla stessa Gibuti, a tacer poi del ruolo di supporto alle RSF (Rapid Support Forces) in Sudan, sono espressione di una volontà della sua leadership di scaricare verso l’esterno le non poche e crescenti contraddizioni interne, dalla crisi economica e valutaria ai tanti conflitti etno-militari che ne scuotono, oltre al Tigray, anche gli stati dell’Oromia, addirittura dell’Ogaden, o ancora dell’Amhara. Proprio nell’Amhara, secondo stato del paese per dimensioni ed importanza, vi è una ribellione armata che dura dal 2023 e sempre più sta incidendo come un vero e proprio maglio sulle fibre del Governo e dell’Esercito Federale: con la loro avanzata le milizie FANO hanno ormai sotto il loro controllo più di metà dei distretti, oltre ad altre aree esterne, e sono inoltre riuscite a catturare, con relativo e non poco armamento, molti militari etiopici che avrebbero dovuto contrastarli, a tacer di quelli addirittura passati di propria sponte dalla loro parte. Le condizioni umanitarie nella regione sono molto gravi, stando a vari osservatori persino più gravi che nel Tigray dove, in modo discontinuo e disordinato, e lontano dalla sufficienza, un po’ d’aiuti nel tempo sono comunque arrivati (e qui sorvoliamo sul tenore, e spesso sulle reali motivazioni, che si celano dietro a certi aiuti, perché s’aprirebbe un capitolo infinito: si pensi a cosa spesso giunge, spacciato per aiuto umanitario ma ben lontano dall’esserlo, come armi o munizioni, o a chi vanno a finire in mano, e all’uso clientelare che poi ne va a fare); non sono mancati neppure, tra i vari scontri avvenuti, dei fatti piuttosto sanguinosi, come a Bakrat nel marzo scorso, con le truppe federali che hanno colpito i civili, donne per prime, in base al principio per cui “se la guerriglia è il pesce e il popolo la sua acqua, allora togliendo l’acqua il pesce muore”. Così diceva infatti Mao, parlando del rapporto essenziale tra popolo e movimenti di guerriglia; e così gli replicava il famigerato Efrain Rios Montt, ex presidente guatemalteco, su come spezzare quel rapporto, semplicemente togliendo al pesce l’acqua che gli era necessaria per vivere. Tuttavia, malgrado le gravi responsabilità di cui si sono coperte le truppe federali, con un bilancio tra i civili ben più grave di quanto visto altrove, tanto da far gridare vari osservatori ad una vera e propria strage degli Amhara da parte del Governo Federale, i FANO continuano ad avanzare; ancor più se pensiamo che per reazione proprio tali continui episodi contribuiscono, e non poco, alla loro popolarità di liberatori e patrioti. Il loro obiettivo, e non lo nascondono, è d’abbattere il Governo Federale e certamente, se consideriamo anche la contemporanea azione d’altri gruppi militari attivi nel resto del paese, impegnati nella lotta contro il potere centrale, le possibilità che gli assestino un duro logoramento non sono certo così remote. Intorno allo scorso anno vi erano stati contatti tra emissari di Addis Abeba e dei FANO, ad un certo punto arenatisi senza aver risolto la grave situazione regionale; che da allora è persino peggiorata, estendendosi anche ad altre aree, probabilmente alimentando anche lo spirito di lotta degli altri movimenti in lotta col potere centrale, come l’ONLF in Oromia. Anche in questo caso, e soprattutto riguardo a certi ultimi clamorosi successi riportati dai FANO, da Addis Abeba sono state lanciate accuse su una mano esterna che li avrebbe alimentati; e l’indice è stato puntato, neanche a farlo apposta, su Asmara, ormai adottata a facile capro espiatorio degli annosi problemi interni etiopici. Tuttavia questo approccio, come già abbiamo raccontato in precedenza, è da considerarsi irresponsabile e potenzialmente foriero di più gravi conflittualità, a cui probabilmente è proprio quanto Addis Abeba e certi particolari gruppi d’interesse dalla forte e notoria influenza sulla sua linea politica mirano ad ottenere. Tale approccio, indubbiamente autolesionista per l’Etiopia e per l’intera regione, non fa l’interesse di nessuno dei popoli che vi abita e risponde unicamente alle ambizioni di quei gruppi, comodamente ubicati all’estero, dall’Europa al Nord America e non solo, che fin troppo spesso son soliti avvalersi di un paese per cavalcarlo come ariete in Africa e in altre parti del “Sud del Mondo”. L’Africa non ha bisogno di questi gruppi d’interesse, politici ed economici, per i quali le vite degli africani servono unicamente ad arricchire il proprio potere e i propri guadagni. L’Eritrea, che della nociva influenza neocoloniale di questi gruppi s’è sbarazzata fin dal primo giorno della sua Indipendenza, di cui presto ricorrerà l’Anniversario, e che in tutti questi anni ha continuato efficacemente a combatterli, ne è il più chiaro esempio: un paese africano può essere veramente libero e svilupparsi soltanto con una piena sovranità, pieno diritto dei suoi cittadini. Proprio per questo, però, sempre per quei gruppi d’interesse, e per la politica di quei paesi su cui hanno ancora un’influenza, paesi come l’Eritrea diventano il puntuale capro espiatorio da punire, diffamare, sanzionare e bandire internazionalmente: proprio come sta avvenendo, e forse continuerà ad avvenire, per gli odierni contrasti che oggi dilaniano l’Etiopia, di cui tuttavia Asmara non ha alcuna responsabilità. Semmai, Asmara avrebbe interesse a coltivare, con un’Etiopia finalmente in pace al suo interno e coi suoi vicini, un rapporto fruttuoso come già altre volte tentò in passato; e, sempre come dimostrato dalle esperienze passate, sarebbe lieta pure di darle un aiuto per sanare molte delle sue ormai croniche difficoltà. E’ un momento, quello, che prima o poi arriverà. E’ nato ad Asmara il sodalizio artistico tra il sottoscritto e l'amico Yonas.
Insieme, con mini documentari autoprodotti, vi racconteremo la nostra Eritrea in attesa di un vero e proprio documentario sul "fenomeno immigrazione" che arriverà a breve. Sarà un progetto importante per sottolineare ancora una volta che non è proprio come ce l'hanno sempre raccontata ma, soprattutto, che non esiste affatto nessuna "accoglienza umanitaria". Ecco, semmai nutriste qualche dubbio sulla narrativa dei media mainstream, il nostro documentario ve ne fornirà molti altri. Ad majora! |
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Novembre 2025
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